SENTENZA
N. 246
ANNO 2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTEPresidente
- Ugo DE
SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO
"
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 135,
comma 2, 136, 141, comma 1, da
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF Italia), della s.p.a. Biomasse Italia ed altre società;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e
Luigi Manzi per
Ritenuto in fatto
1.
– Con ricorso notificato il 24 aprile 2006, depositato il 27 aprile successivo
e iscritto al n. 56 del registro ricorsi del 2006,
1.1.
– Il censurato art. 154 disciplina la «Tariffa del servizio idrico integrato»,
prevedendo, al comma 1, che essa ha natura di
corrispettivo «ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa
idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari,
dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della
remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di
salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento
dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei
costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei
costi e secondo il principio "chi inquina paga”». Il comma 2
stabilisce che «Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su
proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto
conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il
principio "chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per
la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori
di impiego dell’acqua». I successivi commi da
1.2.
– L’art. 155 disciplina la «Tariffa del servizio di fognatura e depurazione»,
prevedendo, al comma 1, che: a) le relative quote sono
«dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o
questi siano temporaneamente inattivi» e che «il gestore è tenuto a versare i
relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi
dell’articolo
1.3. – La ricorrente censura il citato art. 154, sostenendo che esso prevede «poteri ministeriali sovraordinati a quelli delle regioni, in violazione della competenza legislativa propria spettante alle regioni a termini dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione», in quanto, nell’istituire e disciplinare la tariffa del servizio idrico quale «corrispettivo del servizio idrico integrato», attribuisce: a) al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, il compito di definire con decreto «le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua»; b) al «Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio» il compito di stabilire con decreto «i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica».
A detta della ricorrente, la disposizione víola: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché incide
sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici
locali, esercitata nel caso di specie con la legge regionale 14 aprile 2004, n.
7 (Disposizioni in materia ambientale. Modifiche ed
integrazioni a leggi regionali), la quale, secondo la ricorrente, diversamente
dall’impugnata norma statale, incentiva un riparto delle risorse ambientali
mirato alla sostenibilità dello sviluppo e si basa sulla qualità del servizio
reso; b) l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché incide su un’entrata
la cui disciplina ricade nell’àmbito della competenza
regionale e, perciò, lede l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni;
c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega 15 dicembre 2004,
n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione
della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), i
cui criteri stabiliscono: (c.1.) il rispetto delle attribuzioni regionali «come
definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo
1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» [art. 1, comma 8,
alinea, della legge di delegazione]; (c.2.) lo «sviluppo e coordinamento, con
l’invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono
incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini
della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori
tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre
1996 del Consiglio, nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere piú efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di
sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari
e fiscali» [art. 1, comma 8, lettera d), della legge di delegazione]; d)
l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge n. 308 del 2004, per
eccesso di delega, non prevedendo la fonte delegante «l’introduzione ex novo
dell’imposta in questione»; e) l’art. 3 Cost. [non espressamente evocato],
perché non è «coerente con l’evoluzione della stessa legislazione statale»,
omettendo di indicare, tra i criteri per la determinazione della tariffa, gli
«obiettivi di miglioramento della produttività», criterio invece previsto
dall’art. 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di
risorse idriche).
1.4.
– La stessa ricorrente denuncia, inoltre, il citato art. 155 «per le stesse ragioni».
1.5. – A sostegno delle questioni prospettate,
La ricorrente chiede, infine, la sospensione dell’esecuzione dei denunciati artt. 154 e 155, sul rilievo che essi si sostituiscono alla «disciplina regionale sulla tariffa relativa al servizio integrato ed alla gestione dei rifiuti dettata dalla legge regionale n. 7/2004, interrompendo la sperimentazione avviata e ingenerando incertezza rispetto agli oneri tributari da assolvere, con grave danno per la certezza dei rapporti giuridici e per i bilanci degli enti coinvolti».
1.6. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza delle censure e contestando, altresí, i presupposti della richiesta sospensione. Tuttavia, successivamente, è stata depositata la delibera del Consiglio dei ministri del 9 giugno 2006, con la quale il Governo ha deciso di «rinunciare all’intervento».
1.7. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
1.8. – In prossimità della camera di consiglio fissata per la decisione sull’istanza di sospensione dell’esecuzione delle disposizioni censurate, la ricorrente ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto.
1.9.
– Con ordinanza
n. 245 del 2006,
1.10. – In prossimità dell’udienza, la ricorrente Regione Emilia-Romagna ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto e precisando che le ragioni di doglianza nei confronti dei censurati artt. 154 e 155 permangono anche dopo l’abolizione dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti da parte del comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale).
1.11. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
2.
– Con ricorso notificato l’8 giugno 2006, depositato il 10 giugno successivo e
iscritto al n. 68 del registro ricorsi del 2006,
2.1.
– Il censurato art. 135, comma 2, prevede che «Fatto
salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini
della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme
in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando
carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresí intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono
concorrere
Ad
avviso della ricorrente, la quale non evoca alcuno specifico parametro
costituzionale, detta disposizione víola le
competenze regionali in materia di individuazione dei
soggetti preposti ai compiti di polizia amministrativa, perché il precedente
comma 1 − il quale prevede che «In materia
di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni
amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli
articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la
provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad
eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 133, comma 8, per le quali è
competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre
pubbliche autorità» − attribuisce alle Regioni la
competenza ad accertare gli illeciti amministrativi e ad erogare le relative
sanzioni.
La ricorrente lamenta, in particolare, che la norma censurata «cristallizza i compiti delle diverse forze di polizia, affidando il ruolo centrale a strutture facenti capo allo Stato e relegando ad un ruolo facoltativo e residuale il Corpo forestale, vale a dire quella che, in precedenza, era l’unica forza espressamente contemplata, sia pure come struttura "concorrente” con altre, che le regioni erano ovviamente chiamate a specificare», con la conseguenza «di avocare allo Stato una competenza già trasferita agli enti territoriali infra-statuali».
2.2. – L’art. 136 denunciato dispone che: a) «le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici»; b) le Regioni ripartiscono «le somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento».
La ricorrente censura la norma, perché, nel disciplinare i proventi delle sanzioni amministrative, che costituiscono entrate regionali, pone un vincolo di destinazione delle somme a vantaggio delle «opere di risanamento e riduzione dell’inquinamento» dei corpi idrici e víola cosí l’art. 119 Cost., perché tale vincolo è illegittimo «come dimostrato dalla costante giurisprudenza» della Corte costituzionale.
2.3.
–
Osserva la ricorrente che, nella disciplina della gestione
delle risorse idriche si «realizza un complesso intreccio di interessi
e competenze in cura a diversi livelli istituzionali» (Corte costituzionale, sentenza n. 412 del
1994) e che tale disciplina non è riconducibile: a) alla competenza
legislativa esclusiva statale in tema di «tutela della concorrenza», perché ad
essa sono ascrivibili i soli servizi pubblici locali «di rilevanza economica»
(Corte costituzionale, sentenza n. 272 del
2004), tra i quali non rientrano i servizi idrici; b) alla competenza
legislativa esclusiva statale in tema di «funzioni fondamentali di comuni,
province e città metropolitane», perché gli «ambiti territoriali ottimali» nei
quali si svolge il servizio idrico integrato hanno una dimensione territoriale
variabile, «tale da escludere che la gestione dei servizi in questione possa
considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente
locale».
Ad avviso della Regione, la disciplina in
questione è, invece, riconducibile alle materie, di competenza legislativa
concorrente o residuale regionale: a) del «governo del territorio», per
l’evidente collegamento fra gestione del servizio e àmbito
territoriale; b) della «tutela della salute», per le «ricadute che la tutela
delle risorse idriche non può non avere sul diritto alla salute degli
individui, anche inteso come diritto all’ambiente salubre»; c) dei «servizi
pubblici locali», sulla scorta delle pronunce della Corte costituzionale n. 222
del 2005 e n. 26 del 2006».
2.4. –
2.4.1. – La prima di tali norme, nel disciplinare «Tutela e
uso delle risorse idriche», prevede che: a) «tutte le acque superficiali e
sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio
dello Stato» (comma 1); b) «le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro
uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni
future a fruire di un integro patrimonio ambientale» (comma 2); c) «la
disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione,
allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di
non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura,
la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e
gli equilibri idrologici» (comma 3); d) «gli usi diversi dal consumo umano sono
consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a
condizione che non ne pregiudichino la qualità» (comma 4).
Il successivo art. 145 disciplina l’«Equilibrio del bilancio
idrico», attribuendo all’Autorità di bacino competente il compito di definire ed aggiornare «periodicamente il bilancio idrico diretto ad
assicurare l’equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili
nell’area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi» e di pianificare
l’economia idrica, in funzione degli usi cui sono destinate le risorse.
Prevede, inoltre, che, nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti
prelievi o da trasferimenti, «le derivazioni sono regolate in modo da garantire
il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non
danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati».
L’art. 146, allo scopo di realizzare il risparmio idrico,
prevede che le Regioni adottino «norme e misure volte a razionalizzare i
consumi e eliminare gli sprechi» ed elenca le
specifiche finalità da perseguire.
2.4.2. – La ricorrente impugna nel complesso le suddette
disposizioni, affermando che esse, nel dettare «i principi generali alla luce
dei quali porre in essere la gestione del demanio idrico», violano: a) l’art.
76 Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8,
della legge delega n. 308 del 2004, perché tale legge «impone al legislatore il
rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno
del decreto legislativo n. 112 del 1998» e l’art. 88, comma 1, lettera h),
di tale decreto legislativo stabilisce che hanno rilievo nazionale i soli cómpiti relativi «ai criteri per la
gestione del servizio idrico integrato», con l’ulteriore conseguenza della
«impossibilità per lo Stato di dettagliare la normativa in materia, dovendosi
limitare alla predisposizione di un quadro assolutamente generale nel quale le
regioni (e, se del caso, gli enti locali) siano lasciati liberi di agire nel
modo ritenuto piú consono alla tutela del proprio
territorio ed al soddisfacimento delle esigenze della propria popolazione»; b)
l’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla materia, di potestà
legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali»; c) il principio
di leale collaborazione, perché non prevedono «una partecipazione effettiva
delle regioni alla determinazione dei loro contenuti»; d) l’art. 118 Cost.,
perché recano «disposizioni di minuto dettaglio, indiscutibilmente ultronee rispetto alla fissazione di standards
di tutela uniformi, in contrasto, quindi, con i principi che reggono il riparto
delle funzioni amministrative».
Quanto, in particolare, all’art. 146, comma 3, la stessa ricorrente afferma anche che esso –
nell’attribuire al Ministro dell’ambiente la potestà regolamentare per la
definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli
acquedotti e delle fognature – víola: a) in via
principale, l’art. 117, sesto comma, Cost., perché prevede «un potere
regolamentare in capo allo Stato in un settore non riconducibile ad una materia
di competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma»; b) in via subordinata, il
principio della leale collaborazione, per la «mancata previsione della
necessità di un coinvolgimento dei rappresentanti degli enti regionali».
2.5. –
2.6. – La ricorrente censura poi l’art. 148, il quale reca
una dettagliata disciplina dell’«Autorità d’ambito territoriale ottimale»,
prevedendo che essa «è una struttura dotata di personalità giuridica costituita
in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione,
alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed
alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in
materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle
infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1» (comma 1). La
disposizione prevede, inoltre, ai commi da
Ad avviso della Regione, la disposizione, che, «nel suo
complesso», individua «nell’Autorità d’ambito la struttura cui è affidata la
gestione delle risorse idriche», víola: a) l’art. 76
Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8,
della legge n. 308 del 2004, perché tale legge «impone al legislatore il
rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno
del decreto legislativo n. 112 del 1998» e l’art. 86, comma 1, di tale decreto
legge stabilisce che «alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le
regioni e gli enti locali competenti per territorio», con la conseguenza che,
con la disposizione denunciata, «lo Stato priva gli enti territoriali di poteri
amministrativi loro attribuiti»; b) l’art. 117 Cost., perché «espropria le
regioni di poteri legislativi», che, in base all’art. 86, comma 1, del decreto
legislativo n. 112 del 1998, sono di spettanza regionale; c) l’art. 118 Cost.,
perché «ipostatizza un certo assetto di competenze amministrative, senza tener
conto delle peculiarità di ciascun territorio, peculiarità che soltanto in sede
di legislazione regionale possono trovare adeguata rispondenza».
Inoltre – sempre per
2.7. – La ricorrente censura l’art. 149, il quale, al comma 1, attribuisce all’Autorità d’ambito il compito di
predisporre e aggiornare il piano d’ambito, costituito dai seguenti atti,
dettagliatamente definiti nei commi da
A detta della stessa ricorrente: a) il comma 1 della disposizione, il quale prevede la predisposizione
del piano d’ambito indicandone il contenuto, víola
gli artt. 117 e 118 Cost., perché attribuisce illegittimamente allo Stato la
disciplina dell’«esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli enti infra-statuali»; b) i successivi commi da
2.8. – Oggetto di censura è anche il successivo art. 150, il
quale prevede, ai commi 1 e 2, che «l’Autorità
d’ambito […] delibera la forma di gestione fra quelle di cui all’articolo 113,
comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267» e «aggiudica la
gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi
e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’articolo
113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo modalità
e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».
La ricorrente lamenta che la norma, nel disciplinare la forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso «basandosi essenzialmente sulla disciplina dell’art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000», víola l’art. 117 Cost., «sulla scorta delle affermazioni […] della sentenza n. 272 del 2004», perché: a) «dimostra chiaramente l’intento dilatatorio perseguito dal legislatore statale relativamente alle competenze di cui è titolare»; b) «l’esclusione di ogni rilievo della "tutela della concorrenza” nel settore che ci occupa configura, in effetti, come improponibile una recezione della normativa dal precitato art. 113».
2.9. – È censurato, poi, il l’art.
151, che prevede che i rapporti tra autorità d’ambito e soggetti gestori del
servizio idrico integrato «sono regolati da convenzioni predisposte
dall’Autorità d’ambito» e indica il contenuto delle convenzioni tipo e dei
relativi disciplinari.
Ad avviso della Regione, la disposizione è illegittima perché
«prosieguo logico e specificazione» dell’art. 150.
2.10. – È censurato l’art.
2.11. – La ricorrente denuncia anche l’art. 154, affermando
che esso, nel disciplinare la tariffa del servizio idrico integrato «fissando i
parametri in base ai quali essa deve essere concretamente determinata», si pone
in contrasto con: a) gli artt. 117 e 118 Cost., come interpretati dalla sentenza n. 335 del
2005, perché «La determinazione della tariffa di un servizio rientra,
evidentemente, negli aspetti di pura gestione dello stesso, e dunque non può
non tradursi in una normativa di minuto dettaglio (sul presupposto – che si è
qui fatto proprio, peraltro solo per ipotesi – che si versi un ambito materiale
comunque riconducibile alla competenza trasversale dello Stato)»; b) l’art. 119 Cost., «in ragione della compressione che si
viene a creare dell’autonomia di entrata costituzionalmente garantita a regioni
ed enti locali».
In via subordinata, quanto ai commi 2
e 3 della disposizione,
2.12. – È denunciato anche l’art. 155 per le medesime ragioni
di cui al punto 2.11.
2.13. –
Per la ricorrente, la disposizione víola gli artt. 117 e 118
Cost., perché «si occupa della disciplina della riscossione della tariffa,
incidendo dunque su un aspetto di ulteriore dettaglio rispetto a quanto
previsto negli artt. 154 e 155».
2.14 – Sono censurati anche gli artt. 159 e 160.
