SENTENZA N. 24
ANNO 1959
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 24 aprile 1958 dal Tribunale di Pistoia nel procedimento civile vertente tra Galigani Roberto e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 22 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 148 del 21 giugno 1958.
Udita nell'udienza pubblica dell'11 marzo 1959 la relazione del Giudice Giuseppe Cappi;
uditi gli avv. Giorgio Balladore Pallieri e Luciano Stanghellini per il Galigani, e l'avv. Guido Nardone per l'Istituto nazionale della previdenza sociale.
Ritenuto in fatto
Galigani Roberto era un invalido del lavoro e godeva della relativa pensione da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. In forza del D.L.C.P.S. 3 ottobre 1947, n. 1222 (assunzione obbligatoria dei mutilati ed invalidi del lavoro, di guerra e per servizio), fu assunto in qualità di operaio presso il cotonificio Villa Cortese di Pistoia, continuando a percepire la pensione.
In data 26 aprile 1957, venne emanato il D.P.R. n. 818 il quale all'art. 26 disponeva la sospensione del pagamento della pensione di invalidità "quando l'avente diritto presti la sua opera alle dipendenze di terzi in forza della legislazione speciale sulla assunzione obbligatoria dei mutilati ed invalidi del lavoro, di guerra e per servizio, con una retribuzione superiore ad un terzo del guadagno normale che aveva anteriormente al riconoscimento dell'invalidità, se si tratta di operaio, della metà, se si tratta di impiegato".
Il Galigani, il quale si trovava nelle condizioni di essere colpito dal provvedimento di sospensione della pensione, con atto notificato il 31 ottobre 1957 citava avanti il Tribunale di Pistoia l'Istituto della previdenza sociale esponendo che l'Istituto col primo novembre gli avrebbe sospeso il pagamento della pensione di invalidità, in base al predetto art. 26, del quale l'Istituto aveva reso nota l'applicazione anche con appositi comunicati stampa.
Ciò premesso, il Galigani testualmente concludeva: "previa sospensione del giudizio e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, in accoglimento della istanza formulata dall'attore perché sia dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 26 del D.P.R. n. 818 del 1957 per violazione degli art. 76 e 77 p.p. della Costituzione, condannare l'Istituto della previdenza sociale a ripristinare il pagamento della pensione di invalidità finora goduta da Galigani Roberto a far tempo dal giorno successivo a quello della pubblicazione della decisione della Corte costituzionale; con condanna, ove del caso, alla corresponsione degli arretrati e cogli interessi dalle scadenze successive alla pubblicazione in questione".
Si costituiva in giudizio l'Istituto della previdenza sociale, il quale preliminarmente eccepiva l'improponibilità dell'azione, in quanto il Galigani, in base alla norma generale contenuta nell'art. 460 Cod. proc. civ., avrebbe dovuto, prima di promuovere l'azione giudiziaria, esperire la via amministrativa e, precisamente, adire il Comitato esecutivo dell'Istituto come previsto dell'art. 97 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827. Per quanto poi riguardava l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 26 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, l'Istituto sosteneva che l'eccezione era manifestamente infondata.
Il Tribunale, con sentenza parziale 24 aprile 1958, respingeva l'eccezione di improponibilità dell'azione e nella stessa data, ritenuta rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, pronunciava ordinanza con la quale disponeva la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza veniva regolarmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 21 giugno 1958, n. 148.
Circa la questione di legittimità costituzionale l'ordinanza del Tribunale sostanzialmente osserva quanto segue. L'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (legge delegante), aveva disposto: "Entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, potranno essere emanate, in conformità dei principi e dei criteri cui si informa la presente legge, disposizioni transitorie e di attuazione, nonché norme intese a:
1) coordinare le vigenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della presente legge, anche per quanto riflette l'ordinamento dei servizi;
2) raccogliere in un unico testo le disposizioni che regolano la materia".
Il Tribunale, ritenuto che relativamente al citato art. 26 non poteva trattarsi - come é pacifico inter partes - né di norma transitoria né di redazione di un testo unico, osservò che non era manifestamente infondata l'eccezione che il D.P.R. n. 818 del 1957 avesse ecceduto i limiti della delega contenuti nel citato art. 37 della legge delegante e fosse quindi costituzionalmente illegittimo. Al riguardo il Tribunale osservò che l'art. 26 del decreto presidenziale non poteva costituire norma di attuazione della legge delegante né effetto di coordinamento fra tale legge e le vigenti norme in materia di assicurazioni sociali.
