SENTENZA N. 12
ANNO 2006
Commenti alla decisione di
I. Antonio Ruggeri, Il cappio alla gola degli statuti regionali: a margine di Corte cost. n. 12 del 2006 e di altre pronunzie recenti in tema di autonomia statutaria (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
II. Matteo Timiani, Statuti regionali: un nuovo tassello sulla forma di governo (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
III. Stelio Mangiameli, Lo Statuto della Regione Abruzzo al vaglio della Corte costituzionale (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali).
IV. Andrea Ridolfi, Nuovo intervento della Corte costituzionale in materia di Statuti regionali (per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana dei Costituzionalisti)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 3; 45, comma 3; 46, comma 2; 47, comma 2; 79, comma 2 in relazione al comma 1, lettera c); 86, comma 3 in relazione ai commi 1, 2 e 4, dello statuto della Regione Abruzzo, approvato in prima deliberazione il 20 luglio 2004 ed in seconda deliberazione il 21 settembre 2004, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 4 novembre 2004, depositato in cancelleria il successivo 10 novembre 2004 ed iscritto al n. 106 del registro ricorsi 2004.
Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2005 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sandro Pasquali per la Regione Abruzzo. Ritenuto in fatto1. – Con ricorso notificato il 4 novembre 2004 e depositato il successivo 10 novembre 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 3; 45, comma 3; 46, comma 2; 47, comma 2; 79, comma 2 in relazione al comma 1, lettera c); 86, comma 3 in relazione ai commi 1, 2 e 4, dello statuto della Regione Abruzzo, approvato in prima deliberazione il 20 luglio 2004 ed in seconda deliberazione il 21 settembre 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 101 dell’8 ottobre 2004, in riferimento agli artt. 1, 3, 117, quinto comma, 121, 122, 123, 126 e 134 della Costituzione.
1.1. – L’art. 2, comma 3, dello statuto impugnato stabilisce, tra l’altro, che la Regione«partecipa […] all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali dello Stato». Ad avviso del ricorrente tale norma si porrebbe in contrasto con l’art. 117, quinto comma, Cost., in quanto ometterebbe di riferirsi al necessario rispetto delle «norme di procedura stabilite da legge dello Stato», la quale deve disciplinare anche le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
1.2. – L’art. 45, comma 3, dello statuto in esame dispone che «Il Presidente della Giunta nel caso in cui il Consiglio sfiduci uno o più assessori provvede alla loro sostituzione». Secondo la difesa erariale tale norma, vincolando il Presidente della Giunta ad adeguarsi alla volontà espressa dal Consiglio, risulterebbe incoerente con la scelta istituzionale della elezione a suffragio universale e diretto del vertice dell’esecutivo di cui all’art. 43, comma 2, dello statuto (norma, quest’ultima, ritenuta dal ricorrente conforme alla previsione dell’art. 122, quinto comma, Cost.) e con le «conseguenti implicazioni costituzionali inerenti all’attribuzione ad esso di forti e tipici poteri per la gestione unitaria dell’indirizzo politico e amministrativo della Regione», che da tale elezione discenderebbero. In particolare, osserva l’Avvocatura dello Stato, l’art. 122, quinto comma, Cost., là dove assegna al Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto il potere di nomina e revoca dei componenti della Giunta, risulterebbe «ferito e limitato» dalla norma statutaria de qua.
1.3. – L’art. 46 dello statuto della Regione Abruzzo, dopo aver stabilito al comma 1 che il Presidente della Giunta, nella prima seduta del Consiglio regionale, si presenta per l’esposizione del programma, dispone al comma 2 che «Il programma è approvato dal Consiglio regionale. Il voto contrario produce gli stessi effetti dell’approvazione della mozione di sfiducia».
L’Avvocatura dello Stato censura solo il comma 2 dell’art. 46 ed in particolare l’ultimo inciso, in quanto stabilirebbe una causa di scioglimento del Consiglio regionale non prevista dall’art. 126 Cost. Questa norma costituzionale, osserva il ricorrente, conterrebbe «una tassativa previsione dei casi in cui possono realizzarsi i presupposti di operatività del meccanismo del simul stabunt simul cadent legato al sistema di elezione a suffragio universale e diretto».
Inoltre, l’art. 46, comma 2, non sarebbe «coerente con la scelta istituzionale dell’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Giunta di cui all’art. 43, comma 2, dello statuto (conforme alla previsione del quinto comma dell’art. 122 Cost.)», in quanto, stabilendo come «passaggio necessario ed indispensabile» la preventiva approvazione del programma, instaurerebbe «irragionevolmente e contraddittoriamente» tra Presidente e Consiglio regionale un rapporto diverso rispetto a quello che dovrebbe discendere dall’anzidetto sistema di elezione. In particolare, la difesa erariale si sofferma sulle differenze tra la mancata approvazione del programma di governo e «un giudizio eventuale e successivo su comportamenti, quale può essere l’approvazione di una mozione di sfiducia». La mancata approvazione del programma, infatti, escluderebbe sin dall’inizio la possibilità per il Presidente e per la Giunta di «operare per l’attuazione del programma» e vanificherebbe «la legittimazione democratica» di cui il Presidente gode in virtù dell’elezione a suffragio universale e diretto.
