SENTENZA N.28
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 6 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1987, n. 4 (Applicazione di sanzione amministrativa a carico dei viaggiatori dei servizi pubblici di linea sprovvisti di valido documento di viaggio), promossi con ordinanze emesse il 1· giugno 1995 e il 31 maggio 1995 dal Pretore di Bologna e il 24 luglio 1995 dal Giudice di pace di Bologna, rispettivamente iscritte ai nn. 450, 484 e 603 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 35, 37 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di intervento della Regione Emilia-Romagna;
udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 1995 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di un procedimento di opposizione avverso due ordinanze-ingiunzioni emesse dal direttore dell'Azienda trasporti consorziali - A.T.C. di Bologna, applicative di sanzioni amministrative pecuniarie per circolazione su automezzi pubblici senza titolo di viaggio, il Pretore di Bologna ha sollevato, con ordinanza del 1· giugno 1995 (R.O. 450 del 1995), questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5 e 6 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1987, n. 4, "nella parte in cui essi attribuiscono rispettivamente la funzione di ricevere il rapporto e la potestà di emettere l'ordinanza-ingiunzione al direttore dell'azienda speciale che gestisce il servizio nello svolgimento del quale è avvenuta l'inadempienza dell'utente, devolvendo altresì all'azienda speciale di cui il medesimo è organo i proventi delle sanzioni irrogate", in riferimento agli artt. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione.
1.1.- Previa illustrazione della vicenda dedotta nel giudizio a quo, il Pretore rimettente sottolinea la rilevanza della questione, che investe il presupposto stesso della potestà sanzionatoria, quale attribuita dalle disposizioni impugnate all'organo dell'azienda speciale che ha emesso le ordinanze contestate.
Una prima censura è svolta con riferimento all'art. 117 della Costituzione, assumendosi la violazione del limite all'esercizio della potestà legislativa regionale, rappresentato dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. In tema di sanzioni amministrative, i principi fondamentali sono dettati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, che, al capo I·, regola in via generale la materia. Tra le disposizioni che rivestono l'accennato carattere e che vincolano, perciò, il legislatore regionale, vi sono - aggiunge il rimettente - quelle degli artt. 17 e 18 della legge in argomento: l'art. 17 prevede (al terzo comma) che il rapporto per le sanzioni amministrative nelle materie di competenza delle regioni o per le funzioni amministrative ad esse delegate sia presentato all'ufficio regionale competente; l'art. 18 stabilisce che sia la stessa autorità competente a ricevere il rapporto a valutare la fondatezza dell'accertamento e a determinare, con ordinanza motivata, l'entità della somma dovuta per la violazione, ingiungendo il pagamento dell'importo stabilito.
Dall'insieme di queste due norme si enuclea, quindi, il principio per cui, nelle materie di competenza della regione, solo a un ufficio dell'ente territoriale, in quanto titolare di autorità nei confronti dei terzi, può essere attribuita, da parte di una legge regionale, una potestà sanzionatoria. Un principio del resto ribadito dalla legge regionale dell'Emilia-Romagna 28 aprile 1984, n. 21, recante la disciplina generale dell'applicazione di sanzioni amministrative di competenza regionale, i cui artt. 5, 14 e 15 attribuiscono esclusivamente a organi individuati dagli enti locali territoriali la funzione di ricevere il rapporto e, quindi, la potestà sanzionatoria correlativa.
Posta questa premessa, osserva il rimettente che gli impugnati artt. 4 e 5 della legge regionale n. 4 del 1987 hanno, incoerentemente, attribuito la competenza a ricevere il rapporto e la potestà di determinare ed irrogare la sanzione al direttore dell'azienda speciale A.T.C. di Bologna, che non può in alcun caso essere considerato un "ufficio" della regione. Si tratta infatti dell'organo di una azienda speciale che, a norma dell'art. 23 della legge n. 142 del 1990, è definita "ente strumentale dell'ente locale, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto"; indici, questi ultimi, che non consentono di classificarla come "ufficio regionale" a termini dell'art. 17 della legge n. 689 del 1981.
L'attribuzione di potestà sanzionatoria ad un soggetto estraneo all'organizzazione dell'ente territoriale costituisce dunque una violazione del principio contenuto nella legge statale e si pone in contrasto con l'art. 117 della Costituzione.
1.2.- L'anzidetta estraneità dell'azienda speciale alla struttura dell'ente territoriale implica poi, ad avviso del rimettente, un secondo profilo di censura, riferito al parametro dell'art. 118 della Costituzione.
A norma di detto parametro, le funzioni di competenza della regione potrebbero essere delegate ad altri enti, o esercitate valendosi degli uffici di questi ultimi, in quanto qualificabili come "enti locali". Ma tale qualificazione va esclusa con riguardo all'azienda speciale, sia alla luce del già richiamato art. 23 della legge n. 142 del 1990 che ne delinea le caratteristiche, sia perché la stessa legge n. 142 ricomprende nella nozione di "ente locale" soltanto il comune, la provincia, la città metropolitana e la comunità montana.
Anche se ipotizzata una delega di attribuzioni o dell'esercizio di funzioni, quindi, si profila un contrasto con la Costituzione per difetto dei requisiti soggettivi del delegato, non definibile come ente locale.