Avanti questa Corte si costituiva l'attore Galigani Roberto, rappresentato e difeso dagli avvocati Ignazio Granelli e Luciano Stanghellini, i quali, in data 11 luglio 1958, depositavano nella cancelleria le proprie deduzioni, nelle quali concludevano chiedendo che la Corte dichiarasse l'illegittimità costituzionale dell'art.. 26 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818.
Si costituiva pure l'Istituto della previdenza sociale, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Aureli, Mario Pizzicannella, Guido Nardone e Pierino Pierini, i quali nelle loro deduzioni, depositate il 10 luglio 1958, chiedevano che la Corte dichiarasse infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale.
Il patrocinio dell'attore Galigani fonda la propria tesi sulle seguenti argomentazioni, che riecheggiano quelle dell'ordinanza del Tribunale. La questione consiste nel vedere se il più volte citato articolo 26 possa rientrare nella categoria delle norme di attuazione o in quella del coordinamento. Il patrocinio dell'attore lo nega e al riguardo osserva che non può trattarsi di norma di attuazione, perché tale norma non può per definizione creare ipotesi nuove, sconosciute alla legge attuata, ma solo dettare con crete particolari disposizioni necessarie per l'applicazione delle norme già impartite in via di massima. In altri termini, la norma di attuazione può solo stabilire le specifiche modalità con cui in concreto dovranno attuarsi nelle particolari ipotesi quelle norme che, per la loro ampia portata generale, presenterebbero delle difficoltà di pratica applicazione.
Nella specie - continua il patrocinio del Galigani - l'art. 26, lungi dal costituire una attuazione particolare e concreta di norme generali contenute nella legge delegante, rappresenta una vera e propria innovazione. Infatti, mentre l'art. 12 di tale legge sancisce che ai titolari di pensione che prestino la propria opera retribuita alle dipendenze di terzi la pensione viene ridotta di un quarto e comunque non oltre il 25% della retribuzione, l'art. 26 prescrive che la pensione viene completamente sospesa quando la retribuzione di titolare risulta superiore al terzo del guadagno normale che aveva anteriormente al riconoscimento dell'invalidità, se si tratta di operaio, o della metà, se si tratta di impiegato.
Da quanto sopra il patricinio del Galigani deduce che fra la riduzione automatica della pensione prevista dall'art. 12 della legge delegante e la sospensione disposta dall'art. 26 del decreto delegato esiste un contrasto formale e sostanziale, per cui il secondo articolo non può venir considerato come norma di attuazione della legge delegante.
Il carattere innovativo dell'art. 26 esclude anche ad evidenza, secondo il Galigani, che si possa trattare di coordinamento fra le vigenti norme sulle assicurazioni sociali e quelle della legge delegante.
Il patrocinio dell'Istituto nelle sue deduzioni risolleva l'eccezione già proposta avanti al Tribunale, fondata come si é visto sulla violazione dell'art. 460 Cod. proc. civile. Solleva poi anche una eccezione che non figura proposta in sede di merito, sostenendo che l'attore difettava di interesse ad agire, perché nel momento nel quale iniziò l'azione giudiziaria (31 ottobre 1957) nessun provvedimento di sospensione della pensione era stato preso a di lui carico. (Al riguardo, in linea di fatto, risulta che il provvedimento di sospensione fu preso il 4 dicembre 1957). Dalle surriferite eccezioni di improponibilità o improcedibilità dell'azione di merito, l'Istituto deduce poi la conseguenza della improponibilità del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto, mentre, in base all'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, tale giudizio non può avere se non carattere incidentale, cioé sorgere nel corso di un giudizio principale di merito, nella specie tale giudizio non avrebbe potuto essere proposto e, quindi, non aveva giuridica esistenza.
Quanto al merito della questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, l'Istituto osserva che esso ben può costituire norma di attuazione della legge 4 aprile 1952, n. 218. Al riguardo l'Istituto sostiene che le norme di attuazione non possono venire equiparate "a quelle di mera esecuzione di una legge", giacché per emanare norme del genere non sarebbe certo occorsa delega al Governo da parte del potere legislativo. La concessione di delega, espressamente comprensiva della facoltà di emanare norme di attuazione, implica non soltanto la distinzione fra queste norme e quelle regolamentari e di esecuzione, bensì anche la possibilità che le norme del genere non siano in immediato, diretto rapporto con le disposizioni testuali della legge di delega e possano anche attingere il loro contenuto a principi insiti nella legge medesima. L'Istituto rileva che tali principi si possono sintetizzare nel concetto che l'ordinamento previdenziale si propone "in modo particolare di assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di invalidità e di vecchiaia, in conformità dell'art. 38 della Costituzione".