Sempre ad avviso del ricorrente, la previsione di un’approvazione consiliare del programma condurrebbe a degli esiti contrastanti con quelli derivanti dalla previsione della maggioranza assoluta per l’approvazione della mozione di sfiducia. Infatti, mentre quest’ultima sarebbe finalizzata ad un «rafforzamento della stabilità dell’esecutivo», l’approvazione consiliare del programma rappresenterebbe un «indebolimento della posizione del Presidente della Giunta, incompatibile con la sua investitura popolare».
L’Avvocatura dello Stato aggiunge che sarebbe «evidente l’assurdo di richiedere, dopo l’investitura da parte del popolo, l’investitura da parte dei rappresentanti del popolo»; una siffatta previsione si risolverebbe, tra l’altro, in una «limitazione ed anzi in una vanificazione della sovranità popolare».
Per queste ragioni, il ricorrente ritiene che l’art. 46, comma 2, dello statuto si ponga in contrasto, oltre che con gli artt. 122 e 126 Cost., anche con l’art. 1 Cost. e con i fondamentali canoni di coerenza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
1.4. – L’art. 47, comma 2, dello statuto de quo stabilisce che «l’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta comporta la decadenza della Giunta e lo scioglimento del Consiglio». Questa norma, ad avviso del ricorrente, sarebbe in contrasto con l’art. 126, terzo comma, Cost., là dove dispone che l’approvazione della mozione di sfiducia comporta le dimissioni della Giunta e non la sua decadenza automatica.
L’Avvocatura dello Stato osserva che la norma statutaria in esame comporterebbe una limitazione dei poteri dell’esecutivo regionale. Nel caso di dimissioni, infatti, alla Giunta competerebbe una «valutazione sui tempi delle medesime e quindi dello scioglimento del Consiglio regionale» che, invece, verrebbe meno qualora fosse prevista la decadenza. Allo stesso modo, nel caso di decadenza, verrebbe meno la possibilità da parte dell’esecutivo regionale di porre in essere nel frattempo atti ritenuti necessari ed indifferibili, «che non potrebbero in ogni caso sottrarsi alla verifica di legittimità costituzionale».
1.5. – Lo statuto della Regione Abruzzo istituisce, all’art. 78, il Collegio regionale per le garanzie statutarie, organo di consulenza della Regione, composto da cinque esperti. L’art. 79, il quale individua le funzioni del Collegio, stabilisce che esso «esprime pareri e rende valutazioni», tra l’altro, «sui rilievi di compatibilità con lo statuto delle deliberazioni legislative sollevati da un quarto dei consiglieri» (art. 79, comma 1, lettera c).
L’art. 79, comma 2, impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri, dispone che «Il Consiglio regionale può deliberare in senso contrario ai pareri e alle valutazioni del Collegio con motivata decisione».
Ad avviso della difesa erariale la disposizione in parola sarebbe censurabile già solo per il fatto di avere un «significato tutt’altro che chiaro»; essa, inoltre, si presterebbe ad interpretazioni diverse tutte costituzionalmente illegittime. In particolare, osserva l’Avvocatura, non sarebbe chiaro se la «deliberazione legislativa» di cui all’art. 79, comma 1, lettera c), sia ancora da adottare e quindi il parere del Collegio intervenga su un progetto di legge o sia stata già adottata e dunque il parere abbia ad oggetto una legge già approvata.
Inoltre, il ricorrente si chiede se la «motivata decisione» con la quale il Consiglio può deliberare in senso contrario al parere o alla valutazione del Collegio (art. 79, comma 2) consista in una «motivata delibera di approvazione della legge» o in una «motivata delibera di riapprovazione della legge» ovvero ancora in una «determinazione amministrativa del Consiglio regionale che preceda o accompagni la delibera legislativa di approvazione o di riapprovazione della legge o che addirittura segua ad una legge già definitivamente approvata come condizione della sua promulgazione».
Secondo l’Avvocatura dello Stato è, invece, certo che sulla base delle disposizioni anzidette il Collegio regionale per le garanzie statutarie, «organo burocratico amministrativo estraneo al Consiglio regionale e privo di legittimazione democratica», «composto da “esperti” non meglio statutariamente qualificati», potrebbe essere «coinvolto» nel procedimento legislativo. In questo modo, a detta del ricorrente, si avrebbe un palese aggravamento dell’iter legislativo, «con illegittima interferenza sui poteri legislativi del Consiglio regionale e/o sui poteri di promulgazione del Presidente della Giunta».
Ed ancora, rileva la difesa erariale, l’imposizione dell’obbligo di motivare in senso contrario rispetto al parere del Collegio di garanzia limiterebbe l’esercizio della potestà legislativa da parte del Consiglio, in contrasto con l’art. 121, secondo comma, Cost., e violerebbe il «principio dell’irrilevanza della motivazione della norma frutto dell’attività legislativa, di natura politica e libera nei fini, non assoggettabile ad obbligo di motivazione», oltre a costituire, eventualmente, un «condizionamento dei poteri del Presidente della Giunta in violazione dell’art. 121, quarto comma, Cost.».