2.14.1. – La prima di tali disposizioni istituisce e disciplina
sul piano strutturale l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti, in particolare disponendo che: a) «il Comitato per la vigilanza
sull’uso delle risorse idriche istituito dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36,
assume la denominazione di Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti, di seguito denominata "Autorità”, con il compito di assicurare
l’osservanza, da parte di qualsiasi soggetto pubblico e privato, dei principi e
delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto»
(comma 1); b) sono organi dell’Autorità «il presidente, il comitato esecutivo ed il consiglio, che si articola in due sezioni denominate
"Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e "Sezione per la vigilanza
sui rifiuti”; ciascuna sezione è composta dal presidente dell’Autorità, dal
coordinatore di sezione e da cinque componenti per la "Sezione per la vigilanza
sulle risorse idriche” e da sei componenti per la "Sezione per la vigilanza sui
rifiuti”» (comma 2); c) «il comitato esecutivo è composto dal presidente
dell’Autorità e dai coordinatori di sezione» (comma 2); d) «il consiglio
dell’Autorità è composto da tredici membri e dal presidente, nominati con
decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri»
(comma 2); e) «il presidente dell’Autorità e quattro componenti del consiglio,
dei quali due con funzioni di coordinatore di sezione, sono nominati su
proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, due su
proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, due su proposta del
Ministro per la funzione pubblica, uno su proposta del Ministro delle attività
produttive relativamente alla "Sezione per la vigilanza sui rifiuti”, quattro
su designazione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province
autonome» (comma 2); f) il «Presidente dell’Autorità è il legale
rappresentante, presiede il comitato esecutivo, il consiglio e le sezioni nelle
quali esso si articola» (comma 3); g) il «comitato esecutivo è l’organo deliberante
dell’Autorità» (comma 3); h) «l’organizzazione e il funzionamento, anche
contabile, dell’Autorità sono disciplinati, in conformità alle disposizioni di
cui alla parte terza e quarta del presente decreto, da un regolamento
deliberato dal Consiglio dell’Autorità ed emanato con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri» (comma 4).
2.14.2. – L’art. 160 dispone, al comma 1,
che, nell’esercizio delle funzioni e dei compiti indicati al comma 1
dell’articolo 159, «l’Autorità vigila sulle risorse idriche e sui rifiuti e
controlla il rispetto della disciplina vigente a tutela delle risorse e della
salvaguardia ambientale esercitando i relativi poteri ad essa attribuiti dalla
legge». I commi 2 e 3 dello stesso articolo 160
individuano nel dettaglio le singole attività svolte dall’Autorità, nonché gli
strumenti sanzionatori e di controllo dei quali essa dispone.
2.14.3. – La ricorrente sostiene che i suddetti artt. 159 e
160, nell’istituire un’autorità di vigilanza e nel disciplinare i compiti e le
funzioni dell’autorità medesima, violano: a) gli artt. 117 e 118 Cost., in
quanto: (a.1.) «escludono qualunque intervento regionale che incida su un
ambito che incide indiscutibilmente sulle attribuzioni costituzionali alle
regioni» e, perciò, adottano «una prospettiva tale per cui è lo Stato ad avere
un monopolio sostanzialmente assoluto»; (a.2.) determinano illegittimamente «la
concentrazione in capo allo Stato della funzione di vigilanza», mentre al
riguardo «non può non prospettarsi una contiguità tra le competenze normative
in tema di gestione e quelle in tema di vigilanza», come evidenziato dalle
sentenze n. 106
e n. 63 del 2006;
b) l’art. 118 Cost., sub specie del principio di sussidiarietà, perché
non si può «negare che il livello regionale di governo è ampiamente nelle
condizioni di assicurare lo svolgimento di questa funzione [e cioè della
funzione di vigilanza], ed anzi – per la migliore
conoscenza delle peculiarità del proprio territorio – lo è in misura certo
maggiore rispetto ad una autorità centrale».
Quanto, in particolare, al comma 2
dell’art. 159, la stessa ricorrente sostiene che esso contrasta con: a) l’art.
76 Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del
2004 perché tale legge «impone al legislatore il rispetto delle attribuzioni
regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n.
112 del 1998» e l’art. 88, comma 1, lettera h), di tale decreto legge
prevedeva che «il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche era
composto "da sette membri, nominati con decreto del Ministro dei lavori
pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente”, con conseguente
"arretramento”, nella disposizione impugnata, «della posizione assegnata ai
rappresentanti regionali»; b) l’art. 118 Cost., perché «lede le prerogative
costituzionali delle regioni»; c) il principio di leale collaborazione, perché
«lede le prerogative costituzionali delle regioni».
Quanto, poi, al comma 4 dello stesso
art. 159,
2.15. –
2.16. – In prossimità dell’udienza, la ricorrente Regione Calabria ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto.
3. – Con ricorso notificato tramite il servizio
postale, consegnato all’ufficio postale il 12 giugno 2006, pervenuto al
destinatario il 21 giugno 2006, depositato il 14 giugno 2006 e iscritto al n.
69 del registro ricorsi del 2006,
3.1.
– La ricorrente censura l’art. 148, comma
Osserva
Ad avviso della ricorrente, la previsione di eventuali deroghe alla gestione unica del servizio idrico integrato per particolari enti territoriali ed in particolari circostanze, non concretizza una misura volta a tutelare la concorrenza, perché è strettamente connessa a «valutazioni sulle caratteristiche e sulle tipologie degli enti che insistono sul territorio nonché a valutazioni sull’opportunità ed economicità di gestioni separate che non possono che competere alle regioni».
3.2. – È poi censurato l’art. 149, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, perché esso, nello stabilire che il piano d’ambito è trasmesso alla Regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e nel prevedere un potere di controllo da parte dell’Autorità di vigilanza, che «presenta una composizione fortemente sbilanciata a favore dei rappresentanti ministeriali», víola: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., incidendo, in parte, sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali»; b) l’art. 117, terzo comma, Cost., incidendo, in parte, sulla materia, di potestà legislativa concorrente regionale, del «governo del territorio», dettando disposizioni di dettaglio.
Sostiene la ricorrente che, poiché «il contenuto del Piano d’ambito consente di ricondurlo in parte alla materia dei servizi pubblici ed in parte alla materia del governo del territorio (basti pensare al programma delle manutenzioni e degli investimenti)», la competenza legislativa statale deve essere ritenuta limitata alla disciplina di stretta tutela della concorrenza e alla fissazione dei principi fondamentali.
3.3.
–
3.4.
– È impugnato anche l’art. 159, comma 2, del d.lgs. n.
152 del 2006, sul rilievo che esso, nel disciplinare la composizione e le
competenze dell’Autorità per la vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti,
prevede una composizione dell’organo «fortemente sbilanciata a favore della
componente statale», pur essendo investito detto organo di funzioni che incidono
su «una pletora di interessi riconducibili ora alla competenza statale (tutela
della concorrenza, tutela dell’ambiente), ora alla competenza concorrente delle
regioni (governo del territorio) ora alla competenza esclusiva regionale
(disciplina del servizio pubblico economico)». Per
3.5. – La ricorrente denuncia, infine l’art. 160, comma 2, lettere f) e g), perché esso, nello stabilire che l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti «specifica i livelli generali di qualità riferiti ai servizi da prestare» e che i gestori devono adottare e rispettare una carta del servizio pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi, si pone in contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., incidendo sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali, esercitata nel caso di specie con le leggi regionali n. 81 del 2005, n. 26 del 1997 e n. 25 del 1998.
3.6. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando l’inammissibilità e l’infondatezza delle censure.
La difesa erariale rileva, in particolare che, contrariamente a quanto affermato dalla Regione: a) l’art. 148, comma 5, nel consentire che i piccoli Comuni di montagna gestiscano direttamente i servizi idrici, non attiene alla materia dei servizi pubblici locali, ma solo a quelle dell’ambiente e della tutela della concorrenza; b) l’art. 149, comma 6, fissa, nell’interesse generale, «un livello minimo di servizi idrici, determinato in maniera quanto piú possibile omogenea»; c) gli artt. 154 e 155 rispondono all’esigenza di fissare gli elementi di base delle tariffe in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale e lasciano alle Regioni «ampi spazi per le politiche locali di incentivazione e di aggravamento»; d) l’art. 159, comma 2, nel disciplinare l’organismo di vigilanza del settore della gestione delle risorse idriche come un’autorità indipendente, legittimamente stabilisce «quanto e come le regioni (principali attori nella gestione) debbano partecipare» a detto organismo; e) l’art. 160, comma 2, lettere f) e g), non invade la sfera di competenza della Regione, perché si limita a disciplinare «poteri generali di controllo nell’interesse generale dell’utenza».
3.7. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
3.8. – In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle richieste già formulate.
La ricorrente afferma: a) di non avere piú interesse all’impugnazione dell’art. 148, comma 5, perché la norma è stata sostituita dall’art. 2, comma 14, del decreto legislativo n. 4 del 2008, il quale, tra le condizioni che legittimano la deroga alla gestione unica, prevede che vi sia il consenso dell’autorità d’àmbito competente, istituita dalla Regione; b) di non avere piú interesse all’impugnazione dell’art. 149, comma 6, perché tutti i riferimenti all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti sono stati soppressi dal comma 5 dell’art. 1, del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284; c) di avere ancora interesse all’impugnazione degli artt. 154 e 155, perché dette norme, pur essendo state modificate successivamente alla presentazione del ricorso, sono rimaste invariate nel loro nucleo essenziale, lesivo delle attribuzioni regionali; d) di non avere piú interesse all’impugnazione degli artt. 159, comma 2, e 160, comma 2, lettere f) e g), perché abrogati.
3.9. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
4.
– Con ricorso notificato tramite il servizio postale, consegnato all’ufficio
postale il 12 giugno 2006, pervenuto al destinatario il 27 giugno 2006,
depositato il 15 giugno 2006 e iscritto al n. 70 del registro
ricorsi del 2006,
In particolare, la ricorrente riferisce che, con la citata legge reg. n. 13 del 1997: a) si è esclusa la possibilità «di ricorrere alle gestioni in economia, incompatibili con i criteri di efficienza, efficacia ed economicità posti dalla legge n. 36/1994 con specifico riferimento ai servizi idrici e con le norme dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 in materia di servizi pubblici locali»; b) si è previsto che la gestione del servizio idrico integrato possa essere affidata «anche ad una pluralità di soggetti, anziché ad un unico gestore, purché ciò risponda all’interesse generale dell’intero ambito territoriale ottimale ed a condizione che ciascuno dei soggetti individuati provveda, nella porzione di territorio servito, alla gestione unitaria del c.d. ciclo completo dell’acqua (captazione, adduzione e distribuzione, fognatura e depurazione)»; c) si è disposta «l’applicazione graduale della c.d. tariffa d’ambito, intesa quale corrispettivo del servizio idrico integrato pagato dall’utenza nell’intero ambito territoriale ottimale».
4.1.
– La ricorrente censura l’art. 148, comma
Rileva
In base a tali considerazioni, la ricorrente chiede la sospensione dell’esecuzione della disposizione censurata.
4.2.
– È censurato, inoltre, l’art.
Tale
ultima disposizione prevede che: «fino all’emanazione del decreto di cui
all’articolo 150, comma 2, all’affidamento della
concessione di gestione del servizio idrico integrato nonché all’affidamento a
società miste continuano ad applicarsi il decreto ministeriale 22 novembre
2001, nonché le circolari del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio del 6 dicembre 2004».
4.3. – La ricorrente censura, infine, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 176, comma 1, il quale prevede – come visto – che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione», perché «le evidenziate violazioni dei precetti costituzionali ineriscono al sistema delle competenze ed a quello della pianificazione di settore, veri e propri cardini di tutto l’impianto normativo considerato» e, perciò, «anche disposizioni in sé e per sé non censurabili non possono risultare sottratte alle questioni sollevate, cosicché per tale ragione, oltre al rilievo inerente al metodo procedurale adottato, che riflette su tutte le disposizioni la violazione del principio di leale collaborazione, come evidenziato al I motivo, l’illegittimità costituzionale si estende all’intero complesso normativo di cui alla Parte III del d.lgs. n. 152/1999».
4.4. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato «inammissibile ed infondato» e riservandosi ulteriori deduzioni nel successivo atto difensivo.
4.5. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
4.6.
– Nel giudizio sono intervenute anche, costituendosi con unico atto, la s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l. Società Italiana Centrali
Termoelettriche – SICET, la s.r.l. Ital Green Energy,
la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie Ambiente, chiedendo che
4.7. – Con successiva memoria la s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l. Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET, la s.r.l. Ital Green Energy, la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie Ambiente hanno insistito nelle conclusioni formulate nell’atto di intervento «e, comunque per la dichiarazione di sopravvenuta improcedibilità, in parte qua, del ricorso».
4.8. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
5.
– Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e
iscritto al n. 72 del registro ricorsi del 2006,
Sostiene
la ricorrente che – contrariamente a quanto si legge nell’art. 141, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006 – le disposizioni
censurate, che disciplinano il servizio idrico integrato, non si limitano a regolare
i «profili che concernono la tutela dell’ambiente e della concorrenza e la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico
integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e città
metropolitane».
Quanto
alla materia della «tutela dell’ambiente» – prosegue
Osserva, in conclusione, la ricorrente che la disciplina del servizio idrico integrato deve essere ricondotta alla materia dei servizi pubblici locali, che – come affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 2006 – appartiene alla competenza residuale delle regioni.
5.1. – L’art. 148, comma 5, è censurato in quanto stabilisce – come visto – che l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, «a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune». La ricorrente sostiene che la disposizione si pone in contrasto con: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché, non trovando «fondamento nelle clausole trasversali pure evocate dal legislatore statale all’art. 141, primo comma», del medesimo decreto legislativo, incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali, cui è riconducibile «la decisione sugli ambiti concreti e sulle modalità gestionali ed organizzative del servizio»; b) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché comporta «necessariamente una riorganizzazione dell’intero servizio idrico incredibilmente irrazionale, complessa e difficoltosa, con conseguenti disservizi per tutti gli utenti e gravi diseconomie di gestione»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, l’art. 1, comma 1, della legge delega n. 308 del 2004, la quale, stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti, non permette l’introduzione nel decreto delegato di «una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 16/1994)», quale è quella in esame.
5.2. – La ricorrente censura anche l’art. 149, comma 6, per violazione: a) dell’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, della legge delega n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione di «carattere innovativo»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di funzioni amministrative all’Autorità di vigilanza «in contrasto con i disposti di cui al d.lgs. n. 112/1998», dal cui art. 88 «non si ricavano elementi in grado di includere le funzioni affidate all’Autorità di vigilanza fra i "compiti di rilievo nazionale” di cui l’articolo si occupa»; b) degli artt. 117, secondo e quarto comma, Cost., perché incide su «ambiti certamente estranei alle materie di cui all’art. 141, comma 1, d.lgs. n. 52/2006 (oltre che ovviamente alle altre materie di cui all’art. 117, secondo comma Cost.)» e, dunque, non corrisponde all’esercizio di potestà legislativa riferibile ad alcun titolo d’intervento statale; c) dell’art. 118, primo comma, Cost., in quanto: (c.1.) attribuisce all’Autorità di vigilanza «funzioni amministrative di controllo e prescrittive in assenza di reali motivi che ne giustifichino un’attrazione a livello statale»; (c.2.) lede le «potestà di controllo regionali, che nel caso della Regione Umbria sono già state disciplinate dall’art. 12 della legge regionale 5 dicembre 1997, n. 43»; d) in subordine, degli artt. 117 e 118 Cost., perché «un’attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di controllo] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita – ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) – previo reale coinvolgimento delle regioni nell’esercizio del potere».
5.3.
– È poi oggetto di censura l’art. 153, comma 1, il
quale stabilisce – come visto – che «Le infrastrutture idriche di proprietà
degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso
gratuita […] al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i
relativi oneri […]».
5.4.
–
5.5. – È denunciato autonomamente il comma 6 dell’art. 154, il quale stabilisce che «Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa […] per le aziende artigianali, commerciali e industriali», per contrasto con: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare «fondamento legislativo nelle "materie” indicate nell’art. 141, comma 1» del medesimo decreto legislativo, incide sulla «potestà legislativa esclusiva regionale»; b) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale, stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «del tutto innovativa», quale è quella denunciata, dato che l’art. 13, comma 7, della legge n. 36 del 1994 «non prevede affatto maggiorazioni della tariffa a carico delle categorie testé indicate».
5.6.