Alla stregua delle surriferite osservazioni, l'Istituto conclude che nella specie non sussiste il vizio costituzionale di eccesso di delega. Che se, prosegue l'Istituto, l'art. 26 non dovesse ritenersi norma di attuazione, esso sarebbe pur sempre costituzionalmente legittimo in quanto costituirebbe un atto di coordinamento fra le vigenti norme sulle assicurazioni sociali e quelle della legge delegante, coordinamento di cui la legge aveva dato espresso mandato al potere esecutivo.
L'art. 26 infatti costituirebbe coordinamento fra diverse disposizioni nascenti da principi generali, principalmente quello "secondo il quale la previdenza sociale adempie, in aderenza alle finalità di carattere pubblico che le sono proprie, alla funzione di "'sollievo dal bisogno", garantendo ai lavoratori, in ogni evento che il bisogno suscita, quei "mezzi adeguati alle loro esigenze vitali " di cui parla l'art. 38 della Costituzione".
Ambedue le parti hanno presentato memorie. In quella del Galigani, a firma dell'avvocato Giorgio Balladore Pallieri e avvocato Luciano Stanghellini, si sostiene anzitutto che, data l'indipendenza del giudizio di merito a quo da quello di legittimità costituzionale, la eccezione dì improponibilità dell'azione, decisa e respinta dalla sentenza del Tribunale, non deve formare oggetto di giudizio da parte della Corte.
Sul punto della costituzionalità dell'art. 26 del D.P.R. n. 818 del 1957, il Galigani sviluppa gli argomenti da lui già esposti a sostegno della illegittimità.
L'Istituto della previdenza sociale si rimette alle sue precedenti deduzioni per quanto riguarda le questioni di improponibilità o improcedibilità, sia dell'azione di merito che del giudizio di legittimità costituzionale; questioni che poi ha sviluppato ampiamente nella discussione orale.
Sul punto della costituzionalità dell'art. 26, l'Istituto ne sostiene la legittimità, osservando che esso ben può venir considerato norma di attuazione o effetto di coordinamento, specialmente perché discenderebbe come conseguenza e applicazione di principi generali ai quali si informano e la legge di delega e le varie altre in materia di assicurazioni sociali.
Considerato in diritto
1. - L'Istituto della previdenza sociale nelle sue deduzioni avanti la Corte ha insistito nelle eccezioni di improponibilità e di improcedibilità dell'azione di merito, che già aveva sollevato avanti al Tribunale. Si sosteneva che in base al disposto dell'art. 460 Cod. proc. civ. il Galigani, prima di iniziare l'azione avanti l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto esperire la via amministrativa, e precisamente adire il Comitato esecutivo dell'Istituto, come previsto dall'art. 97 del R.D. 4 ottobre 1935, n. 1827. Nella sua memoria e nella discussione orale il patrocinio dell'Istituto sollevò un'altra eccezione. Sostenne cioè che il Galigani, al quale nel momento in cui spiccò la citazione (31 ottobre 1957) non era ancora stata sospesa la pensione, mancava di interesse ad agire, non potendosi chiedere il ripristino del pagamento di una pensione che non era stato ancora sospeso. (Nella narrativa del fatto già si é rilevato che il pagamento era stato poi sospeso il 4 dicembre 1957. La sentenza parziale che dichiarò proponibile l'azione del Galigani é del 24 aprile 1958).
2. - Circa le due surriferite eccezioni di improponibilità o di improcedibilità dell'azione di merito la Corte osserva quanto segue. Per ciò che riguarda la seconda (mancanza di interesse ad agire) é evidente che non può venir presa in considerazione, giacché é attinente al giudizio di merito, sul quale la Corte, investita del giudizio di costituzionalità, non può interferire, salvo che per la verifica del presupposto della rilevanza della questione di costituzionalità per la decisione di merito; presupposto che nella specie risulta dall'ordinanza di rinvio. Lo stesso é a dirsi per la prima eccezione (violazione dell'art. 460 Cod. proc. civ.) che il Tribunale ha respinto con la motivata sentenza parziale 24 aprile 1958. Il patrocinio dell'Istituto ha criticato la sentenza del Tribunale, contro la quale ha dichiarato di aver interposto appello; ma é chiaro che trattasi anche qui di una questione attinente al giudizio di merito, sulla quale la Corte, che é investita soltanto delle questioni di legittimità costituzionale, non può interferire.