Ad avviso del ricorrente, inoltre, non sarebbe chiaro se la motivazione del Consiglio regionale, di cui all’art. 79, comma 2, dello statuto, debba essere di natura tecnico-giuridica, come, secondo la difesa erariale, sembrerebbe implicare il riferimento al «senso contrario» rispetto alla valutazione del Collegio di garanzia e come avviene per i provvedimenti amministrativi assunti in difformità dell’avviso espresso dall’organo consultivo, ovvero possa essere «una decisione di contenuto squisitamente politico».
La conseguenza della necessità di una motivata decisione sarebbe, in entrambi i casi, secondo l’Avvocatura dello Stato, «“un’amministrativizzazione” della legge regionale (e del procedimento legislativo)».
Osserva, ancora, la difesa statale, che non sarebbe chiaro se dall’eventuale elusione dell’obbligo di motivazione derivi un vizio dell’atto legislativo, per violazione della previsione statutaria, «deducibile in via principale e/o incidentale in sede costituzionale».
Infine, secondo il ricorrente, se il parere del Collegio di garanzia dovesse avere ad oggetto una legge già definitivamente approvata, «in contraddizione con la natura di organo di consulenza di questo», sarebbe violato l’art. 134 Cost.; verrebbe, infatti, attribuito ad un organo amministrativo un sindacato di legittimità su una legge, «produttivo di specifici effetti giuridici».
1.6. – Infine, oggetto di censure da parte dell’Avvocatura dello Stato è l’art. 86, comma 3, dello statuto, in relazione ai commi 1, 2 e 4 della stessa disposizione.
Al riguardo, l’art. 86, comma 1, stabilisce che, dopo la seconda deliberazione a maggioranza assoluta, lo statuto è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione per la decorrenza del termine di trenta giorni ai fini dell’eventuale impugnazione da parte del Governo della Repubblica dinanzi alla Corte costituzionale.
Il comma 2 del medesimo articolo aggiunge che, nel caso in cui il Governo non promuova il ricorso dinanzi alla Corte entro il termine indicato, lo statuto è pubblicato «nuovamente» nel Bollettino Ufficiale della Regione per la decorrenza del termine di tre mesi utile per la presentazione della richiesta di referendum popolare confermativo.
Il comma 3, oggetto del presente giudizio, dispone che «l’impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale sospende la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione; dopo la sentenza della Corte costituzionale lo statuto è riesaminato dal Consiglio regionale limitatamente alle disposizioni dichiarate illegittime per le deliberazioni consequenziali. Lo statuto subito dopo è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione».
Il comma 4 precisa che lo statuto è promulgato e pubblicato trascorso il termine di tre mesi, qualora non sia stato richiesto referendum, o se è approvato dalla maggioranza dei voti validi, nel caso in cui il referendum sia stato richiesto.
Occorre aggiungere che il comma 5 dell’art. 86 prevede l’entrata in vigore dello statuto il giorno successivo alla pubblicazione e, da ultimo, il comma 6 stabilisce che le disposizioni sopra menzionate si applicano anche alle modifiche dello statuto.
L’Avvocatura dello Stato sottolinea, in via preliminare, «l’infelice formulazione della norma (che non fa cenno, tra l’altro, alla necessità della doppia deliberazione per l’eventuale sostituzione di disposizioni dichiarate illegittime)»; da siffatta «infelice formulazione» deriverebbe la possibilità di dare diverse letture alla disposizione in parola, tutte costituzionalmente illegittime.
Il ricorrente passa, pertanto, ad illustrare le possibili letture.
Secondo una prima interpretazione, sembrerebbe che «il termine di trenta giorni per l’impugnativa, decorrente dalla prima pubblicazione notiziale, rimanga sospeso per effetto dell’impugnazione medesima» e che riprenda a decorrere a seguito della successiva pubblicazione notiziale, prevista «subito dopo» il riesame e le deliberazioni consiliari consequenziali alle intervenute dichiarazioni di illegittimità, «al fine di un’eventuale impugnativa relativa a dette delibere consequenziali, per quanto ancora residui degli iniziali trenta giorni».
In questo modo, osserva la difesa erariale, si avrebbe una illegittima compressione (o addirittura una totale vanificazione, qualora il ricorso sia proposto nell’ultimo dei trenta giorni utili) del termine previsto dall’art. 123, secondo comma, Cost.
Una seconda lettura dell’art. 86, comma 3, invece, porterebbe ad escludere la possibilità di un controllo di legittimità costituzionale sulle nuove disposizioni statutarie; ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, infatti, volendo seguire questa seconda opzione interpretativa si dovrebbe concludere che la pubblicazione notiziale successiva alle deliberazioni consequenziali ad una precedente declaratoria di illegittimità della Corte costituzionale sia finalizzata esclusivamente a far decorrere il termine della richiesta referendaria.