1.3.- Una terza censura è svolta dal giudice a quo, in riferimento al principio di ragionevolezza, alla luce della giurisprudenza costituzionale che individua una lesione di detto principio quando una legge regionale disponga in contraddizione con principi di carattere generale posti dalla stessa legislazione regionale. Un'ipotesi, questa, rilevata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 375 del 1993, che ha dichiarato incostituzionale una norma di legge regionale in quanto essa aveva incongruamente apportato una deroga alla legislazione regionale generale in tema di applicazione di sanzioni amministrative. "Analoga incongruenza" è ravvisabile, per il giudice a quo, attraverso il raffronto tra le norme impugnate e gli artt. 5, 14 e 15 della legge regionale Emilia-Romagna n. 21 del 1984, i quali ultimi attribuiscono solo a organi degli enti locali territoriali la funzione di ricezione del rapporto di violazione amministrativa e la conseguente potestà sanzionatoria.
Diversamente da quanto prescritto in quest'ultima legge, le norme impugnate affidano al direttore dell'azienda speciale la funzione e la potestà anzidette, operando una scelta irragionevole, perché in conflitto con l'indicazione normativa generale posta dallo stesso legislatore regionale, ed ulteriormente perché la deroga riguarda non l'intera procedura di accertamento della violazione ma soltanto l'individuazione dell'autorità competente a ricevere il rapporto e a sanzionare la violazione.
1.4.- Ultimo profilo di non conformità a Costituzione dedotto dal Pretore è quello riferito ai principi di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, imposti dall'art. 97 della Costituzione anche nell'ambito dell'esercizio della potestà sanzionatoria.
Il rispetto di tali canoni dell'azione amministrativa esige che l'organo cui è attribuita la potestà sanzionatrice sia dotato di un requisito di "terzietà" rispetto agli interessi, anche economici, coinvolti nella vicenda, dovendosi escludere che detto organo possa essere portatore di un interesse proprio al pagamento della sanzione: dal sistema della legge n. 689 del 1981, si desume che la funzione del soggetto investito del potere deve essere calibrata secondo una verifica imparziale della legittimità dell'accertamento dell'infrazione e deve tendere all'applicazione della relativa sanzione, dopo aver accertato la responsabilità del trasgressore, secondo i criteri - di impronta penalistica - dettati nella legge stessa, graduando altresì la sanzione tra un minimo ed un massimo in base ad una valutazione complessa che tiene conto della gravità del fatto, dell'opera susseguente dell'autore e delle condizioni economiche di questi.
I requisiti di imparzialità fanno difetto, ad avviso del Pretore, nel caso in esame. L'azienda speciale ha, in base all'art. 23 della legge n. 142 del 1990, l'obbligo di informare la propria attività a criteri di "efficacia, efficienza ed economicità" giacché è vincolata all'obiettivo di pareggio di bilancio, da perseguire attraverso l'equilibrio fra costi e ricavi. Siffatti obblighi di risultato economico si pongono oggettivamente in contrasto con la necessaria imparzialità dell'esercizio del potere sanzionatorio; non si vede ad esempio come si possa effettivamente tener conto delle condizioni economiche del trasgressore in presenza dell'obbligo di pareggio del bilancio.
L'inconciliabilità risulterebbe ancor più marcata quando si consideri che l'art. 6 della legge regionale n. 4 del 1987, anch'esso impugnato, devolve alle imprese che gestiscono il servizio pubblico i proventi delle sanzioni amministrative concernenti l'infrazione dell'uso del mezzo di trasporto pubblico senza titolo di viaggio; il che costituisce un indice normativo esplicito della sussistenza di uno specifico interesse dell'organo al pagamento della sanzione, anzi al massimo della sanzione applicabile, onde utilizzare i proventi in discorso per garantire l'economicità di gestione. Non a caso - conclude il Pretore - le ordinanze-ingiunzioni emesse dall'A.T.C. recano prestampato l'importo edittale massimo della sanzione, evidentemente richiesto abitualmente dall'azienda senza tener conto di ciascun caso concreto, e non contengono alcuna motivazione sulla quantificazione così operata.
2.- E' intervenuta nel giudizio così promosso la Regione Emilia-Romagna, chiedendo una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione.
2.1.- Preliminarmente la Regione intervenuta deduce un profilo di difetto di rilevanza del quesito. A tale riguardo, muove da una puntuale disamina dei fatti del procedimento a quo, quali riferiti nella stessa parte narrativa dell'ordinanza di rinvio.
Risulta da questa che l'opponente ha eccepito di non essersi trovato affatto a Bologna il giorno della contestata infrazione; che, in base a questo rilievo, è stata verificata la carta d'identità quale annotata dall'agente accertatore all'atto della redazione del verbale, e si è appurato presso gli uffici competenti che il documento in questione, recante le generalità dell'opponente, non era mai stato rilasciato a questi.
Si è dunque accertato che il reale trasgressore ha utilizzato un documento falso, e che non sussiste perciò alcun elemento di identificazione dell'autore dell'infrazione; in questa situazione, il giudice a quo avrebbe dovuto semplicemente annullare l'ordinanza-ingiunzione, devolvendo a chi di dovere la ricerca del responsabile del falso. L'interveniente eccepisce pertanto il difetto di rilevanza della questione, sollevata in un giudizio che non può concludersi se non con l'annullamento dell'ordinanza per l'estraneità del ricorrente rispetto al fatto contestatogli.