3. - Dalle surriferite eccezioni l'Istituto deduce poi che improponibile sarebbe l'attuale giudizio di legittimità costituzionale, in quanto tale giudizio non può avere se non carattere incidentale, sorgere cioè nel corso di un giudizio principale, giudizio che, nel caso, non avrebbe potuto essere proposto e, quindi, non aveva giuridica esistenza. Al riguardo la Corte osserva che se é vero che nei casi previsti dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il giudizio di legittimità costituzionale non può avere se non carattere incidentale, altrettanto é vero che all'uopo é sufficiente che un giudizio di merito sia stato di fatto instaurato, il che nella specie non é dubbio. La Corte, data l'indipendenza del giudizio di merito da quello di legittimità costituzionale, non può scendere ad esaminare se il primo sia stato iniziato in modo proceduralmente regolare. Quanto infine al rilievo che la sentenza del Tribunale di Pistoia sarebbe stata appellata, é ovvio rilevare che nessuna norma di legge impone che per dare ingresso all'azione di legittimità costituzionale le questioni di proponibilità o di altre pregiudiziali del giudizio di merito debbano essere definite con sentenza non più impugnabile. La definitiva decisione di tali questioni potrà avere riflessi sulla singola causa, ma non può toccare il giudizio di legittimità costituzionale, il quale é assolutamente autonomo nel proprio svolgimento, e indipendente dalle sorti del giudizio principale.
Pertanto le eccezioni pregiudiziali sollevate dall'Istituto devono essere respinte.
4. - Il vizio denunciato é di eccesso di delega.
La legge di delega é quella del 4 aprile 1952, n. 218, sull'ordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Essa contiene numerose disposizioni. Il titolo I dice: "Modificazioni e integrazioni al regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, e successive modificazioni". Il titolo II: "Adeguamenti delle pensioni per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti". Il titolo III: "Disposizioni transitorie e finali", diviso in ben 12 lunghi articoli con numerose tabelle. Si comprende pertanto come sia apparsa opportuna la concessione di delega al Governo, tanto più che numerose disposizioni legislative in materia esistevano anche prima della legge 4 aprile 1952, n. 218. La delegazione é contenuta nell'art. 37 così formulato: "Entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto col Ministro per il tesoro, potranno essere emanate, in conformità dei principi e dei criteri direttivi cui si informa la presente legge, disposizioni transitorie e di attuazione nonché norme intese a:
1) coordinare le vigenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della presente legge, anche per quanto riflette l'ordinamento degli organi e dei servizi;
2) raccogliere in un unico testo le disposizioni che regolano la materia".
In base alla citata legge di delega fu emanato il D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, contenente fra gli altri l'art. 26 del seguente tenore: "Il pagamento della pensione di invalidità é sospeso quando l'avente diritto presti opera alle dipendenze di terzi, in forza della legislazione speciale sulla assunzione obbligatoria dei mutilati o invalidi del lavoro, di guerra e per servizio, con una retribuzione superiore ad un terzo del guadagno normale che aveva anteriormente al riconoscimento dell'invalidità se si tratta di operaio, o alla metà, se si tratta di impiegato".
Oggetto della censura di legittimità costituzionale é appunto l'art. 26 dinanzi citato, sostenendosi dall'attore Galigani, e contestandosi dall'Istituto, che esso eccede i limiti della delegazione.
Nella controversia erano in discussione tre norme di legge: la prima, contenuta nel citato art. 26; la seconda, nell'art. 12 della legge di delegazione, dispone: "Ai titolari di pensione che prestano la propria opera retribuita alle dipendenze di altri, il trattamento complessivo di pensione previsto dalla presente legge é ridotto di una quota pari ad un quarto del trattamento stesso, salvo quanto é disposto nel comma seguente. I lavoratori sono tenuti a dichiarare al proprio datore di lavoro la loro qualità di pensionati. La trattenuta di cui al precedente comma non può superare il 25 per cento della retribuzione". La terza norma infine é contenuta nell'art. 10 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito, con modificazioni, nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, articolo che é del seguente tenore: "Si considera invalido l'assicurato la cui capacità di guadagno, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente, per infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo del suo guadagno normale, per gli operai, o a meno della metà, per gli impiegati. La pensione di invalidità é soppressa quando la capacità di guadagno del pensionato cessi di essere inferiore ai limiti indicati al primo comma".
5. - La controversia, quale si ricava dalle deduzioni delle parti, si può sintetizzare nel modo seguente. L'attore osserva che la legge di delega aveva dato mandato al Governo di emanare norme di attuazione e di coordinamento in conformità dei principi e dei criteri cui essa legge si informa; mentre l'art. 26 non potrebbe essere ritenuto norma di attuazione né di coordinamento, donde il vizio di illegittimità costituzionale per eccesso di delega. L'Istituto della previdenza sociale per contro nega che sussista tale eccesso.