–
5.7. – È, infine, impugnato l’art. 166, comma 4, perché esso, nello stabilire che «Il contributo di cui al comma 3 [e cioè il contributo che deve essere versato al consorzio da "chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l’uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura”] è determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento», si riferisce anche agli enti locali, le cui attribuzioni costituzionali ben possono essere tutelate dalla Regione. Quest’ultima sostiene, in particolare, che il comma denunciato víola: a) l’art. 119 Cost., perché, cosí interpretato, incide sull’autonomia finanziaria degli enti locali; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché, cosí interpretato, incide sulla competenza legislativa residuale regionale, nel caso di specie già esercitata dalla Regione con l’approvazione dell’art. 12 della legge n. 430 del 2004; c) degli artt. 3 e 41 Cost., perché determina «una illegittima compressione dell’autonomia negoziale (non importa qui se privata o pubblicistica) degli enti locali, che si vedono costretti a subire unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il Consorzio di bonifica, non ad essi sovraordinato»; d) dell’art. 76 Cost., perché è una norma innovativa e «sprovvista di copertura nella legge n. 308/2004».
Riferisce,
inoltre,
5.8. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
5.9.
– In prossimità dell’udienza,
5.10. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
6.
– Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e
iscritto al n. 73 del registro ricorsi del 2006,
La ricorrente si riporta, in premessa, ai rilievi generali contenuti nel ricorso n. 56 del 2006 e, quanto al riparto delle competenze legislative nella disciplina del servizio idrico integrato, svolge argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla Regione Umbria con il ricorso n. 72 del 2006.
6.1. – È censurato l’art. 147, comma 2, lettera b), il quale prevede che le Regioni debbano rispettare, tra gli altri, il principio di «unitarietà della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni», nel caso in cui decidano di modificare «le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità».
La ricorrente lamenta che la disposizione víola: a) l’art. 76 Cost., per eccesso di delega, perché «introduce in un decreto delegato di mero «riordino, coordinamento e integrazione della materia (cfr. art. 1, comma 1, legge n. 308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)», la quale al riguardo «aveva previsto il diverso criterio della unitarietà attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni esistenti: ma non la rigida necessaria unicità della gestione»; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare «fondamento in alcuna delle materie richiamate all’art. 141, comma 1» del medesimo decreto legislativo né in un diverso titolo di competenza costituzionale, incide sulla potestà legislativa residuale della Regione nella materia dei «servizi pubblici locali»; c) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché è «adottata senza tenere conto dei potenziali effetti negativi che essa è in grado di produrre», e cioè senza considerare «le particolari esigenze e le peculiarità delle singole realtà territoriali, le quali ben potrebbero invece consigliare – in casi particolari – una soluzione differente».
6.2.
–
6.3. – È censurato, poi, il comma 2 dello stesso art. 150, il quale stabilisce – come visto – che l’aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato è effettuata dall’Autorità d’ambito – nel rispetto dei criteri di cui all’art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 67 del 2000, – «secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».
Per la ricorrente, la disposizione víola: a) l’art. 117, secondo e quarto comma, Cost., perché, riservando al livello statale la determinazione delle modalità e dei termini di aggiudicazione, lede i princípi di proporzionalità e di adeguatezza che connotano l’esercizio della potestà legislativa statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, Cost.) e, pertanto, opera un’illegittima compressione della competenza legislativa regionale; b) l’art. 117, sesto comma, Cost., perché demanda la disciplina delle modalità e dei termini dell’aggiudicazione ad un atto ministeriale che, al di là del nomen juris utilizzato, ha natura regolamentare ed interviene nella materia di potestà legislativa regionale dei «servizi pubblici locali»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (c.2.) disponendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di funzioni amministrative all’Autorità d’ambito «in contrasto con i disposti di cui al d.lgs. n. 112/1998», «il cui art. 88 non riserva certo al livello di governo statale il compito di disciplinare le modalità ed i termini per l’aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato».
Rileva la ricorrente che la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2004, richiamando i principi di proporzionalità ed adeguatezza in tema di tutela della concorrenza, ha dichiarato l’incostituzionalità del secondo e del terzo periodo del comma 7 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, perché tali disposizioni, indicando nell’estremo dettaglio i criteri di aggiudicazione, vanno «al di là della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara», realizzando una «illegittima compressione dell’autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza l’intervento legislativo statale». Tale orientamento – prosegue la ricorrente – si attaglia anche al caso di specie, con la conseguenza che trova applicazione il principio secondo cui «aspetti concorrenziali inerenti alla gara [...] appaiono sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione […] di una serie di standard – coerenti con quelli contenuti nella direttiva 2004/18/CE – nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed aggiudicata» e ogni previsione ulteriore costituisce una «palese compressione delle legittime facoltà delle Regioni».
6.4. – Gli artt. 159 e 160, che istituiscono e disciplinano l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, sono impugnati in riferimento: a) all’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla materia, di potestà legislativa residuale delle Regioni, dei «pubblici servizi locali», stante altresí l’istituzione di una Autorità regionale di vigilanza in forza degli artt. 20 e 21 della legge reg. n. 25 del 1999; b) all’art. 118 Cost., perché stabiliscono «l’attribuzione di funzioni amministrative ad un organo statale in assenza di reali motivi che ne giustifichino un’attrazione a livello statale»; c) all’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, alla legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) non individua, quale oggetto della delega medesima, l’istituzione della predetta autorità; (c.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione a livello statale di funzioni amministrative in contrasto con l’art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998; d) agli artt. 117 e 118 Cost., perché «un’attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di vigilanza] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita – ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) – previo reale coinvolgimento delle regioni nell’esercizio del potere, in ossequio ai princípi indicati con la nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.»; e) all’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché «costituiscono un organismo denominato "Autorità” pur in assenza dei caratteri di indipendenza, capacità tecnica e terzietà che dovrebbero caratterizzare le "Autorità”».
6.5. – La ricorrente censura anche l’art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale cosí dispone: «I consorzi di bonifica ed irrigazione, nell’ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive. L’Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata. Per tali usi i consorzi sono obbligati ai pagamento dei relativi canoni per le quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 36 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.».
Per
6.6. – La ricorrente censura, inoltre, l’art. 172, comma 2, il quale, in combinato con l’art. 147, comma 2, nel prevedere che «In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’Autorità d’ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza», si pone – a suo avviso – in contrasto con l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché, «venendo […] ad insistere in una realtà che – normata dalla legge Galli e dalle leggi regionali di settore – ammetteva invece anche la possibilità di piú gestioni all’interno del medesimo ambito», «nell’ipotesi di scadenze differenziate a seguito del termine di cui all’art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267/2000», realizza «la situazione paradossale della inapplicabilità della gestione unica, ovvero della lesione dei diritti dei gestori con scadenze differenziate».
6.7. – È censurato, infine, l’art. 176, comma 1, sul rilievo che esso violerebbe l’art. 117, comma 3, Cost., perché è «giurisprudenza costituzionale costante quella che nega la legittimità di un’autoqualificazione di disposizioni come "di principio” a prescindere dai loro concreti contenuti e dal rigoroso rispetto dei criteri di riparto di cui all’art. 117 Cost.» e, perciò, «la qualificazione "in blocco” di tutte le disposizioni di cui alla Parte Terza […] come "di principio”, appare in realtà del tutto arbitraria ed illegittima».
6.8. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
6.9.
– In prossimità dell’udienza,
La ricorrente rileva, inoltre, di non avere piú interesse alle questioni relative agli artt. 147, comma 2, lettera b), 150, comma 1, 172, comma 2, perché tali norme richiedevano il requisito dell’unicità della gestione, sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, da quello dell’unitarietà della gestione, già previsto – a suo avviso – dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale.
6.10. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
7.
– Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e
iscritto al n. 74 del registro ricorsi del 2006,
7.1. – Le questioni proposte dalla ricorrente sono analoghe a quelle proposte con il ricorso della Regione Umbria n. 72 del 2006 e sopra riportate ai punti 5.1., 5.2. e 5.4.
7.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.
7.3.
– In prossimità dell’udienza,
7.4. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
8.
– Con ricorso notificato il 12 giugno 2006, depositato il 17 giugno 2006 e
iscritto al n. 75 del registro ricorsi del 2006,
8.1. – Le questioni proposte dalla ricorrente sono analoghe a quelle proposte con il ricorso della Regione Emilia Romagna n. 56 del 2006 e sopra riportate ai punti 1.3. e 1.4.
La ricorrente chiede anche la sospensione dell’esecuzione delle disposizioni censurate.
8.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.
8.3. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
9.
– Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 20 giugno 2006 e
iscritto al n. 76 del registro ricorsi del 2006,
9.1. – Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate violano: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché – concernendo una materia che non può farsi rientrare tra quelle riservate alla potestà legislativa esclusiva statale, «dato che non attiene alla tutela dell’ambiente di cui alla lettera s) del comma 1, dell’art. 117 Cost., né al sistema tributario e contabile dello Stato, di cui alla lettera e) dello stesso comma» – incidono sulla competenza legislativa residuale regionale; b) l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché incidono su un «tributo di carattere locale», «la cui determinazione spetta alle autonomie territoriali»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge di delegazione n. 308 del 2004, «per contrasto […] con i principi direttivi» di quest’ultima.
La ricorrente chiede anche la sospensione dell’esecuzione delle disposizioni censurate, «in considerazione del rischio di un pregiudizio irreparabile all’interesse pubblico o di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti della popolazione regionale».
In particolare, tale pregiudizio deriva – a detta della Regione – dalla «previsione della soppressione delle Autorità di Bacino di cui alla legge n. 183/1989, prima ancora di provvedere all’istituzione delle nuove Autorità; dalla sovrapposizione di nuove funzioni statali a quelle già svolte dalle regioni, con conseguenze negative in termini di certezza del diritto e di efficienza dell’azione amministrativa».
9.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.
9.3.
– In prossimità dell’udienza,
9.4. – Anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
10.
– Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 21 giugno 2006 e
iscritto al n. 78 del registro ricorsi del 2006,
10.1. – Le questioni proposte dalla ricorrente e aventi ad oggetto tali disposizioni sono analoghe a quelle proposte con il ricorso della Regione Emilia Romagna n. 56 del 2006 e sopra riportate ai punti 1.3 e 1.4.
10.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.
10.3. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha ribadito quanto già richiesto nel ricorso.
10.4. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
11.
– Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 21 giugno 2006 e
iscritto al n. 79 del registro ricorsi del 2006,
11.1. – L’art. 148, comma 5, è censurato in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., perché, non concretizzando «una misura volta a tutelare la concorrenza», incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali.
11.2. – L’art. 149, comma 6, è censurato in rifermento all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., perché «le finalità del controllo consentono di ricondurre l’attività in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia del governo del territorio (programma degli investimenti)», entrambe di competenza regionale.
11.3.
– La ricorrente impugna anche gli artt. 154 e
11.4. – È censurato, inoltre, l’art. 159, comma 2, perché esso – nel prevedere nella composizione dell’organo «una presenza minoritaria dei rappresentanti delle regioni (quattro membri nominati su designazione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome) rispetto a quella riconosciuta ai vari Ministeri (nove membri piú il Presidente)», pur essendo detto organo investito, in forza dell’art. 160 del medesimo decreto legislativo, di «numerosi compiti, fortemente incisivi in materie di competenza regionale» – si pone in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., dando luogo ad «un’illegittima attribuzione in capo allo Stato di funzioni costituzionalmente garantite alle regioni in materia di servizi pubblici locali».
11.5.
–
11.6. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.
11.7.
– In prossimità dell’udienza,
Quanto
al censurato art. 148, comma 5, la ricorrente rileva
che esso – che non ha subito significative modifiche ad opera del d.lgs. n. 116
del 2008, il quale ha dato attuazione alla direttiva 2006/7/CE sulla gestione
delle acque di balneazione – è stato interamente sostituito dall’art. 2, comma
14, del d.lgs. n. 4 del 2008, il quale ha introdotto una disposizione del
seguente tenore: «Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità
d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l’adesione alla
gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con
popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità
montane, a condizione che gestiscano l’intero servizio idrico integrato, e
previo consenso della Autorità d’ambito competente». La ricorrente ritiene che
tale modifica sostanziale della norma censurata soddisfi le sue pretese, perché
il nuovo testo dell’art. 148, comma 5, non lede la
competenza regionale in tema di servizi pubblici locali, limitandosi a
stabilire solo un principio generale in tema di gestione e affidamento del
servizio (la menzionata "facoltatività” dell’adesione all’ATO dei piccoli
Comuni inclusi nel territorio delle Comunità montane, condizionata alla
gestione dell’intero servizio idrico integrato), rimettendone oltretutto la
concreta operatività al consenso dell’Autorità d’ambito.
Quanto
al censurato art. 149, comma 6, la ricorrente rileva
che esso è stato «direttamente inciso» dal d.lgs. n. 284 del 2006, il cui art.
1, comma
Quanto
alle censure relative agli artt. 154 e 155,
Quanto
al denunciato art. 159, comma 2, la ricorrente rileva
preliminarmente che detto articolo è stato abrogato
dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e che l’Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, da esso disciplinata, non è mai
entrata in funzione. Successivamente al citato
d.lgs. n. 284 del 2006, è intervenuto il d.lgs. n. 4 del 2008, il cui art. 2,
comma
In relazione al censurato art. 160, comma 2, lettere f) e g), che disciplinava i poteri dell’abolita Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, la ricorrente sostiene, invece, che la materia del contendere dovrebbe essere ritenuta cessata. Verrebbe in rilievo, anche in questo caso, il nuovo testo dell’art. 161, introdotto dall’art. 2, comma 15, del d.lgs. n. 4 del 2008, il quale − al comma 4 − prevede i compiti del vigente Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche. Tra tali compiti, non figura piú in alcun modo uno specifico controllo sull’adozione da parte dei gestori di una carta di servizio pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi quale quello a suo tempo previsto dalla lettera g) dell’impugnato art. 160, comma 2. Si tratterebbe dunque di una modifica satisfattiva della doglianza formulata nel ricorso in relazione a tale lettera. Quanto all’altra norma censurata, contenuta nella lettera f) del comma 2 dell’art. 160, la ricorrente osserva che il nuovo art. 161, comma 4, lettera e), si limita ad attribuire al Comitato il compito di "definire” «i livelli minimi di qualità dei servizi da prestare, sentite le regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori» e, cosí facendo, si limita ad individuare standard che − in questi termini − dovrebbero potersi ricondurre alla competenza statale in materia di "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, lasciando cosí alle Regioni il potere di determinare e specificare livelli di qualità ulteriori.
11.8. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
12.
– Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 23 giugno 2006 e
iscritto al n. 80 del registro ricorsi del 2006,
12.1.
– Quanto alla prima delle due disposizioni denunciate,
12.2. – Quanto al censurato art. 155, la ricorrente afferma che esso si pone in contrasto con: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, «non avendo lo Stato la competenza a provvedere» in materia, incide sulla «competenza legislativa attribuita alle regioni» in materia di servizi pubblici locali, che è «residuale e perciò esclusiva»; b) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge n. 308 del 2004, per eccesso di delega, non prevedendo la fonte delegante «il potere di istituire nuove imposte».
12.3. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.
12.4.
– L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità
dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
Considerato
in diritto
1. – I giudizi di legittimità
costituzionale di cui in epigrafe sono stati promossi dalle Regioni
Emilia-Romagna (ricorsi n. 56 e n. 73 del 2006), Calabria (ricorso n. 68 del
2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006),
Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006), Abruzzo
(ricorso n. 75 del 2006), Puglia (ricorso n. 76 del 2006), Campania (ricorso n.
78 del 2006), Marche (ricorso n. 79 del 2006), Basilicata (ricorso n. 80 del
2006).
Le ricorrenti censurano gli artt. 135, 136, 141, da
1.1. – Le questioni relative agli art. 135 e 136 sono promosse solo dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006).
1.1.1. – L’art. 135 – che, al comma 2, attribuisce al Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) le funzioni della «sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento» – è censurato per la lesione che arrecherebbe alle competenze regionali in materia di individuazione dei soggetti preposti ai compiti di polizia amministrativa.
1.1.2.
– L’art. 136 stabilisce che «Le somme derivanti
dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del
presente decreto sono versate all’entrata del bilancio regionale per essere
riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento
e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici» ed è denunciato in riferimento all’art. 119 Cost., perché
porrebbe alla Regione un illegittimo vincolo di
destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative.
