SENTENZA N. 63
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 7, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 19 marzo 2003, depositato in cancelleria il 25 marzo 2003 ed iscritto al n. 29 del registro ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. − Con ricorso notificato il 19 marzo 2003 e depositato il 25 marzo successivo, la Regione Toscana ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 7, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), per violazione dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.
Dopo aver riconosciuto in premessa che nella materia della tutela della salute contro i danni da fumo passivo spetta allo Stato dettare i principi fondamentali, la Regione ricorrente afferma che la disposizione contenuta nel comma 7 dell’articolo 51 della legge n. 3 del 2003, riguardante la «ridefinizione» del procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative, sarebbe lesiva della potestà legislativa concorrente delle Regioni.
La disposizione censurata prevede che «entro centoventi giorni dalla data di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale, con accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro della salute di concerto con i Ministri della giustizia e dell’interno, sono ridefinite le procedure per l’accertamento delle infrazioni, la relativa modulistica per il rilievo delle sanzioni nonché l’individuazione dei soggetti legittimati ad elevare i relativi processi verbali, di quelli competenti a ricevere il rapporto sulle infrazioni accertate ai sensi dell’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e di quelli deputati a irrogare le relative sanzioni».
La ricorrente richiama, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte formatasi già sotto il vigore del previgente Titolo V, secondo la quale la competenza sanzionatoria non costituisce materia a sé, ma accede alla materia sostanziale con funzione rafforzatrice dei precetti (sentenze numeri 187 e 28 del 1996). Da questa affermazione discenderebbe che, ove la materia sostanziale risulti affidata alla potestà legislativa concorrente, come indiscutibilmente deve ritenersi avvenga per la tutela della salute, a maggior ragione dopo la riforma del Titolo V, la competenza sanzionatoria spetterebbe allo Stato solo in quanto inerente a principi fondamentali.
Applicando tale summa divisio alla disciplina delle sanzioni in materia di tutela contro i danni da fumo passivo, la «ridefinizione» del procedimento sanzionatorio, oggetto della disposizione impugnata, non costituirebbe materia di principio ma normazione di dettaglio, come tale rimessa alla potestà legislativa regionale.
A parere della ricorrente, inoltre, la previsione in esame, in quanto finalizzata, tra l’altro, all’individuazione dei soggetti legittimati ad intervenire nel procedimento di accertamento delle infrazioni e irrogazione delle sanzioni, risulterebbe invasiva delle competenze nelle materie dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa regionale, affidate alla potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
La duplice lesione all’autonomia regionale non risulterebbe superata per effetto della scelta di metodo contenuta nella disposizione della legge statale, la quale rimette all’accordo sancito in sede di Conferenza Stato-Regioni la ridefinizione del procedimento sanzionatorio.
L’utilizzo dello strumento concertativo sarebbe qui finalizzato all’appropriazione da parte dello Stato di una potestà legislativa ad esso non spettante, con il risultato di sovvertire l’ordine costituzionale delle competenze legislative.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
A giudizio della difesa erariale, la natura di principio fondamentale del divieto di fumare nei locali chiusi, riconosciuto dalla stessa Regione ricorrente, imporrebbe l’uniformità del procedimento sanzionatorio su tutto il territorio nazionale, mentre la previsione dell’«accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano» sarebbe finalizzata proprio al rispetto delle prerogative regionali, attesa la necessità del consenso delle Regioni per addivenire alla ridefinizione del procedimento sanzionatorio.
2.1. − In prossimità dell’udienza l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria volta a contestare ulteriormente la fondatezza del ricorso.
Osserva la difesa erariale che con l’art. 51, comma 7, della legge n. 3 del 2003, lo Stato non avrebbe dettato alcuna norma avente ad oggetto il procedimento sanzionatorio applicabile in materia di divieto di fumo nei locali chiusi, ma si sarebbe limitato ad individuare lo strumento attraverso il quale pervenire, con il consenso delle autonomie regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano, a fissare la nuova disciplina. Ne conseguirebbe che tale previsione non sarebbe idonea neppure astrattamente a ledere le attribuzioni regionali, le quali potrebbero essere violate, eventualmente, soltanto dal contenuto del successivo accordo, contro il quale, peraltro, sarebbero esperibili i rimedi previsti dall’ordinamento.