6. - La Corte ritiene che la norma dell'art. 26 non possa essere considerata norma di attuazione o norma di coordinamento, rientrante nei limiti della delegazione.
Superfluo sarebbe qui discutere in generale circa la estensione delle potestà conferibili al Governo con le leggi di delegazione o circa la nozione di norma di attuazione e il contenuto che é proprio delle norme di coordinamento.
Certo é che, per quanto ampie siano le facoltà delegate al Governo nei singoli casi, con la legge delegata non possono essere dettate norme in contrasto con quelle contenute nella stessa legge di delegazione; né si potrebbero mai qualificare norme di attuazione quelle che contrastassero con le norme della legge alla quale dovrebbe essere data attuazione.
Se si raffronta l'art. 26 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, con l'art. 12 della legge di delegazione 4 aprile 1952, n. 218, evidente appare il contrasto, in quanto che in luogo della riduzione di una quota del trattamento di pensione che la legge di delega dispone quando il pensionato presta opera alle dipendenze di altri, la legge delegata dispone che il pagamento sia sospeso. É chiaro che la sospensione del pagamento é cosa ben diversa dalla riduzione. L'art. 26 della legge delegata non é quindi norma di attuazione, onde non può essere negato l'eccesso di delega che importa la illegittimità della norma contenuta nell'art. 26.
7. - Né sarebbe possibile considerare la norma dettata nel l'art. 26 come norma di coordinamento, ricollegata all'art. 10 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, in quanto alla revoca della pensione ivi disposta sostituirebbe la semplice sospensione del pagamento, riuscendo così più favorevole ai pensionati, come l'INPS sostiene ma il Galigani nega.
Ai fini della causa é sufficiente rilevare che la funzione del coordinamento é di armonizzare secondo criteri di logica e di tecnica giuridica una serie di norme contenute in uno o più testi di legge, non già quello di introdurre norme nuove, quale é quella dell'impugnato art. 26 che nessun riferimento ha con il menzionato art. 10 della legge del 1939. Basterà qui considerare che la ipotesi per la quale il detto art. 10 disponeva la revoca della pensione é diversa da quella per la quale l'art. 26 della legge delegata dispone la sospensione. La revocazione poteva avvenire, secondo la legge del 1939, solo quando fosse accertata la cessazione della invalidità con il ricupero della capacità di guadagno del pensionato. Secondo l'art. 26 della legge delegata, la sospensione del pagamento della pensione deriverebbe invece dal semplice fatto che il pensionato presti opera alle dipendenze altrui in forza della legislazione speciale che impone l'assunzione degli invalidi. Poiché nessuna indagine viene qui fatta sul ricupero o meno della normale capacità di guadagno, si é fuori delle ipotesi dell'art. 10 della legge del 1939, e si rientra in quella dell'art. 12 della legge di delegazione 4 aprile 1952, che, come si é detto, consentiva soltanto una riduzione del trattamento di pensione, mentre l'art. 26 dispone la sospensione totale del pagamento, introducendo così nel sistema una norma del tutto nuova che non può qualificarsi né di attuazione né di coordinamento.
8. - Che poi, come afferma l'Istituto, l'art. 26 abbia colmata una lacuna della legge e corrisponda allo spirito informatore e ai principi e criteri direttivi della medesima, é questione che potrebbe essere sostenibile; senonché il punto da decidere é se la lacuna potesse venire colmata con una norma di attuazione o di coordinamento, dato che la legge di delegazione non aveva attribuito al Governo, genericamente, il potere di emanare nuove norme con il solo limite della conformità ai principi e ai criteri direttivi di essa; bensì attribuiva solo il potere di emanare norme di attuazione e di coordinamento.
A proposito di principi, l'Istituto insistette sulla tesi che il principio informatore della legislazione sulle assicurazioni sociali é il sollievo dal bisogno, con la conseguente alternativa fra retribuzione e prestazione assistenziale; e all'uopo l'Istituto citò l'articolo 38 della Costituzione. Ora, a parte che sulla natura e sugli scopi di tale legislazione esistono molte divergenze d'opinione, dato - fra l'altro - che le prestazioni assistenziali prescindono dalla situazione economica degli assistiti, resta il fatto che il potere conferito al Governo con la legge di delegazione é unicamente quello di emanare norme di attuazione e di coordinamento, tra le quali non é, come si é detto, compresa la disposizione dettata con l'art. 26.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinte le eccezioni pregiudiziali;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 26 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e in riferimento agli artt. 70 e 76 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 1959.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.
Depositata in cancelleria il 5 maggio 1959.