2.2.- Nel merito, la Regione ritiene infondate le censure dedotte dal Pretore, sotto ogni profilo.
Quanto al parametro dell'art. 117 della Costituzione, la Regione osserva che il senso - e la finalità - della disposizione dell'art. 17 della legge n. 689 del 1981, assunta a principio generale, è solo quello di "tracciare un confine" tra le sanzioni di competenza statale, per le quali il rapporto va inviato all'ufficio periferico individuato dalle leggi dello Stato, e le sanzioni di competenza delle regioni, per le quali è la regione di volta in volta interessata a stabilire a quale ufficio debba essere inviato il rapporto; l'espressione "ufficio regionale competente" che appare nella norma di principio non ha dunque il significato di un vincolo per la regione nel senso della necessaria attribuzione della funzione ad un ufficio regionale in senso stretto, ma ha il senso di assegnare alla regione il compito di individuare l'ufficio competente nel complessivo sistema regionale.
Che questo sia il senso della norma, del resto, è confermato dallo stesso giudice a quo, che, nella censura riferita all'art. 118 della Costituzione, presuppone evidentemente che la regione possa indicare uffici e organi degli enti locali territoriali; se il principio ex art. 17 della legge n. 689 del 1981 fosse la "regionalità" in senso stretto dell'organo, anche una delega agli enti locali comporterebbe la violazione di quel principio.
Se invece è ammessa - come si deve ammettere sul piano costituzionale - la delega agli enti locali, la portata della norma di principio viene ad essere delimitata nel senso di riportare la competenza "all'interno del sistema regionale", spettando poi al legislatore regionale di individuare puntualmente l'organo competente.
2.3.- Anche la censura riferita all'art. 118 della Costituzione è infondata, ad avviso della Regione. La formulazione del parametro invocato non implica che la regione non possa affidare funzioni rientranti nelle materie regionali ad enti diversi dagli enti locali, esprimendo solo una condizione "normale" di esercizio di dette funzioni attraverso delega, appunto, agli enti locali. Ma, se la materia lo richiede, è indubbio che la regione può affidare proprie funzioni ad enti diversi dagli enti locali.
Ne sono esempi - prosegue la Regione - i casi in cui è proprio lo stesso legislatore statale che, nell'ambito di una disciplina di principio, impone una delega in tal senso; anche le leggi statali che così dispongono dovrebbero considerarsi incostituzionali per contrasto con l'art. 118 della Costituzione se questo parametro fosse da interpretare così come proposto dal giudice a quo.
2.4.- Del pari infondati sono, per la Regione, i profili della questione incentrati sul parametro della ragionevolezza, ex art. 3 della Costituzione. La relativa censura si basa sulla non-coincidenza tra le previsioni della legge regionale generale sulle sanzioni amministrative n. 21 del 1984 e le disposizioni impugnate. Così prospettata, la questione finisce per rappresentare una arbitraria negazione dello stesso principio di specialità, perché se ogni disciplina speciale fosse illegittima solo perché in contrasto con previsioni di carattere generale, allora non potrebbe mai darsi una - legittima - disciplina speciale.
"Arbitrario" - prosegue la Regione - è invece proprio il richiamo, a sostegno della tesi, alla sentenza n. 375 del 1993 della Corte costituzionale; con questa decisione era stata dichiarata incostituzionale una disposizione regionale che violava un principio generale sulla competenza territoriale dell'autorità sanzionante, e che introduceva con ciò anche un elemento di contraddittorietà nella legislazione; dove il fondamento dell'"incongruità" risiedeva, appunto, nella violazione di un principio generale concernente la competenza territoriale.
Né maggior pregio può accordarsi all'ulteriore deduzione del giudice a quo circa la parzialità dell'intervento derogatorio; non si vede infatti perché la deroga avrebbe dovuto riguardare l'intera procedura di accertamento della violazione anziché i soli profili per cui è ragionevole ed opportuno derogare alle norme generali; qui, la competenza all'accertamento dell'infrazione e la competenza a ricevere il rapporto e ad emanare l'ordinanza-ingiunzione.
2.5.- Infondato è, da ultimo, il quesito riferito all'art. 97 della Costituzione.
Il requisito della "terzietà", reputato necessario dal giudice a quo, risulta smentito dalla stessa legge statale n. 689 del 1991, che, all'art. 17, quarto comma, individua i destinatari del rapporto per le violazioni dei regolamenti comunali e provinciali, rispettivamente, nel presidente della giunta provinciale o nel sindaco; in nessuno di questi due casi può parlarsi di "terzietà".
Sul piano legislativo non trova dunque fondamento l'idea che l'autorità amministrativa non possa sanzionare i comportamenti lesivi di interessi, economici o meno, dei quali essa è titolare; più in generale, la "terzietà" è un connotato personale del titolare dell'organo, ma non anche dell'istituzione rispetto agli interessi perseguiti attraverso l'agire amministrativo. Rileva quindi la regione che, per questo aspetto, il giudice remittente confonde l'azione amministrativa con il controllo giurisdizionale: nell'una, è assicurata l'imparzialità istituzionale ma non la "terzietà" rispetto agli interessi coinvolti dalle scelte amministrative, proprio come - ed in quanto - nell'altro viene accordata la tutela degli interessati ad opera di un "terzo" in senso pieno. Questa profonda differenza tra amministrazione - anche in sede di applicazione di sanzioni - e giurisdizione esclude il vizio prospettato rispetto all'art. 97 della Costituzione.
La Regione Emilia-Romagna conclude osservando che la scelta effettuata con le norme impugnate è del tutto ragionevole, mirando a combattere il fenomeno (diffuso e finanziariamente negativo) del mancato pagamento del biglietto di viaggio, in una con l'obiettivo di snellire le procedure applicative pertinenti.
Né possono rilevare in senso diverso le negative valutazioni del Pretore circa le concrete modalità con cui è stata irrogata la sanzione (il modulo prestampato, il difetto di motivazione); a questi difetti può e deve ovviare proprio il giudice ordinario, nell'esercizio della funzione giurisdizionale.
3.- Medesima questione, concernente però i soli artt. 4 e 5 della legge regionale n. 4 del 1987, è stata sollevata dal Pretore di Bologna con ordinanza del 31 maggio 1995 (R.O. 484 del 1995). Nell'ordinanza di rinvio il giudice a quo sottolinea, quanto alla rilevanza della questione, l'ininfluenza della circostanza della mancata comparizione dell'opponente all'udienza. Nel merito, l'ordinanza sviluppa le stesse argomentazioni della precedente, in riferimento agli stessi parametri costituzionali.
4.- Anche nel giudizio così instaurato è intervenuta la Regione Emilia-Romagna, che ha preliminarmente eccepito l'irrilevanza della questione: stante la mancata comparizione dell'opponente, non giustificata da un legittimo impedimento, il giudice avrebbe dovuto limitarsi ad applicare l'art. 23, quinto comma, della legge n. 689 del 1981, convalidando il provvedimento contestato. Il giudizio principale, quindi, dovrebbe esaurirsi in base all'accennata previsione, senza applicare disposizioni statali o regionali in materia di sanzioni amministrative. Nel merito, la regione contrasta le censure di incostituzionalità con osservazioni e deduzioni del medesimo contenuto di quelle più sopra riferite, sviluppate con l'atto di intervento nel primo giudizio dinanzi a questa Corte.
5.- Con ordinanza del 24 luglio 1995, emessa in un giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione, il Giudice di pace di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 6 della legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 4 del 1987, in riferimento agli artt. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione, svolgendo argomentazioni in larga parte corrispondenti a quelle formulate dal Pretore di Bologna, cui è aggiunta, in relazione all'art. 3 della Costituzione, la censura di eguale trattamento di situazioni diverse: l'applicazione indiscriminata del massimo della sanzione per ogni violazione accertata da parte dell'A.T.C. di Bologna - a mezzo moduli prestampati - determina l'equiparazione di vicende e situazioni diverse, varie e mutevoli essendo le condizioni soggettive e le ragioni della mancanza del titolo di trasporto.
6.- Nei giudizi promossi con le ordinanze del Pretore di Bologna (R.O. nn. 450 e 484/95) la Regione Emilia-Romagna ha depositato due memorie di identico contenuto. Nelle memorie si sottolinea come le argomentazioni già svolte negli atti di intervento siano suffragate da una decisione della Corte di cassazione che ha ritenuto legittima la delibera di un comune con cui, in base ad una legge regionale, il direttore di una azienda tramviaria è stato delegato ad emettere l'ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa relativa al viaggio su mezzo di trasporto pubblico senza il prescritto titolo. La Regione rimarca l'analogia tra il caso affrontato dal giudice di legittimità e la disciplina posta dalla normativa regionale impugnata, che risponde alla medesima esigenza e perviene allo stesso risultato. Un'esigenza di snellimento del resto illustrata nella relazione di accompagnamento al progetto di legge regionale, dove si mettono in risalto le "rimostranze degli enti locali oberati di nuovi e imprevisti compiti di dettaglio in un settore già prima demandato alla realtà subcomunale e subprovinciale", e cioè alle aziende pubbliche e alle imprese concessionarie di servizi. La Regione insiste quindi nelle conclusioni già formulate con gli atti di intervento.
Considerato in diritto
- La questione posta a questa Corte dal Pretore e dal Giudice di pace di Bologna, nell'ambito di tre giudizi di opposizione a ordinanze-ingiunzioni amministrative, a norma dell'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è se siano costituzionalmente legittime, rispetto al principio di ragionevolezza e di imparzialità amministrativa (articoli 3 e 97 della Costituzione), nonché alla stregua della ripartizione costituzionale delle competenze statali, regionali e locali (articoli 117 e 118 della Costituzione), le norme degli articoli 4, 5 e 6 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1987, n. 4 (Applicazione di sanzione amministrativa a carico dei viaggiatori dei servizi pubblici di linea sprovvisti di valido documento di viaggio) secondo le quali il direttore dell'Azienda trasporti consorziali-ATC di Bologna - azienda speciale che gestisce il servizio di trasporto nello svolgimento del quale si è avuta l'infrazione dell'utente, consistente nell'utilizzo del servizio di trasporto pubblico senza valido titolo di viaggio - riceve il relativo rapporto ed emette l'atto che irroga la sanzione amministrativa, i cui proventi sono devoluti alla medesima azienda speciale.