In definitiva, secondo la difesa erariale, la disposizione impugnata costituirebbe un’applicazione, sul piano legislativo, del principio di leale collaborazione, con l’obiettivo di pervenire a soluzioni normative concordate e nel rispetto delle competenze statali e regionali, là dove, per accedere alla diversa prospettiva assunta dalla ricorrente, si dovrebbe ritenere che l’art. 117, terzo comma, Cost., non consenta l’adozione di tali soluzioni.
L’assunto sarebbe smentito dalla disposizione contenuta nell’art. 118, terzo comma, Cost., dove è previsto espressamente che la legge statale possa disciplinare forme di coordinamento tra Stato e Regione in alcune materie di legislazione concorrente.
Considerato in diritto1.– La Regione Toscana, con ricorso notificato il 19 marzo 2003 e depositato il 25 marzo 2003, chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 7, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), per violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, in quanto disciplina il procedimento di accertamento delle infrazioni al divieto di fumo in locali chiusi aperti al pubblico, che costituirebbe normativa di attuazione dei principi fissati dalle leggi statali, e quindi sarebbe riservata alla potestà legislativa regionale.
La norma impugnata interferirebbe altresì, secondo la ricorrente, con l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa regionale, materia rientrante nella potestà legislativa residuale delle Regioni.
Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio ed ha eccepito che la natura di principio fondamentale del divieto di fumo nei locali chiusi aperti al pubblico, riconosciuto dalla stessa Regione Toscana nella premessa del ricorso, imporrebbe l’uniformità del procedimento sanzionatorio. La norma impugnata sarebbe comunque rispettosa della potestà legislativa regionale, poiché stabilisce che la ridefinizione del procedimento sanzionatorio avvenga tramite accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, e quindi previo consenso delle Regioni stesse.
2.– La questione non è fondata.
2.1. − Questa Corte, con riferimento alle norme che prevedono alcune fattispecie di illecito amministrativo nella materia «tutela della salute», ha precisato che «stante la loro finalità di protezione di un bene, quale la salute della persona, ugualmente pregiudicato dall’esposizione al fumo passivo su tutto il territorio della Repubblica», il legislatore statale, cui è riconosciuto il potere di prevedere le fattispecie da sanzionare, deve avere anche quello di determinare le sanzioni per il caso di violazione dei divieti e degli obblighi stabiliti (sentenza n. 361 del 2003).
La natura di principio fondamentale del divieto di fumo, e la correlativa competenza statale ad individuare sia le fattispecie di illecito amministrativo sia la misura delle sanzioni corrispondenti, si riflettono inevitabilmente sulla disciplina del procedimento volto ad accertare in concreto le trasgressioni e ad irrogare le sanzioni medesime. È di tutta evidenza, infatti, che la stessa imprescindibile esigenza di uniformità, che vale a qualificare come principi fondamentali le norme individuatrici delle fattispecie di illecito e le relative sanzioni, è sottesa anche alla regolamentazione del procedimento finalizzato alla loro applicazione.
Se è vero, come rileva la difesa regionale, che in tema di divieto di fumo si versa nella materia «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente, è altrettanto vero che la determinazione della qualità e della misura delle sanzioni inerisce – secondo la giurisprudenza sopra citata – a quei principi fondamentali che richiedono uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale. La stretta strumentalità del procedimento di accertamento delle infrazioni e di irrogazione delle sanzioni rispetto alla effettività del divieto di fumo in locali chiusi, posto a tutela di un bene non suscettibile di valutazioni differenziate, determina la necessaria attrazione nella sfera di competenza statale della disciplina delle attività amministrative necessarie allo scopo. Il procedimento in questione non è accessorio ad una potestà legislativa regionale, ma, pur nell’ambito della complessiva materia «tutela della salute», ad un’area di normazione – quella riguardante le sanzioni − di sicura attribuzione allo Stato, come del resto viene riconosciuto dalla stessa ricorrente.
Bisogna ribadire che, così come la prescrizione di sanzioni amministrative non appartiene in via pregiudiziale allo Stato o alle Regioni, ma accede alla specifica competenza legislativa ritenuta, secondo Costituzione, più adatta alla tutela di determinati diritti o interessi (sentenza n. 28 del 1996), allo stesso modo non esiste una materia della vigilanza, ma questa deve essere considerata accessorio naturale della competenza sanzionatoria sia statale che regionale (sentenza n. 384 del 2005). Una intrinseca necessità di coerenza normativa e amministrativa impone che non si determinino fratture sul versante applicativo delle sanzioni di sicura competenza statale. Una regolamentazione differenziata del procedimento finalizzato all’irrogazione delle sanzioni non solo sarebbe fonte di incertezze e complicazioni per le amministrazioni e per i cittadini, ma finirebbe per influire negativamente sulla effettività delle sanzioni medesime, ove le modalità applicative variassero da Regione a Regione. La stessa esigenza di uniformità sottesa alla qualificazione come principi fondamentali di tutte le norme sanzionatorie in materia deve, quindi, presiedere alla disciplina delle attività finalizzate all’applicazione delle sanzioni medesime.
2.2. – Ove si consideri, oltretutto, che il divieto di fumo ricade nella materia «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., è opportuno e conforme al principio di leale collaborazione che la disciplina del procedimento non sia dettata in modo unilaterale dallo Stato, escludendo del tutto le Regioni. La ratio che determina l’attrazione del procedimento sanzionatorio nella competenza legislativa statale è, infatti, quella dell’uniformità volta a dare alle sanzioni, almeno nella previsione normativa, lo stesso grado di effettività in ogni parte del territorio nazionale. Tale uniformità si concilia con l’interesse costituzionalmente tutelato delle Regioni a far valere, nella predisposizione delle norme legislative, le proprie specifiche esigenze. In questa, come in tante altre ipotesi, giova appunto far riferimento al principio di leale collaborazione, costantemente richiamato da questa Corte, che rende preferibile l’integrazione non conflittuale delle esigenze unitarie con quelle autonomistiche, senza rigide separazioni e contrapposizioni dualistiche.
La norma statale impugnata prevede una delle possibili modalità di conciliazione delle ragioni dell’unità con quelle dell’autonomia. La ridefinizione del procedimento è infatti affidata ad un accordo tra Stato e Regioni, da raggiungersi in sede di Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni e Province autonome. Tale tipo di accordo, che non può modificare l’ordine costituzionale delle competenze, può essere valida soluzione collaborativa in un campo di attività amministrative strettamente accessorio ad una competenza legislativa appartenente allo Stato, in quanto attinente a principi fondamentali, ma iscritto pur sempre nel più vasto ambito della tutela della salute, materia affidata dalla Costituzione alla competenza legislativa concorrente. Si tratta di un caso, tra i tanti, in cui l’intreccio delle competenze legislative e amministrative statali e regionali mal si presta ad essere risolto in termini di drastica scissione.
Risulta, peraltro, che l’accordo in questione è stato stipulato il 16 dicembre 2004.
3.– Da quanto detto sinora discende che non merita accoglimento la ulteriore censura, contenuta nel ricorso della Regione Toscana, riferita alla presunta violazione del quarto comma dell’art. 117 Cost. e basata sulla lamentata interferenza statale nell’ordinamento e nell’organizzazione regionale, di competenza legislativa residuale delle Regioni.
All’esercizio della funzione legislativa corrisponde il dovere delle pubbliche amministrazioni, statali, regionali e locali, di dare applicazione, secondo le proprie competenze, alle norme di legge validamente in vigore. Così come organi dello Stato possono essere chiamati a dare applicazione a leggi regionali, ove queste disciplinino oggetti di loro competenza (sentenza n. 467 del 2005), ugualmente gli organi della Regione devono far rispettare leggi dello Stato, senza che ciò possa essere considerato illegittima interferenza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 7, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2006.