SENTENZA N. 507
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23, quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1995 dal pretore di Salerno, sezione distaccata di Eboli, sul ricorso proposto da Baratta Anna contro il Prefetto della Provincia di Salerno, iscritta al n. 248 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito in camera di consiglio dell'8 novembre 1995 il Giudice relatore Renato Granata.
Ritenuto in fatto
In un giudizio di opposizione a sanzione amministrativa ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'adito Pretore di Salerno sez. distaccata di Eboli, con ordinanza del 26 gennaio 1995, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale del menzionato art. 23, quinto comma già dichiarato illegittimo con sentenza n. 534 del 1990, nella parte in cui prevede che il pretore convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l'illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall'opponente prospettando un ulteriore profilo di contrasto, con l'art. 24 della Costituzione e (implicitamente) con l'art. 3, della norma pur così emendata, nella parte in cui tuttora essa impone la convalida dell'ordinanza impugnata in caso di mancata comparizione alla prima udienza tanto dell'opponente quanto del suo pro curatore e di mancata allegazione al ricorso di documentazione da cui risulti l'illegittimità del provvedimento opposto ancorchè l'amministrazione, a sua volta, non abbia, come nella specie, depositato i documenti prescritti dal comma secondo del medesimo art. 23, atti a comprovare la legittimità della pretesa sanzionatoria.
Secondo il giudice a quo, gli stessi principi posti a fondamento della richiamata decisione di accoglimento n. 534 del 1990 dovrebbero, infatti, condurre ad estenderne la portata nei sensi ora indicati.
Ne risulterebbe altrimenti una intrinseca irragionevolezza del dato normativo ed una ingiustificata discriminazione in danno dell'opponente: il quale, "in dipendenza della specificità di alcuni motivi deducibili, potrebbe anche trovarsi nell'impossibilità materiale di produrre la documentazione a sostegno di censure che l'Amministrazione dovrebbe essa invece resistere". E ciò anche in considerazione della veste di attore e del conseguente onere probatorio che per ius receptum connotano la posizione dell'amministrazione opposta nel giudizio di opposizione.
Nel giudizio innanzi alla Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato che ha eccepito la non fondatezza della questione.
Considerato in diritto
1. Questa Corte è chiamata a decidere se l'art. 23, quinto comma, della legge n. 689 del 1981 già dichiarato illegittimo, con sentenza n. 534 del 1990, nella parte in cui prevede che il pretore convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l'illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall'opponente contrasti tuttora con gli artt. 24 e (implicitamente) 3, secondo comma, della Costituzione, nella residua parte in cui impone la convalida del provvedimento impugnato in caso di mancata comparizione alla prima udienza tanto dell'opponente quanto del suo procuratore e di mancata allegazione al ricorso di documentazione da cui risulti l'illegittimità del provvedimento opposto, nonostante la mancata produzione da parte dell'Amministrazione dei documenti prescritti dal comma secondo del medesimo art. 23, atti a comprovare la legittimità della pretesa sanzionatoria.
2. La questione è fondata.
Secondo consolidata giurisprudenza, l'opposizione a sanzione amministrativa di cui all'art. 22 della legge n.689 del 1981, pur formalmente strutturata come giudizio di impugnazione, sostanzialmente tende all'accertamento negativo della pretesa sanzionatoria.
Attraverso l'impugnazione dell'atto si perviene, infatti, ad un giudizio di merito: nel quale l'amministrazione irrogante ha veste sostanziale di attore, sotto il profilo dell'onere probatorio, come tra l'altro confermato dal dovere, ad esso imposto dal comma secondo dell'art. 23 legge cit., di "depositare in cancelleria, dieci giorni prima della udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento nonchè alla contestazione o notificazione della violazione", e dalla prescrizione di cui al comma dodicesimo della medesima norma, secondo la quale "il pretore accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente".
In questo quadro di principi che si riconducono al canone fondamentale di garanzia della difesa e che non possono per ciò essere sacrificati, costituendo il limite non superabile da una pur opportuna disciplina semplificatrice del rito oppositorio in materia di sanzioni depenalizzate si è inserita appunto la precedente sentenza di questa Corte n. 534 del 1990.
Detta sentenza, dichiaratamente "prescindendo dalla disputa relativa alla omogeneità o meno sul piano sostanziale del sistema sanzionatorio penale con quello sanzionatorio amministrativo di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689", ha fatto venir meno la preclusione già esclusa nel parallelo giudizio di opposizione a decreto penale di cui all'art. 464 del nuovo codice di procedura penale dell'esame del merito, per assenza dell'opponente e del suo procuratore alla prima udienza quando "l'illegittimità del provvedimento [già] risulti dalla documentazione allegata dall'opponente".
Questa preclusione rimaneva peraltro operante nell'ipotesi (estranea al thema decidendum del precedente giudizio di costituzionalità) in cui l'illegittimità del provvedimento impugnato non risulti da documentazione già allegata al ricorso dall'opponente non comparso, ma al tempo stesso l'amministrazione, a sua volta, non abbia soddisfatto l'onere di cui al menzionato comma secondo dell'art. 23, del preventivo deposito dei documenti atti a dimostrare la legittimità della pretesa sanzionatoria.
Ma la persistenza, in tale ambito, della preclusione effettivamente si risolve come denunciato dal Pretore rimettente in motivo di intrinseca irragionevolezza della disciplina in esame, posto che le due situazioni quella della esistenza di prova documentale della illegittimità dell'atto e quella della insussistenza di prova della sua legittimità per mancato assolvimento del dovere di produzione documentale da parte dell'amministrazione non possono, in ragione della loro speculare equivalenza nel contesto indicato, non esplicare il medesimo effetto, ostativo ovvero non ostativo per entrambe, rispetto alla convalida de plano del provvedimento opposto nel caso di mancata comparizione dell'opponente alla prima udienza.
Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata nella parte censurata dal giudice a quo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui prevede che il pretore convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l'amministrazione irrogante abbia omesso il deposito dei documenti di cui al secondo comma dello stesso art. 23.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/12/95.
Mauro FERRI, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 18/12/95.