Anche questa seconda lettura, che sembrerebbe avallata dall’art. 86, comma 4, dello statuto, si porrebbe in contrasto con l’art. 123 Cost.
Secondo una terza lettura, la pubblicazione notiziale successiva alle delibere consequenziali di cui all’art. 86, comma 3, farebbe decorrere sia il termine per l’ulteriore controllo di legittimità costituzionale sia il termine per la richiesta di referendum.
Stando a questa interpretazione, però, a detta del ricorrente la norma impugnata, oltre a porsi in contrasto con il «collegamento topografico» esistente tra l’ultima parte del comma 3 e la prima parte del comma 4, darebbe vita ad un’«incoerenza di sistema interna allo stesso art. 86», con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. Infatti, la lettura in parola contraddirebbe la regola di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 86, che riconduce a differenti pubblicazioni notiziali la decorrenza dei termini per il controllo di legittimità costituzionale e per la richiesta di referendum.
Infine, la difesa erariale dà menzione di una quarta lettura che, però, la stessa Avvocatura dello Stato ritiene non praticabile. Secondo questa ulteriore interpretazione la pubblicazione notiziale di cui all’ultima parte del comma 3 dell’art. 86 sarebbe funzionale solo al decorso del termine di trenta giorni per il controllo di legittimità costituzionale, mentre il termine di tre mesi per la richiesta di referendum di cui alla prima parte del comma 4 decorrerebbe da un’ulteriore pubblicazione notiziale.
Ad avviso del ricorrente questa ricostruzione sarebbe ostacolata dalla lettera della legge e determinerebbe un «abnorme ed irragionevole allungamento dei termini del procedimento, in violazione degli artt. 3 e 123 Cost.».
La difesa statale conclude rilevando che, «comunque», non appare in armonia con la Costituzione la dissociazione degli effetti della pubblicazione notiziale dello statuto rispetto alla sua unitaria funzione di provocare l’apertura dei termini previsti dal secondo e dal terzo comma dell’art. 123 Cost. Questa dissociazione, osserva l’Avvocatura dello Stato, limiterebbe gli effetti legali dell’atto costituzionalmente considerato e costituirebbe il «fulcro» della disciplina statutaria che prevede una reiterazione della pubblicazione notiziale di identico contenuto dello statuto.
2. – Per la Regione Abruzzo è stato depositato un atto di costituzione a margine del quale è conferita procura relativa ad un ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso la legge regionale 5 agosto 2004, n. 22 (Nuove disposizioni in materia di politiche di sostegno all’economia ittica) e non invece avverso lo statuto regionale.
3. – In prossimità dell’udienza la Regione Abruzzo ha depositato fuori termine un’ulteriore memoria.
Considerato in diritto1. – Con ricorso notificato il 4 novembre 2004 e depositato il successivo 10 novembre 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 3; 45, comma 3; 46, comma 2; 47, comma 2; 79, comma 2 in relazione al comma 1, lettera c); 86, comma 3 in relazione ai commi 1, 2 e 4, dello statuto della Regione Abruzzo, approvato in prima deliberazione il 20 luglio 2004 ed in seconda deliberazione il 21 settembre 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 101 dell’8 ottobre 2004, in riferimento agli artt. 1, 3, 117, quinto comma, 121, 122, 123, 126 e 134 della Costituzione.
2. – In via preliminare va dichiarata inammissibile – ai sensi degli artt. 25, 31 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dell’art. 23, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale – la costituzione in giudizio della Regione Abruzzo, per la quale è stato depositato un atto privo della procura ad litem: la stessa risulta infatti conferita in relazione ad un ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso la legge regionale 5 agosto 2004, n. 22 (Nuove disposizioni in materia di politiche di sostegno all’economia ittica) e non invece avverso lo statuto regionale.
3. – Passando alle singole censure di illegittimità costituzionale avanzate dal Presidente del Consiglio dei ministri, viene per prima in rilievo quella riguardante l’art. 2, comma 3, dello statuto impugnato, là dove dispone, tra l’altro, che la Regione «partecipa […] all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali dello Stato». Secondo la difesa erariale tale norma si porrebbe in contrasto con l’art. 117, quinto comma, Cost., in quanto ometterebbe il riferimento al necessario «rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza».
La questione non è fondata.
Lo statuto di una Regione è valida fonte primaria e fondamentale dell’ordinamento regionale, a condizione che esso sia «in armonia con la Costituzione» (art. 123, primo comma, Cost.). Il sistema costituzionale complessivo, che si articola nei principî contenuti nelle singole norme della Carta fondamentale e delle leggi ordinarie di diretta attuazione, rappresenta pertanto il contesto, all’interno del quale si deve procedere alla lettura ed all’interpretazione delle norme statutarie, che in quel sistema vivono ed operano.