1.2. – Le questioni relative agli
artt. 141, da
1.2.1. – Un primo gruppo di tali questioni è sollevato in riferimento all’art. 76 Cost., per eccesso di delega,
sotto il profilo che le suddette disposizioni, nell’attuare la legge di
delegazione 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino,
il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e
misure di diretta applicazione), introdurrebbero norme
innovative, in violazione dei princípi e criteri
posti da detta legge di delegazione, la quale – al comma 1 dell’art. 1 –
stabilisce, invece, che il decreto delegato deve limitarsi a «riordino,
coordinamento e integrazione» della materia.
In particolare, le ricorrenti denunciano la violazione dei princípi sulla gestione delle risorse idriche fissati dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche). Sono censurati, sotto questo profilo: a) l’art. 147, comma 2, lettera b) – anche in combinato con l’art. 172, comma 2, del medesimo decreto legislativo –, secondo cui «Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare» del principio di unicità della gestione e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni (ricorso n. 73 del 2006); b) l’art. 148, comma 5, il quale stabilisce, in particolare che, «Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali […], l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune» (ricorsi n. 70, n. 72 e n. 74 del 2006); c) l’art. 149, comma 6, che dispone che il piano d’àmbito è trasmesso alla regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ed attribuisce all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti il potere di svolgere rilievi e osservazioni su elementi essenziali del piano stesso (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); d) l’art. 150, commi 1 e 2, il quale prevede che l’autorità d’àmbito, nel rispetto del piano d’àmbito e del principio di unicità della gestione, delibera la forma di gestione e aggiudica la gestione stessa (ricorso n. 73 del 2006); e) l’art. 153, comma 1, secondo cui le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali sono affidate in concessione d’uso gratuita al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri (ricorso n. 72 del 2006); f) gli artt. 154 e 155, che istituiscono e disciplinano la tariffa del servizio idrico integrato (ricorsi n. 72 e n. 76 del 2006); g) gli artt. 159 e 160, i quali istituiscono l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e ne disciplinano i compiti e le funzioni (ricorsi n. 68 e n. 73 del 2006); h) l’art. 166, commi 1 e 4, i quali prevedono, rispettivamente, che i consorzi di bonifica ed irrigazione, previa domanda all’Autorità di bacino competente, «hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni» e che il contributo che, ai sensi del comma 3, deve essere versato al consorzio da «chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi» è «determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento» (ricorsi n. 72 e n. 73 del 2006).
1.2.2. – Un secondo gruppo di questioni è posto anch’esso in riferimento all’art. 76 Cost., per eccesso di delega, sotto il diverso profilo che le disposizioni censurate violerebbero il riparto di competenze amministrative fissato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e, pertanto, si porrebbero in contrasto con la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale – al comma 8 dell’art. 1 – impone al legislatore delegato il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal medesimo d.lgs. n. 112 del 1998.
Sono
censurati, sotto questo profilo: a) gli articoli da
1.2.3. – Un terzo gruppo di questioni è promosso in relazione all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.
Tali questioni hanno ad oggetto: a) l’art. 147, comma 2, lettera b), anche in combinato con l’art. 172, comma 2 (ricorso n. 73 del 2006); b) l’art. 148, comma 5, che è impugnato, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., anche sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza (ricorsi n. 70 e n. 72 del 2006); c) l’art. 150, comma 1 (ricorso n. 73 del 2006); d) l’art. 153, comma 1, il quale, in particolare, è censurato sia perché «sancendo inderogabilmente la gratuità della concessione delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali determina un […] danno a carico delle finanze dei medesimi enti locali, privandoli di un introito», sia perché può essere interpretato nel senso che «abbia effetto anche in relazione agli affidamenti già in essere che prevedono la onerosità della concessione» (ricorso n. 72 del 2006); e) gli artt. 154 e 155 (ricorsi n. 56, n. 69, n. 75 e n. 78 del 2006); f) gli artt. 159 e 160 (ricorso n. 73 del 2006).
1.2.4. – L’art. 166, comma 4, è censurato – con l’implicita evocazione a parametro degli artt. 3 e 41 Cost. – perché determina «una illegittima compressione dell’autonomia negoziale […] degli enti locali, che si vedono costretti a subire unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il Consorzio di bonifica, non ad essi sovraordinato» (ricorso n. 72 del 2006).
1.2.5. – Un quinto gruppo di questioni è posto in relazione all’art. 117, quarto comma, Cost., sotto il profilo della lesione delle competenze legislative regionali e, in particolare, di quella residuale in materia di servizi pubblici locali. Al riguardo, le ricorrenti sostengono – per lo piú – che le disposizioni censurate non sono ascrivibili a materie di competenza legislativa statale, quali la tutela della concorrenza o la tutela dell’ambiente.
Rientrano
in tale gruppo le questioni aventi ad oggetto: a) gli
articoli da
1.2.6.
– Con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.,
1.2.7. – In alcuni ricorsi è evocato a parametro l’art. 117, sesto comma, Cost., sul rilievo che la normativa censurata attribuirebbe illegittimamente allo Stato la competenza ad emanare regolamenti in materie non riconducibili alla competenza legislativa esclusiva statale.
Le disposizioni impugnate in relazione a tale parametro sono: a) l’art. 146, comma 3, il quale prevede, in particolare, che «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio […] adotta un regolamento per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature» (ricorso n. 68 del 2006); b) l’art. 150, comma 2, il quale prevede, in particolare che, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia, sono fissati le modalità e i termini per l’aggiudicazione del servizio idrico integrato da parte dell’autorità d’àmbito (ricorso n. 73 del 2006); c) l’art. 154, commi 2 e 3 (ricorso n. 68 del 2006); d) l’art. 159, comma 4 (ricorso n. 68 del 2006).
1.2.8. – Un ottavo gruppo di questioni è quello riferito all’art. 118 Cost. (in alcuni casi evocato in combinato con l’art. 117 Cost.), per violazione delle competenze amministrative regionali, a séguito dell’allocazione di funzioni amministrative a livello statale senza che vi siano esigenze unitarie.
Sono
censurati sotto tale profilo: a) gli artt. da
1.2.9. – In un nono gruppo di questioni è evocato a parametro il principio di leale collaborazione. Le ricorrenti lamentano il mancato coinvolgimento regionale nel procedimento legislativo o nell’esercizio delle funzioni amministrative attribuite al livello statale.
Le
disposizioni censurate in riferimento a tale parametro
sono: a) gli articoli da
1.2.10. – Con un decimo e ultimo gruppo di questioni relative alle disposizioni della sezione III, proposte in riferimento all’art. 119 Cost., si denuncia la lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali.
Rientrano in tale gruppo le questioni aventi ad oggetto: a) gli artt. 154 e 155 (ricorsi n. 56, n. 68, n. 69, n. 72, n. 74, n. 75, n. 76, n. 78 e n. 79 del 2006); b) l’art. 166, comma 4 (ricorso n. 72 del 2006).
1.3. – Sono denunciati, infine, gli artt. 172, comma 2, e 176, comma 1, contenuti nella sezione IV della parte terza, i quali recano norme transitorie e finali.
1.3.1. – L’art. 172, comma 2 – impugnato in combinato con l’art. 147, comma 2 –, prevede che «In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’Autorità d’ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza». La disposizione è censurata in riferimento all’art. 3 Cost. (ricorso n. 73 del 2006).
1.3.2. – L’art. 176, comma 1, dispone che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione». Esso è censurato in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. (ricorsi n. 68, n. 70 e n. 73 del 2006).
2. – L’esecuzione di alcune delle suddette disposizioni è
stata oggetto di domanda cautelare da parte di alcune delle
ricorrenti.
In particolare,
Sulla richiesta avanzata dalla Regione Emilia-Romagna
(ricorso n. 56), questa Corte si è già pronunciata con l’ordinanza n. 245
del 2006, dichiarando il non luogo a provvedere. Le richieste delle altre
ricorrenti sono assorbite dalla pronuncia definitiva sui relativi ricorsi.
3. – Nei giudizi di cui ai ricorsi n. 56, n. 69, n.
70, n. 72, n. 73, n. 74, n. 75, n. 76, n. 78, n. 79 e n. 80 del 2006 è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF),
chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente. Nel
giudizio di cui al ricorso n. 70 sono intervenute anche, costituendosi con
unico atto, la s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l.
Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET, la s.r.l. Ital Green Energy, la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie
Ambiente.
Tali interventi sono stati dichiarati inammissibili con
l’ordinanza allegata alla presente sentenza e pronunciata all’udienza del 5
maggio 2009, con cui è stato ribadito che il giudizio
di costituzionalità delle leggi, promosso in via di azione, si svolge
esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando,
per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni
soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed
eventualmente anche di fronte alla stessa Corte costituzionale in via
incidentale (sentenze n. 405 del 2008
e n. 469 del
2005).
4. – La trattazione delle sopra indicate questioni di legittimità costituzionale viene qui separata da quella delle altre, promosse con i medesimi ricorsi, per le quali è opportuno procedere ad un esame distinto. I giudizi, cosí separati e delimitati nell’oggetto, vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi in considerazione della parziale identità delle norme censurate e delle questioni prospettate.
5. – Ciò premesso, si deve ora procedere all’esame analitico delle sollevate questioni, in relazione a ciascuna delle disposizioni oggetto di censura.
6.
– L’art. 135, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006
stabilisce che: a) «ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli
illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque
dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.)»; b) in relazione a tali funzioni amministrative,
«può altresí intervenire il Corpo forestale dello
Stato e possono concorrere
La questione non è fondata.
La ricorrente, pur non evocando espressamente alcun parametro costituzionale, intende evidentemente denunciare il contrasto fra la disposizione censurata e l’art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alla potestà legislativa residuale delle Regioni la materia della polizia amministrativa locale. Tuttavia, contrariamente a quanto dedotto dalla Regione, un tale contrasto non sussiste, perché la disposizione censurata non attiene alla suddetta evocata materia, ma si limita ad indicare il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) quale organo competente ad accertare le violazioni amministrative, senza privare delle loro competenze gli organi di polizia amministrativa locale.
7.
– Il denunciato art. 136 prevede che: a) «Le somme derivanti dai proventi delle
sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono
versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità
previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione
dell’inquinamento dei corpi idrici»; b) «Le regioni
provvedono alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di
prevenzione e di risanamento». Tali disposizioni sono censurate dalla Regione
Calabria (ricorso n. 68 del 2006), perché pongono un
illegittimo vincolo di destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative riscosse dalle Regioni, in contrasto con la
giurisprudenza costituzionale in materia di fondi vincolati.
La questione non è fondata.
È principio ripetutamente affermato da questa Corte che la disciplina delle sanzioni amministrative non costituisce una materia a sé, ma rientra nell’àmbito materiale cui le sanzioni stesse si riferiscono (ex multis, sentenze n. 384 del 2005 e n. 12 del 2004). Nel caso di specie, la regolamentazione della destinazione del gettito delle sanzioni è funzionale alla disciplina «delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza», e cioè alle sanzioni previste dal precedente art. 133, le quali si riferiscono a violazioni in materia di scarichi e di tutela della qualità dei corpi idrici, come tali ascrivibili alla materia della tutela dell’ambiente di competenza legislativa esclusiva dello Stato (come affermato da questa Corte con la sentenza n. 233 del 2009). Trattandosi di entrata statale, il potere di disporre l’immediata riassegnazione di tali somme ad individuate unità previsionali di base rientra nella competenza legislativa dello Stato. Il fatto che ciò avvenga attraverso il versamento delle somme «all’entrata del bilancio regionale» non significa che queste costituiscono "risorse autonome” delle Regioni alle quali non è apponibile un vincolo di destinazione. Il versamento all’entrata del bilancio regionale costituisce, infatti, una mera appostazione contabile, al fine di realizzare la destinazione al risanamento e alla riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici, cioè a finalità meramente ambientali. La circostanza che siano le Regioni a provvedere alla ripartizione delle somme fra gli interventi di prevenzione e di risanamento costituisce unicamente un’attribuzione di ulteriore autonomia alle Regioni stesse in una materia di esclusiva competenza legislativa statale. Non trova, perciò, applicazione, nella specie, la giurisprudenza costituzionale in materia di fondi vincolati, genericamente richiamata dalla ricorrente.
8. –
Ad avviso della ricorrente, la disposizione víola il principio della leale collaborazione, perché omette di considerare le competenze legislative regionali nelle materie del «governo del territorio», della «tutela della salute» e dei «servizi pubblici locali» e perché non prevede un «coinvolgimento degli enti regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul modello dell’intesa in senso forte».
La questione è inammissibile, perché il suddetto art. 141 non è preso in considerazione nella delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso. Trova, infatti, applicazione il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la deliberazione di autorizzazione alla proposizione del ricorso deve necessariamente indicare le specifiche disposizioni che si intendono impugnare (ex plurimis, sentenze n. 450, n. 398, n. 216 e n. 3 del 2006).
9. –
La stessa Regione Calabria impugna anche
specificamente l’art. 146, comma 3, il quale
stabilisce che «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio,
sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e il
Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione
dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), adotta un regolamento per la definizione
dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti
e delle fognature». La ricorrente afferma che tale disposizione víola: a) in via principale, l’art. 117, sesto comma,
Cost., perché prevede «un potere regolamentare in capo allo Stato in un settore
non riconducibile ad una materia di competenza
esclusiva ex art. 117, secondo comma»; b) in via subordinata, il principio
della leale collaborazione, per la «mancata previsione della necessità di un
coinvolgimento dei rappresentanti degli enti regionali».
Le questioni non sono fondate.
A prescindere da quanto affermato da questa Corte
nella sentenza
n. 225 del 2009 circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale
criterio direttivo della legge di delegazione, le norme denunciate rispettano
comunque il riparto delle competenze stabilito da quest’ultima, perché, nel
fissare «criteri per la gestione del servizio idrico integrato» (art. 88, comma
1, lettera h, del d.lgs. 31 marzo 1998, n.
112), sono riconducibili a materie di competenza legislativa esclusiva statale.
Infatti: a) l’art. 144, comma 1, nel prevedere che
«Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal
sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato», disciplina il regime
proprietario delle acque, che è sicuramente riconducibile alla materia
dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.; b) i successivi commi dell’art. 144 attengono a materie riconducibili
all’ordinamento civile e alla tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma,
lettera s, Cost.), perché disciplinano i criteri dell’uso delle acque,
in relazione alla finalità di evitare sprechi, favorire il rinnovo delle
risorse, garantire i diritti delle generazioni future e tutelare, tra l’altro,
«la vivibilità dell’ambiente»; c) l’art. 145 è anch’esso riconducibile alla
materia della tutela dell’ambiente, perché disciplina l’equilibrio del bilancio
idrico, richiamando, al comma 1, i criteri e gli obiettivi di tutela di cui al
precedente art. 144 e prevedendo, al comma 3, per i «bacini idrografici
caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti», la necessità di
garantire «la vita negli alvei sottesi» e di «non danneggiare gli equilibri
degli ecosistemi interessati»; d) l’art. 146 disciplina specificamente una
materia senza dubbio riconducibile alla tutela dell’ambiente, quale il
risparmio della risorsa idrica.
La rilevata riconducibilità delle
norme censurate ai titoli di competenza legislativa esclusiva statale sopra
indicati vale anche a far ritenere insussistente la lamentata violazione
dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost. e del
principio della leale collaborazione, perché esclude sia l’invocata
competenza residuale regionale in materia di servizi pubblici locali (art. 117,
quarto comma, Cost.) sia l’obbligo di prevedere strumenti di leale cooperazione
con le Regioni, consentendo al legislatore statale di prevedere un potere
regolamentare ministeriale (art. 117, sesto comma, Cost.).