1.- Le tre ordinanze pongono la medesima questione. I relativi giudizi possono essere riuniti, per essere definiti con un'unica pronuncia.
2.- La difesa della Regione Emilia-Romagna eccepisce preliminarmente l'irrilevanza di entrambe le questioni sollevate dal Pretore di Bologna. In un caso, nel giudizio di opposizione sarebbe stata accertata l'erroneità dell'identificazione del trasgressore, dovuta all'esibizione da parte di quest'ultimo di un documento di riconoscimento falso. Nell'altro caso, data la mancata comparizione dell'opponente, non giustificata da un legittimo impedimento, il Pretore non avrebbe potuto fare altro che convalidare il provvedimento contestato, applicando l'art. 23, quinto comma, della legge n. 689 del 1981.
3.- Né la prima, né la seconda eccezione appaiono tuttavia fondate: non la prima, perché non spetta alla Corte costituzionale, di fronte a un'ordinanza che - come nella specie - motiva in ordine alla rilevanza della questione proposta, entrare in una valutazione sui fatti di causa che è propria del giudice rimettente; non la seconda, poiché l'esame della legittimità costituzionale della norma che fonda il potere sanzionatorio amministrativo in questione è pregiudiziale alla pronuncia in ordine alla convalida del provvedimento oggetto dell'opposizione, convalida che non potrebbe evidentemente essere disposta per il sol fatto della mancata (ancorché ingiustificata) comparizione dell'opponente se il potere sanzionatorio contestato venisse privato della sua base legale da una decisione di illegittimità costituzionale (ipotesi evidentemente parallela a quella decisa da questa Corte, nella sentenza n. 534 del 1990, ove trattavasi di illegittimità del provvedimento sanzionatorio risultante dalla documentazione allegata all'atto di opposizione, nonché a quella decisa con la sentenza n. 507 del 1995, in cui si è ulteriormente ampliato lo spazio valutativo dell'illegittimità dell'atto anteriormente alla convalida per mancata comparizione).
4.- Nel merito, le questioni sollevate davanti a questa Corte devono essere esaminate alla luce dello sviluppo della legislazione, rispettivamente dello Stato e della Regione Emilia-Romagna, nella materia principale dei trasporti pubblici locali e in quella, che alla prima accede, delle sanzioni amministrative connesse. Per quanto qui di interesse, tale sviluppo è quello descritto di seguito.
4.1.- La legge quadro sui trasporti pubblici locali 10 aprile 1981, n. 151, all'art. 1, terzo comma, stabilisce che "le regioni delegano, di norma, agli enti locali e a loro consorzi, l'esercizio delle funzioni amministrative" loro trasferite, in materia di trasporti pubblici. L'art. 4 della medesima legge prevede le forme di esercizio dei servizi di trasporto e, tra queste, indica le aziende speciali.
La figura giuridica delle aziende speciali è prevista in generale, come modo di gestione di servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale, dall'art. 22, comma 3, lettera c), della legge 8 giugno 1990, n. 142 ed è delineata dall'art. 23 della medesima legge. L'azienda speciale è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio dell'ente locale di riferimento (comune o provincia). L'ordinamento e il funzionamento delle aziende speciali sono disciplinati, nell'ambito della legge, dal loro statuto e dai regolamenti. Organi dell'azienda sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale. Gli amministratori sono nominati e revocati secondo le modalità stabilite dallo statuto. L'attività dell'azienda è informata a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, nonché all'obbligo del pareggio di bilancio, obiettivo da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti. L'ente locale, a sua volta, conferisce il capitale di dotazione; determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione e provvede alla copertura degli eventuali costi sociali.
Sulla base della predetta legislazione nazionale, la Regione Emilia-Romagna ha emanato la legge regionale 16 giugno 1984, n. 33 (Adeguamento della legislazione regionale concernente i trasporti pubblici locali alle norme di principio poste dalla legge 10 aprile 1981, n. 151 e riordinamento delle relative funzioni amministrative) che, all'art. 1, primo comma, conferma l'azienda speciale, quale modo di gestione dei servizi pubblici di linea per trasporto di persone di interesse regionale e locale; all'art. 1, settimo comma, prevede che, per i servizi gestiti mediante azienda speciale di pertinenza di ente locale territoriale, l'atto deliberativo che istituisce il servizio ne regolamenta contestualmente anche le modalità di esercizio; all'art. 12, infine, prevede che l'impresa che esercita servizi di trasporto pubblico di linea deve dotarsi di un responsabile di esercizio.
La medesima legge, inoltre, all'art. 36 determinava le sanzioni amministrative per i viaggiatori sprovvisti di regolare documento di viaggio, rinviando, per l'applicazione, alla legge 24 novembre 1981, n. 689 e alla normativa regionale di disciplina delle sanzioni amministrative di competenza della Regione stessa; una disciplina, quest'ultima, successivamente posta con la legge regionale n. 4 del 1987 oggetto del presente giudizio (che ha abrogato l'art. 36 in discorso) e poi, ulteriormente, con la legge regionale 2 settembre 1991, n. 23 e con la legge regionale 19 agosto 1994, n. 36.
4.2.- La disciplina generale delle sanzioni amministrative è contenuta nella suddetta legge n. 689 del 1981, anche per quel che riguarda le competenze sanzionatorie delle regioni. Rispetto alla competenza legislativa regionale in materia, essa opera da legge contenente i principi fondamentali.
All'art. 17 (nelle sentenze n. 115 del 1995 e nn. 375 e 60 del 1993 di questa Corte riconosciuto norma di principio fondamentale della materia), detta legge stabilisce che il rapporto del funzionario o dell'agente che ha accertato l'illecito amministrativo deve - salvo che vi sia connessione con un fatto di reato - essere indirizzato all'ufficio statale periferico competente ovvero al prefetto, per le violazioni in materie di competenza dello Stato (commi primo e secondo); all'ufficio regionale competente, per le violazioni in materie di competenza propria o delegata delle regioni (terzo comma); al presidente della giunta provinciale o al sindaco, per le violazioni dei regolamenti provinciali o comunali (quarto comma). L'art. 18 prevede e disciplina il potere di determinare, con ordinanza motivata, la somma dovuta da chi ha commesso l'illecito e di ingiungerne il pagamento, potere attribuito ai medesimi soggetti ai quali è indirizzato il rapporto, a norma dell'art. 17 predetto.
In base alla suddetta legge dello Stato, la Regione Emilia-Romagna ha provveduto, con la legge regionale 28 aprile 1984, n. 21, a disciplinare in via generale l'applicazione delle sanzioni amministrative di sua competenza. L'art. 4, primo comma, stabilisce che l'applicazione delle sanzioni amministrative per violazioni di norme nelle materie di competenza regionale compete agli enti che, a norma dell'art. 118 della Costituzione, esercitano le funzioni di amministrazione attiva cui esse accedono e che, di conseguenza, salva diversa espressa disposizione, in caso di delega o sub-delega alle province, ai comuni e alle comunità montane di determinate funzioni amministrative, si intende delegata loro anche l'applicazione delle eventuali sanzioni amministrative connesse; l'art. 5, poi, determina per gli enti locali suddetti, gli organi competenti e cioè il presidente della giunta regionale per le sanzioni direttamente applicate dalla regione; il sindaco e il presidente della giunta provinciale e della comunità montana, per le sanzioni connesse a funzioni attribuite o delegate rispettivamente ai comuni, alle province e alle comunità montane; l'art. 18, infine, stabilisce che la devoluzione dei proventi delle sanzioni amministrative segua la competenza ad irrogarle, secondo il criterio già previsto dal'art. 29 della legge statale.
La Regione Emilia-Romagna ha infine approvato la legge regionale 29 gennaio 1987, n. 4, relativa alla "applicazione di sanzione amministrativa a carico dei viaggiatori dei servizi pubblici di linea sprovvisti di valido titolo di viaggio". Questa legge, che si pone come speciale rispetto a quella generale sopra indicata, relativa alle sanzioni amministrative di competenza della Regione, è quella sottoposta al vaglio di costituzionalità, nei suoi articoli 4, 5 e 6. L'art. 4 prevede che il rapporto circa la violazione riscontrata debba essere inoltrato al direttore dell'impresa, pubblica o privata, che gestisce il servizio nello svolgimento del quale è avvenuta l'inadempienza dell'utente. L'art. 5 attribuisce la competenza ad emettere l'ordinanza-ingiunzione al responsabile di esercizio dell'impresa oppure ai direttori delle aziende speciali. L'art. 6, infine, stabilisce che i proventi delle sanzioni sono devoluti alle imprese, pubbliche o private, che gestiscono i rispettivi servizi.
5.- I giudici rimettenti dubitano innanzitutto che le norme da ultimo menzionate violino l'ordine costituzionale delle competenze statali, regionali e locali, come previste dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, secondo le indicazioni della legge n. 689 del 1981. Mentre la legge regionale impugnata prevede la competenza a ricevere il rapporto e a irrogare la sanzione del direttore dell'azienda speciale, l'art. 17, terzo comma, della citata legge n. 689 - norma di principio, alla stregua dell'art. 117 della Costituzione - con riguardo alle violazioni nelle materie di competenza (propria o delegata) delle regioni, affida il potere sanzionatorio a un "ufficio regionale competente", mentre la delega che la regione eventualmente volesse disporre potrebbe essere conferita, secondo l'art. 118 della Costituzione, oltre che alle province, ai comuni o "ad altri enti locali".
La censura non è fondata.
La legge n. 689 del 1981 deve intendersi alla luce del principio, numerose volte affermato anche nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la competenza sanzionatrice non attiene a una materia a sé, ma accede alle materie sostanziali rispetto alle quali svolge una funzione rafforzatrice dei precetti stabiliti dal legislatore (sentenze n. 115 del 1995; n. 60 del 1993; nn. 401 e 123 del 1992; n. 365 del 1991; nn. 1034 e 740 del 1988). Per questa ragione, che riguarda la configurazione delle competenze tanto legislative che amministrative, è pienamente giustificata, anche se non dovuta in linea generale, la scelta del legislatore regionale, che i giudici rimettenti contestano, di determinare la competenza amministrativa (accessoria) sulle sanzioni amministrative conseguenti alla violazione delle norme sul trasporto pubblico in coincidenza con la competenza all'esercizio delle funzioni di amministrazione (principali) relative.
Pertanto, la norma dell'art. 17, terzo comma, della legge n. 689 del 1981 che attribuisce la competenza sanzionatoria, nel caso di materie di competenza propria o delegata delle regioni, "all'ufficio regionale competente", non deve essere intesa in modo rigido, tale da escludere la possibilità di delega di tale competenza, analogamente alla delegabilità - prevista dall'art. 118, terzo comma, della Costituzione - delle funzioni amministrative primarie. In altri termini, la prescrizione dell'art. 17 deve intendersi dettata per i casi in cui la funzione sanzionatoria acceda ad una funzione di amministrazione esercitata dalla regione, mantenendosi così la corrispondenza, sul piano delle competenze, tra azione e sanzione: medesima corrispondenza che viene assicurata dalle norme della legge regionale impugnata, in ordine alle funzioni amministrative concernenti i trasporti e alle relative sanzioni.
Quanto poi alla censura, secondo la quale - anche ammessa la delegabilità delle funzioni sanzionatorie in questione - la determinazione della delega a favore del direttore dell'azienda speciale violerebbe lo schema costituzionale delineato dall'art. 118, terzo comma, della Costituzione, che prevede come destinatari solo i comuni, le province e gli altri enti locali, è da rilevarsi, indipendentemente dalla disputa circa l'esatta determinazione della nozione di "ente locale", che l'azienda speciale, pur essendo entità giuridicamente distinta dall'ente territoriale di riferimento, è con esso collegata - secondo le citate norme della legge n. 142 del 1990 nonché del "regolamento delle aziende di servizi dipendenti dagli enti locali" approvato con d.P.R. 4 ottobre 1986, n. 902 - da vincoli così stretti, sul piano della formazione degli organi, del rispetto degli indirizzi, del controllo e della vigilanza, da dover essere considerata elemento del sistema di amministrazione che fa capo all'ente territoriale (nel nostro caso, il comune). Stante questa appartenenza, che si manifesta attraverso gli incisivi poteri riconosciuti all'ente locale territoriale, il quale resta comunque il soggetto al quale le funzioni amministrative fanno capo e del cui esercizio esso è responsabile nei confronti della comunità degli amministrati, oltre che, nel caso di azioni o di omissioni contrarie alla legge, di fronte agli organi di controllo e a quelli giurisdizionali, non si può dire alterato lo schema di rapporto tra la regione, le province, i comuni e gli altri enti locali, tracciato dall'art. 118 della Costituzione.
6.- Le norme considerate della legge regionale impugnata sono altresì sospettate d'incostituzionalità per violazione dei principi organizzativi della pubblica amministrazione di imparzialità e buon andamento, previsti dall'art. 97 della Costituzione. Secondo le ordinanze dei giudici rimettenti, il direttore dell'azienda speciale non sarebbe collocato in condizione di "terzietà" e imparzialità rispetto agli interessi coinvolti nella vicenda applicativa di sanzioni amministrative, terzietà e imparzialità che, ad avviso dei rimettenti, derivano come conseguenza del precetto costituzionale invocato. Tale organo, in applicazione dell'art. 11 della legge n. 689, in relazione all'art. 1 della legge impugnata, oggetto di successive modificazioni nella misura della sanzione (legge regionale 2 settembre 1991, n. 23 e legge regionale 19 agosto 1994, n. 36), è chiamato a determinare la sanzione amministrativa pecuniaria entro un limite minimo e uno massimo, in modo da tener conto della gravità della violazione, dell'opera eventualmente svolta per eliminarne o attenuarne le conseguenze, della personalità del trasgressore e, infine, delle sue condizioni economiche. Tutto ciò richiederebbe dal direttore dell'azienda una visione imparziale dei casi che gli sono sottoposti. Ma la sua posizione di parte interessata lo renderebbe istituzionalmente inidoneo a svolgere il compito affidatogli, tanto più che egli è al vertice di un ente, l'azienda speciale, che per legge (art. 23 della legge n. 142 del 1990) è tenuta all'obbligo di pareggio del bilancio, da perseguire "attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi".
Anche questa prospettazione della questione d'incostituzionalità è infondata.
E' nella logica della "depenalizzazione" operata con la legge n. 689 del 1981 che le sanzioni amministrative, un tempo di natura penale e quindi di competenza dell'autorità giudiziaria, essa sì collocata in posizione disinteressata di "terzietà", siano oggi di competenza dell'autorità amministrativa alla quale, per definizione, non è estraneo l'interesse al rafforzamento, tramite l'applicazione delle sanzioni, delle prescrizioni alla cui osservanza essa è preposta. Il concetto stesso di "terzietà", tipico della posizione del giudice, non è dunque bene evocato a proposito dell'amministrazione, quand'anche essa sia chiamata ad agire nell'ambito di procedimenti strutturati secondo regole di contraddittorio (come accade nella specie, a norma dell'art. 18, secondo comma, della legge n. 689). La garanzia insita nell'esistenza di un'istanza "terza" non viene, del resto, sottratta agli interessati, potendosi essi rivolgere, in sede di opposizione alle determinazioni dell'autorità amministrativa, all'autorità giudiziaria, a norma degli articoli 22 e 23 della stessa legge.