Dopo la riforma del titolo V della parte II della Costituzione, l’attribuzione alle Regioni, nelle materie di loro competenza, della funzione attuativa ed esecutiva degli accordi internazionali e degli atti della Unione europea viene esplicitamente subordinata al rispetto delle norme di procedura stabilite da leggi dello Stato (art. 117, quinto comma, Cost.). In materia è intervenuta anche la legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), la quale, negli artt. 5 e 6, contiene le regole procedurali per l’attuazione della suddetta norma costituzionale.
Tutte le attività delle Regioni volte all’attuazione ed all’esecuzione di accordi internazionali devono muoversi all’interno del quadro normativo contrassegnato dall’art. 117, quinto comma, Cost. e dalle norme interposte di cui alla citata legge n. 131 del 2003. Tale quadro normativo costituisce ad un tempo il parametro di valutazione della legittimità costituzionale degli atti legislativi dello Stato e delle Regioni in materia ed il criterio interpretativo degli stessi. Il riferimento testuale dell’impugnata norma statutaria alla dizione usata dall’art. 117, quinto comma, Cost. («attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali») vale a confermare il suo inserimento nel quadro normativo di cui sopra, senza che sia rinvenibile alcuna espressione che possa far pensare ad una illegittima volontà derogatoria della Regione Abruzzo.
Questa Corte ha già chiarito che non è fondata una questione di legittimità costituzionale se la norma statutaria che richiama la competenza regionale in materia di attuazione ed esecuzione di accordi internazionali «appare agevolmente interpretabile in modo conforme al sistema costituzionale» (sentenza n. 379 del 2004). Tale agevole interpretazione in senso coerente al sistema costituzionale è possibile anche nel caso de quo, con la conseguenza che la norma statutaria impugnata deve essere dichiarata esente dalla censura di illegittimità costituzionale formulata dal ricorrente.
4. – La seconda censura di illegittimità avanzata dal Presidente del Consiglio dei ministri riguarda l’art. 45, comma 3, del citato statuto, il quale dispone che «Il Presidente della Giunta nel caso in cui il Consiglio sfiduci uno o più assessori provvede alla loro sostituzione». Secondo la difesa erariale, tale norma, vincolando il Presidente della Giunta ad adeguarsi alla volontà espressa dal Consiglio, risulterebbe incoerente con la scelta istituzionale della elezione a suffragio universale e diretto del vertice dell’esecutivo, sancita dall’art. 43, comma 2, del medesimo statuto. Poiché l’art. 122, quinto comma, Cost. attribuisce al Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto il potere di nomina e revoca dei componenti della Giunta stessa, la norma statutaria impugnata limiterebbe in modo illegittimo tale potere.
La questione è fondata.
Il quinto comma dell’art. 122 Cost. ha una struttura, lessicale e logica, semplice. Con il primo inciso viene attribuita alle Regioni la facoltà di prevedere nei propri statuti modi di elezione del Presidente diversi dal suffragio universale e diretto. Con il secondo inciso viene fissata una conseguenza necessaria dell’opzione in favore dell’elezione a suffragio universale e diretto, nel senso che il Presidente «eletto» nomina e revoca di sua iniziativa gli assessori. Non sembrano possibili altre interpretazioni di tale disposizione costituzionale, giacché la parola «eletto» non potrebbe riferirsi a qualsiasi tipo di elezione, con la conseguenza eccessiva che anche in caso di opzione per una forma di governo diversa da parte del singolo statuto regionale il Presidente conservasse il potere di nominare e revocare, in piena autonomia, i componenti della Giunta. Peraltro non si capirebbe l’inserimento dell’aggettivo «eletto», giacché sarebbe stato sufficiente, in caso di previsione generalizzata e generalizzabile, riferirsi, puramente e semplicemente, al Presidente della Giunta.
La presenza del citato aggettivo indica un potere consequenziale e indefettibile proprio del Presidente individuato mediante voto popolare. Il corpo elettorale investe contemporaneamente il Presidente del potere esecutivo ed il Consiglio del potere legislativo e di controllo nei confronti del Presidente e della Giunta, sul presupposto dell’armonia dell’indirizzo politico presuntivamente garantita dalla simultanea elezione di entrambi nella medesima tornata elettorale e dai medesimi elettori.
Il principio funzionale largamente noto con l’espressione aut simul stabunt aut simul cadent esclude che possano essere introdotti circuiti fiduciari collaterali ed accessori rispetto alla presuntiva unità di indirizzo politico derivante dalla contemporanea investitura popolare di Presidente e Consiglio. L’approvazione di una mozione di sfiducia da parte del secondo o le dimissioni del primo fanno venir meno la presunzione di consonanza politica derivante dalla consultazione elettorale e rendono necessario, in modo coerente, un nuovo appello al popolo, al quale si chiede di restaurare il presupposto fondamentale della omogeneità di indirizzo politico che deve caratterizzare i programmi e le attività sia del Presidente che del Consiglio.