Con riferimento, infine, alla dedotta violazione
dell’art. 118 Cost., l’affermazione della ricorrente, secondo cui le norme
censurate, in quanto di dettaglio, comportano
violazione del riparto costituzionale delle funzioni amministrative, non è
fondata, perché la disciplina in esame non attribuisce funzioni amministrative,
ma, in attuazione della legge di delegazione, si limita a precisare – nell’àmbito delle sopra indicate competenze legislative
esclusive dello Stato – i «criteri di gestione del servizio idrico», cui le
Regioni e gli altri enti interessati devono attenersi, senza che abbia alcun
rilievo la generalità o la specificità di detti criteri.
10. –
La questione è inammissibile, perché generica. Il
ricorso avrebbe dovuto, infatti, specificare per ciascuna norma in cosa
consista il dedotto concorso di competenze e perché sia stato violato il
principio di leale collaborazione.
11. –
Sostiene la ricorrente che detta disposizione - nello stabilire che «Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti princípi: […] b) unicità della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni» - víola: a) l’art. 76 Cost., per eccesso di delega, perché «introduce in un decreto delegato di mero "riordino, coordinamento e integrazione della materia” (cfr. art. 1, comma 1, legge n. 308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)», la quale al riguardo «aveva previsto il diverso criterio della unitarietà attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni esistenti: ma non la rigida necessaria unicità della gestione»; b) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché è stata «adottata senza tenere conto dei potenziali effetti negativi che essa è in grado di produrre», e cioè senza considerare «le particolari esigenze e le peculiarità delle singole realtà territoriali, le quali ben potrebbero invece consigliare – in casi particolari – una soluzione differente»; c) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare «fondamento in alcuna delle materie richiamate all’art. 141, comma 1» del medesimo decreto legislativo né in un diverso titolo di competenza previsto dal secondo comma dell’art. 117 Cost., incide sulla potestà legislativa residuale della Regione nella materia dei «servizi pubblici locali».
Per tali questioni, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.
Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, infatti, la ricorrente afferma di non avere piú interesse alla decisione sulle questioni relative agli artt. 147, comma 2, lettera b), e 172, comma 2, perché il principio dell’unicità della gestione, previsto da tali disposizioni, è stato sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell’unitarietà della gestione, già fissato, secondo la ricorrente, dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale. Trova applicazione, pertanto, l’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita - come nella specie - o non si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex multis, ordinanze n. 418 del 2008 e n. 21 del 2004).
12.
–
12.1. – È evocato quale parametro di
costituzionalità, in primo luogo, l’art. 76 Cost., in combinato disposto con
l’art. 1, comma 8, della legge di delegazione n. 308
del 2004, sul rilievo che quest’ultimo impone al legislatore il rispetto delle
attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal decreto legislativo n.
112 del 1998 e, in particolare, dall’art. 86, comma 1, di tale decreto, il
quale stabilisce che «alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le
regioni e gli enti locali competenti per territorio». La disposizione
denunciata sarebbe in contrasto con tale parametro, perché priverebbe «gli enti
territoriali di poteri amministrativi loro attribuiti» dal d.lgs. n. 112 del
1998.
La questione non è fondata.
Infatti, a prescindere da quanto affermato
nella sentenza
di questa Corte n. 225 del 2009 circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del
1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione, la norma censurata
non menoma la preesistente autonomia amministrativa degli enti locali, perché
si limita a razionalizzarne le modalità di esercizio,
attraverso l’imputazione delle loro originarie competenze in materia di
gestione delle risorse idriche all’autorità d’àmbito
alla quale essi obbligatoriamente partecipano.
Le autorità d’àmbito erano
già previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del
1994 e dagli articoli da
12.2. – In secondo luogo, l’art. 148 è censurato –
sempre dalla Regione Calabria – in riferimento
all’art. 117 Cost., perché «espropria le regioni di poteri legislativi» che, ai
sensi dell’art. 86, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998, sono
«chiaramente (sia pure implicitamente) […] di spettanza regionale».
La questione non è fondata.
Invero, i poteri legislativi esercitati dallo Stato
con la norma censurata attengono all’esercizio delle competenze legislative
esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza (art. 117,
secondo comma, lettera e, Cost.) e della tutela dell’ambiente (art. 117,
secondo comma, lettera s, Cost.), materie che hanno prevalenza su
eventuali titoli competenziali regionali ed, in particolare, su quello dei servizi pubblici locali.
La disposizione attiene, infatti, alla tutela della concorrenza, laddove
prevede il superamento della frammentazione della gestione delle
risorse idriche attraverso l’individuazione di un’unica Autorità d’àmbito, allo scopo (come meglio si vedrà al punto 17.4.) di
consentire la razionalizzazione del mercato, con la determinazione della
tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap,
diretto a garantire la concorrenzialità e l’efficienza delle prestazioni. La
stessa disposizione attiene anche alla tutela dell’ambiente, perché
l’allocazione all’Autorità d’àmbito territoriale
ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l’uso delle
risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della "biosfera” intesa «come "sistema” [...] nel
suo aspetto dinamico» (sentenze n. 168 del 2008,
n. 378 e n. 144 del 2007).
12.3. – Sempre
La questione non è fondata.
Per un evidente errore materiale, la ricorrente ha
fatto riferimento all’art. 118 Cost., laddove, dal tenore della censura, risulta invece chiaramente che la stessa ricorrente lamenta
la lesione delle proprie competenze legislative, sotto il profilo della spettanza
ad essa della competenza ad allocare le funzioni amministrative in materia di
gestione dei servizi idrici.
12.4. –
12.4.1. – La questione non è fondata in relazione alla previsione dell’obbligo di trasmissione
dei bilanci all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
Va preliminarmente rilevato che la censura non è piú riferibile alla trasmissione
dei dati all’Autorità di vigilanza, perché quest’ultima - già prevista dagli artt. 159 e 160, abrogati dal comma 5 dell’art. 1 del
d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 - è stata soppressa e non è mai entrata in
funzione. Infatti – come risulta dal comunicato del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 26 giugno 2006 – il
decreto del 2 maggio 2006, istitutivo di tale Autorità non è stato
inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al preventivo e necessario
controllo e, quindi, non avendo ottenuto la registrazione prevista dalla legge,
è rimasto inefficace.
Quanto, invece, all’obbligo di trasmissione dei
bilanci al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, deve
rilevarsi che lo Stato può fissare obblighi di trasmissione ai fini di
eventuali controlli, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera r),
Cost., che assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia
del «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione
statale regionale e locale» (sentenze n. 417 e n. 35 del 2005,
n. 376 del 2003,
secondo le quali obblighi di questo tipo devono essere ritenuti legittimi,
perché «espressione di un coordinamento meramente informativo»).
12.4.2. – La questione è, invece, fondata, in relazione alla previsione dell’obbligo di affissione dei
bilanci.
Si tratta, infatti, di una disciplina - peraltro di
minuto dettaglio - che regola una specifica modalità
di pubblicità, incidente sulla materia dei servizi pubblici locali, senza che
possano essere invocati titoli competenziali statali
quali la tutela della concorrenza o la tutela dell’ambiente. Deve, pertanto,
essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, nella parte in cui prevede che «I bilanci preventivi e
consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante
affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente».
12.5. – Il comma 5 dell’art. 148 è censurato, sotto diversi profili, dalle Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006).
La disposizione prevede che, «Ferma restando la
partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai
sensi del comma 1, l’adesione alla gestione unica del
servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a
1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che
la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione
comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e
controllata dallo stesso comune. Sulle gestioni di cui al presente comma
l’Autorità d’ambito esercita funzioni di regolazione generale e di controllo.
Con apposito contratto di servizio stipulato con
l’Autorità d’ambito, previo accordo di programma, sono definiti criteri e
modalità per l’eventuale partecipazione ad iniziative promosse dall’Autorità
d’ambito medesima».
12.5.1. – Le Regioni Toscana (ricorso n. 69 del
2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e
Marche (ricorso n. 79 del 2006) denunciano la disposizione in
riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., perché
incide sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei «servizi
pubblici locali» (ricorso n. 69 del 2006) e perché, non trovando
«fondamento nelle clausole trasversali pure evocate dal legislatore statale
all’art. 141, primo comma», del medesimo decreto legislativo e, in particolare,
non concretizzando «una misura volta a tutelare la concorrenza», incide sulla
competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici
locali, cui è riconducibile la decisione sugli àmbiti
concreti e sulle modalità gestionali ed organizzative del servizio (ricorsi nn. 72, 74 e 79 del 2006).
Va
preliminarmente rilevato che
Va pertanto dichiarata la cessazione della materia del contendere, limitatamente alla questione sollevata dalla Regione Marche, perché, argomentando come sopra, la ricorrente ha sostanzialmente affermato sia che il nuovo regime non è lesivo del parametro costituzionale evocato, sia che la norma denunciata - a prescindere dalla sua "sostanziale retroattività” - non ha mai avuto applicazione nel territorio regionale.
Quanto alle questioni sollevate dalle altre ricorrenti in riferimento all’intero art. 117 Cost. o al suo quarto comma, queste devono essere esaminate nel merito e dichiarate non fondate.
La disposizione censurata, infatti, attiene alla tutela dell’ambiente, con prevalenza rispetto alla materia dei servizi pubblici locali, perché giustifica la possibilità di deroghe all’unicità della gestione del servizio sul piano soggettivo, in ragione dell’elemento tipicamente ambientale costituito dalla peculiarità idrica delle zone comprese nei territori delle comunità montane. Se infatti - come si è visto sopra - le modalità dell’organizzazione del servizio idrico, nelle loro linee generali, sono riconducibili alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientra in tale competenza anche stabilire le condizioni in presenza delle quali i Comuni minori appartenenti alle comunità montane possono non partecipare alla gestione unica del servizio idrico integrato, e cioè che la gestione del servizio sia operata direttamente da parte dell’amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico controllata dallo stesso Comune.
12.5.2. – Le Regioni
Piemonte (ricorso n. 70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria
(ricorso n. 74 del 2006) denunciano l’art. 148, comma
5, per contrasto con l’art. 76
Cost.
Le questioni non sono fondate.
Le ricorrenti deducono il carattere innovativo della
disposizione rispetto alla legge n. 36 del 1994 e, dunque, la violazione della
legge di delegazione, perché quest’ultima non consentirebbe alcuna innovazione
rispetto ai principi fondamentali desumibili dalla citata legge n. 36 del 1994,
assunti dalla stessa legge di delegazione quali criteri direttivi. In
particolare, la deroga introdotta dalla norma censurata al principio -
desumibile dalla legge n. 36 del 1994 - dell’unicità della gestione, sarebbe
una previsione del tutto nuova e, pertanto, illegittima.
In realtà, tanto il comma 5
dell’art. 148 quanto la legge n. 36 del 1994, richiamata dall’art. 8, comma 1,
lettera b), della legge di delegazione, fissano il principio del
«superamento della frammentazione delle gestioni», con la differenza che solo
la disposizione censurata indica il criterio dell’«unicità della gestione»,
quale modalità preferenziale di attuazione di tale «superamento». La norma
denunciata, quindi, costituisce attuazione del principio del «superamento della
frammentazione delle gestioni» stabilito dalla legge n. 36 del 1994, che può
realizzarsi, indifferentemente, sia con l’«unitarietà» delle gestioni, sia con l’«unicità»
prevista dalla norma censurata. E ciò, a prescindere dalla considerazione che -
anche a voler ritenere, con le ricorrenti, che la norma censurata abbia
carattere innovativo - la delega legislativa avrebbe comunque consentito
l’innovazione al fine della razionalizzazione della disciplina (sentenza n. 225 del
2009). Infatti, all’art. 1, comma 1, la delega
prevede che il legislatore delegato provveda al «riordino, coordinamento e integrazione
delle disposizioni legislative […] anche mediante la redazione di testi unici»;
e non pare dubbio che l’uso dei termini «riordino» e «integrazione» sia
sufficiente a consentire interventi innovativi del legislatore, quali quelli
censurati dalla ricorrente (principio desumibile anche dalle sentenze n. 308 del 2002,
n. 198 del 1998,
n. 4 del 1992).
12.5.3. – Le Regioni Piemonte (ricorso n. 70 del
2006) e Umbria (ricorso n. 72 del 2006) censurano
l’art. 148, comma 5, anche con riferimento all’art. 3 Cost.
In particolare, la prima delle due ricorrenti
denuncia la violazione dell’art. 3 Cost., sub specie
del principio di uguaglianza, perché la disposizione impugnata «è
totalmente avulsa dalla considerazione della forte differenziazione delle
realtà territoriali ed amministrative nelle regioni
italiane». Entrambe le ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 3 Cost., sub specie del principio di
ragionevolezza, rilevando che la norma censurata si pone in
contraddizione con il principio di organizzazione del servizio idrico in base
all’individuazione di àmbiti territoriali ottimali,
creando, conseguentemente, disservizi e diseconomie di gestione.
Le questioni sono inammissibili.
Come questa Corte ha piú volte chiarito, le Regioni sono legittimate a
denunciare la violazione di norme costituzionali non relative al riparto di
competenze con lo Stato solo quando tale violazione comporti un’incidenza
diretta o indiretta sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni
stesse (sentenze n.
270 e n. 50
del 2005, n.
287 e n. 286
del 2004; n.
303 del 2003). Nel caso di specie, le ricorrenti si limitano a lamentare la
violazione dei princípi di uguaglianza e
ragionevolezza senza dedurre l’incidenza di
tale violazione sulle competenze regionali.
12.5.4. –
La questione non è fondata.
Non sussiste, infatti,
l’invocata competenza regionale, ma - come si è visto - l’esclusiva competenza
statale in materia di tutela dell’ambiente, con la conseguenza che il
legislatore statale è legittimato ad allocare le competenze amministrative.
13. – Le Regioni Calabria
(ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del
2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e
Marche (ricorso n. 79 del 2006) censurano, sotto diversi profili, diversi commi
dell’art. 149.
13.1. – Il comma 1 di detto articolo, il quale prevede la predisposizione e
l’aggiornamento del piano d’àmbito da parte dell’autorità d’àmbito,
è censurato dalla Regione Calabria in riferimento agli
artt. 117 e 118 Cost., perché disciplina «l’esercizio delle funzioni
amministrative spettanti agli enti infra-statuali».
La stessa ricorrente censura, in riferimento agli
stessi parametri, anche i commi da
Le questioni non sono fondate.
La ricorrente, che pure non specifica a quali «enti infra-statuali» si riferisce la
censura relativa al comma 1 dell’art. 149, si duole, da un lato,
dell’intervento legislativo dello Stato in mancanza di un titolo competenziale (art. 117 Cost.), dall’altro,
dell’allocazione all’autorità d’àmbito delle funzioni
amministrative di pianificazione (art. 118 Cost.), con la conseguenza
dell’illegittimità costituzionale anche dei successivi commi da
In relazione al primo parametro costituzionale evocato, si deve
rilevare che l’attività pianificatoria disciplinata
dal denunciato art. 149 deve essere ricondotta alla materia della tutela della
concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, perché è
strettamente funzionale alla gestione unitaria del servizio e ha, perciò, lo
scopo di consentire il concreto superamento della frammentazione della gestione
delle risorse idriche, al fine di inserire armonicamente tale gestione in un piú ampio quadro normativo diretto alla razionalizzazione
del mercato del settore.
In relazione all’art. 118 Cost., secondo parametro costituzionale
evocato, si deve rilevare che, data l’organizzazione del servizio in àmbiti territoriali ottimali gestiti ciascuno da
un’autorità d’àmbito, il livello piú
adeguato a cui allocare le funzioni amministrative di pianificazione è proprio
quello dell’autorità d’àmbito medesima, cui
partecipano obbligatoriamente i Comuni e le Province ai sensi dell’art. 148,
comma 1, e non quello di non meglio identificati «enti infra-statuali».
All’insussistenza dell’illegittimità costituzionale
del comma 1 consegue l’insussistenza della denunciata
illegittimità derivata dei commi da
13.2. – Il comma 6
dell’art. 149 è censurato dalle Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006),
Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria
(ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006).
La disposizione stabilisce
che «Il piano d’ambito è trasmesso entro dieci giorni dalla delibera di
approvazione alla regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio» e che «L’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti
può notificare all’Autorità d’ambito, entro novanta giorni decorrenti dal
ricevimento del piano, i propri rilievi od
osservazioni, dettando, ove necessario, prescrizioni concernenti: il programma
degli interventi, con particolare riferimento all’adeguatezza degli
investimenti programmati in relazione ai livelli minimi di servizio individuati
quali obiettivi della gestione; il piano finanziario, con particolare
riferimento alla capacità dell’evoluzione tariffaria di garantire l’equilibrio
economico finanziario della gestione, anche in relazione agli investimenti
programmati».
