Sentenza n. 401 del 1992

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SENTENZA N. 401

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 18, terzo comma, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari) promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 17 marzo 1992, depositato in cancelleria il 26 marzo 1992 ed iscritto al n.31 del registro ricorsi 1992.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

udito l'avv. Vito Vacchi per la Regione Toscana e l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Regione Toscana ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), per violazione degli artt.117, 118, 119 e 97 della Costituzione.

L'art. 18 cit., dopo aver fissato al primo e al secondo comma l'entità delle sanzioni amministrative per le infrazioni alle norme contenute nello stesso decreto, stabilisce al terzo comma che "l'importo relativo ... deve essere versato all'ufficio del registro competente per territorio".

La ricorrente, rilevando che la disposizione è suscettibile di una duplice interpretazione, ravvisa, in entrambe le ipotesi, una violazione delle competenze regionali in materia di tutela igienica degli alimenti e delle bevande.

Ricorda - secondo una prima interpretazione della norma nel senso che il legislatore abbia attribuito la potestà sanzionatoria allo Stato - che il decreto legislativo in esame (art.29, secondo comma) sostituisce, abrogandolo, il d.P.R.18 maggio 1983, n.322, il quale a sua volta aveva sostituito la norma fondamentale in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, contenuta nell'art.8 della legge 30 aprile 1962, n. 283, recante la disciplina sulla tutela igienico- sanitaria degli alimenti.

Essendo tale materia devoluta alle competenze regionali (artt.117 e 118 della Costituzione) ed essendo l'attività sanzionatoria funzionale rispetto alle attribuzioni costituzionalmente garantite, alle stesse regioni spetterebbe, ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, (artt. 17, terzo comma, e 29, terzo comma) di ricevere il rapporto sulle infrazioni, di applicare le sanzioni amministrative e di incamerare i relativi proventi.

L'illegittimità costituzionale della norma impugnata sarebbe ravvisabile anche per altra ipotesi interpretativa nel senso che, ferma la competenza regionale ad irrogare le sanzioni amministrative previste dal decreto legislativo n.109 del 1992 cit. e a riscuotere le somme dovute, queste poi debbano essere dalla regione versate all'ufficio statale (ufficio del registro), indicato nella norma impugnata. Sarebbe così violato l'art. 119 della Costituzione che garantisce l'autonomia finanziaria regionale, la quale verrebbe vanificata per il fatto che somme, spettanti alla regione in relazione all'esercizio di proprie competenze, siano invece introitate dallo Stato.

La violazione delle attribuzioni regionali sarebbe confermata anche dalla omessa previsione, nella norma impugnata o in altra, circa la destinazione di tali proventi e la eventuale successiva loro ripartizione fra le regioni (e le province autonome).

2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, riservandosi di esporre le proprie considerazioni in una successiva memoria, poi depositata in occasione dell'udienza di discussione.

In essa la difesa del Governo osserva che il decreto legislativo n.109 del 1992, nel dare attuazione alle direttive CEE nn. 89/395 e 89/396, ha riordinato con una normativa organica l'intera materia (già disciplinata dal d.P.R. 18 maggio 1982 n.322) della etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti, abrogando tutte le precedenti disposizioni diverse o incompatibili con quelle previste dal decreto stesso (art.29, secondo comma) e disponendo che le norme in esso contenute possono essere modificate o integrate, in attuazione di disposizioni comunitarie nella materia, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'industria di concerto con quello della sanità (art. 29, terzo comma).

Tale nuova disciplina, attuando le direttive comunitarie che tendono a garantire una migliore informazione dei consumatori, ha necessariamente inciso sulle competenze regionali dal momento che, mentre la prima norma sull'etichettatura (art. 8 della legge n. 283 del 1962) era contenuta in una legge che recava la "disciplina igienica" degli alimenti, con una finalità, dunque, tipicamente igienico-sanitaria, e per questo le relative funzioni amministrative dovevano ritenersi di spettanza delle regioni, ora, con lo sviluppo di una politica comunitaria della legislazione alimentare, si è inteso separatamente, da un canto, proteggere la salubrità degli alimenti e, dall'altro, assicurare lealtà e trasparenza nelle relazioni commerciali.

In questo quadro le norme sull'etichettatura recate dal decreto legislativo n. 109 cit., nuove e diverse rispetto alle prime, "costituiscono un corpo organico, con funzione tecnico-commerciale e non di protezione sanitaria", come è dimostrato dal fatto che le indicazioni ora richieste (denominazione di vendita del prodotto, nome del responsabile della commercializzazione, quantità, titolo alcolometrico, ecc.), al di là di qualche aspetto sanitario concorrente, sono appunto finalizzate alla tutela del consumatore per metterlo in condizioni di effettuare scelte economiche consapevoli.

Trattandosi quindi di una disciplina del commercio, non può essere negata la competenza sanzionatoria dello Stato e l'attribuzione allo stesso dei proventi delle sanzioni amministrative.

Considerato in diritto

1.- É stata sollevata dalla Regione Toscana questione di legittimità costituzionale dell'art.18, terzo comma, del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 109 (Attuazione delle direttive CEE n.395/89 e n. 396/89, concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), il quale prevede che l'importo relativo alle sanzioni amministrative - per le infrazioni alle norme contenute nello stesso decreto e la cui entità è disciplinata dal primo e secondo comma del medesimo articolo - deve essere versato all'ufficio del registro competente per territorio.

Ad avviso della ricorrente la norma denunciata violerebbe gli artt. 117, 118, 119 e 97 della Costituzione ed in particolare gli artt. 117 e 118, perchè, attenendo le sanzioni a materia (tutela igienico-sanitaria di alimenti e bevande) di competenza regionale, spetta alle regioni, ai sensi del la legge n. 689 del 1981, di ricevere il rapporto da parte dell'organo o ufficio che ha accertato l'infrazione, di applicare la sanzione amministrativa e di incamerare i proventi.

Quanto all'art. 119 Cost. si sostiene che, ove dovesse intendersi che la norma lasci ferma la competenza sanzionatoria regionale, ma imponga alle Regioni di versare i proventi ad un ufficio statale (Ufficio del registro), verrebbero sottratte alla ricorrente somme di sua spettanza, funzionali all'esercizio di competenze costituzionalmente garantite, specie perchè sarebbe omessa qualsiasi previsione circa la destinazione di tali proventi e la eventuale successiva loro ripartizione tra le regioni (e le province autonome).

Nessuno specifico argomento è svolto in riferimento all'art.97 della Costituzione, pur menzionato nel ricorso.

2.- La questione non è fondata in riferimento a nessuno dei parametri costituzionali invocati.

In proposito è opportuno premettere che il decreto legislativo in esame, nell'attuare le direttive comunitarie n.395 e 396 del 1989 e riordinando, come si è detto, l'intera materia già disciplinata del d.P.R. n. 322 del 1982 (che, a sua volta, aveva sostituito la norma fondamentale in materia di etichettatura dei prodotti alimentari contenuta nell'art. 8 della legge 30 aprile 1962 n.283), reca una disciplina organica in tema di etichettatura, di presentazione e di pubblicità dei prodotti alimentari e relative modalità, abrogando espressamente (art. 29) sia il d.P.R. n.322 del 1982, che tutte le altre disposizioni in materia incompatibili con quelle previste dalla nuova normativa di attuazione delle direttive comunitarie.

In proposito è opportuno precisare che in queste ultime la disciplina relativa all'etichettatura ed alla presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari viene essenzialmente riguardata con riferimento alla materia del commercio e della connessa protezione del consumatore, tendendo ad assicurare il massimo della trasparenza nella vendita dei prodotti.

Che questo sia lo scopo della nuova disciplina riceve conferma anche dall'enunciazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 109 del 1992, quando prescrive che "L'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, non devono indurre in errore gli acquirenti".

Alla luce della nuova normativa appare perciò inconferente il richiamo fatto dalla ricorrente a quella giurisprudenza della Corte (sent. n.1034 del 1988) che, essendosi occupata di normativa riguardante l'esposizione dei prodotti per il perseguimento di finalità attinenti all'igiene ed alla sanità, ha affermato la competenza delle regioni ad indicare gli uffici ai quali deve essere presentato il rapporto per le infrazioni ad obblighi e divieti attinenti a materie di competenza regionale. É dunque perchè si trattava di materia dell'igiene e sanità, di competenza regionale, diversa cioé da quella oggetto del decreto legislativo ora impugnato, che la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di leggi dello Stato che avevano attribuito a quest'ultimo la competenza in tema di sanzioni attinenti al mancato rispetto delle prescrizioni, dettate da varie norme (tra cui l'art.8 della legge 20 aprile 1962, n.283) "per garantire la bontà e le qualità organolettiche dei prodotti alimentari e bevande confezionate, al fine di prevenire danni per la salute pubblica".

Parimenti inconferente è il richiamo alla sentenza n.166 del 1989 che ha affermato la competenza delle regioni proprio in tema di sanzioni per violazione di prescrizioni riguardanti l'etichettatura di prodotti alimentari, dettate anch'esse per esigenze di tutela igienico-sanitaria.

La nuova normativa, abrogando tutta la disciplina precedente in tema di etichettatura, si inserisce invece, come si è già rilevato, in un conte sto del tutto diverso che, anche se di riflesso coinvolge aspetti attinenti all'igiene ed alla sanità - non più separatamente considerati in tema di etichettatura -, dà attuazione a direttive comunitarie riguardanti una materia, come quella del commercio, in funzione precipua della protezione del consumatore, una materia cioé di spettanza dello Stato. Legittimamente pertanto la norma impugnata attribuisce agli uffici statali, implicitamente, la competenza a ricevere il rapporto per le relative infrazioni ed, esplicitamente, quella di ricevere il versamento degli importi, per cui viene meno anche il presupposto su cui si fonda la censura facente riferimento all'art. 119 della Costituzione.

Per quel che riguarda infine l'art. 97 della Costituzione, il profilo non può essere preso in esame, non essendo stato svolta, come si è detto, alcuna argomentazione al riguardo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, del d.P.R. 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari) sollevata, in riferimento agli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/10/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 26/10/92.