Nel quadro prima delineato non trova posto la rottura di un ipotetico rapporto fiduciario tra Consiglio e singoli assessori, che si risolverebbe esclusivamente in una pura e semplice riduzione dei poteri spettanti al Presidente, investito della carica dal corpo elettorale proprio per il suo essere ed agire quale unico soggetto esponenziale del potere esecutivo nell’ambito della Regione, munito di poteri che lo rendono interamente responsabile, sul piano politico, dell’operato di tutti i componenti della Giunta. L’equilibrio tra poteri configurato nel modello disegnato dalla Costituzione verrebbe alterato se si privasse il Presidente della possibilità di scegliere e revocare discrezionalmente gli assessori della propria Giunta, del cui operato deve rispondere al Consiglio ed al corpo elettorale.
Questa Corte ha chiarito che l’ammissibilità della mozione di sfiducia individuale al singolo ministro va inquadrata nella forma di governo parlamentare, che caratterizza la relazione tra Parlamento e Governo, consistente in un’articolazione di rapporti che fa perno sulla responsabilità collegiale del Governo e sulla responsabilità individuale dei ministri, entrambe esplicitamente contemplate nell’art. 95, secondo comma, Cost. (sentenza n. 7 del 1996). Da questo presupposto discende che la diversa forma di governo prevista dalla Costituzione per le Regioni e sinteticamente designata con le parole «Presidente eletto a suffragio universale e diretto» appare «caratterizzata dall’attribuzione ad esso di forti e tipici poteri per la gestione unitaria dell’indirizzo politico e amministrativo della Regione (nomina e revoca dei componenti della Giunta, potere di dimettersi facendo automaticamente sciogliere sia la Giunta che il Consiglio regionale)» (sentenza n. 2 del 2004).
Una volta scelta la forma di governo, caratterizzata dall’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente, nei confronti del Consiglio esiste solo la responsabilità politica del Presidente stesso, nella cui figura istituzionale confluiscono la responsabilità collegiale della Giunta e la responsabilità individuale dei singoli assessori. La sfiducia individuale agli assessori si pone, di conseguenza, in contrasto con l’art. 122, quinto comma, Cost., in cui si riflettono i principî ispiratori dell’equilibrio costituzionale tra i supremi organi regionali derivante dall’investitura popolare del Presidente.
5. – È stato pure impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri l’art. 46, comma 2, del citato statuto della Regione Abruzzo, il quale – riferendosi all’obbligo del Presidente della Giunta di presentare il programma nella prima seduta del Consiglio regionale successiva alle elezioni – dispone che «Il programma è approvato dal Consiglio regionale. Il voto contrario produce gli stessi effetti dell’approvazione della mozione di sfiducia».
Secondo l’Avvocatura dello Stato, anche questa norma sarebbe incoerente rispetto alla scelta, effettuata dallo stesso statuto, dell’elezione popolare del Presidente della Giunta, introducendo peraltro una causa di scioglimento del Consiglio non prevista dalla Costituzione.
La questione è fondata.
Questa Corte ha già chiarito che la previsione in uno statuto regionale del potere del Consiglio di discutere e approvare il programma di governo predisposto dal Presidente non è in contrasto con la Costituzione, a condizione che dalla mancata approvazione del programma stesso non derivino conseguenze di tipo giuridico «certamente inammissibili ove pretendessero di produrre qualcosa di simile ad un rapporto fiduciario» (sentenza n. 379 del 2004). Valgono in proposito i rilievi sviluppati al punto 4 delle presenti considerazioni in diritto, integrate dall’osservazione che lo stesso tenore letterale del secondo e terzo comma dell’art. 126 Cost. non consente l’equiparazione tra mozione di sfiducia e mancata approvazione iniziale del programma di governo. Per la presentazione e l’approvazione di una mozione di sfiducia sono previste infatti alcune precise modalità procedurali – motivazione, sottoscrizione di almeno un quinto dei componenti del Consiglio, intervallo di tre giorni prima della messa in discussione, maggioranza assoluta – che verrebbero eluse se un altro atto, non assistito dalle medesime garanzie, potesse produrre gli stessi effetti.
L’articolazione concreta dei rapporti politici tra Presidente della Giunta e Consiglio prende le mosse, come s’è detto, dalla simultanea investitura politica di entrambi da parte del corpo elettorale. Ogni atto di indirizzo dell’uno o dell’altro si pone come svolgimento, precisazione e arricchimento del mandato a rappresentare e governare conferito dagli elettori della Regione ai titolari dei poteri legislativo ed esecutivo. È intrinseca a questo modello una iniziale presunzione di consonanza politica, che può essere superata solo da un atto tipico quale la mozione di sfiducia.
Estendere gli effetti di questa ad un atto di approvazione del programma politico del Presidente della Giunta equivarrebbe ad un conferimento di fiducia iniziale senz’altro coerente in una forma di governo che non prevede l’elezione a suffragio universale e diretto del vertice dell’esecutivo, ma contraddittorio con un sistema di rapporti tra poteri fondato sul conferimento da parte del popolo di un mandato a governare ad entrambi gli organi supremi della Regione, ciascuno nei suoi distinti ruoli. Il Presidente eletto a suffragio universale e diretto ha già presentato il suo programma agli elettori e ne ha ricevuto il consenso. La presentazione di un programma al Consiglio può avere solo il significato di precisare e integrare l’indirizzo politico originariamente elaborato e ritenuto dalla maggioranza degli elettori convergente con il proprio. Tali precisazioni e integrazioni saranno apprezzate di volta in volta dal Consiglio, che, nell’ipotesi di divergenza estrema, potrà adottare la decisione di provocare una nuova consultazione elettorale.