Le ricorrenti sostengono che il menzionato comma 6 víola: a) l’art. 76 Cost. e,
quale parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale:
(a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino, coordinamento e
integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non
permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione di «carattere
innovativo»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra
l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali fissate dal decreto
legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di
funzioni amministrative all’Autorità di vigilanza «in contrasto con i disposti
di cui al d.lgs. n. 112/1998», dal cui art. 88 «non si ricavano elementi in
grado di includere le funzioni affidate all’Autorità di vigilanza fra i
"compiti di rilievo nazionale” di cui l’articolo si occupa» (ricorsi n. 72 e n.
74 del 2006); b) l’art. 117, secondo e quarto comma,
Cost., perché prevede, nella sostanza, «un potere di controllo nei
confronti della "Autorità d’ambito territoriale ottimale” affidato alla
"Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti”, organismo i cui
componenti, ex art. 159 dello stesso d.lgs. n. 152/2006, sono largamente
espressione statale» e, pertanto, incide su «ambiti
certamente estranei alle materie di cui all’art. 141, comma 1, d.lgs. n.
152/2006 (oltre che ovviamente alle altre materie di cui all’art. 117, secondo
comma Cost.)», con conseguente carenza di alcun titolo che legittimi
l’intervento legislativo statale (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); c) l’art.
118, primo comma, Cost., in quanto: (c.1.) attribuisce all’Autorità di
vigilanza «funzioni amministrative di controllo e prescrittive in assenza di
reali motivi che ne giustifichino un’attrazione a livello statale»; (ricorsi n.
72 e n. 74 del 2006); (c.2.) lede le «potestà di controllo regionali, che nel
caso della Regione Umbria sono già state disciplinate dall’art. 12 della legge
regionale 5 dicembre 1997, n. 43» (ricorso n. 72 del 2006); d) in subordine
alle censure sub b) e c), gli artt. 117 e 118 Cost., perché
«un’attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di controllo]
ad opera dello Stato potrebbe essere consentita – ricorrendone i presupposti
sostanziali (cosa che non è nel presente caso) – previo reale coinvolgimento
delle regioni nell’esercizio del potere, in ossequio al principi indicati con
la nota sentenza
n. 303/2003 della Corte cost.» (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); e) l’art. 117, terzo comma, Cost., perché incide, in parte, sulla materia, di potestà
legislativa concorrente regionale, del «governo del territorio», dettando
disposizioni di dettaglio (ricorso n. 69 del 2006); f) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché prevede un
potere di controllo da parte dell’Autorità di vigilanza, che «presenta una
composizione fortemente sbilanciata a favore dei rappresentanti ministeriali» e
pertanto incide, in parte, sulla materia dei «servizi
pubblici locali», di potestà legislativa residuale regionale (ricorso n.
69 del 2006); g) gli artt. 117, terzo e quarto comma,
Cost., in quanto, se «le finalità del controllo consentono di ricondurre
l’attività in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia
del governo del territorio (programma degli investimenti)», il controllo
«previsto dalla disposizione in esame non appare giustificabile né in relazione
alla materia dei servizi pubblici locali, (non venendo qui in rilievo, stante
quanto esposto in relazione all’art. 148, comma 5 profili attinenti alla
"tutela della concorrenza” né in relazione alla materia del "governo del
territorio” dove lo Stato deve limitarsi a dettare i principi fondamentali)»
(ricorso n. 79 del 2006); h) non precisati parametri
costituzionali, perché prevede, nella sostanza, «un potere di controllo
nei confronti della "Autorità d’ambito territoriale ottimale” affidato alla
"Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti”, organismo i cui
componenti, ex art. 159 dello stesso d.lgs. n. 152/2006, sono largamente
espressione statale» e detta una «disciplina
procedurale assai dettagliata» (ricorso n. 68 del 2006).
13.2.1. – Preliminarmente deve essere dichiarata
cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni sopra indicate alle lettere a.2.), b), c), d), f), g), h), che si
riferiscono in via esclusiva alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle
risorse idriche e sui rifiuti, perché quest’ultima – come visto sopra sub 12.4.1.
– è stata abolita dall’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 284 del 2006 e non è mai
entrata in funzione.
A tale conclusione non può opporsi – come fa la
ricorrente Regione Marche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza –
che vi sarebbe il trasferimento delle promosse questioni sulla normativa attualmente vigente in materia, introdotta dal d.lgs. n. 4
del 2008, art. 2, comma 15, il quale, riformando l’art. 161 del d.lgs. n. 152
del
13.2.2. – Delle questioni che residuano, quella sub
a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento
all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul
presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto
alla legislazione previgente - non è fondata.
Infatti, il presupposto delle ricorrenti è erroneo,
perché, nel caso di specie, la legge di delega consente l’innovazione, nei
limiti di quanto già osservato al punto 12.5.2.
13.2.3. – Con la questione sub e), si
denuncia – come visto – l’art. 149, comma
La censura è formulata in modo assai ampio, cosí da ricomprendere sia il profilo relativo
all’Autorità di vigilanza, sia quello relativo alla trasmissione della
delibera di approvazione del piano d’àmbito alla
Regione e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
Quanto al primo profilo, deve essere dichiarata
cessata la materia del contendere, in forza di quanto osservato al punto 13.2.1.
Quanto al secondo profilo,
la questione non è fondata, perché - analogamente a quanto visto al punto
12.4.1. - la trasmissione del piano d’àmbito alla
Regione e al Ministero rientra fra i normali obblighi informativi, che possono legittimamente
essere fissati dalla legge statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma,
lettera r), Cost.
14. – Le Regioni Calabria
(ricorso n. 68 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) ed Emilia-Romagna
(ricorso n. 73 del 2006) censurano, sotto vari
profili, diversi commi dell’art. 150.
14.1. – L’intero articolo è censurato dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006), la quale lamenta che esso - nel disciplinare la forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso e, in particolare, nel rinviare a tal fine al disposto dell’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) - víola l’art. 117 Cost., perché si basa «essenzialmente sulla disciplina dell’art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000», con la duplice conseguenza che «dimostra chiaramente l’intento dilatatorio perseguito dal legislatore statale relativamente alle competenze di cui è titolare» e che l’esclusione di ogni rilievo della "tutela della concorrenza” nel settore che ci occupa configura […] come improponibile una recezione della normativa dal precitato art. 113».
La questione non è fondata.
La censura prospettata dalla ricorrente Regione
Calabria è sostanzialmente diretta a negare la riconducibilità della norma alla
materia della tutela della concorrenza, di competenza
legislativa esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost.
Tuttavia, al riguardo, va rilevato che il richiamo
ai commi 5 e 7 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del
2000, effettuato dalla norma censurata, esprime la chiara volontà del
legislatore di disciplinare aspetti generali attinenti alla tutela della
concorrenza, quali la forma di gestione e le procedure di affidamento del
servizio idrico integrato. In particolare, il comma 5
dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede che «L’erogazione del servizio
avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa
dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio: a)
a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con
procedure ad evidenza pubblica; b) a società a capitale misto pubblico
privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di
gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto
delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di
indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o
circolari specifiche; c) a società a capitale interamente pubblico a
condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi e che la società realizzi la parte piú
importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la
controllano». Il comma 7 dello stesso art. 113 del
d.lgs. n. 267 del
Tali regole sono dirette ad assicurare la
concorrenzialità nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le
modalità del suo conferimento e i requisiti soggettivi
del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l’efficienza,
l’efficacia e l’economicità della gestione medesima. In questo quadro, anche il
superamento della frammentazione della gestione, perseguito attraverso
l’affidamento unitario di quest’ultima in àmbiti
territoriali ottimali, concorre alla piena realizzazione di tali finalità. La
riconducibilità della norma censurata alla materia della tutela della
concorrenza è, del resto, confermata dalla formulazione letterale del comma 1 dello stesso art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale
prevede espressamente che le disposizioni che «disciplinano le modalità di
affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali», come quelle di cui ai
commi 5 e 7 dello stesso articolo, «concernono la tutela della concorrenza […]»
(come anche rilevato da questa Corte con la sentenza n. 272 del
2004).
14.2. –
La questione sub a)
è inammissibile, perché oscura.
Infatti, la ricorrente muove dalla generica e
indimostrata premessa che la norma censurata abbia "consolidato” «precedenti
atti ministeriali», senza spiegare in cosa consista tale "consolidazione” e
quali siano tali atti ministeriali. Da ciò fa derivare, quale effetto,
l’«attrazione completa nell’ambito di attività amministrativa ministeriale di
tutta la disciplina relativa alla gestione del
servizio», senza chiarire quale rapporto vi sia fra premessa e conseguenza. Da tale asserita «attrazione» fa derivare, poi, la lesione degli
evocati parametri costituzionali, senza chiarirne le ragioni. E ciò, a
prescindere dalla considerazione che la censura, ove interpretata nel senso che
sia diretta a negare la riconducibilità della norma alla materia della tutela
della concorrenza, sarebbe comunque infondata, perché - come si è visto sub
14.1. - il richiamo ai commi 5 e 7 dell’art. 113 del
d.lgs. n. 267 del 2000 effettuato dal legislatore esprime la sua volontà di
disciplinare aspetti generali attinenti alla tutela della concorrenza, quali la
forma di gestione e le procedure di affidamento del servizio idrico integrato.
La questione sub b) non è fondata.
14.3. –
Riguardo a tali questioni, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.
Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, infatti, la ricorrente afferma di non avere piú interesse alle questioni relative alla previsione del principio dell’unicità della gestione, sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell’unitarietà della gestione, già fissato, secondo la ricorrente, dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale. Trova applicazione, pertanto, l’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita - come nella specie - o non si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
14.4.
–
La ricorrente sostiene che la disposizione víola: a) l’art. 76 Cost. e, quale parametro interposto, la
legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il
Governo è delegato ad adottare […] uno o piú
decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle
disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette
l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (a.2.)
stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni
regionali e degli enti locali fissate dal decreto legislativo n. 112 del 1998
(art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di funzioni amministrative
all’Autorità d’àmbito in contrasto con l’art. 88 dello
stesso d.lgs. n. 112 del 1998, il quale «non riserva […] al livello di governo
statale il compito di disciplinare le modalità ed i termini per
l’aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato»; b) l’art. 117,
secondo e quarto comma, Cost., perché, riservando al livello statale la
determinazione delle modalità e dei termini di aggiudicazione, lede i princípi di proporzionalità e di adeguatezza che connotano
l’esercizio della potestà legislativa statale in materia di tutela della
concorrenza e, pertanto, opera un’illegittima compressione della competenza
legislativa regionale; c) l’art. 117, sesto comma, Cost. perché demanda la
disciplina delle modalità e dei termini dell’aggiudicazione ad un atto
ministeriale che, al di là del nomen juris utilizzato, ha natura regolamentare ed interviene
nella materia di potestà legislativa regionale dei «servizi pubblici locali».
14.4.1. – La questione sub a.1.) - con la
quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il
carattere innovativo della disposizione censurata - non è fondata.
Il presupposto interpretativo delle ricorrenti è,
infatti, erroneo, perché – come già osservato ai punti 12.5.2. e 13.2.2. – la
legge di delegazione consente, nel caso di specie, l’innovazione.
14.4.2. – A prescindere da quanto affermato nella sentenza di questa
Corte n. 225 del 2009 circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998
quale criterio direttivo della legge di delegazione, deve rilevarsi che anche
la questione sub a.2.) - con la quale si lamenta, sempre in riferimento all’art. 76 Cost., la violazione dell’art. 88
di tale decreto legislativo - non è fondata.
Infatti, l’art. 88 del
d.lgs. n. 112 del 1998 non preclude che la legge statale attribuisca
all’autorità d’àmbito le funzioni amministrative in
tema di aggiudicazione. Infatti, detto articolo, al comma 1,
lettera h), fa espressamente rientrare, fra i «compiti di rilievo
nazionale» attribuiti allo Stato, quelli relativi «ai criteri per la gestione
del servizio idrico integrato come definito dall’articolo 4 della legge 5
gennaio 1994, n. 36»; e non vi è dubbio che tra tali criteri rientri quello
relativo all’aggiudicazione della gestione, che è un tipico strumento di tutela
della concorrenza.
14.4.3. – È parimenti non fondata la questione sub
b), con la quale si lamenta, in riferimento all’art.
117, secondo e quarto comma, Cost., che la riserva a livello statale della
determinazione delle modalità e dei termini di aggiudicazione víola i princípi di
proporzionalità e di adeguatezza che connotano l’esercizio della potestà
legislativa statale in materia di tutela della concorrenza e opera
un’illegittima compressione della competenza legislativa regionale.
Infatti, l’aggiudicazione, essendo lo strumento
attraverso il quale si realizza l’affidamento del servizio, rientra a pieno
titolo - come si è visto ai punti 14.1. e 14.2. - nella materia della
tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale.
14.4.4. – La questione sub c) - con la quale
si lamenta, in riferimento all’art. 117, sesto comma,
Cost., che lo Stato non ha potestà regolamentare per la disciplina delle
modalità e dei termini dell’aggiudicazione - è anch’essa non fondata.
Infatti, la disciplina dell’aggiudicazione rientra –
come appena osservato – nella materia della tutela della concorrenza, di
competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che
quest’ultimo ha, nella specie, potestà regolamentare,
proprio ai sensi dell’evocato parametro.
15. – La sola Regione Calabria (ricorso n. 68 del
2006) censura l’art. 151 – recante la rubrica «Rapporti tra autorità d’ambito e soggetti gestori del
servizio idrico integrato» – in riferimento all’art. 117 Cost., perché
costituisce «prosieguo logico e specificazione» dell’art. 150 e quindi è
illegittimo per effetto dell’illegittimità di tale ultima disposizione.
La questione non è fondata.
Infatti, la denunciata illegittimità non sussiste,
perché essa deriverebbe – nella prospettazione della
ricorrente – dall’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale
relative all’art. 150, che sono state, invece, rigettate.
16. – L’art. 153 è censurato dalle Regioni Calabria
(ricorso n. 68 del 2006) e Umbria (ricorso n. 72 del 2006), rispettivamente,
nel suo complesso e nel comma 1.
La disposizione – la cui rubrica recita «Dotazioni dei
soggetti gestori del servizio idrico integrato» – prevede che: a) «Le
infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo
143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della
gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i
relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo
disciplinare» (comma 1); b) «Le immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico integrato, ivi compresi gli
oneri connessi all’ammortamento dei mutui oppure i mutui stessi, al netto degli
eventuali contributi a fondo perduto in conto capitale, e/o in conto interessi,
sono trasferiti al soggetto gestore, che subentra nei relativi obblighi. Di
tale trasferimento si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine
di garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica» (comma 2).
16.1. –
La questione non è fondata.
La censura è sostanzialmente diretta a negare la
riconducibilità del comma 1 dell’art. 153 alle materie
di competenza legislativa esclusiva statale, di cui all’art. 117, secondo
comma, Cost. La disciplina della dotazione dei gestori del
servizio idrico integrato recata dalla norma, diversamente da quanto ritenuto dalla
ricorrente, è riconducibile in prevalenza alla competenza legislativa esclusiva
statale. La disposizione censurata, infatti, nel
riferirsi alle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali, che sono
beni senza dubbio funzionali alla gestione del servizio idrico quale servizio
pubblico locale, esclude in radice l’onerosità della concessione d’uso di tali
infrastrutture al gestore del servizio ed incide,
perciò, sulla tipologia contrattuale. Essa attiene, dunque,
all’esercizio dell’autonomia negoziale in tema di concessioni-contratto e deve
perciò essere ricondotta, secondo un criterio di prevalenza, alla materia
dell’ordinamento civile, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost. e, quindi, all’esclusiva sfera di competenza legislativa dello Stato (ex
plurimis, sentenze n. 160 del 2009,
n. 411 del 2008,
n. 95 del 2007,
n. 234 e n. 50 del 2005,
n. 282 del 2004).