Ciò che conta, ai fini dell'imparzialità e del buon andamento, è che il soggetto titolare della potestà sanzionatrice debba operare, secondo la legge, al solo fine del perseguimento del pubblico interesse, senza mescolanze o indebite interferenze di interessi di natura privatistica. Non si giustificano perciò i dubbi di costituzionalità sollevati nel caso in esame, in relazione a una azienda speciale che, pur agendo con criteri imprenditoriali, è predisposta pur sempre alla cura esclusiva di interessi di natura pubblicistica. D'altro canto, i penetranti poteri di indirizzo, controllo e vigilanza - che possono incidere perfino sulla permanenza in carica degli amministratori - di cui dispone l'ente locale territoriale di riferimento (la cui eventuale competenza in materia di sanzioni amministrative non potrebbe essere in nessun modo sospettata d'illegittimità) confermano l'appartenenza dell'azienda speciale a quella medesima area di interessi pubblicistici di natura obiettiva, i quali bastano a giustificare l'idea che essa rivesta natura imparziale, dal punto di vista dei requisiti previsti dalla Costituzione in ordine all'amministrazione. E, infine, deve considerarsi - ai fini dell'apprezzamento dell'idoneità della legislazione regionale in materia a superare il vaglio di costituzionalità - il già richiamato art. 12 della legge regionale Emilia-Romagna n. 33 del 1984 il quale, prevedendo la figura del "responsabile di esercizio" (figura coincidente con quella del direttore dell'azienda speciale), conferma il rilievo dato alle esigenze di buon andamento e imparzialità nell'organizzazione dei servizi pubblici di trasporto locale.
Né queste valutazioni sono destinate a mutare in considerazione del fatto che i proventi delle sanzioni sono devoluti all'azienda medesima (art. 6 della legge impugnata) e questa è tenuta dall'art. 23, comma 4, della legge n. 142 del 1990 all'obbligo del pareggio del bilancio "da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi", formula che consente di considerare rilevante, come ricavo, il recupero del prezzo del documento di viaggio ma non il provento della sanzione pecuniaria irrogata.
Non si nega che, in pratica, possano darsi abusi, come quelli denunciati nelle ordinanze di rimessione (utilizzazione di routine di documenti già predisposti e applicazione costante del massimo della sanzione). Ma questi abusi, per quanto gravi e privi di giustificazione, restano comunque violazioni della legge riconducibili a comportamenti propri dell'autorità agente e come tali devono essere contrastati davanti ai giudici, nelle forme che l'ordinamento consente di attivare. Essi, costituendo per l'appunto violazioni di fatto della legge, non possono convertirsi di per sé in vizio della legge stessa.
7.- Quanto infine alla pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella sua accezione di imperativo di razionalità, affacciata sulla considerazione che la legge impugnata deroga, per il caso particolare dei trasporti pubblici, alla disciplina regionale generale sulle sanzioni amministrative prevista nella legge regionale 28 aprile 1984, n. 21, è sufficiente dire che, a seguire l'argomentazione dei giudici rimettenti, nessuna legislazione di specie sarebbe da ammettersi, mentre è evidente che l'opera del legislatore consiste in classificazioni legate tra loro dal rapporto genere-specie, norme generali-norme speciali. L'art. 3 della Costituzione e il canone della ragionevolezza che su di esso è stato elaborato richiedono che ogni deroga possa appoggiarsi su una ragione giustificatrice non arbitraria, ma non la impediscono affatto. La sentenza n. 375 del 1993 di questa Corte, evocata dai giudici rimettenti, è su questa linea, avendo giudicato incostituzionale una legge regionale derogatoria di altra legge regionale, non in quanto tale, ma in quanto "incongruamente derogatoria".
Nel caso in esame, la scelta del legislatore regionale non è certamente arbitraria. Basta, in proposito, considerare le ragioni generali che giustificano l'unione della competenza sanzionatrice a quella amministrativa cui la prima accede, nonché l'opportunità di non gravare su altre autorità amministrative, accollando loro una attività certamente onerosa sul piano organizzativo e, data la separazione dalle funzioni amministrative primarie, non facilmente raccordabile con esse.
8.- Da quanto sopra esposto risulta che la scelta organizzativa contenuta negli articoli 4, 5 e 6 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1987, n. 4 - pur non essendo costituzionalmente dovuta, come conferma la notevole varietà delle soluzioni adottate in materia dalla legislazione delle diverse regioni - non è in contrasto con la Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5 e 6 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1987, n. 4 (Applicazione di sanzione amministrativa a carico dei viaggiatori dei servizi pubblici di linea sprovvisti di valido documento di viaggio), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 97, 117 e 118 della Costituzione, con le ordinanze del Pretore e del Giudice di pace di Bologna indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1996.