Da quanto detto sopra si trae la conseguenza che non esiste tra Presidente della Giunta e Consiglio regionale una relazione fiduciaria assimilabile a quella tipica delle forme di governo parlamentari, ma un rapporto di consonanza politica, istituito direttamente dagli elettori, la cui cessazione può essere ufficialmente dichiarata sia dal Presidente che dal Consiglio con atti tipici e tassativamente indicati dalla Costituzione. Anche nell’ipotesi che il Consiglio, subito dopo le elezioni, volesse costringere il Presidente alle dimissioni, con conseguente proprio scioglimento, risulterebbe indispensabile la procedura solenne della mozione di sfiducia, giacché sarebbe necessario rendere trasparenti e comprensibili per i cittadini i motivi di una decisione di tale gravità. Né sarebbe ammissibile che alla maggioranza assoluta richiesta dall’art. 126, secondo comma, Cost. si potesse sostituire una maggioranza semplice, quale quella resa possibile dall’impugnato art. 46, comma 2, dello statuto della Regione Abruzzo.
6. – L’art. 47, comma 2, del citato statuto della Regione Abruzzo dispone che l’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta comporta la decadenza della Giunta stessa e lo scioglimento del Consiglio. Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna tale disposizione per contrasto con l’art. 126, terzo comma, della Costituzione, che prevede invece l’obbligo di dimissioni della Giunta, e non la decadenza, come effetto dell’approvazione di una mozione di sfiducia.
La questione è fondata.
L’art. 126 Cost. disciplina in modo differenziato distinte ipotesi di cessazione del Presidente dal suo ufficio. Mentre al primo comma parla di «rimozione» dello stesso per atti contrari alla Costituzione, gravi violazioni di legge o ragioni di sicurezza nazionale, nel terzo comma usa la diversa espressione «dimissioni». Nel primo caso esiste la necessità di un immediato allontanamento dalla carica di chi si sia reso responsabile di gravi illeciti o risulti pericoloso per la sicurezza nazionale. Nel secondo caso si detta invece una disciplina adatta alla natura prettamente politica della cessazione, che non richiede quell’immediatezza e perentorietà di allontanamento dalla carica necessari nella prima ipotesi. La previsione di decadenza – per sua natura, immediata e perentoria – varrebbe ad equiparare due ipotesi che la norma costituzionale considera e disciplina diversamente, in coerenza con la loro differenza qualitativa e con gli interessi pubblici da tutelare.
La maggiore elasticità dell’obbligo di dimissioni rispetto alla decadenza automatica serve peraltro a rendere sicuramente ammissibile l’emanazione di atti urgenti e indifferibili. Nel bilanciamento dei valori, la norma costituzionale ha dato decisamente la prevalenza, rispetto a possibili urgenti necessità dell’amministrazione, all’esigenza di allontanare immediatamente dalla carica chi si trovi nelle condizioni previste per la «rimozione», mentre ha lasciato un margine di flessibilità – ovviamente entro ristretti limiti temporali – nell’ipotesi che l’allontanamento non derivi da comportamenti antigiuridici o pericolosi per la sicurezza nazionale, ma da un atto politico del Consiglio. Introdurre la decadenza della Giunta come effetto dell’approvazione di una mozione di sfiducia finirebbe per equiparare il disvalore giuridico alla necessità politica, trattati e considerati dall’art. 126, primo e terzo comma, Cost. in modo ben distinto.
7. – Il ricorso del Presidente del Consiglio contiene anche l’impugnazione dell’art. 79, comma 2, del citato statuto della Regione Abruzzo, in quanto impone al Consiglio un obbligo di motivazione, se questo voglia deliberare in senso contrario ai pareri del Collegio regionale per le garanzie statutarie. Secondo la difesa erariale, si limiterebbe l’esercizio della potestà legislativa del Consiglio regionale, in contrasto con l’art. 121, secondo comma, Cost. e si violerebbe il principio dell’irrilevanza della motivazione degli atti legislativi, frutto di un’attività politica libera nei fini e quindi non assoggettabile ad alcun dovere di motivare. Ove poi il parere del suddetto Collegio intervenisse su una legge definitivamente approvata, si limiterebbe in modo indebito il potere del Presidente della Giunta di promulgare le leggi, sancito dall’art. 121, quarto comma, Cost. e si introdurrebbe, in contrasto con l’art. 134 Cost., un nuovo sindacato di legittimità di una legge, produttivo di effetti giuridici.
La questione non è fondata.
Questa Corte ha già stabilito che l’introduzione di un organo di garanzia nell’ordinamento statutario regionale non è, come tale, in contrasto con la Costituzione, mentre resta da valutare, nei singoli specifici profili, la compatibilità delle norme attributive allo stesso di competenze determinate (sentenza n. 378 del 2004).
Se si passa ad esaminare la censura particolare rivolta dal ricorrente alla norma impugnata, si devono svolgere le seguenti considerazioni. Innanzitutto, nessuna limitazione viene a soffrire la potestà legislativa del Consiglio regionale, che rimane intatta sia nelle materie sia nell’estensione della sua capacità regolativa. L’introduzione di un particolare, eventuale passaggio procedurale, consistente nel parere del Collegio regionale per le garanzie statutarie, rientra nella disciplina del procedimento legislativo regionale, ricompresa indubbiamente nei «principî fondamentali di organizzazione e funzionamento» attribuiti dall’art. 123, primo comma, Cost. alla potestà statutaria delle Regioni. Inoltre, la motivazione richiesta perché il Consiglio regionale possa deliberare in senso contrario ai pareri e alle valutazioni del Collegio di garanzia non inerisce agli atti legislativi, ma alla decisione di non tener conto del parere negativo, che costituisce atto consiliare distinto dalla deliberazione legislativa e non fa corpo con essa. Infine, la norma statutaria impugnata si riferisce esplicitamente alle «deliberazioni legislative» e non alle leggi. Tale constatazione fa venir meno ogni perplessità circa una possibile, illegittima limitazione del potere presidenziale di promulgazione e sulla asserita introduzione di una nuova forma di controllo di legittimità costituzionale delle leggi.
8. – Il ricorrente censura, da ultimo, l’art. 86, comma 3, del citato statuto della Regione Abruzzo, nel quale, con riferimento alla pubblicazione e all’entrata in vigore dello statuto stesso, è stabilito che l’impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale sospende la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione e che, dopo la sentenza della stessa Corte, esso è riesaminato dal Consiglio regionale limitatamente alle disposizioni dichiarate illegittime per le deliberazioni consequenziali. Secondo la difesa erariale, si possono dare più letture di tale disposizione, tutte in contrasto con la Costituzione, o perché si verificherebbe l’illegittima compressione del termine per promuovere il controllo preventivo di legittimità costituzionale previsto dall’art. 123, secondo comma, Cost., o perché si arriverebbe addirittura ad escludere il controllo di legittimità costituzionale sulle nuove norme statutarie successive alla pronuncia della Corte costituzionale, o perché essa conterrebbe un’intrinseca contraddizione – tale da porre la norma in contrasto con l’art. 3 Cost. – tra il comma 4, che prevede un’unica pubblicazione notiziale, idonea far decorrere entrambi i termini ed i commi 1 e 2, che introducono invece una dissociazione tra la pubblicazione per la decorrenza del termine di trenta giorni per l’eventuale impugnazione del Governo della Repubblica (comma 1) e la pubblicazione per la decorrenza del termine di tre mesi per la presentazione della richiesta di referendum popolare confermativo (comma 2).
La questione è fondata.
La disposizione impugnata mal si presta ad essere ricondotta nell’alveo dell’art. 123, secondo e terzo comma, Cost., dal quale si deduce che si deve far luogo inizialmente ad una sola pubblicazione notiziale, idonea a far decorrere sia il termine per l’eventuale impugnazione governativa, sia quello per la richiesta di referendum popolare. L’incoerenza della norma impugnata e le sue possibili interpretazioni in contrasto con la Costituzione derivano pertanto dall’essere, la stessa, parte di una più vasta disciplina della pubblicazione della deliberazione statutaria, fondata sulla sua duplicazione, non prevista dall’art. 123 Cost. Quest’ultima norma costituzionale si pone infatti come regola da applicare in via generale ed è sottratta pertanto all’autonomia statutaria. Ogni valutazione sugli eventuali inconvenienti nascenti da essa non può trovare risposta in inammissibili sue «rettifiche» da parte della fonte statutaria, ma in accorgimenti validamente utilizzabili – e di fatto utilizzati da molte Regioni – per evitare la sovrapposizione di procedimenti nell’ipotesi di impugnazione dello statuto da parte del Governo.
Poiché il comma 3 dell’art. 86 dello statuto in questione fa parte integrante, in modo inscindibile, della disciplina complessiva dettata da tale articolo, la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata rende necessaria la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell’intero articolo 86 del medesimo statuto.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la costituzione in giudizio della Regione Abruzzo;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 3, dello statuto della Regione Abruzzo, approvato in prima deliberazione il 20 luglio 2004 ed in seconda deliberazione il 21 settembre 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 101 dell’8 ottobre 2004;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 46, comma 2, del citato statuto;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, del citato statuto;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 86, comma 3 in relazione ai commi 1, 2 e 4, del citato statuto;
6) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dei commi 1, 2 e 4 dell’art. 86 del citato statuto;
7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del citato statuto, in riferimento all’art. 117, quinto comma, della Costituzione;
8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2 in relazione al comma 1, lettera c), in riferimento agli artt. 121, secondo e quarto comma, e 134 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 2006.
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2006.