16.2.
–
16.2.1. – La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata, sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.
Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo,
perché – come già osservato ai punti 12.5.2., 13.2.2.
e 14.4.1. – la legge di delegazione consente, nel caso di specie,
l’innovazione.
16.2.2. – Con la questione sub
a.2.), anch’essa proposta in riferimento all’art.
76 Cost., la ricorrente sostiene che l’affidamento a titolo gratuito delle
infrastrutture idriche degli enti locali determinerebbe un maggiore onere per
la finanza di detti enti, in contrasto con il criterio direttivo previsto
dall’art. 1, comma 1, della legge di delegazione.
La questione non è fondata.
Il carattere generale e
complessivo del criterio direttivo dell’invarianza degli oneri finanziari di
cui all’art. 1, comma 1, della legge di delegazione n.
308 del 2004 implica una valutazione dell’incidenza finanziaria del servizio
che sia complessiva e non - come sostiene la ricorrente - riferita al singolo atto
concessorio. Conferma questa conclusione la
circostanza che il successivo comma 2 dell’art. 153 –
nel prevedere che al gestore sono trasferite tutte le passività del servizio
idrico integrato, subentrandone nei relativi obblighi – impone che di tale trasferimento
debba tenersi conto nella determinazione della tariffa, proprio «al fine di
garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica», valutata nel suo
complesso. La ricorrente avrebbe dovuto, perciò, specificare in che termini la
gratuità prevista dalla disposizione censurata incida sull’onere finanziario
complessivo del servizio idrico integrato in modo da determinare un effettivo
maggiore onere per la finanza pubblica e non limitarsi ad affermare che detta
gratuità determina di per sé un maggiore onere per la finanza pubblica.
16.2.3. – Anche la questione
sub b) - proposta in riferimento all’art. 117,
quarto comma, Cost. e diretta a
negare la riconducibilità del comma 1 dell’art. 153 alle materie di competenza
legislativa esclusiva statale - non è fondata.
Vale sul punto quanto già osservato sub 16.1., e cioè che la disciplina censurata è riconducibile in prevalenza alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
16.2.4. – La questione sub
c.1.) - con la quale si deduce, in riferimento
all’art. 3 Cost., l’irragionevolezza della concessione gratuita delle
infrastrutture ai gestori del servizio idrico integrato - è del pari non
fondata.
Essa presenta, infatti,
evidenti profili di analogia con la questione sub a.2.), la quale riguarda
la legittimità del maggior onere per la finanza pubblica dovuto alla gratuità
della concessione, perché si basa sull’asserito irragionevole onere che
subirebbero le finanze degli enti locali in conseguenza del venir meno
dell’introito derivante dalle concessioni d’uso delle infrastrutture idriche.
Vale, pertanto, anche in questo caso quanto già osservato al punto 16.2.2.
circa il carattere generale e complessivo del criterio direttivo
dell’invarianza degli oneri finanziari di cui all’art. 1,
comma 1, della legge di delegazione n. 308 del 2004. Proprio tale carattere
generale e complessivo esclude la lamentata irragionevolezza, perché tiene in
debito conto – come visto – l’esigenza di garantire l’invarianza degli oneri
per la finanza pubblica.
16.2.5. – La questione sub
c.2.) - con cui si contesta, sempre in relazione all’art
3 Cost., la retroattività della gratuità della concessione rispetto agli
affidamenti già in essere - è parimenti non fondata.
Infatti, la norma censurata
fa riferimento, per la sua applicazione, al contenuto della convenzione e del
disciplinare di affidamento al gestore del servizio idrico integrato e, dunque,
si applica alle concessioni nuove o rinnovate e non a quelle già in essere; si
applica cioè ai soli «nuovi affidamenti», regolati dal comma 2
dell’art. 172.
17. – Le ricorrenti, con
l’esclusione della Regione Piemonte, censurano, sotto diversi profili, l’art.
154. Le questioni relative al complesso dell’art. 154
riguardano anche il successivo art. 155, con l’esclusione di quelle poste dalla
Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e di quella posta, in riferimento
all’art. 76 Cost., dalla Regione Basilicata (ricorso n. 80 del 2006) e
riportata al punto 17.2.2.
Il denunciato art. 154 Cost., concernente la «Tariffa del servizio idrico integrato», per quanto qui interessa, dispone che: a) «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga”» (comma 1, primo periodo); b) «Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo» (comma 1, secondo periodo); c) «Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua» (comma 2); d) «Al fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresí riduzioni del canone nell’ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate.» (comma 3, primo periodo); e) «L’Autorità d’ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell’osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio» (comma 4); f) «La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare.» (comma 5); g) «Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali» (comma 6).
Nell’àmbito della tariffa del servizio idrico integrato, l’art.
155 disciplina, in particolare,
la quota tariffaria riferita ai servizi di fognatura e depurazione.
17.1.
– Preliminarmente, va rilevato che
Cosí argomentando,
17.2. – Gli artt. 154 e 155 sono impugnati da alcune delle ricorrenti in riferimento all’art. 76 Cost.
17.2.1.
– In particolare,
La questione è inammissibile, perché generica. La ricorrente non chiarisce, infatti, quali princípi della legge di delegazione siano violati.
17.2.2. – Sempre in riferimento all’art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del 2006); il solo art. 154 è invece censurato dalle Regioni Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Basilicata (ricorso n. 80 del 2006).
Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la
legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale, all’art. 1,
comma 8, alinea, vincola il legislatore delegato al rispetto del riparto delle
competenze amministrative fra Stato, Regioni ed enti locali «come definite ai
sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112». In particolare, la lamentata
violazione deriverebbe dal fatto che la norma denunciata, nel determinare la
tariffa del servizio idrico integrato, interviene in materie appartenenti alla sfera di competenza amministrativa delle Regioni e degli
enti locali.
La questione è inammissibile, perché le ricorrenti -
nel limitarsi a riportare parti del testo dell’art. 1,
comma 8, della legge di delegazione - non specificano quali siano, in concreto,
le attribuzioni amministrative asseritamente lese. E ciò a prescindere da ogni considerazione circa l’applicabilità
del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione
(su cui, sentenza
n. 225 del 2009).
17.2.3. – Sempre con riferimento all’art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del 2006); il solo art. 154 è censurato dalla Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006).
Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale, all’art. 1, comma 8, lettera d), stabilisce che il legislatore delegato deve conformarsi al criterio direttivo dello «sviluppo e coordinamento, con l’invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 del Consiglio, nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere piú efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali».
La questione è inammissibile, perché generica.
Le ricorrenti, infatti, si limitano a riportare il
contenuto del principio della legge di delega che
assumono violato, senza chiarire né la ragione per cui un corrispettivo, quale
la tariffa del servizio idrico integrato, possa essere ricondotto al novero
degli incentivi o disincentivi finanziari o fiscali cui fa riferimento il
principio stesso, né, conseguentemente, in quale modo la determinazione della
tariffa ecceda tale principio.
17.2.4. – Ancora con riferimento all’art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Campania (ricorso n. 78 del 2006) e Basilicata (ricorso n. 80 del 2006); il solo art. 154 è censurato dalla Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006).
Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la
legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale non prevedrebbe «l’introduzione ex novo dell’imposta in questione», cioè della
tariffa del servizio idrico integrato.
La questione non è fondata.
Le ricorrenti muovono dal presupposto interpretativo
che la tariffa disciplinata dalle norme censurate sia un tributo e, in
particolare, un’imposta. Tale presupposto è erroneo. Questa Corte, infatti, con
la sentenza n.
335 del 2008, ha precisato che detta tariffa ha natura non tributaria, ma
di «corrispettivo contrattuale», come, del resto, espressamente statuito dallo
stesso comma 1 dell’art. 154. Il legislatore delegato,
pertanto, non ha introdotto alcun tributo e, quindi, non ha ecceduto
dall’oggetto della delega.
17.3. – Gli artt. 154 e 155 sono denunciati dalle
Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del
2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del 2006), in riferimento all’art. 3 Cost., perché non sarebbero
coerenti con l’evoluzione della stessa legislazione statale, omettendo di
indicare, tra i criteri per la determinazione della tariffa del servizio idrico
integrato, gli obiettivi di miglioramento della produttività, invece previsti
dall’art. 13 della legge n. 36 del 1994.
La questione è inammissibile.
Come già osservato al punto 12.5.3.,
le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali
non relative al riparto di competenze con lo Stato solo quando tale violazione
comporti un’incidenza diretta o indiretta sulle competenze attribuite dalla
Costituzione alle Regioni stesse. Nel caso di specie, le ricorrenti si limitano
a lamentare la violazione del principio di ragionevolezza da parte della norma censurata,
senza dedurre l’incidenza di tale violazione sulle competenze regionali.
17.4. – L’incidenza degli artt. 154 e 155 sulle
competenze legislative delle Regioni è oggetto delle censure formulate, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., dalle
Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Calabria (ricorso n. 68 del
2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006),
Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Puglia (ricorso n. 76 del 2006), Campania
(ricorso n. 78 del 2006) e Basilicata;
In particolare, si lamenta la violazione: a) degli artt. 117 e 118 Cost., come interpretati dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 335 del 2005, perché «la determinazione
della tariffa di un servizio rientra, evidentemente, negli aspetti di pura
gestione dello stesso, e dunque non può non tradursi in una normativa di minuto
dettaglio (sul presupposto – che si è qui fatto proprio, peraltro solo per
ipotesi – che si versi in un ambito materiale comunque riconducibile alla
competenza trasversale dello Stato)» (ricorso n. 68 del 2006); b) dell’art.
117, quarto comma, Cost., perché le norme censurate prevedono «poteri
ministeriali sovraordinati a quelli delle regioni» e,
pertanto, incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia
di servizi pubblici locali (ricorsi nn. 56, 69, 72, 74 [censura riferita al solo art. 154], 75,
78, 80 del 2006); c) dell’art. 117, quarto comma, Cost., perché le norme
denunciate – non attenendo né alla tutela dell’ambiente di cui alla lettera s)
del primo comma, dell’art. 117 Cost., né al sistema tributario e contabile
dello Stato, di cui alla lettera e) dello stesso comma – incidono sulla competenza
legislativa residuale regionale (ricorso n. 76 del 2006); d) dell’art. 119,
primo e secondo comma, Cost., perché le norme denunciate incidono su un’entrata
la cui disciplina ricade nell’àmbito della competenza
regionale e, perciò, ledono l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni
(ricorsi nn. 56, 68, 69, 72, 74 [censura riferita al
solo art. 154], 75, 78 del 2006).
Le questioni non sono fondate.
La dedotta violazione delle competenze regionali non
sussiste, perché la disciplina degli artt. 154 e 155 è ascrivibile, in
prevalenza, alla tutela dell’ambiente e alla tutela
della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Attraverso la determinazione della tariffa nell’àmbito
territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli
uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di
garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse
idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e «le aspettative
ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio
ambientale» e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt.
144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico)
e 146 (Risparmio idrico). La finalità della tutela dell’ambiente viene,
inoltre, in rilievo anche in relazione alla scelta
delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare. Tra tali costi
il legislatore ha, infatti, incluso espressamente quelli ambientali, da
recuperare «anche secondo il principio "chi inquina paga”» (art. 154, comma 2). I profili della tutela della concorrenza vengono poi in
rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’àmbito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario
della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed
affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e).
Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price
cap (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua
posizione dominante (sentenze nn. 335 e 51 del 2008).
17.5. –
La questione non è fondata.
La ricorrente muove dal presupposto che la tariffa
disciplinata dalle norme censurate sia un tributo. Tale presupposto è erroneo,
perché – come visto al punto 17.2.4. – la tariffa ha natura di corrispettivo e
non di tributo.
17.6. –
Le questioni non sono fondate.
La ricorrente lamenta, in sostanza, che lo Stato non
ha potestà regolamentare per la disciplina della tariffa del servizio idrico
integrato. Come visto al punto 17.4., la disciplina
contenuta nell’art. 154 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela della
concorrenza e alla tutela dell’ambiente, materie di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, con la conseguenza che quest’ultimo ha, nella specie,
potestà regolamentare ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., senza che
vengano in rilievo esigenze di leale collaborazione.
17.7. – Oltre a censurare l’intero art. 154,
17.7.1. – La questione sub a) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata, sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.
Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo,
perché – come già osservato ai punti 12.5.2., 13.2.2.,
14.4.1 e 16.2.1. – la legge di delegazione consente, nel caso di specie,
l’innovazione.
17.7.2. – Non è fondata neppure la questione sub
b), con la quale si prospetta la lesione delle
competenze legislative esclusive regionali.
Infatti, come già osservato al punto 17.4., la disciplina contenuta nell’art. 154 è ascrivibile, in
prevalenza, alla tutela della concorrenza e alla tutela dell’ambiente, cioè a
materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Non sussiste,
pertanto, la lamentata lesione della sfera di competenza
legislativa della Regione.
18. – La sola Regione Calabria (ricorso n. 68 del
2006) censura l’art. 156, il quale disciplina le modalità di riscossione della
tariffa da parte del gestore del servizio idrico integrato. La ricorrente
deduce che tale disposizione víola gli artt. 117 e 118 Cost., perché incide «su un
aspetto di ulteriore dettaglio rispetto a quanto
previsto negli artt. 154 e 155».
La questione non è fondata.
L’attività di riscossione della tariffa rappresenta,
infatti, uno dei profili essenziali della disciplina di
quest’ultima, che è a sua volta riconducibile alle materie della tutela della
concorrenza e della tutela dell’ambiente, di esclusiva competenza legislativa
statale.
19. – Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006),
Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006) ed
Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censurano agli
artt. 159 e 160, i quali istituiscono e disciplinano l’Autorità di vigilanza
sulle risorse idriche e sui rifiuti.
19.1. – L’art. 159 è censurato: a) in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Calabria ed
Emilia-Romagna; b) in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione
Emilia-Romagna; c) in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni
Calabria, Emilia-Romagna e Marche; d) in riferimento al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Calabria e Toscana.
Il comma 4 dell’art. 159 è
specificamente censurato dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di
leale collaborazione.
L’art. 160 è censurato: a) in
riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna; b) in
riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna; c) in riferimento
agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni Calabria, Umbria ed Emilia-Romagna;
d) in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana e
Marche.
19.2. – Deve essere dichiarata cessata la materia
del contendere in relazione a tutte le questioni
aventi ad oggetto gli artt. 159 e 160.
Infatti, dette disposizioni
sono state abrogate dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs.
8 novembre 2006, n. 284 e non hanno mai avuto applicazione perché l’Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, da esse disciplinata, non è mai
entrata in funzione, come ricordato ai punti 12.4.1. e 13.2.1.
A tale conclusione non può opporsi – come fa la
ricorrente Regione Marche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza –
che le promosse questioni dovrebbero ritenersi trasferite
sull’art. 161, comma 2, attualmente vigente e introdotto dal comma 15
dell’art. 2 del d.lgs. n. 4 del 2008, il quale, riformando l’art. 161 del
d.lgs. n. 152 del
20. – Le Regioni Umbria (ricorso n. 72 del 2006) ed
Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) impugnano,
rispettivamente, il comma 4 e il comma 1 dell’art. 166.
20.1. – L’art. 166, comma 1,
stabilisce che: a) «I consorzi di bonifica ed
irrigazione, nell’ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e
gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in
agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti
funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti
autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di
utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che
comportino la restituzione delle acque siano compatibili con le successive
utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e
l’approvvigionamento di imprese produttive» (primo periodo); b) «L’Autorità di
bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso
tale termine, la domanda si intende accettata» (secondo e terzo periodo); c)
«Per tali usi i consorzi sono obbligati al pagamento dei relativi canoni per le
quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le
disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 36
del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti
elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775» (quarto
periodo).
20.1.1. – La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.
Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo,
perché – come già osservato ai punti 12.5.2., 13.2.2.,
14.4.1, 16.2.1. e 17.7.1. – la legge di delegazione consente, nel caso di
specie, l’innovazione.
20.1.2. – La questione sub a.2.) è inammissibile, perché generica.
La ricorrente evoca a parametro l’art. 76 Cost.,
affermando che la norma denunciata víola la legge di delegazione, perché non rispetta le
attribuzioni regionali e degli enti locali disciplinate dagli artt. 88 e 89 del
d.lgs. n. 112 del 1998. Tali disposizioni hanno un contenuto eterogeneo, in quanto prevedono dettagliati elenchi di attribuzioni il
cui rapporto con le attribuzioni dei consorzi di bonifica avrebbe dovuto essere
chiarito e specificato dalla ricorrente. Quest’ultima, invece, non individua
quali tra dette attribuzioni siano state violate, né chiarisce le ragioni
dell’affermata violazione. Non individua, quindi, in modo sufficientemente
specifico il denunciato eccesso di delega. E ciò a
prescindere da ogni considerazione circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del
1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione (su cui, sentenza n. 225 del
2009).
20.1.3. – Con la questione sub b), la
ricorrente lamenta, in riferimento all’art. 117,
quarto comma, Cost., che la norma censurata reca una disciplina del
procedimento amministrativo in materie di competenza legislativa residuale
regionale. In particolare, oggetto della doglianza è il fatto
che l’eventuale «utilizzazione delle acque fluenti nei canali e nei cavi
consortili per usi che comportino la restituzione delle
acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni» da parte dei
consorzi di bonifica ed irrigazione sia sottoposta all’autorizzazione
dell’Autorità di bacino, che non è un ente regionale.
La questione non è fondata.
L’autorizzazione
dell’Autorità di bacino è connessa alla funzione di difesa del suolo svolta da tale ente (disciplinata dai precedenti artt. 62 e 63),
perché è diretta a verificare che gli usi delle acque d’irrigazione regolati dalla
norma censurata ne consentano l’effettiva restituzione e la successiva
utilizzazione. Sotto tale profilo, l’intervento autorizzatorio
dell’Autorità di bacino mira a garantire la realizzazione delle finalità,
riconducibili alla tutela dell’ambiente ed espresse, in particolare, dall’art. 63, comma 5, lettere b) e c), della difesa del
suolo, della lotta alla desertificazione, della tutela delle acque e gestione
delle risorse idriche, del controllo sull’impatto delle attività umane sullo
stato delle acque (sentenza n. 232 del
2009). La disposizione denunciata attiene, dunque, alla materia della
tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
20.1.4. – Con la questione sub c), la ricorrente lamenta, in riferimento all’art. 118, primo comma, Cost., che la norma censurata reca una disciplina del procedimento amministrativo in materie di competenza legislativa residuale regionale. In particolare, oggetto della doglianza è il fatto che l’eventuale «utilizzazione delle acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni» da parte dei consorzi di bonifica ed irrigazione sia sottoposta all’autorizzazione dell’Autorità di bacino, che non è un ente regionale.
La questione non è fondata.
Infatti, come affermato da
questa Corte nella sentenza n. 232 del
2009, le esigenze unitarie connesse alla rilevanza ambientale delle
funzioni di difesa del suolo e tutela della risorsa idrica giustificano
l’attribuzione della funzione autorizzatoria proprio
all’Autorità di bacino, che è l’ente nel quale si concentrano le piú rilevanti competenze in
materia.
20.2. – L’art. 166, comma 4, stabilisce che «Il contributo di cui al comma 3 [e
cioè il contributo che deve essere versato al consorzio da "chiunque, non
associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o
acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con
l’uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura”] è determinato
dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente
alle modalità di versamento».
20.2.1. – La questione sub a) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.
In primo luogo va osservato che la disposizione
censurata non è innovativa. Già la legge n. 36 del 1994 - i cui princípi fondamentali sono assunti
dalla legge di delegazione (art. 1, comma 9, lettera b) quali
criteri direttivi - prevedeva, all’art. 27, comma 3, un principio analogo a
quello stabilito dalla norma censurata, e cioè che «Chiunque, non associato ai
consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue
come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l’uso irriguo,
provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, deve contribuire alle spese
consortili in proporzione al beneficio ottenuto». In particolare, la norma
censurata, nel tener fermo il suddetto principio, si limita a specificare che
il contributo «è determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto
utilizzatore».
In secondo luogo, comunque, il ricorso muove da un
presupposto interpretativo erroneo, perché la legge di delegazione consente,
nel caso di specie, l’innovazione, come già osservato, da ultimo, al punto
20.1.1.
20.2.2. – Con la questione sub b), la ricorrente afferma che la norma censurata,
nell’attribuire al consorzio interessato la determinazione del contributo
consortile in esame, víola la competenza legislativa
residuale regionale a disciplinare gli enti locali e, dunque, l’art. 117,
quarto comma, Cost.
Anche tale questione non è fondata.
La norma censurata integra, quanto alla determinazione
dell’ammontare, la disciplina del contributo di cui al precedente comma 3, il quale stabilisce che, nel caso in cui un soggetto «non
associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione» utilizzi canali consortili o
acque irrigue come recapito di scarichi (anche se depurati e compatibili con
l’uso irriguo), provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, resta «fermo»
l’obbligo del «rispetto della disciplina della qualità delle acque», quale
regolata dalla parte terza del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, e
l’utilizzatore è tenuto, in proporzione alla portata di acqua scaricata, a
contribuire alle spese sostenute dal consorzio. Tale normativa è diretta, oltre
che a salvaguardare la qualità delle acque ed a
garantire l’equilibrio idrico e ambientale del comprensorio consortile, anche e
soprattutto ad acquisire un’entrata patrimoniale che consenta di far fronte
alle spese consorziali necessarie per il perseguimento delle finalità di
bonifica e di irrigazione cui sono istituzionalmente deputati i consorzi
medesimi.
Dal combinato disposto dei citati commi 3 e 4, risulta una disciplina di tale entrata analoga,
quanto a caratteristiche e finalità, a quella degli ordinari contributi
consorziali previsti dagli artt. 864 ed 860 del codice civile. Tale speciale entrata,
infatti, pur applicandosi a soggetti non associati ai consorzi - e cioè a
soggetti passivi diversi da quelli obbligati al pagamento dei suddetti ordinari
contributi -, è obbligatoriamente dovuta ex lege, senza che abbia rilevanza l’accordo tra parti, ed
è diretta, al pari del contributo ordinario, ad attuare il concorso del
soggetto passivo alle spese delle opere consortili, realizzate per finalità
pubbliche. Tale prelievo rientra, dunque, nella nozione di tributo delineata
dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis,
sentenze n. 141
del 2009, n.
335 e n. 64
del 2008). Ne consegue che esso ha la medesima natura tributaria dei
menzionati ordinari contributi consorziali (affermata, per questi ultimi, dal
diritto vivente: ex plurimis, Cassazione, n.
27075 e n. 8751 del 2008, n. 14934 del 2005, n. 521 del 2002; sezioni unite, n.
2275 del 2008, n. 16404 del 2007, n. 10703 del 2005 e n. 2852 del 1992). In
particolare, è un tributo statale, in quanto è
istituito e disciplinato con legge dello Stato, il quale, attraverso la norma
censurata, ben può affidarne la quantificazione alla determinazione
discrezionale dei consorzi. La sua disciplina è, conseguentemente,
riconducibile alla materia di competenza esclusiva statale del «sistema
tributario […] dello Stato», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e non a quella evocata dalla ricorrente.
20.2.3. – Con la questione sub c), la
ricorrente lamenta, in riferimento agli artt. 3 e 41
Cost., che il contributo previsto dalla norma censurata - in quanto imposto
obbligatoriamente anche agli enti locali territoriali non associati al
consorzio, i quali utilizzino, per gli scarichi, impianti consortili -
irragionevolmente sottrae alla libera contrattazione tra le parti (consorzio ed
enti locali territoriali ad esso non associati) la determinazione dell’indennità
dovuta al consorzio, cosí "comprimendo” indebitamente
l’autonomia negoziale e, quindi, finanziaria degli enti locali utilizzatori
degli impianti, a tali enti garantita dagli evocati parametri costituzionali.
La questione non è fondata.
Infatti, la ricorrente, nel formulare le suddette
censure, muove dall’erronea implicita premessa che il contributo previsto dalla
norma censurata costituisca una prestazione imposta non avente natura
tributaria. L’erroneità di tale premessa discende dalle considerazioni sopra
svolte in relazione alla precedente questione.
Infatti, il contributo in esame ha natura assimilabile a quella del contributo
ordinariamente dovuto dagli associati al consorzio e, pertanto, ha anch’esso
natura di tributo, istituito e disciplinato dalla legge statale, con la
conseguenza che il suo pagamento si impone a tutti gli
utilizzatori degli impianti consortili, siano essi soggetti comuni od enti
locali, senza che sussista alcuna «compressione dell’autonomia negoziale» degli
enti locali stessi.
20.2.4. – Per le stesse ragioni appena esposte, non
è fondata la questione sub d), con cui si deduce, in
riferimento all’art. 119 Cost., che la disposizione impugnata, se interpretata
come nella precedente censura sub b), incide illegittimamente sull’autonomia
finanziaria degli enti locali.
Infatti, la natura tributaria statale del contributo
in esame comporta che la disciplina di questo va ricondotta alla materia del
«sistema tributario […] dello Stato», di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., di competenza esclusiva
statale, senza che possa determinarsi alcuna lesione dell’autonomia finanziaria
degli enti locali.
21. –
Deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.
Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, infatti, la ricorrente rileva di non avere piú interesse alle questioni relative agli artt. 147, comma 2, lettera b), e 172, comma 2, perché tali norme richiedevano il requisito dell’unicità della gestione, sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell’unitarietà della gestione, già previsto – a suo avviso – dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale.
Come già osservato al punto 11, trova, pertanto, applicazione l’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita - come nel caso di specie - o non si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
22. – – Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) denunciano l’art. 176, comma 1. Ad avviso delle ricorrenti, la disposizione - nello stabilire che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione» - víola l’art. 117, terzo comma, Cost., perché: a) la qualificazione di tutte le disposizioni di cui alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 come "di principio” appare arbitraria ed illegittima, in quanto prescinde dai concreti contenuti delle disposizioni, ancorché di dettaglio in materie di competenza concorrente, nonché dal rispetto dei criteri di riparto delle competenze di cui all’art. 117 Cost. (ricorsi n. 68 e n. 73 del 2006); b) «il legislatore statale […] non si è limitato a dettare principi fondamentali, ma ha demandato alla propria normativa anche le misure di dettaglio». (ricorso n. 70 del 2006).
Le questioni sono inammissibili, perché generiche.
Infatti, con la questione sub a), si lamenta
che il legislatore statale avrebbe illegittimamente qualificato come princípi norme di dettaglio, senza specificare quali siano
tali norme di dettaglio; con la questione sub b),
si sostiene che il legislatore ha illegittimamente adottato norme di dettaglio,
senza specificare, anche in questo caso, quali siano tali norme.
per questi motivi
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) dalle Regioni
Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia,
Campania, Marche e Basilicata;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma
3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che «I bilanci preventivi
e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante
affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente»;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 135, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in
riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 136 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in
riferimento all’art. 119 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 141, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in
riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 144, 145 e 146 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse,
in riferimento agli artt. 76, 117, quarto comma, e 118 Cost. e al principio di
leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di leale
collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli articoli da
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 147,
comma 2, lettera b), anche in combinato
con l’art. 172, comma 2, del d.lgs. n.
152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma,
Cost., dalla Regione Emilia Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 76, 117 e 118, Cost., dalla Regione Calabria, con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 148, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte
in cui prevede l’obbligo di trasmissione dei «bilanci preventivi e consuntivi
dell’Autorità d’ambito e loro variazioni», promossa, in riferimento all’art.
117 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla
questione di legittimità costituzionale dell’art. 148,
comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa,
in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Marche, con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 148, comma 5, del
d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’art. 3 Cost., dalle Regioni Piemonte e Umbria, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 148, comma 5, del
d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Piemonte, Umbria e Liguria, in
riferimento all’art. 117 Cost., dalle Regioni Calabria e Piemonte, in
riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana, Umbria e
Liguria, in riferimento all’art. 118 Cost., dalla Regione Piemonte, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 149, commi da
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 149,
comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse,
in riferimento all’art. 76 Cost., per la parte riferita alle competenze
dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalle Regioni
Umbria e Liguria, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni
Umbria e Liguria, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., per la parte
riferita alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti, dalle Regioni Toscana e Marche, in riferimento all’art. 117, quarto
comma, Cost., dalle Regioni Toscana e Marche, in riferimento a non precisati
parametri costituzionali, dalla Regione Calabria, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 149, comma 6, del
d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’art. 76 Cost., per la parte non riferita alle competenze
dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalle Regioni
Umbria e Liguria, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., per la parte
non riferita alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e
sui rifiuti, dalla Regione Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in
riferimento all’art. 117 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art.
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art.
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 150, comma 1, del d.lgs. n.
152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma,
Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 76 e 117, secondo, quarto e sesto comma, Cost., dalla
Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 151 e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’art. 117 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Umbria,
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152
del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119, primo e
secondo comma, Cost., dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’art. 3 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56
del 2006), Toscana, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in
riferimento all’art. 76 Cost., dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui ai
punti 17.2.2. e 17.2.3. del Considerato in diritto, promosse, in
riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del
2006), Umbria, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al
punto 17.2.4. del Considerato in diritto, promosse, in riferimento
all’art. 76 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006),
Umbria, Abruzzo, Campania e Basilicata, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Calabria e, in
riferimento all’art. 119, primo e secondo comma, Cost., dalla Regione Puglia,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’artt. 117, quarto comma, Cost. dalle Regioni Emilia-Romagna
(ricorso n. 56 del 2006), Toscana, Umbria, Abruzzo, Puglia, Campania e
Basilicata, in riferimento all’art. 119, primo e secondo comma, Cost., dalle
Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Calabria, Toscana, Umbria,
Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto
17.2.2. del Considerato in diritto, promossa, in riferimento all’art. 76
Cost., dalla Regione Basilicata, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui ai punti
17.2.2. e 17.2.3. del Considerato in diritto, promosse, in riferimento
all’art. 76 Cost., dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 17.2.4.
del Considerato in diritto, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost.,
e le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 154 del d.lgs.
n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119,
primo e secondo comma, Cost., dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 154, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006,
promosse, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di
leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 154, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Umbria, con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 156 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in
riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 159 del d.lgs. n. 152 del
2006, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Calabria ed
Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento all’art. 3 Cost., dalla
Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento agli artt. 117
e 118 Cost., dalle Regioni Calabria, Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) e
Marche, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalle Regioni
Calabria e Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 159, comma 4, del d.lgs. n.
152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117,
sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Calabria, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 160 del d.lgs. n. 152 del
2006, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento all’art. 3 Cost., dalla
Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento agli artt. 117
e 118 Cost., dalle Regioni Calabria, Umbria ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73
del 2006), in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni
Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al
punto 20.1.2. del Considerato in diritto, promossa, in riferimento
all’art. 76 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al
punto 20.1.1. del Considerato in diritto, promossa, in riferimento
all’art. 76 Cost., e le questioni di legittimità costituzionale dello stesso
art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli
artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost. dalla Regione Emilia-Romagna
(ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 166, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 3, 41, 76, 117, quarto comma, e 119 Cost., dalla Regione
Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla
questione di legittimità costituzionale dell’art. 172, comma
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 176, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dalle Regioni Calabria, Piemonte
ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio
2009.
Allegato:
ordinanza letta all’udienza del 5 maggio 2009
ORDINANZA
Considerato che
il presente giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via di
azione, è configurato come svolgentesi esclusivamente
tra soggetti titolari di potestà legislativa, in quanto avente ad oggetto
questioni di competenza normativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale
potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche
costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente
anche di fronte a questa Corte in via incidentale (sentenze nn.
405 del 2008
e 469 del 2005).
per questi motivi
dichiara inammissibile l’intervento spiegato nei giudizi
indicati in epigrafe dalla Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature – ONLUS e da
Biomasse Italia S.p.a., Società Italiana Centrali
Termoelettriche – SICET S.r.l., Ital Green Energy
S.r.l. ed E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a.
F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente