SENTENZA N. 384
ANNO
2005
Commenti alla decisione di
I. Guido Meloni, La
difesa dell’amministrazione statale per la
vigilanza sul lavoro, per gentile concessione del Forum
di Quaderni Costituzionali
II. Luca Nogler, Divide ed impera: sull'irrealistico riparto di competenze proposto dalla Corte in tema di
vigilanza in materia di lavoro, per gentile concessione del Forum
di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera d), prima parte, e 8, commi 1, 2, lettere a), f), g), e 3 della legge 14 febbraio 2003, n.
30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) – reg.
ric. n. 41, n. 42, n. 43, n. 44 e n. 45 del 2003 – e degli artt. 1, comma 1; 2;
3, commi 1, 2, 3 e 4; 4; 5, commi 1, 2 e 3; 6, commi 1 e 3; 7; 8; 9; 10, commi
1, 3 e 4; 11; 12; 13; 14, comma 2; 15, comma 1; 16, commi 1 e 2; 17, commi 1 e
2; e 18 del d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124 (Razionalizzazione delle funzioni
ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell’art. 8
della legge 14 febbraio 2003, n. 30) – reg. ric. n. 68 e n. 69 del 2004 –
promossi con ricorsi delle Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna, della
Provincia autonoma di Trento e della Regione Basilicata (reg. ric. n. 41, n.
42, n. 43, n. 44 e n. 45 del 2003), nonché della Regione Emilia-Romagna (reg.
ric. n. 68 del 2004) e della Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 69 del
2004), notificati rispettivamente il 23, 26 e 28 aprile 2003 e il 9 e 12 luglio
2004, depositati in cancelleria il 30 aprile, il 2 e 7 maggio 2003 e il 15
luglio 2004 ed iscritti ai n. 41, n. 42, n. 43, n. 44 e n. 45 del registro
ricorsi 2003 ed ai n. 68 e n. 69 del registro ricorsi 2004.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 giugno
2005 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione
Marche, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione
Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione
Emilia-Romagna e per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato
Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1.— Con cinque distinti ricorsi, le
Regioni Marche (n. 41 del 2003), Toscana (n. 42 del 2003), Emilia-Romagna (n.
43 del 2003) e Basilicata (n. 45 del 2003), nonché la Provincia autonoma di
Trento (n. 44 del 2003) hanno proposto molteplici questioni di legittimità
costituzionale di diverse norme della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al governo in materia di occupazione e mercato del
lavoro), tra le quali alcune riguardanti l’art. 1, comma 2, lettera d) – concernente il mantenimento da parte
dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di
lavoro – l’art. 8, comma 1 (ric. n. 41, n. 42, n. 43 e n. 45) e comma 2,
lettere a) (ric. n. 41), f)
(ric. n. 41 e n. 44) e g) (ric. n.
41, n. 42 e n. 44) – che, rispettivamente, conferiscono al Governo la delega
per la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza
sociale e di lavoro e dettano i relativi principi e criteri direttivi – nonché
l’art. 8, comma 3 (ric. n. 42), che prevede la procedura di approvazione dei
decreti legislativi.
Le Regioni ascrivono le dette
funzioni alla "tutela e sicurezza del lavoro”, in ragione del loro carattere
strumentale rispetto a tale materia di competenza concorrente, assumendo, in
particolare, che il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni
amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro, riguardando la
predetta materia, dovrebbe essere regolato dalla legislazione regionale (e ciò
vale anche per l’esercizio delle funzioni amministrative) ed argomentando poi
nel senso che le funzioni ispettive di cui all’art. 8 rientrano a loro volta in
tale ambito materiale. Di qui il contrasto con le competenze legislative,
regolamentari e amministrative regionali e la conseguente violazione degli
artt. 117 e 118 della Costituzione. Con riferimento a quest’ultimo parametro,
viene altresì censurato l’anzidetto comma 3 dell’art. 8, per l’assenza di ogni
coinvolgimento regionale in sede di approvazione dei relativi decreti
legislativi (è previsto il solo parere delle competenti Commissioni
parlamentari).
La Provincia autonoma di Trento,
infine, premesso che le funzioni amministrative relative alla vigilanza in
materia di lavoro sono attualmente già esercitate da essa, osserva che la
funzione di vigilanza si esaurisce o comunque rientra nella tutela del lavoro.
La contestazione riguardante il mantenimento allo Stato delle funzioni di
vigilanza si estende nei confronti dell’art. 8, comma 1, della legge n. 30 del
2003, che prevede il riassetto della disciplina vigente in tema di ispezioni in
materia di previdenza sociale e di lavoro; più in particolare, avverso le
lettere f) e g) del comma 2 del medesimo art. 8, contenenti deleghe per
l’istituzione di una direzione generale con compiti di direzione e
coordinamento delle strutture periferiche del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali in vista dell’esercizio unitario della funzione ispettiva,
nonché l’obbligo, da parte delle direzioni regionali e provinciali del lavoro,
di attenersi alle direttive emanate dalla stessa direzione generale del
Ministero. Anche qui si tratta, secondo la Provincia di Trento, di funzioni che
sono già esercitate in sede provinciale, senza che la connessione tra la
vigilanza e la previdenza sociale possa attrarre anche la prima nell’orbita della
competenza statale.
1.2.— Nei giudizi come sopra
introdotti si è costituito, con atti di contenuto analogo, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo la declaratoria di non fondatezza e sottolineando, in
particolare, la genericità della censura concernente l’art. 8.
In relazione alla specifica
impugnazione di tale norma, l’Avvocatura dello Stato ha osservato che è vero
che la disposizione della legge delega parla genericamente di funzioni
ispettive e di vigilanza in materia di lavoro, ma già il comma 2 dell’art. 8,
alla lettera a), specifica che il
sistema delle ispezioni dev’essere improntato «alla prevenzione e promozione
dell’osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di
lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli
essenziali...», materie tutte chiaramente afferenti alle competenze esclusive
statali. Sul punto, poi, sarebbe ancora più esplicito il decreto legislativo 23
aprile 2004, n. 124, attuativo delle impugnate norme di delega, il cui art. 1,
rubricato significativamente "vigilanza in materia di rapporti di lavoro e dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”,
circoscrive con chiarezza l’intervento normativo alle sole materie di esclusiva
competenza statale. Di conseguenza, sul punto nessuna lesione deriverebbe alle
Regioni dalle disposizioni impugnate.
1.3.— Con provvedimento del 28
settembre 2004 la trattazione delle questioni in argomento è stata separata da
quella avente ad oggetto tutte le altre norme della legge delega; le questioni
concernenti queste ultime, unitamente alle censure sul decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276, sono state decise con la sentenza n. 50 del
2005.
2.1.— Con ricorso notificato il 9
luglio 2004 e depositato il successivo 15 luglio (n. 68 del 2004) la Regione
Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1;
2; 3, commi da
Secondo la ricorrente la vigilanza
sul lavoro rientra nella materia "tutela del lavoro”, non già per il carattere
strumentale che ogni disciplina sanzionatoria assume rispetto alla materia di
base, bensì per le caratteristiche della materia de qua; il senso della "tutela del lavoro” è di affidare alle
Regioni, nel rispetto dei principi fondamentali statali, la disciplina e
l’allocazione di tutte le funzioni amministrative di vigilanza sul rispetto
della normativa volta a tutelare il lavoratore, di qualsiasi tipo essa sia,
amministrativa regionale, amministrativa statale (ad esempio, previdenziale),
civilistica o proveniente dalla contrattazione collettiva, comprendendo "per
propria essenza” tutta l’attività pubblicistica funzionale alla difesa della
regolarità, stabilità e sicurezza del lavoro, e dunque anche quella volta a
garantite il rispetto delle norme civilistiche.
Prima di motivare le singole
questioni, la Regione premette che il decreto legislativo n. 124 del 2004
conferma in pieno i timori da essa espressi con il ricorso n. 43 del 2003,
disciplinando la materia della vigilanza in materia di lavoro e previdenza
sociale senza alcun riconoscimento della competenza legislativa regionale e
senza alcuna considerazione del principio di sussidiarietà, dettando una
normativa direttamente operativa e dettagliata in materia concorrente,
allocando altresì direttamente le funzioni amministrative in materia di
competenza regionale (salva la determinazione dei principi fondamentali) ed
individuando nello Stato l’ente competente all’esercizio della vigilanza, senza
che sussista alcuna esigenza unitaria.
L’impugnato decreto legislativo
contraddice la spettanza alla Regione della potestà legislativa in materia di
tutela del lavoro, salvi soltanto i principi fondamentali stabiliti dalla
legislazione statale, in quanto esso disciplina l’attività di vigilanza come
funzione statale, caratterizzata da un impianto accentrato, fondato sulla
competenza di organi statali centrali nonché sulla competenza amministrativa ed
operativa di organi statali periferici. Inoltre, sul presupposto del carattere
statale delle relative funzioni e competenze, il decreto legislativo ne regola
nel dettaglio lo svolgimento.
2.2.–– Passando quindi al merito
delle singole censure, la Regione ricorrente rileva che le norme centrali del
decreto sono l’art. 1, comma 1, primo periodo e l’art. 6, comma 1, dettati in
materia di vigilanza e di personale ispettivo.
In particolare, l’art. 1, comma 1,
contiene, come la norma delegante, un richiamo alle competenze regionali che la
ricorrente ritiene del tutto formale, dato che in nessun altro punto il decreto
si preoccupa di tener conto di quelle competenze.
Le disposizioni confermano la
competenza amministrativa del Ministero del lavoro, dimostrando che lo Stato
non si è limitato ad intervenire nella materia della vigilanza sul lavoro solo
con la determinazione di principi fondamentali, lasciando alle Regioni spazio
per la disciplina di dettaglio e consentendo loro l’esercizio della potestà di
allocazione delle funzioni amministrative ad esse assegnata dall’art. 118,
secondo comma, della Costituzione.
Né ricorrerebbero, d’altra parte,
quelle effettive esigenze di esercizio unitario che, nel rispetto del principio
di leale collaborazione, consentono, secondo la stessa giurisprudenza
costituzionale, l’assunzione a livello statale di funzioni amministrative nelle
materie di competenza regionale, in quanto esse implicano che l’alterazione
delle competenze legislative possa avvenire solo assegnando funzioni ad organi
statali centrali, perché la stessa competenza degli organi statali periferici
smentirebbe l’esistenza di un’esigenza di esercizio unitario.
La ricorrente è del parere che, dopo
l’introduzione della competenza legislativa delle Regioni in materia di tutela
del lavoro, la legislazione statale avrebbe dovuto prevedere il trasferimento
degli uffici stessi a favore delle Regioni o, in ipotesi, degli enti indicati
dalle Regioni come titolari della competenza amministrativa in materia. Anche
se la Costituzione attribuisce direttamente alle Regioni il potere di assegnare
le funzioni amministrative (e nulla impedisce alle Regioni di istituire
autonomamente propri uffici per esercitare una funzione amministrativa in una
materia regionale), tuttavia una razionale riorganizzazione
dell’amministrazione pubblica presuppone che nelle materie regionali gli uffici
statali periferici siano trasferiti agli enti indicati dalle leggi regionali
come titolari della relativa funzione, dovendosi ritenere giustificata
l’attrazione di funzioni amministrative allo Stato soltanto in casi
particolari, fra i quali certamente non rientra l’ordinaria attività di
vigilanza sul lavoro.
Quanto, in particolare, alla
«vigilanza in materia... dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale», cui si riferisce l’impugnato art. 1, la ricorrente ribadisce la
propria ottica circa l’estensione della materia "tutela del lavoro”, che
comprenderebbe tutta l’attività pubblicistica funzionale alla difesa della
regolarità, stabilità e sicurezza del lavoro, e dunque anche quella volta a
garantire il rispetto delle norme civilistiche.
Allo Stato spetta infatti determinare
i livelli essenziali e disciplinare le eventuali sanzioni civili e penali,
mentre l’attività amministrativa di vigilanza è oggetto di potestà concorrente
(con possibilità, per lo Stato, di attivare il potere sostitutivo, in base
all’art. 120 Cost., ove ne ricorrano i presupposti). D’altra parte, la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni non sarebbe di per sé
una "materia”, ma un compito statale che attiene di regola a materie regionali,
come in campo sanitario, assistenziale o scolastico, sicché non esiste
un’autonoma vigilanza riguardante la "determinazione dei livelli essenziali”,
ma una funzione di vigilanza relativa alla tutela del lavoro.
L’art. 6, comma 3, analogamente,
presuppone che le funzioni ispettive afferenti la previdenza sociale siano
svolte dagli organi periferici statali e dagli organi periferici degli enti
previdenziali.
Benché in questo caso la materia
"vigilata” appartenga alla competenza statale, ad avviso della ricorrente la
norma viola comunque l’art. 118, primo comma, Cost., perché il principio di
sussidiarietà di cui alla disposizione costituzionale opera anche in relazione
alle materie statali (come già sostenuto nel ricorso contro la legge di
delega). Per le medesime ragioni sopra esposte, la connessione esistente tra
lavoro e previdenza dovrebbe risolversi, sul piano amministrativo, attraverso
l’unificazione delle funzioni in capo alle strutture degli enti autonomi,
restando allo Stato e agli enti parastatali le funzioni unitarie. Se, infatti,
esistono, nelle materie di competenza statale di cui all’art. 117, secondo
comma, Cost., settori (quali la difesa o la pubblica sicurezza) in cui per
evidenti ragioni lo Stato deve conservare un apparato direttamente e
territorialmente operativo, le stesse ragioni non esistono affatto per il
settore della vigilanza sulla previdenza sociale, nel quale sono invece
evidenti le relazioni di accessorietà all’organizzazione generale della
vigilanza in materia di tutela di lavoro, che compete alle Regioni.
2.3.–– Quanto agli artt. 2, 3, commi
da
2.3.1.–– In particolare, l’art. 2
prevede l’istituzione di una direzione generale con compiti di direzione e
coordinamento delle attività ispettive. Tenuto conto delle altre norme del
decreto, tale disposizione prevede un’attività di coordinamento e direzione
dell’attività di vigilanza svolta dagli organi periferici dello Stato e degli
enti previdenziali, sicché la sua illegittimità sarebbe conseguente a quella
delle norme che mantengono le funzioni di quegli organi. Peraltro, poiché
richiama genericamente i «soggetti che effettuano vigilanza», l’art. 2 potrebbe
essere riferito anche ad organi regionali o degli enti autonomi, ove fossero
accolte le censure di cui sopra: in questo caso, esso sarebbe illegittimo
perché, nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., non è
più ammesso un potere amministrativo statale di indirizzo e coordinamento. In
subordine, ove si ravvisassero esigenze di coordinamento fondate sul principio
di sussidiarietà, l’art. 2 sarebbe in ogni caso illegittimo per violazione del
principio di leale collaborazione, perché non si prevede l’intesa della
Conferenza Stato-Regioni per l’esercizio della funzione di coordinamento.
2.3.2.–– Quanto all’art. 3, che
prevede e regola il funzionamento di un altro organo, ossia la Commissione
centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza, la Regione Emilia-Romagna
rileva che il comma 1 risulta illegittimo per le ragioni esposte in relazione
all’art. 2 (cioè per illegittimità "derivata”, se il coordinamento riguarda
organi statali, o per illegittimità del potere di coordinamento o, in
subordine, della mancata previsione di un’intesa, se esso riguarda organi
regionali); a loro volta, i commi 2 e 3 sono legati al comma
In relazione all’art. 3, comma 4, la
gestione della «banca dati» può effettivamente considerarsi una funzione
unitaria in materia regionale, ma il comma 4, prima parte, risulta illegittimo
perché non prevede 1’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in violazione del
principio di leale collaborazione. Invece il comma 4, seconda parte (che
prevede il «modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti»),
sarebbe illegittimo per le ragioni esposte in relazione all’art. 2.
Viene poi eccepito un particolare
profilo di illegittimità dell’art. 3, comma 2, nella parte in cui prevede fra i
membri della Commissione il Coordinatore nazionale delle aziende sanitarie
locali. Si tratta di una figura inedita all’interno del nostro ordinamento
giuridico, che dovrebbe svolgere una funzione di coordinamento in materia
regionale (tutela della salute). La legge delega, tuttavia, non attribuiva al
Governo il potere di creare un tale organo in una materia (quella sanitaria)
che, oltretutto, non è oggetto della disciplina in questione. L’art. 3, comma
2, dunque, prevede un organo statale con funzioni di coordinamento di enti
pararegionali, con conseguente violazione degli artt. 76 e 117, terzo comma,
della Costituzione.
2.3.3.–– Specifiche censure vengono
poi rivolte contro l’art. 4 del decreto n. 124, che prevede un’attività di
coordinamento a livello regionale, ad opera delle direzioni regionali del
lavoro (comma 1) e delle commissioni regionali di coordinamento dell’attività
di vigilanza (comma 2). Esso sarebbe affetto da illegittimità "derivata” se il
coordinamento concerne organi statali o parastatali; se esso riguarda organi
non statali, l’illegittimità sarebbe ancora più evidente che nel caso degli
artt. 2 e 3, perché qui manca addirittura il carattere unitario della funzione.
Nelle materie regionali spetta alla legge regionale sia allocare le funzioni di
concreta vigilanza sia allocare le funzioni di coordinamento. In subordine,
l’art. 4, commi l e 2, sarebbe illegittimo per mancata previsione di un’intesa
con la Regione interessata, mentre l’illegittimità del comma 2 comporta quella
dei commi 3 e 4, che riguardano la composizione della commissione regionale di
coordinamento.
Anche la previsione, nel comma 3, del
Coordinatore regionale delle aziende sanitarie locali, sarebbe illegittima per
i medesimi motivi esposti a proposito del Coordinatore nazionale delle aziende
sanitarie locali, ed inoltre per ragioni corrispondenti a quelle appena esposte
sul generale coordinamento regionale.
Il comma 5 prevede un’attività
informativa della Commissione regionale, funzionale all’esercizio del potere di
direttiva del Ministro del lavoro: per l’illegittimità di questa norma la
ricorrente rinvia a quanto detto in relazione all’art. 2, commi 2 e 3.
2.3.4.–– Il ricorso passa a questo
punto alle censure relativo all’art. 5, il quale si occupa del Coordinamento
provinciale dell’attività di vigilanza.
Il comma 1 di tale norma violerebbe
gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., per le stesse
ragioni esposte in relazione all’art. 4, commi 1 e 2, ulteriormente aggravate
dal carattere provinciale del coordinamento. Quanto ai commi 2 e 3, che
affidano funzioni amministrative nella materia della tutela del lavoro ai CLES
(Comitati per il lavoro e l’emersione del sommerso), – previsti dal
decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito nella legge 22 novembre
2002, n. 266, organi locali da ritenersi statali in virtù della loro
composizione e dei poteri di nomina affidati al prefetto – gli stessi
violerebbero gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, della
Costituzione.
2.4.–– In riferimento all’art. 7, che
indica i vari compiti del personale ispettivo, il ricorso ne sostiene
l’illegittimità in quanto norma collegata con l’art. 6, comma 1; d’altra parte,
se pure si giustificasse una funzione statale in materia regionale, sarebbe
necessaria un’intesa con la Regione, ma questo schema non è praticabile per la
minuta e frequente attività ispettiva.
2.5.–– Viene poi censurato anche
l’art. 8 del decreto n. 124, il quale disciplina le attività di prevenzione e
promozione.
Tale norma regola nei primi due commi
attività che rientrerebbero nella materia "tutela del lavoro” e, assegnando
funzioni amministrative ad organi statali periferici, andrebbe a violare gli
artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., mentre il comma 3
sembra attenere più alla formazione che alla tutela del lavoro, così da
ricadere in una materia di potestà regionale piena, con conseguente violazione
anche dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione. Anche l’art. 8, comma 4,
che disciplina l’attività dei soggetti abilitati alla certificazione dei
rapporti di lavoro, rientrerebbe nella materia "tutela del lavoro” e,
attribuendo funzioni amministrative ad organi statali periferici, violerebbe
gli anzidetti parametri costituzionali, senza che possa apparire giustificato
il potere ministeriale di direttiva, non essendo più ammessa la funzione di
indirizzo e coordinamento; né, d’altra parte, è previsto alcun coinvolgimento
delle Regioni nell’elaborazione di tali direttive ministeriali. Il comma 5
dell’art. 8 affida le attività previste dai primi tre commi agli enti
previdenziali, così ricadendo nell’ambito delle censure già prospettate.
2.6.–– In relazione all’art. 10 del
decreto impugnato, che si occupa di razionalizzazione e coordinamento
dell’attività ispettiva istituendo, fra l’altro, una banca dati telematica
nell’ambito delle strutture del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
la ricorrente non contesta l’esistenza di una banca dati centrale, ma sostiene
che, qualora risultasse fondata la questione relativa alla competenza regionale
in tema di vigilanza, la banca dati dovrebbe essere considerata accessibile
anche dalle Regioni (anzi, sarebbe paradossale che l’ente costituzionalmente
competente in materia di tutela del lavoro non possa accedere alla banca dati
centrale). Illegittimo sarebbe pure, per violazione del principio di leale
collaborazione, l’ultimo periodo del comma
Ugualmente illegittimi sarebbero i
commi 3 e 4 dell’art. 10, il primo dei quali attribuisce funzioni
amministrative particolari alle direzioni regionali del lavoro, mentre il comma
4 stabilisce l’adozione di un modello unificato di verbale di rilevazione degli
illeciti ad uso degli organi di vigilanza in materia di lavoro e di previdenza
e assistenza obbligatoria, modello adottato con decreto del Ministro del lavoro
e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze. L’illegittimità di queste norme sarebbe collegata a quella delle norme
attributive delle funzioni di vigilanza e, comunque, deriverebbe dalla mancanza
di un’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, cioè dalla violazione del
principio di leale collaborazione.
2.7.–– L’art. 11, commi 1, 4, secondo
periodo, 5 e 6, attribuisce competenze in materia di conciliazione
amministrativa ad un funzionario della direzione provinciale del lavoro.
L’illegittimità di dette norme sarebbe "derivata”, nel senso che essa consegue
a quella delle norme che mantengono agli organi statali periferici la
competenza in materia di vigilanza, né si potrebbe affermare la spettanza allo
Stato della competenza a svolgere la conciliazione amministrativa anche nel
caso in cui la vigilanza fosse attribuita alle Regioni; sul punto, la
ricorrente richiama quanto sostenuto nel ricorso n. 43 del
2.8.–– L’art. 12, commi 1, 2, primo
periodo, 3 e 4, che assegna funzioni amministrative (diffida e tentativo di
conciliazione) alle direzioni provinciali del lavoro a tutela dei crediti
patrimoniali dei lavoratori, viene censurato in quanto assegna ad un organo
statale periferico una funzione amministrativa regolandola nel dettaglio, in
violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, della
Costituzione.
2.9.–– La norma dell’art. 14, che
riguarda l’esecutività delle disposizioni impartite dal personale ispettivo, è
ritenuta illegittima, quanto alla prima frase del comma 2, per ragioni
conseguenti a quelle relative alle norme che mantengono la competenza sulla
vigilanza al personale statale. Qualora il "personale ispettivo” non fosse
statale, detta norma sarebbe illegittima in quanto assegna ad un organo statale
periferico la competenza a decidere i ricorsi amministrativi in materia
regionale.
2.10.–– Analoghe censure vengono
rivolte contro l’art. 15, comma 1, primo periodo, in materia di prescrizione
obbligatoria da parte del personale ispettivo, ritenuto illegittimo perché
presuppone e conferma la competenza degli organi statali periferici sulla
vigilanza in materia di lavoro.
2.11.–– I commi 1 e 2 dell’art. 16
prevedono, rispettivamente, la possibilità di un ricorso amministrativo avanti
alle direzioni regionali del lavoro contro le ordinanze delle direzioni
provinciali e la procedura relativa, ed anche in questo caso l’illegittimità
conseguirebbe a quella delle norme attributive delle funzioni di vigilanza alle
direzioni provinciali.
2.12.–– Analoghe censure vengono
rivolte nel ricorso contro i commi 1 e 2 dell’art. 17, che istituisce il
Comitato regionale per i rapporti di lavoro e ne regola le funzioni decisorie
sui ricorsi avverso gli atti di accertamento e le ordinanze-ingiunzioni delle
direzioni provinciali del lavoro e avverso i verbali di accertamento degli
istituti previdenziali e assicurativi; tali norme sarebbero illegittime perché
mantengono e assegnano funzioni amministrative ad organi statali periferici
nella materia della tutela del lavoro, di competenza regionale.
2.13.–– L’art. 18, che si occupa
della formazione del personale ispettivo, statale e parastatale, sarebbe
affetto da illegittimità "derivata” dall’illegittimità delle norme che
mantengono la competenza degli organi periferici statali. La prima parte della
norma potrebbe anche essere riferita a personale ispettivo regionale, ma essa
sarebbe pur sempre illegittima perché interviene in materia di competenza
regionale piena (formazione professionale), in violazione dell’art. 117, quarto
comma, della Costituzione.
3.1.— Con ricorso notificato il 12
luglio 2004 e depositato il successivo 15 luglio (n. 69 del 2004) la Provincia
autonoma di Trento ha sollevato – in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, al
principio di leale collaborazione, all’art. 2 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, agli artt. 8, numero 23) e numero 29), 9 numero 4) e n. 5), 10 e
16 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige di cui al d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670, ed a diverse norme di attuazione dello statuto –
questione di legittimità costituzionale delle medesime norme impugnate con il
ricorso della Regione Emilia-Romagna (ad eccezione del comma 3 dell’art. 6),
estendendo però le censure anche agli artt. 9, 13 ed all’art. 11 del citato
decreto legislativo n. 124 del 2004.
Oltre a premettere considerazioni di
carattere generale analoghe a quelle del ricorso n. 68 del 2004, la ricorrente
rivendica una competenza propria in tema di funzioni ispettive relative alla
previdenza sociale e al lavoro (già conferite a titolo di delega), fondata
sull’art. 117, terzo comma, Cost., in connessione con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001.
La Provincia ricorrente premette di
essere dotata, in conformità allo statuto speciale ed alle relative norme di
attuazione, di potestà legislativa primaria in materia di costituzione e
funzionamento di commissioni comunali e provinciali per l’assistenza e
l’orientamento al lavoro (art. 8, numero 23) e di formazione professionale
(art. 8, numero 29), nonché di potestà legislativa concorrente in materia di
apprendistato, libretti di lavoro, categorie e qualifiche dei lavoratori (art.
9, numero 4) e di costituzione e funzionamento di commissioni comunali e
provinciali di controllo sul collocamento (art. 9, numero 5); precisa, inoltre,
di essere dotata anche di potestà legislativa integrativa nella materia del
collocamento e dell’avviamento al lavoro (art. 10, comma 1). Nelle medesime
materie la Provincia è titolare anche delle funzioni amministrative, in base
agli artt. 10 e 16 dello statuto.
Le disposizioni statutarie sono state
attuate, in particolare, con il d.P.R. 26 gennaio
1980, n. 197, al fine di realizzare un organico sistema di ispezione del lavoro
nelle Province di Trento e di Bolzano (art. 3, primo comma), delegando alle
Province l’esercizio delle funzioni amministrative dello Stato decentrate a
livello locale, relative alla vigilanza e tutela del lavoro, che già non
spettassero alle province a titolo proprio (art. 3, primo comma, del d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 ed art. 3, primo comma,
numero 12, del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), nonché
l’esercizio delle funzioni svolte dall’Ispettorato del lavoro quanto alla
vigilanza sull’applicazione delle norme relative alla previdenza ed alle
assicurazioni sociali (art. 3, primo comma, del d.P.R.
n. 197 del 1980, ed art. 3, primo comma, n. 11, del d.P.R.
n. 474 del 1975).
Conseguentemente, l’art. 4 del d.P.R. n. 197 del
Nella materia del lavoro, poi, in
base all’art. 9-bis del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 280, è stato delegato alle
medesime Province autonome «l’esercizio delle funzioni amministrative attribuite
all’ufficio regionale e agli uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione di Trento e Bolzano nonché alle sezioni circoscrizionali per
l’impiego ricadenti nei rispettivi territori». Già prima del 2001, dunque, le
Province autonome avevano una vasta serie di competenze amministrative nella
materia della tutela del lavoro, conferite con delega (che, peraltro, aveva
chiaro e riconosciuto carattere organico). Coerentemente con il titolo della
attribuzione, invece, il potere legislativo aveva carattere limitato.
Tuttavia, il riparto di competenze è
stato innovato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, la quale ha conferito
alle Regioni ordinarie potestà legislativa concorrente in materia di tutela e
sicurezza del lavoro, sicché per tale profilo il nuovo assetto è applicabile
anche alla Provincia autonoma ricorrente in quanto stabilisce un grado maggiore
di autonomia, secondo quanto disposto dall’art. 10 della legge costituzionale
ora citata.
Anche se, con specifico riferimento
alle competenze provinciali, l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo
impugnato contiene una clausola di salvaguardia: essa si riferisce, a parere
della ricorrente, alle sole competenze derivanti dallo statuto e dalle relative
norme d’attuazione, ovverosia alla delega di competenze prevista dalle citate
norme d’attuazione, senza estendersi alle nuove competenze in materia di tutela
e sicurezza del lavoro di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., attribuite alle
Province autonome al pari delle Regioni ordinarie.
In sostanza l’effetto del decreto
legislativo n. 124 del 2004 sarebbe quello di mantenere la situazione attuale
nella quale la Provincia esercita le funzioni amministrative di vigilanza sul
lavoro per delega conferita dallo Stato. Il conservare la situazione attuale
risulta, tuttavia, costituzionalmente illegittimo in quanto, anche se non sono
stabiliti termini precisi entro i quali il legislatore statale ordinario debba
dare attuazione alle modifiche introdotte con la legge costituzionale n. 3 del
2001, è pacifico però che esso non può legiferare in contraddizione con le
nuove regole, cosa che, invece, avviene con le norme censurate. In sostanza, il
decreto legislativo n. 124 del 2004 disconosce e contraddice il mutato
carattere delle funzioni provinciali, funzioni che spettano oggi alla Provincia
a titolo di competenza propria e non delegata.
3.2.–– Il ricorso passa quindi ad
illustrare la censura dell’art. 1, comma 1, negli stessi termini di cui al
precedente atto introduttivo, ribadendo altresì l’illegittimità costituzionale
degli artt. 5, commi 2 e 3; 7; 8, commi da
Quanto all’art. 5, commi 2 e 3, che
attribuisce funzioni amministrative ai CLES, la ricorrente precisa di aver
impugnato dinanzi alla Corte le norme del decreto-legge n. 210 del 2002 con
ricorso n. 9 del 2003.
3.3.–– La Provincia di Trento insiste
quindi su alcuni specifici profili di illegittimità delle rimanenti
disposizioni impugnate.
Gli artt. 2; 3, commi 1, 2, 3 e 4,
seconda parte; 4; 5, comma 1 e 10, comma 4 assegnano funzioni di coordinamento
a strutture statali di vario tipo. La legittimità di queste norme risulta
collegata a quella degli artt. 1 e 6: se queste disposizioni sono illegittime,
anche le norme che disciplinano il coordinamento delle funzioni oggetto degli
artt. 1 e 6 risultano affette da illegittimità "derivata”. Tali norme, non
menzionando espressamente gli organi statali come destinatari del
coordinamento, potrebbero essere riferite anche ad organi regionali e
provinciali dotati di competenza propria in materia di vigilanza (qualora la
Corte accogliesse le censure di cui sopra); in questo caso essi sarebbero
illegittimi perché, nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma,
Cost., non è più ammesso un potere amministrativo statale di indirizzo e
coordinamento.
In subordine, ove si ravvisassero
esigenze di coordinamento fondate sul principio di sussidiarietà, le norme
sopra citate sarebbero in ogni caso illegittime per violazione del principio di
leale collaborazione, perché non si prevede l’intesa della Conferenza
Stato-Regioni (negli artt. 2 e 3) o della singola Regione o Provincia (negli
artt. 4 e 5) per l’esercizio della funzione di coordinamento. Poiché, inoltre,
gli artt. 4 e 5 prevedono un coordinamento regionale e provinciale, se esso
riguarda organi non statali l’illegittimità è ancora più evidente che nel caso
degli artt. 2 e 3, perché qui manca addirittura il carattere unitario della
funzione.
Quanto all’art. 3, comma 4, prima
parte, esso risulta illegittimo perché non prevede l’intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, in violazione del principio di leale collaborazione.
Infine, un particolare profilo di
illegittimità (analogo a quello sopra prospettato) riguarda l’art. 3, comma 2,
e l’art. 4, comma 3. Essi, infatti, prevedono fra i membri della commissione
centrale e delle commissioni regionali di coordinamento, rispettivamente, il
Coordinatore nazionale ed il Coordinatore regionale delle aziende sanitarie
locali. Si tratta di figure inedite per il nostro ordinamento giuridico, che
dovrebbero svolgere una funzione di coordinamento in materia provinciale
(tutela della salute). La legge delega, tuttavia, non attribuiva al Governo il
potere di creare tali organi, in materia (quella sanitaria) che oltretutto non
è oggetto della disciplina in questione. L’art. 3, comma 2, e l’art. 4, comma
3, dunque, prevedono al di fuori della delega organi statali con funzioni di
coordinamento di enti paraprovinciali, con conseguente violazione degli artt.
76 ,117, terzo comma, e 118 della Costituzione.
3.4.–– La Provincia ricorrente
impugna, inoltre, anche l’art. 9 del decreto n.
Questa disposizione risulta
illegittima sotto diversi profili. In primo luogo, poiché nella Provincia di
Trento le funzioni degli organi statali periferici sono esercitate dalla
Provincia, essa potrebbe essere intesa nel senso di attribuire alla Provincia
il compito di inoltrare i quesiti al Ministero: ma, dato il mutamento del
titolo costituzionale di competenza della Provincia in materia di tutela del
lavoro, non tocca alla legge statale di definire i compiti della Provincia
stessa, ovvero di assegnarle un ruolo meramente ausiliario allo svolgimento di
una funzione ministeriale. Inoltre, l’art. 9 presuppone che esistano «normative
di competenza del Ministero del lavoro», mentre in questa materia lo Stato può
solo dettare, con legge, principi; la norma, infine, imponendo l’inoltro
esclusivamente in via telematica, risulta di estremo dettaglio e lesiva
dell’autonomia organizzativa della Provincia.
3.5.–– Si censura, poi, l’art. 10,
comma 1, del decreto, ove viene regolata, tra l’altro, la banca dati telematica
che raccoglie le informazioni sui datori di lavoro ispezionati. La Provincia
ritiene che alla banca dati dovrebbero poter accedere tutte le amministrazioni
che svolgono la vigilanza e non solo quelle che la svolgono ai sensi del
decreto in argomento. Data la finalità della banca dati, poi, l’inaccessibilità
della medesima da parte della Provincia risulterebbe irragionevole e lesiva
delle sue competenze in materia di vigilanza. Appare poi illegittimo l’ultimo
periodo del comma
3.6.–– L’art. 11, commi 1 e 6, è
censurato con gli stessi argomenti utilizzati nel ricorso n. 68.
Gli artt. 7, 11, 12, 13 e 14 appaiono
poi illegittimi alla ricorrente anzitutto in quanto pretendono di applicarsi
direttamente alla medesima, in violazione dell’art. 2 del decreto legislativo
16 marzo 1992, n. 266. Inoltre l’art. 7, lettere e) e f); l’art. 11, commi
2, 4, 5 e 6; l’art. 12, commi 2 e 3; l’art. 13, commi 2 e 3, e 1’art. 14, comma
2, risultano eccessivamente di dettaglio, mentre l’art. 11, comma 3, e l’art.
12, comma 2, ultimo periodo, apportano una grave ed irragionevole deroga ad un
fondamentale principio di tutela del lavoratore (art. 2113 cod. civ.), con
conseguente pregiudizio del ruolo costituzionale della Provincia nella materia
della tutela del lavoro.
3.7.–– L’art. 18 è censurato
nell’ottica già espressa; peraltro la ricorrente, utilizzando (sia pure in
regime di delega) il proprio personale, ritiene che la disposizione possa
essere intesa come non riferentesi ad essa, considerando sia la propria potestà
primaria in materia di formazione professionale che la garanzia di cui all’art.
2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266. L’impugnazione ha carattere
cautelativo, per l’ipotesi in cui si ritenga la disposizione applicabile anche
alla formazione del personale provinciale.
3.8.–– In conclusione, la ricorrente
impugna l’intero provvedimento legislativo per mancata sottoposizione del
relativo schema alla Conferenza Stato-Regioni; a suo dire, infatti, un conto è
che il Parlamento disattenda l’impegno preso dal Governo in sede di Conferenza,
un altro è che il Governo ometta totalmente di coinvolgere le Regioni al
momento di adottare un decreto legislativo in materia di competenza regionale,
poiché la consultazione necessaria della Conferenza, espressamente prevista dal
decreto legislativo n. 281 del 1997, costituisce attuazione del principio
costituzionale di leale collaborazione, che risulterebbe in questo caso
vulnerato.
4. — In tutti i giudizi ora
menzionati, sia quelli rivolti contro la legge delega n. 30 del 2003 sia quelli
rivolti contro il d.lgs. n. 124 del 2004, si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha sostenuto la non fondatezza di tutte le questioni, osservando in
particolare come l’organizzazione dell’attività amministrativa volta a
contrastare il lavoro sommerso e irregolare, cui ha specifico riguardo l’art. 1
dell’impugnato decreto legislativo, esuli dai compiti di "tutela e sicurezza
del lavoro” considerati nell’art. 117, terzo comma, Cost., riferiti alle modalità
amministrative e materiali di svolgimento del lavoro, alle misure
antinfortunistiche ed agli aspetti della sanità e sicurezza del luogo di
lavoro.
Inoltre la posizione sociale del
lavoratore, per quanto concerne gli aspetti normativi, retributivi e previdenziali,
riferibile agli artt. 4, 36, 37 e 38 Cost., dovrebbe ritenersi rientrante nella
competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo
comma, Cost., sotto il profilo dell’ordinamento civile (lettera l), della determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera m), o della previdenza sociale (lettera o).
La relativa disciplina è dunque
attribuita alla potestà esclusiva dello Stato, né potrebbe essere altrimenti
per l’evidenza dell’imprescindibile esigenza unitaria (a salvaguardia della par condicio degli operatori economici
nell’esercizio dell’impresa, oltre che a tutela dei diritti dei lavoratori).
In particolare, l’azione di contrasto
del lavoro sommerso e irregolare, espressione con la quale viene indicato il
complesso delle misure di diversa natura, anche fiscale e previdenziale,
incidenti sul piano generale dell’economia nel quadro di un suo rilancio (con
riflessi anche sulla tutela della concorrenza di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera e, Cost.), non può che
svolgersi al livello di governo superiore, perché ne sia assicurata
l’efficacia.
Il contesto in cui le relative
previsioni si inseriscono riguarda la politica generale del Governo, che
esclude la configurabilità di ogni differenziazione di valutazioni di eventuali
interessi ed esigenze locali.
In ogni caso l’Avvocatura osserva che
una competenza concorrente della Regione, nei limiti in cui possa configurarsi,
è rispettata ove le siano lasciati adeguati spazi di autonomia. Nella specie va
esclusa qualsiasi illegittima compressione di tale autonomia, il che renderebbe
anche ragione dell’inattendibilità delle censure riferite all’art. 118 della
Costituzione.
L’inesistenza di un apparato
regionale idoneo, dimostrata dalla stessa pretesa della Regione (non sorretta
da alcun obbligo costituzionale) di vedersi trasferire organi statali, di per
sé giustificherebbe, comunque, per un’esigenza di continuità istituzionale e
secondo il principio di sussidiarietà, l’affidamento di funzioni agli organi
statali.
Inattendibile sarebbe l’assunto, che
non trova riscontro nell’assetto costituzionale delle rispettive competenze,
secondo il quale ogni qual volta lo Stato decidesse di affidare ad un suo
organo periferico una funzione amministrativa, ciò sarebbe significativo
dell’assenza di esigenze unitarie idonee a legittimare l’allocazione di tali
funzioni in capo allo stesso Stato e della violazione, quindi, dell’art. 118
della Costituzione.
Una funzione amministrativa,
legittimamente attribuita allo Stato in base ai principi di cui all’art. 118
Cost., ben può essere svolta da organi periferici di questo, ramificati
sull’intero territorio, secondo un’azione coordinata ed omogenea a salvaguardia
di interessi unitari.
Il decreto legislativo prevede
inoltre che lo Stato, al fine di razionalizzare gli interventi sull’intero
territorio, disponga di una banca dati telematica la cui gestione trova fondamento
anche nell’art. 117, secondo comma, lettera r),
della Costituzione.
Legittimamente è prevista la
competenza dell’amministrazione statale per la definizione del modello
unificato di verbale di rilevazione degli illeciti.
Inammissibile, ancor prima che
infondata, è la denunzia di eccesso di delega riferita alla previsione di un
coordinatore nazionale delle aziende sanitarie locali, che non tocca le
prerogative regionali.
Non sarebbe, infine, invocato in modo
pertinente il principio di leale collaborazione. La materia in discorso, che
non si identifica con quella della tutela e sicurezza del lavoro, rientra nella
competenza statale. Né le ricorrenti hanno mai segnalato la ritenuta necessità
di un loro coinvolgimento in qualsivoglia forma nel procedimento preordinato
all’emanazione del decreto impugnato.
Quanto alla Provincia autonoma, nulla
è cambiato in ordine alle funzioni già esercitate dalla stessa e nessuna
incidenza sulla configurazione delle funzioni delegate che interessi la
Provincia medesima e sulla potestà di organizzazione di questa si ha nella
specie, perché il decreto delegato non dispone di uffici provinciali ma prevede
la costituzione di un organo aggiuntivo deputato all’esercizio di funzioni
statali.
Considerato in diritto
1.— Come risulta
dalla esposizione in fatto, dopo che numerose questioni relative a disposizioni
della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di
occupazione e mercato del lavoro) e del decreto legislativo 10 settembre 2003,
n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), sono state decise con la sentenza n. 50 del
2005, devono essere ora scrutinate le questioni di legittimità
costituzionale concernenti l’art. 1, comma 2, lettera d), prima parte, e l’art. 8 della suindicata legge, nonché alcune
norme del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 (Razionalizzazione delle
funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma
dell'articolo 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30), emesso in esecuzione
della delega di cui al citato art. 8.
Le disposizioni
della legge n. 30 del 2003, oggetto della disposta separazione dalle altre,
sono censurate dalle Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Basilicata nonché
dalla Provincia autonoma di Trento con riferimento agli artt. 76, 117, 118
della Costituzione, in quanto si assume che esse contengano norme, in materia
di competenza legislativa ripartita, e cioè concernenti la tutela e la
sicurezza del lavoro, non costituenti principi fondamentali, ma prima ancora
perché lo strumento della delega non può essere usato per determinare questi
ultimi.
Il decreto
legislativo n. 124 del 2004 è impugnato soltanto dalla Regione Emilia-Romagna e
dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.;
l’art. 3, comma 2, e l’art. 4, comma 3, sono stati censurati anche per
contrasto con l’art. 76 della Costituzione.
La Provincia
autonoma di Trento evoca anche norme del proprio statuto e di attuazione del
medesimo, nonché la clausola c.d. di maggior favore di cui all’art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001 e si duole anche del fatto che il decreto
legislativo sia stato adottato senza il parere della Conferenza permanente
Stato, Regioni e Province autonome.
2.— Deve essere
disposta la riunione dei ricorsi per quanto riguarda le censure contro le
suindicate norme della legge di delega n. 30 del 2003, nonché dei ricorsi della
Regione Emilia-Romagna e della Provincia autonoma di Trento contro il decreto
delegato n. 124 del
In via
preliminare, deve essere rilevata l’inammissibilità del ricorso della Regione
Toscana per genericità della deliberazione della Giunta regionale di
autorizzazione alla proposizione del ricorso, ribadendo quanto già detto con la
sentenza n. 50
del 2005 riguardo all’impugnazione concernente le altre disposizioni della
stessa legge n. 30 del 2003. Si osserva infatti a tal proposito che il rilievo
della inammissibilità è logicamente prioritario rispetto a quello della
intervenuta cessazione della materia del contendere, asserita dalla Regione.
3.— In via
generale deve essere affermata anche in questo caso, confermando quanto già
osservato con la sentenza
n. 50 del 2005, l’infondatezza della censura riguardante l’illegittimità
dello strumento della delega per la determinazione di principi fondamentali.
Infatti principi e criteri direttivi, concernenti i limiti della delega
legislativa, e principi fondamentali di una materia svolgono funzioni diverse
come diverse sono le loro caratteristiche. Non è pertanto lo strumento della
delegazione ad essere illegittimo ma possono esserlo in concreto i modi in cui
essa viene disposta e attuata (cfr. sentenze n. 359 del
1993, n. 280
del 2004, n.
50 e n. 270
del 2005).
4.— Prima di procedere alla disamina
delle singole censure, occorre prendere in esame la tesi di fondo sostenuta da
tutte le ricorrenti per affermare l’illegittimità costituzionale delle
suindicate disposizioni della legge di delegazione, nonché soltanto dalla
Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento l’illegittimità di
disposizioni del decreto legislativo n. 124 del 2004.
Il comma 2,
lettera d), prima parte, dell’art. 1
della legge n. 30 del 2003 enuncia tra i principi e criteri direttivi della
delega di cui al comma 1 dello stesso articolo «il mantenimento da parte dello
Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di
lavoro».
L’art. 8 della
stessa legge, intitolato «Delega al
Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di
previdenza sociale e di lavoro», è così formulato:
«1.
Allo scopo di definire un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con
interventi omogenei, il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto delle
competenze affidate alle Regioni, su proposta del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in
vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto
della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di
lavoro, nonché per la definizione di un quadro regolatorio
finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede
conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza.
2. La
delega di cui al comma 1 è esercitata nel rispetto dei seguenti principi e
criteri direttivi:
a) improntare
il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell’osservanza della
disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del
trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l’attività di consulenza
degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina;
b) definizione
di un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella di
conciliazione delle controversie individuali;
c) ridefinizione
dell’istituto della prescrizione e diffida propri della direzione provinciale
del lavoro;
d)
semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi e possibilità di
ricorrere alla direzione regionale del lavoro;
e)
semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro
correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica;
f) riorganizzazione
dell’attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in
materia di previdenza sociale e di lavoro con l’istituzione di una direzione
generale con compiti di direzione e coordinamento delle strutture periferiche
del Ministero ai fini dell’esercizio unitario della predetta funzione
ispettiva, tenendo altresì conto della specifica funzione di polizia
giudiziaria dell’ispettore del lavoro;
g)
razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza,
compresi quelli degli istituti previdenziali, con attribuzione della direzione
e del coordinamento operativo alle direzioni regionali e provinciali del lavoro
sulla base delle direttive adottate dalla direzione generale di cui alla
lettera f).
3. Gli
schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere per
l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari
permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega.
Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni
dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra
inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
4.
Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada
nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della
delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni.
5.
Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi
di cui al comma 1, il Governo può emanare eventuali disposizioni modificative e
correttive con le medesime modalità di cui ai commi 3 e 4, attenendosi ai
principi e ai criteri direttivi indicati al comma 2.
6.
L’attuazione della delega di cui al presente articolo non deve comportare oneri
aggiuntivi a carico della finanza pubblica».
Le ricorrenti
sostengono che la vigilanza è un’attività avente caratteristiche proprie
rispetto all’oggetto su cui si esercita, tali da non essere da questo connotata
in modo determinante. Secondo le ricorrenti la vigilanza sul lavoro e le
ispezioni – che della vigilanza costituiscono una modalità di esercizio –
rientrano comunque nella materia "tutela del lavoro” di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost., quale che sia lo specifico oggetto su cui vertono. Solo dopo che
siano stati accertati irregolarità o anche inadempimenti, potranno insorgere problemi
riguardanti la competenza legislativa e la allocazione delle funzioni
amministrative relative ai provvedimenti conseguenti agli esiti delle attività
di vigilanza. Le sanzioni prettamente civilistiche, quali la nullità o
l’annullabilità di un negozio, o quelle penali, rientreranno nella sfera di
competenza statale, mentre tutto ciò che si esaurisce sul piano esclusivamente
amministrativo farà parte delle attribuzioni costituzionali delle Regioni e
delle Province autonome. Le norme impugnate della legge di delegazione e quelle
del decreto delegato che riguardano organi amministrativi e la loro attività
sarebbero illegittime per violazione delle suindicate attribuzioni; in
particolare sarebbero dotate di un alto tasso di illegittimità quelle norme che
regolano l’attività di vigilanza e le ispezioni in sede locale ad opera di
amministrazioni statali locali. Costituirebbe un profilo di illegittimità di
tutta la normativa impugnata il non aver disposto il trasferimento alle Regioni
delle strutture materiali e del personale impiegati in sede locale nella
vigilanza.
5.— La tesi non
può essere accolta.
E’ principio
ripetutamente affermato da questa Corte che la regolamentazione delle sanzioni
spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina della
materia, la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile (v., per tutte, sentenze n. 60
del 1993, n.
28 del 1996, n. 361 del 2003
e n. 12 del 2004).
La
regolamentazione delle sanzioni è finalizzata al rispetto di una normativa dalla
quale, ai fini del riparto di competenza legislativa, riceve la propria
connotazione.
La vigilanza, a
sua volta, spesso è la fonte dell’individuazione di fattispecie sanzionabili o
comunque di carenze che richiedono interventi anche non sanzionatori diretti
comunque ad assicurare il rispetto di una determinata disciplina; anch’essa
dunque è strumentale rispetto a quest’ultima. Ne discende che non è possibile
determinare la competenza a regolare un’attività di vigilanza indipendentemente
dalla individuazione della materia cui essa si riferisce.
D’altro canto, questa Corte ha già
affermato che «quale che sia il completo contenuto che debba riconoscersi alla
materia tutela e sicurezza del lavoro» – sul quale non si è quindi pronunciata
– è indubitabile che, mentre vi rientra certamente la disciplina del
collocamento ed in genere dei servizi per l’impiego, altrettanto certamente non
vi e compresa la normazione dei rapporti intersoggettivi tra datore di lavoro e
lavoratore, che fa parte invece dell’ordinamento civile (v. sentenza n. 50 del 2005, paragrafi 4,
5 e 6 del Considerato in diritto,
nonché sentenze n. 359 del 2003 e n. 234 del 2005).
Va aggiunto che la "previdenza
sociale”, espressamente inclusa nel secondo comma dell’art. 117 Cost., è
materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Va sottolineato, infine, che la legge
29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione,
riassetto normativo e codificazione – Legge di semplificazione 2001) all’art.
3, recante la rubrica Riassetto normativo
in materia di sicurezza del lavoro, contiene la delega al Governo per
l’adozione di uno o più decreti legislativi «per il riassetto delle
disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei
lavoratori, ai sensi e secondo i principi e criteri direttivi di cui all’art.
20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dall’articolo 1 della
presente legge, e nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) riordino,
coordinamento, armonizzazione e semplificazione delle disposizioni vigenti per l’adeguamento
alle normative comunitarie e alle convenzioni internazionali in materia;
b) determinazione
di misure tecniche ed amministrative di prevenzione compatibili con le
caratteristiche gestionali ed organizzative delle imprese, in particolare di quelle
artigiane e delle piccole imprese, anche agricole, forestali e zootecniche;
c) riordino
delle norme tecniche di sicurezza delle macchine e degli istituti concernenti
l’omologazione, la certificazione e l’autocertificazione;
d)
riformulazione dell’apparato sanzionatorio, con riferimento, in particolare,
alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti, alla previsione di
sanzioni amministrative per gli adempimenti formali di carattere documentale;
alla revisione del regime di responsabilità tenuto conto della posizione
gerarchica all’interno dell’impresa e dei poteri in ordine agli adempimenti in
materia di prevenzione sui luoghi di lavoro; al coordinamento delle funzioni
degli organi preposti alla programmazione, alla vigilanza ed al controllo,
qualificando prioritariamente i compiti di prevenzione e di informazione
rispetto a quelli repressivi e sanzionatori;
e) promozione
dell’informazione e della formazione preventiva e periodica dei lavoratori sui
rischi connessi all’attività dell’impresa in generale e allo svolgimento delle
proprie mansioni, con particolare riguardo ai pericoli derivanti
dall’esposizione a rumore, ad agenti chimici, fisici, biologici, cancerogeni e
ad altre sostanze o preparati pericolosi o nocivi e alle misure di prevenzione
da adottare in relazione ai rischi;
f)
assicurazione della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti i
settori di attività, pubblici e privati, e a tutti i lavoratori,
indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con
il committente;
g) adeguamento
del sistema prevenzionistico e del relativo campo di applicazione alle nuove
forme di lavoro e tipologie contrattuali, anche in funzione di contrasto
rispetto al fenomeno del lavoro sommerso e irregolare;
h) promozione
di codici di condotta e diffusione di buone prassi che orientino la condotta
dei datori di lavoro, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati;
i) riordino e
razionalizzazione delle competenze istituzionali al fine di evitare
sovrapposizioni e duplicazioni di interventi e competenze, garantendo indirizzi
generali uniformi su tutto il territorio nazionale nel rispetto delle
competenze previste dall’articolo 117 della Costituzione;
l)
realizzazione delle condizioni per una adeguata informazione e formazione di
tutti i soggetti impegnati nell’attività di prevenzione e per la circolazione
di tutte le informazioni rilevanti per l’elaborazione e l’attuazione delle
misure di sicurezza necessarie;
m) modifica o
integrazione delle discipline vigenti per i singoli settori interessati, per
evitare disarmonie;
n) esclusione
di qualsiasi onere finanziario per il lavoratore in relazione all’adozione
delle misure relative alla sicurezza, all’igiene e alla tutela della salute dei
lavoratori».
Le indicate disposizioni
della legge n. 229 del 2003, anche se la delega non ha avuto attuazione,
valgono come ulteriore criterio di identificazione e delimitazione delle
deleghe oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale; queste
certamente non si riferiscono alla tutela della sicurezza e della salute dei
lavoratori.
Sulla base delle considerazioni
esposte possono essere risolte le questioni concernenti le disposizioni della
legge n. 30 del 2003.
L’art. 1, comma 2,
lettera d), prima parte, va interpretato
nel contesto normativo in cui è inserito. Letteralmente esso è formulato come
contenente un principio o criterio direttivo della delega di cui al comma 1
dello stesso articolo; delega, come già ritenuto con la citata sentenza n. 50,
concernente la disciplina di materie rientranti nella "tutela e sicurezza” del
lavoro. L’espressione «mantenimento da parte dello Stato delle funzioni
amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro», nonostante la sua
formulazione letterale, deve essere letta come riferentesi alla materia oggetto
della delega e quindi a materia rientrante nella tutela del lavoro. Non si
spiegherebbe altrimenti la collocazione della disposizione all’interno di un
articolo che riguarda la delega in materia di collocamento ed in genere di
servizi per l’impiego, quando poi l’art. 8 contiene la delega alla riforma e
razionalizzazione delle ispezioni in materia di lavoro.
Tutto ciò
premesso, le censure concernenti l’art. 1, comma 2, lettera d), prima parte, non sono fondate nei
sensi e nei limiti che si vanno a precisare.
L’allocazione
delle funzioni amministrative in materie di competenza concorrente non spetta
allo Stato. Tuttavia, come questa Corte ha già affermato e ribadito (v. sentenze n. 13 del
2004 e n. 50
del 2005), vi sono funzioni e servizi pubblici che non possono essere interrotti
se non a costo di incidere su posizioni soggettive ed interessi rilevanti. Tali
considerazioni comportano che le funzioni dello Stato continueranno a svolgersi
secondo le disposizioni vigenti fin quando le Regioni non le avranno sostituite
con una propria disciplina, così come ritenuto con la sentenza n. 50 del
2005 riguardo alla disposizione sub e)
del medesimo comma e numero dell’art. 1. Si deve soggiungere che in quelle
Regioni e Province autonome in cui ciò è già avvenuto – come nel caso della
Provincia di Trento – anche se per effetto di deleghe statali, la disposizione
ha la valenza di indicare il nuovo titolo di legittimazione spettante alle
Regioni e Province autonome loro attribuito con le modifiche introdotte con la
legge costituzionale n. 3 del 2001, esteso a queste ultime ed alle Regioni a
statuto speciale in forza della norma di maggior favore di cui all’art. 10
della citata legge.
6.— I criteri
sopra esposti riguardo alla natura dell’attività di vigilanza, e quindi
riguardo alla individuazione della legittimazione a legiferare in materia e a
organizzare ed esercitare le correlative funzioni amministrative, consentono di
risolvere anche le questioni sollevate riguardo all’art. 8.
Le deleghe di cui
al comma 1 di tale disposizione hanno ad oggetto il riassetto della disciplina
vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro nonché la
definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla
prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa,
ispirato a criteri di equità ed efficienza.
Ora, se le
ispezioni sono una modalità di esercizio della vigilanza e se questa è
connotata dal suo oggetto, si deve concludere che la disposizione concerne
materie di competenza esclusiva dello Stato.
Si aggiunge a
quanto detto che la conciliazione delle controversie individuali di lavoro
rientra nella materia della giurisdizione e delle norme processuali (cfr. sentenza n. 50 del
2005).
I principi e
criteri direttivi, fatti oggetto di censure specifiche ritualmente introdotte,
sono quelli indicati al comma 2, lettere a),
f) e g), in quanto il comma 3 è stato impugnato dalla sola Regione Toscana
il cui ricorso è inammissibile.
La prima
disposizione stabilisce che il sistema delle ispezioni sia improntato «alla
prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina degli obblighi
previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo
minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche
valorizzando l’attività di consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari
della citata disciplina».
La seconda
disposizione prevede la «riorganizzazione dell’attività ispettiva del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali in materia di previdenza sociale e di lavoro,
con l’istituzione di una direzione generale con compiti di direzione e
coordinamento delle strutture periferiche del Ministero ai fini dell’esercizio
unitario della predetta funzione ispettiva, tenendo altresì conto della
specifica funzione di polizia giudiziaria dell’ispettore del lavoro».
Nella lettera a) si individuano, come principi e
criteri direttivi del riassetto del sistema ispettivo, la finalità di
improntarlo «alla prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina
degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico
e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale». Tale obiettivo, conclude la disposizione, va perseguito «anche
valorizzando l’attività di consulenza degli ispettori».
Le funzioni
ispettive qui previste si concretizzano nella vigilanza sul rispetto, da parte
del datore di lavoro, della normativa previdenziale e civilistica, che è dettata,
con carattere per lo più inderogabile, a tutela del lavoratore.
Ne deriva
l’attinenza di tali funzioni alle materie di cui all’art. 117, secondo comma,
lettere l) e o), Cost., nonché, con riguardo all’esigenza unitaria implicita
nelle finalità anzidette, alla lettera m)
dello stesso comma.
Sotto la lettera g), infine, sono indicati come principi
e criteri direttivi la «razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti
gli organi di vigilanza, compresi quelli degli istituti previdenziali, con attribuzione
della direzione e del coordinamento operativo alle direzioni regionali e
provinciali del lavoro sulla base delle direttive adottate dalla direzione
generale di cui alla lettera f)».
Una volta fatta la precisazione che
l’espressione «razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi
di vigilanza…» va intesa come riferentesi agli organi di vigilanza facenti
parte dell’amministrazione statale o di enti nazionali, quali quelli
previdenziali, risulta chiaro che funzioni e strutture sono omogenee. Se è
aderente al dettato costituzionale che le funzioni di vigilanza e quindi quelle
ispettive aventi ad oggetto la previdenza sociale, la materia del lavoro
(settore dell’ordinamento civile), nonché inerenti sia pure in misura ridotta
all’ordinamento processualpenalistico siano in linea
generale funzioni statali, si sottrae a sospetti di illegittimità
costituzionale la normativa relativa alle strutture che devono svolgere
siffatte funzioni.
7.— Tutto ciò che si è considerato
rispetto alle censurate disposizioni di delega si riflette anche sulle
impugnazioni proposte dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma
di Trento contro il decreto legislativo n. 124 del 2004, adottato in attuazione
della delega di cui all’art. 8 della legge n. 30 del 2003. Esso deve essere
interpretato tenendo conto del contenuto della norma di delegazione, così come
determinato alla stregua dei rilievi esposti; contenuto cui sono estranee,
secondo quanto si è detto, le materie del collocamento e dei servizi per l’impiego
nonché della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.
8.— Limitando per il momento lo
scrutinio alle sole censure mosse dalla Regione Emilia-Romagna, si rileva
l’infondatezza di tutte quelle che sostengono l’illegittimità di disposizioni
del decreto delegato conseguente all’illegittimità delle norme di delegazione.
E cioè, in primo luogo, le censure di cui al primo motivo del ricorso n. 68 del
2004, aventi ad oggetto l’art. 1, comma 1, primo periodo e l’art. 6, comma 1,
che la ricorrente definisce le norme centrali del decreto; censure che si
basano sull’assunto, già ritenuto non fondato, che la vigilanza e le ispezioni
rientrino sempre nella materia, di competenza ripartita, della tutela e
sicurezza del lavoro.
La prima delle disposizioni censurate
stabilisce che «il Ministero del lavoro e delle politiche sociali assume e
coordina, nel rispetto delle competenze affidate alle Regioni ed alle Province
autonome, le iniziative di contrasto del lavoro sommerso e irregolare, di
vigilanza in materia di rapporti di lavoro e dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento allo svolgimento
delle attività di vigilanza mirate alla prevenzione e alla promozione
dell’osservanza delle norme di legislazione sociale e del lavoro, ivi compresa
l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro e della disciplina
previdenziale».
L’art. 6, comma 1, è così formulato:
«le funzioni di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale sono
svolte dal personale ispettivo in forza presso le direzioni regionali e
provinciali del lavoro».
La ricorrente, dopo aver svolto la
tesi principale di cui si è detto, alla quale è ispirata tutta l’impugnazione,
sostiene che in questo caso neppure può essere invocato il principio di
sussidiarietà c.d. ascendente, perché non esistono esigenze unitarie e comunque
non è previsto alcun coinvolgimento delle Regioni.
La censure non sono fondate.
A quanto già osservato si deve
soltanto aggiungere che, vertendo la vigilanza su materie di competenza
esclusiva statale, non vengono in considerazione il principio di sussidiarietà
e le modalità della sua attuazione, cui accenna la ricorrente.
9.— D’altra parte, tale principio non
può essere utilmente invocato all’inverso a favore delle Regioni con riguardo
alle disposizioni dell’art. 6, comma 3, primo periodo, il quale stabilisce che
«le funzioni ispettive in materia di previdenza ed assistenza sociale sono
svolte anche dal personale di vigilanza dell’INPS, dell’INAIL, dell’ENPALS e
degli altri enti per i quali sussiste la contribuzione obbligatoria,
nell’ambito dell’attività di verifica del rispetto degli obblighi previdenziali
e contributivi».
Con il secondo motivo del ricorso –
che si riferisce alla suddetta disposizione – si sostiene che «nonostante che,
in questo caso, la materia vigilata appartenga alla competenza statale, ad
avviso della ricorrente Regione la norma viola in ogni caso l’art. 118, primo
comma, della Costituzione. Infatti, il principio di sussidiarietà di cui alla
disposizione costituzionale opera anche in relazione alle materie statali (come
già affermato nel ricorso contro la legge delega). Per ragioni corrispondenti a
quelle esposte, la connessione esistente tra lavoro e previdenza dovrebbe
risolversi, sul piano amministrativo, con l’unificazione delle funzioni in capo
alle strutture degli enti autonomi, restando allo Stato e agli enti parastatali
le funzioni "unitarie”».
Il profilo di censura non è fondato.
Una volta accertato che si tratta di
funzioni di vigilanza su materie di competenza statale da esercitare mediante
personale e strutture statali già esistenti, non si comprendono le ragioni – né
nel ricorso esse sono specificamente indicate – che dovrebbero rendere
necessario il coinvolgimento delle Regioni.
La ricorrente non espone quali
potrebbero essere le peculiarità locali tali da rendere necessarie funzioni non
unitarie in materia di lavoro (intesa nel senso che si è detto) e di previdenza
sociale.
10.— Le censure proposte con il terzo
motivo del ricorso della Regione Emilia-Romagna contro gli artt. 2; 3, commi da
Le norme censurate sono le seguenti:
«art. 2. (Direzione generale con compiti di direzione e coordinamento delle
attività ispettive).
1.
Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è istituita, senza
oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, con regolamento emanato ai sensi
dell’articolo 17, comma 4-bis, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, una direzione
generale con compiti di direzione e coordinamento delle attività ispettive
svolte dai soggetti che effettuano vigilanza in materia di rapporti di lavoro,
di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e di legislazione
sociale, compresi gli enti previdenziali, di seguito denominata: "Direzione
generale”.
2. La direzione
generale fornisce, sulla base di direttive emanate dal Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, direttive operative e svolge l’attività di
coordinamento della vigilanza in materia di rapporti di lavoro e legislazione
sociale e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali in materia di lavoro, che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale, al fine di assicurare l’esercizio unitario della attività
ispettiva di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e
degli enti previdenziali, nonché l’uniformità di comportamento degli organi di
vigilanza nei cui confronti la citata direzione esercita, ai sensi del comma 1,
un’attività di direzione e coordinamento.
3. La
direzione generale convoca, almeno quattro volte all’anno, i presidenti delle
Commissioni regionali di coordinamento della attività di vigilanza, di cui
all’articolo 4, al fine di fornire al Ministro del lavoro e delle politiche
sociali ogni elemento di conoscenza utile all’elaborazione delle direttive in
materia di attività di vigilanza.
art. 3. (Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza).
1.
Qualora si renda opportuno coordinare a livello nazionale l’attività di tutti
gli organi impegnati sul territorio nelle azioni di contrasto del lavoro
sommerso e irregolare, per i profili diversi da quelli di ordine e sicurezza
pubblica di cui al secondo periodo dell’articolo 1, il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali convoca la Commissione centrale di coordinamento
dell’attività di vigilanza di cui al comma 2, al fine di individuare gli
indirizzi e gli obiettivi strategici, nonché le priorità degli interventi
ispettivi.
2. La
Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza, nominata con decreto
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, è composta dal Ministro del
lavoro e delle politiche sociali o da un sottosegretario delegato, in qualità
di presidente; dal direttore generale della direzione generale, dal Direttore
generale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS); dal Direttore
generale dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro (INAIL); dal Comandante generale della Guardia di finanza; dal Direttore
generale dell’Agenzia delle entrate; dal Coordinatore nazionale delle aziende
sanitarie locali; dal Presidente del Comitato nazionale per la emersione del
lavoro non regolare di cui all’articolo 78, comma 1, della legge 23 dicembre
1998, n. 448; da quattro rappresentanti dei datori di lavoro e quattro
rappresentanti dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative a livello nazionale. I componenti della
Commissione possono farsi rappresentare da membri supplenti appositamente
delegati.
3.
Alle sedute della Commissione centrale di coordinamento dell’attività di
vigilanza possono essere invitati a partecipare i Direttori degli altri enti
previdenziali, i Direttori generali delle direzioni generali degli altri
Ministeri interessati in materia, gli ulteriori componenti istituzionali della
Commissione nazionale per la emersione del lavoro non regolare ed il comandante
del nucleo dei Carabinieri presso l’ispettorato del lavoro. Alle sedute della
Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza possono, su
questioni di carattere generale attinenti alla problematica del lavoro
illegale, essere altresì invitati il comandante generale dell’Arma dei
carabinieri ed il Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica
sicurezza.
4.
Alla Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza può
essere attribuito il compito di definire le modalità di attuazione e di
funzionamento della banca dati di cui all’articolo 10, comma 1, e di definire
le linee di indirizzo per la realizzazione del modello unificato di verbale di
rilevazione degli illeciti in materia di lavoro, di previdenza e assistenza
obbligatoria ad uso degli organi di vigilanza, nei cui confronti la direzione
generale, ai sensi dell’articolo 2, esercita un’attività di direzione e
coordinamento.
5. Ai
componenti della Commissione di coordinamento dell’attività di vigilanza ed ai
soggetti eventualmente invitati a partecipare ai sensi del comma 3 non spetta
alcun compenso, rimborso spese o indennità di missione. Al funzionamento della
Commissione si provvede con le risorse assegnate a normativa vigente sui
pertinenti capitoli di bilancio.
art. 4.(Coordinamento regionale dell'attività di vigilanza).
1. Le
direzioni regionali del lavoro, sentiti i Direttori regionali dell'INPS e
dell'INAIL e degli altri enti previdenziali, coordinano l'attività di vigilanza
in materia di lavoro e di legislazione sociale, individuando specifiche linee
operative secondo le direttive della direzione generale. A tale fine, le
direzioni regionali del lavoro consultano, almeno ogni tre mesi, i direttori
regionali dell'INPS, dell'INAIL e degli altri enti previdenziali.
2.
Qualora si renda opportuno coordinare l'attività di tutti gli organi impegnati
nell'azione di contrasto del lavoro irregolare per i profili diversi da quelli
di ordine e sicurezza pubblica di cui al secondo periodo dell'articolo 1,
secondo le indicazioni fornite dalla direzione generale, il Direttore della
direzione regionale del lavoro convoca la commissione regionale di coordinamento
dell'attività di vigilanza.
3. La
Commissione di cui al comma 2, nominata con decreto del Direttore della
direzione regionale del lavoro è composta dal Direttore della Direzione
regionale del lavoro, che la presiede; dal Direttore regionale dell'INPS; dal
Direttore regionale dell'INAIL; dal comandante regionale della Guardia di
finanza; dal Direttore regionale dell'Agenzia delle entrate; dal Coordinatore
regionale delle aziende sanitarie locali; da quattro rappresentanti dei datori
di lavoro e quattro rappresentanti dei lavoratori designati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello
nazionale. I componenti della Commissione possono farsi rappresentare da membri
supplenti appositamente delegati.
4.
Alle sedute della Commissione di cui al comma 2 possono essere invitati a
partecipare i Direttori regionali degli altri enti previdenziali e i componenti
istituzionali delle Commissioni regionali per l'emersione del lavoro non
regolare di cui agli articoli 78 e 79 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e
successive modificazioni. Alle sedute della Commissione di cui al comma 2
possono, su questioni di carattere generale attinenti alla problematica del
lavoro illegale, essere altresì invitati uno o più dirigenti della Polizia di Stato
designati dal Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno
ed il comandante regionale dell'Arma dei carabinieri.
5. La
Commissione regionale di coordinamento dell'attività di vigilanza convoca,
almeno sei volte all'anno, i presidenti dei comitati per il lavoro e
l'emersione del sommerso, di seguito denominati «CLES», di cui al decreto-legge
25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
novembre 2002, n. 266, al fine di fornire alla direzione generale ogni elemento
di conoscenza utile all'elaborazione delle direttive in materia di attività di
vigilanza di competenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ai
componenti della Commissione di cui al comma 3 ed ai soggetti eventualmente
invitati a partecipare ai sensi del comma 4 o convocati ai sensi del presente
comma, non spetta alcun compenso, rimborso spese o indennità di missione. Al
funzionamento della Commissione si provvede con le risorse assegnate a
normativa vigente sui pertinenti capitoli di bilancio.
art. 5. (Coordinamento provinciale dell'attività di vigilanza).
1. La
direzione provinciale del lavoro, sentiti i Direttori provinciali dell'INPS e
dell'INAIL, coordina l'esercizio delle funzioni ispettive e fornisce le
direttive volte a razionalizzare l'attività di vigilanza, al fine di evitare
duplicazione di interventi ed uniformarne le modalità di esecuzione. A tale
fine, le direzioni provinciali del lavoro consultano, almeno ogni tre mesi, i
direttori provinciali dell'INPS, dell'INAIL e degli altri enti previdenziali.
2.
Qualora si renda opportuno coordinare, a livello provinciale, l'attività di
tutti gli organi impegnati nell'azione di contrasto del lavoro irregolare, i
CLES, cui partecipano il Comandante provinciale della Guardia di finanza, un
rappresentante degli Uffici locali dell'Agenzia delle entrate presenti sul
territorio provinciale ed il presidente della Commissione provinciale per la
emersione del lavoro non regolare di cui all'articolo 78, comma 4, della legge
23 dicembre 1998, n. 448, forniscono, in conformità con gli indirizzi espressi
dalla Commissione centrale di cui all'articolo 3, indicazioni utili ai fini
dell'orientamento dell'attività di vigilanza. Alle sedute del CLES possono, su
questioni di carattere generale attinenti alla problematica del lavoro
illegale, essere altresì invitati il Comandante provinciale dell'Arma dei
carabinieri ed il Questore.
3. Il
CLES redige, con periodicità trimestrale una relazione sullo stato del mercato
del lavoro e sui risultati della attività ispettiva nella provincia di
competenza, anche avvalendosi degli esiti delle attività di analisi e ricerca
delle citate Commissioni provinciali per l'emersione del lavoro. Al termine di
ogni anno il CLES redige una relazione annuale di sintesi.»
La ricorrente anzitutto denuncia la
illegittimità delle norme in quanto "derivata” da quella relativa agli artt. 1
e 6.
Poiché le censure contro questi
ultimi sono risultate non fondate, siffatto profilo di illegittimità non
sussiste.
La ricorrente censura, poi,
specificamente: a) l’affidamento a
strutture statali, quali la direzione generale del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, le direzioni regionali e quella provinciale, di compiti di
coordinamento della vigilanza: se il coordinamento e la direzione si
riferissero anche ad organi non statali, le disposizioni sarebbero illegittime;
b) il fatto che l’istituenda
Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza relativamente
alle azioni di contrasto del lavoro sommerso e irregolare sia regolata con
legge statale, la quale prevede che essa sia composta da rappresentati di
amministrazioni statali nominati da un organo dello Stato; c) l’attribuzione alla Commissione del compito di definire sia le
modalità di attuazione e di funzionamento della banca dati di cui all’art. 10,
comma 1, sia le linee di indirizzo per la realizzazione del modello unificato
di verbale di rilevazione degli illeciti in materia di lavoro, di previdenza e
assistenza obbligatoria; d) la
circostanza che anche le Commissioni regionali di coordinamento siano composte
con criteri analoghi a quelli della Commissione centrale; e) l’inserimento nell’ambito della Commissione centrale del
coordinatore nazionale delle aziende sanitarie locali e nell’ambito di quelle
regionali del coordinatore regionale delle medesime, figure – queste dei
coordinatori – non previste dall’organizzazione sanitaria e la cui istituzione,
non compresa nella delega, costituisce intromissione nelle attribuzioni
regionali in materia di sanità; f) l’affidamento, da parte dell’art. 5,
del coordinamento provinciale dell’attività di vigilanza alle direzioni
provinciali del lavoro (le quali, tra l’altro, hanno il compito di coordinare
le attività dei CLES), con conseguente attribuzione di funzioni amministrative
ad organi statali in materia di tutela del lavoro.
Le censure sub a), b), c), d)
e f) sono infondate per le
considerazioni che seguono. E’, invece, fondata la censura sub e).
Si è già detto infatti, e va
ribadito, che la vigilanza regolata dalla normativa impugnata attiene anzitutto
alle materie dell’ordinamento civile e della previdenza sociale, ma deve essere
rilevato che le attività concernenti l’emersione del lavoro sommerso ed il
contrasto al lavoro irregolare, come questa Corte ha affermato con la sentenza n. 234 del
2005, rientrano in larga prevalenza in via diretta nell’ordinamento civile
e si riflettono in via mediata negli ordinamenti tributario e previdenziale,
tutti di competenza esclusiva dello Stato.
L’attribuzione ad organi statali
della definizione delle modalità di attuazione e funzionamento della banca dati
nonché delle «linee di indirizzo per la realizzazione del modello unificato di
verbale di rilevazione degli illeciti in materia di lavoro, di previdenza e
assistenza obbligatoria ad uso degli organi di vigilanza», nei cui confronti la
direzione generale, ai sensi dell’art. 2, compie attività «di direzione e
coordinamento» è in rapporto di dipendenza con l’attribuzione, in larga e
determinante prevalenza, allo Stato delle materie su cui verte la vigilanza.
Occorre anche osservare che le amministrazioni su cui si esercita la direzione
ed il coordinamento sono quelle statali.
Per quanto concerne l’inclusione
dell’assistenza obbligatoria tra le materie oggetto della vigilanza, va messo
in evidenza lo stretto intreccio della medesima con la previdenza sotto i
profili contributivo e gestionale, tale da rendere irragionevole la separazione
della vigilanza su una materia da quella sull’altra. Ma si deve anche
considerare che l’assistenza è attività nella quale vengono in particolare
rilievo i diritti sociali cui possono riferirsi i livelli essenziali delle
prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale, livelli essenziali
indicati espressamente sia nella norma di delegazione (art. 8, comma 2, lettera
a), sia nell’art. 1 del decreto n.
124 del 2004.
Rientra, quindi, nel sistema di cui
all’art. 117 Cost. che la vigilanza sull’osservanza dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di assistenza sia attribuita allo Stato.
11.— Fondata è, invece, la censura
concernente l’inclusione nella Commissione centrale e in quelle regionali,
rispettivamente del Coordinatore nazionale e di quelli regionali delle aziende
sanitarie locali.
Le disposizioni in questione,
infatti, prevedenti organi prima non esistenti, attengono soprattutto
all’organizzazione della sanità, materia estranea alla delega e di competenza
legislativa concorrente. Esse, quindi, comportano un’illegittima intrusione
nella sfera di competenza regionale.
12.— Con il quarto motivo del ricorso
la Regione impugna l’art. 7 del decreto (inserito nel Capo II – Competenza
delle direzioni del lavoro) che reca la rubrica Vigilanza ed è così formulato:
«1. Il
personale ispettivo ha compiti di: a)
vigilare sull’esecuzione di tutte le leggi in materia di livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale, di tutela dei rapporti di lavoro e
di legislazione sociale ovunque sia prestata attività di lavoro a prescindere
dallo schema contrattuale, tipico o atipico di volta in volta utilizzato; b) vigilare sulla corretta applicazione
dei contratti e accordi collettivi di lavoro; c) fornire tutti i chiarimenti che vengano richiesti intorno alle
leggi sulla cui applicazione esso deve vigilare, anche ai sensi dell’articolo
8; d) vigilare sul funzionamento
delle attività previdenziali ed assistenziali a favore dei prestatori d’opera
compiute dalle associazioni professionali, da altri enti pubblici e da privati,
escluse le istituzioni esercitate direttamente dallo Stato, dalle province e
dai comuni per il personale da essi dipendente; e) effettuare inchieste, indagini e rilevazioni, su richiesta del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali; f) compiere le funzioni che ad esso vengono demandate da
disposizioni legislative o regolamentari o delegate dal Ministro del lavoro e
delle politiche sociali».
La ricorrente sostiene
l’illegittimità di tali disposizioni anzitutto come conseguenza di quella
dell’art. 6, comma 1, e poiché, come si è detto, questa norma non è viziata, il
profilo di censura non è fondato.
In via gradata, la ricorrente osserva
che, «se poi l’articolo 7 venisse riferito a ispettori non statali (a seguito
della eventuale declaratoria di illegittimità delle disposizioni sulla
competenza statale), esso sarebbe illegittimo in quanto recante norme di
dettaglio».
Anche tali critiche non sono fondate.
Le norme si riferiscono a personale
statale, al personale ispettivo degli enti previdenziali specificamente
indicati al comma 3 dell’art. 6 dello stesso decreto, nonché a quello degli
altri enti per i quali sussiste la contribuzione obbligatoria, cui pure si
riferisce il citato comma 3.
Esse quindi vanno lette nel senso che
il personale ispettivo è quello di enti che comunque svolgono compiti di
previdenza obbligatoria, materia di esclusiva competenza statale.
13.— L’art. 8 del decreto, recante la
rubrica Prevenzione e promozione, è
censurato con il quinto motivo del ricorso, e il suo tenore è il seguente:
«1. Le
direzioni regionali e provinciali del lavoro organizzano, mediante il proprio
personale ispettivo, eventualmente anche in concorso con i CLES e con le
Commissioni regionali e provinciali per la emersione del lavoro non regolare,
attività di prevenzione e promozione, su questioni di ordine generale, presso i
datori di lavoro, finalizzata al rispetto della normativa in materia
lavoristica e previdenziale, con particolare riferimento alle questioni di
maggiore rilevanza sociale, nonché alle novità legislative e interpretative.
Durante lo svolgimento di tali attività il personale ispettivo non esercita le
funzioni di cui all’articolo 6, commi 1 e 2.
2.
Qualora nel corso della attività ispettiva di tipo istituzionale emergano
profili di inosservanza o di non corretta applicazione della normativa di cui
sopra, con particolare riferimento agli istituti di maggiore ricorrenza, da cui
non consegua l’adozione di sanzioni penali o amministrative, il personale
ispettivo fornisce indicazioni operative sulle modalità per la corretta
attuazione della predetta normativa.
3. La
direzione generale e le direzioni regionali e provinciali del lavoro, anche
d’intesa con gli enti previdenziali, propongono a enti, datori di lavoro e
associazioni, attività d’informazione e aggiornamento, da svolgersi a cura e
spese di tali ultimi soggetti, mediante stipula di apposita convenzione. Lo
schema di convenzione è definito con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto.
4. La
direzione provinciale del lavoro, sentiti gli organismi preposti, sulla base di
direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, fornisce i criteri
volti ad uniformare l’azione dei vari soggetti abilitati alla certificazione
dei rapporti di lavoro ai sensi degli articoli 75 e seguenti, del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
5. Le
attività di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere svolte, secondo le rispettive
competenze, anche dagli enti previdenziali, nel rispetto delle indicazioni e
direttive della direzione generale».
La ricorrente sostiene che i primi
tre commi ed il quinto attengono alla tutela e sicurezza del lavoro ed il terzo
anche alla formazione professionale, materie nelle quali le Regioni hanno
competenza concorrente o residuale. Viene perciò denunciata la violazione degli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo e secondo comma, della
Costituzione. In subordine, la ricorrente censura il comma 3 dell’art. 8, nella
parte in cui non prevede alcun coinvolgimento delle Regioni nella definizione
dello schema di convenzione.
Il comma 4 viene censurato in quanto
prevede, in materia di competenza ripartita, lo svolgimento di funzioni
amministrative da parte di organi statali.
Le censure contro i primi due commi e
contro il quarto ed il quinto sono infondate, quelle contro il terzo sono
fondate nei limiti e per le considerazioni che seguono.
Le disposizioni dei primi due commi e
del quinto prevedono attività dirette a promuovere l’osservanza delle norme in
materia di lavoro e di previdenza, di competenza esclusiva dello Stato, con
l’utilizzazione di personale statale o di enti cui è affidata la previdenza
obbligatoria, al quale sono devoluti compiti di consulenza a favore delle
imprese e dei datori di lavoro in genere, anche mediante «indicazioni operative
sulle modalità per la corretta attuazione della predetta normativa».
Il comma 3, pur sempre per le
finalità di cui ai primi due commi ed in relazione agli stessi complessi
normativi, prevede attività di aggiornamento e informazione da svolgere a cura
e spese di enti, datori di lavoro e associazioni mediante la stipula di
apposita convenzione.
Si tratta quindi di un’attività
riguardante le stesse materie di competenza statale di cui si è detto, ma che
per i mezzi di cui stabilisce l’utilizzazione rientra anche nella formazione e
che viene perciò a trovarsi all’incrocio di un concorso di competenze.
Tali rilievi inducono a ritenere
illegittima la mancata previsione del coinvolgimento delle Regioni.
Ad ovviare a siffatta carenza e ad
assicurare la realizzazione del principio di leale collaborazione occorre
prevedere che il decreto del Ministro che definisce lo schema di convenzione
sia adottato sentita la Conferenza permanente Stato, Regioni, Province autonome
(v., da ultimo, sentenze
n. 272, n.
279, n. 285
e n. 324 del
2005).
Non fondate sono le censure relative
al comma 4, il quale concerne direttive del Ministro del lavoro volte ad
uniformare l’azione dei vari soggetti abilitati alla certificazione dei
rapporti di lavoro. Come già è stato ritenuto con la sentenza n. 50 del
2005, la certificazione dei rapporti di lavoro rientra nelle materie
dell’ordinamento civile, della giurisdizione e delle norme processuali,
riguardo alle quali sussistono ragioni di uniformità tali da giustificare la
regolamentazione da parte dello Stato anche di funzioni amministrative.
14.— Dell’art. 10 del decreto n. 124
del 2004 la Regione Emilia-Romagna censura, in riferimento agli artt. 117,
terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., l’ultima parte del comma 1 e
i commi 3 e 4.
La prima parte del comma 1 stabilisce
l’istituzione, come sezione riservata della borsa continua del lavoro di cui
all’art. 15 del d.lgs. n. 276 del 2003, nell’ambito delle strutture del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed avvalendosi delle risorse del
Ministero stesso, di «una banca dati telematica che raccoglie le informazioni
concernenti i datori di lavoro ispezionati, nonché informazioni e
approfondimenti sulle dinamiche del mercato del lavoro e su tutte le materie
oggetto di aggiornamento e di formazione permanente del personale ispettivo».
La disposizione prosegue stabilendo che alla banca dati hanno accesso
esclusivamente le amministrazioni che effettuano vigilanza ai sensi del decreto
stesso.
L’ultimo periodo – oggetto di censura
– stabilisce che «con successivo decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto, sentito il Ministro per l’innovazione e le
tecnologie, previo parere del Centro nazionale per l’informatica nella pubblica
amministrazione, vengono definite le modalità di attuazione e di funzionamento
della predetta banca dati, anche al fine di consentire il coordinamento con gli
strumenti di monitoraggio di cui all’articolo 17 del citato decreto legislativo
n. 276 del 2003».
La Regione ricorrente, pur ammettendo
la legittimità della previsione di una banca dati centrale, si duole che il
decreto del Ministro sia adottato senza alcuna forma di partecipazione
regionale e del fatto che la disposizione non preveda l’accesso delle Regioni
alla banca dati.
Le censure sono fondate.
Occorre premettere che con la sentenza n. 50 del
2005 sono state dichiarate non fondate le censure relative alla istituzione
della borsa continua del lavoro, sul rilievo che gli artt. 15, 16 e 17 del
d.lgs. n. 276 del 2003 assicurano forme adeguate di coinvolgimento regionale
alla gestione e utilizzazione della borsa continua del lavoro.
La norma censurata prevede che la
banca dati riguardi tra l’altro «informazioni e approfondimenti sulle dinamiche
del mercato del lavoro», materia che, come è stato già rilevato (cfr. anche la sentenza n. 50 del
2005), rientra nella "tutela e sicurezza del lavoro”, di competenza
ripartita.
Dai rilievi esposti emerge quindi
l’illegittimità di una normativa concernente un settore (banca dati) di una più
ampia struttura (borsa continua del lavoro) che, in difformità dalle regole di
quest’ultima, esclude le Regioni. Constatazione di illegittimità che viene
rafforzata dal rilievo che si tratta di una disciplina concernente un’attività
rientrante in materia di competenza concorrente.
Poiché per la borsa continua il
legislatore ha previsto forme d’intesa, per ovviare alla carenza denunciata
dalla ricorrente la disposizione specificamente censurata dell’ultimo periodo
del comma 1 dell’art. 10 deve essere dichiarata illegittima, nella parte in cui
non prevede che il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
sia adottato previa intesa con la Conferenza permanente Stato, Regioni e
Province autonome.
Non fondate sono invece le censure
che la ricorrente rivolge ai commi 3 e 4 dello stesso art. 10.
Essi, infatti, prevedono la
costituzione di gruppi d’intervento d’intesa con le direzioni regionali
dell’INPS e dell’INAIL e con il comando del nucleo dei carabinieri presso
l’ispettorato del lavoro per «contrastare specifici fenomeni di violazione di
norme poste a tutela del lavoro e della previdenza e assistenza obbligatorie»,
nonché l’adozione, con decreto del Ministro, di un modello unificato di verbale
per l’accertamento degli illeciti.
Posto che, da un lato, si tratta di
attività rientranti in larga prevalenza in materie di competenza esclusiva
statale e dall’altro i verbali sono destinati a costituire fonti di prova anche
a fini sanzionatori e quindi a incidere sull’applicazione di norme processuali,
si deve concludere che la regolamentazione ad opera dello Stato non contrasta
con i parametri costituzionali evocati.
15.— La ricorrente censura il comma
1, l’ultima parte del comma 4, ed i commi 5 e 6 dell’art. 11 del decreto n. 124
del 2004, recante la rubrica Conciliazione
monocratica.
Si tratta di disposizioni che
attengono ad un istituto, quale la conciliazione, che rientra nell’ordinamento
civile ma attiene anche alla giurisdizione ed all’applicazione di norme
processuali, tutte di esclusiva competenza statale e tali da comportare la
disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale. Ciò è reso palese anche
dal comma 3, non impugnato, il quale stabilisce che «in caso di accordo, al
verbale sottoscritto dalle parti non trovano applicazione le disposizioni di
cui all’art. 2113 cod. civ.».
16.— L’art. 12 del decreto,
intitolato Diffida accertativa per
crediti patrimoniali, disciplina le attività da compiere e l’eventuale
conciliazione qualora dall’attività ispettiva emergano inadempienze degli
obblighi nascenti per i datori dal contratto di lavoro e conseguenti diritti
dei lavoratori.
Le censure che la ricorrente muove a
tali disposizioni sono infondate per le stesse ragioni affermate riguardo al
precedente articolo e cioè che si tratta di materie di competenza esclusiva
statale.
17.— L’art. 14, comma 2, prima frase,
è censurato dalla Regione perché prevede l’esecutività delle disposizioni
impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione
sociale.
La ricorrente ne fa derivare
l’illegittimità dalla propria tesi di fondo secondo la quale la vigilanza
attiene comunque alla tutela del lavoro, sicché illegittima è la stessa
esistenza di organi statali con competenze locali. Dal già operato rilievo
della non accoglibilità della suindicata tesi deriva
l’infondatezza della questione.
18.— Per le stesse ragioni è
infondata la questione avente ad oggetto l’art. 15, comma 1, primo periodo, che
prevede l’accertamento di illeciti penali in materia di lavoro e di
legislazione sociale da parte di personale ispettivo statale.
19.— Infondate sono anche le
questioni concernenti gli artt. 16, commi 1 e 2, e 17, commi 1 e 2, aventi ad
oggetto la disciplina dei ricorsi amministrativi avverso le
ordinanze-ingiunzioni emesse ai sensi dell’art. 18 della legge 24 novembre
1981, n. 689.
Anche in questo caso la Regione
vorrebbe far derivare la illegittimità delle disposizioni dalla tesi affermata
– ma non accolta – della illegittimità del mantenimento di competenze in capo a
personale statale locale.
20.— L’art. 18 delinea i contenuti
dei processi di formazione permanente destinati al personale ispettivo,
lasciando alla direzione generale il compito di definire programmi di
formazione e di aggiornamento. La Regione si duole di tale previsione sotto il
duplice profilo dell’illegittimità costituzionale conseguente al mantenimento
di competenze ad organi periferici statali (riguardo al quale valgono le
considerazioni di cui sopra) e perché essa interviene in materia di competenza
regionale esclusiva. Anche tale ultima censura va respinta: sulla base della
giurisprudenza di questa Corte, la competenza esclusiva delle Regioni in
materia di istruzione e formazione professionale non concerne le attività
formative e di aggiornamento predisposte dal datore di lavoro per il personale
dipendente (v. sentenze
n. 31 e n.
50 del 2005, punto 14 del Considerato
in diritto).
21.— Occorre ora svolgere alcune
considerazioni sulle censure proposte dalla Provincia autonoma di Trento.
Si premette che questa prende atto
che il comma 2 dell’art. 1 del decreto n. 124 del 2004 contiene la clausola di
salvaguardia secondo la quale «sono fatte salve le competenze riconosciute alle
regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano
dallo statuto e dalle relative norme di attuazione». Tuttavia la Provincia
sostiene che la clausola opera con riguardo soltanto alle competenze derivanti
dallo statuto e dalle norme di attuazione, ma non anche rispetto alle nuove
competenze che, attribuite alle Regioni ordinarie dal nuovo titolo V, parte II,
della Costituzione, vanno estese a quelle a statuto speciale ed alle Province
autonome in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Ora, da quanto detto risulta
l’inammissibilità delle censure fondate sulle norme dello statuto e su quelle
di attuazione del medesimo, dal momento che tutte le competenze riconosciute
alle Province autonome da tali norme sono fatte salve.
In secondo luogo, la fondatezza delle
censure prospettate mediante il richiamo al citato art. 10 è da collegare
all’esito dell’esame delle censure della Regione, dal momento che la Provincia
– se si escludono alcune disposizioni da essa sola censurate che saranno
scrutinate in seguito – nulla aggiunge alle argomentazioni dedotte dalla
Regione Emilia-Romagna.
Ne consegue che sono infondate le
questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla Provincia con
riguardo alle stesse norme censurate dalla Regione e che sono state ritenute
infondate sulla base delle considerazioni esposte.
22.— Soltanto la Provincia autonoma
ha impugnato l’art. 9 del decreto n. 124 del 2004, il quale reca la rubrica Diritto di interpello ed è così
formulato:
«1. Le
associazioni di categoria e gli ordini professionali, di propria iniziativa o
su segnalazione dei propri iscritti, e gli enti pubblici possono inoltrare alle
direzioni Provinciali del lavoro, che provvedono a trasmetterli alla direzione
generale, quesiti di ordine generale sull’applicazione delle normative di
competenza del ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’inoltro dei
quesiti e le comunicazioni di cui al presente articolo avvengono esclusivamente
per via telematica. Nelle materie previdenziali i quesiti possono essere
inoltrati, esclusivamente per via telematica, alle sedi degli enti stessi che
li trasmettono alla citata direzione generale».
Secondo la ricorrente Provincia la
disposizione viola gli artt. 117, terzo comma, e 118, secondo comma, Cost.,
nonché l’autonomia organizzativa della Provincia, in primo luogo «poiché in
Provincia di Trento le funzioni degli organi statali periferici sono esercitate
dalla Provincia», sicché «essa potrebbe essere intesa nel senso di attribuire
alla Provincia il compito di inoltrare i quesiti al Ministro, ma dato il
mutamento del titolo costituzionale di competenza della Provincia nella materia
"tutela del lavoro”, non tocca alla legge statale di definire i compiti della
Provincia e tantomeno di assegnare ad essa un compito meramente ausiliario allo
svolgimento di una funzione ministeriale».
Inoltre, l’art. 9 presuppone che
esistano normative di competenza del Ministero del lavoro, mentre in questa
materia lo Stato può solo dettare con legge principi fondamentali.
Infine, secondo la ricorrente, «la
norma che impone l’inoltro esclusivamente in via telematica risulta di estremo
dettaglio e lesiva dell’autonomia organizzativa della Provincia e
irragionevolmente restrittiva».
Nessuno dei profili di censura può
essere accolto.
La clausola di salvaguardia, come
riconosce la ricorrente, esclude interpretazioni ed applicazioni della
normativa che siano restrittive delle funzioni da essa già svolte.
La normativa cui si riferisce
l’interpello rientra nelle attribuzioni dello Stato e non nella materia "tutela
del lavoro”, sicché, non risultando accresciute per questa via le attribuzioni
delle Regioni ordinarie, non lo sono neppure quelle delle Regioni a statuto
speciale e delle Province autonome.
Infine, se si ha riguardo alla parte
che riceve i quesiti, la prescrizione della loro trasmissione per via
telematica attiene anche all’organizzazione delle amministrazioni dello Stato e
degli enti nazionali quali sono quelli previdenziali; ma, in ogni caso, se si
considera quanto siano divenute rilevanti ai fini organizzativi le modalità
della comunicazione, la norma non può essere definita di dettaglio.
23.— Anche l’art. 13 è impugnato
esclusivamente dalla Provincia autonoma, sia perché esso si porrebbe, nel suo
complesso, in contrasto con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, per la sua
pretesa applicabilità nel territorio della Provincia stessa, sia perché, in
particolare, i commi 2, 3 e 4 violerebbero gli artt. 117, terzo comma, e 118
Cost., in quanto contenenti norme di dettaglio nella materia della tutela del
lavoro, «con conseguente pregiudizio del ruolo costituzionale della Provincia».
Tale disposizione, secondo uno schema
già descritto dagli artt. 9 e 10 del d.P.R. 19 marzo
1955, n. 520, prevede la riduzione delle sanzioni amministrative se il datore
di lavoro provvede a sanare entro il prescritto termine la situazione di
inosservanza della normativa, rilevata dagli ispettori. Questo potere di
diffida, esteso agli ispettori degli enti previdenziali per le materie di loro
competenza, si traduce nell’esercizio di un’intimazione ad adempiere del tutto
strumentale alle funzioni accertative. Ne consegue che, anche in questo caso,
valgono le osservazioni dianzi svolte in merito sia alla ricomprensione della
relativa disciplina nelle attribuzioni dello Stato e non nella materia "tutela
del lavoro”, sia alla necessità di attribuire comunque alla normativa di cui si
tratta (in applicazione della citata clausola di salvaguardia) un significato
che sia tale da escludere restrizioni rispetto alle funzioni già svolte dalla
Provincia.
24.— Nell’epigrafe del ricorso la
Provincia dichiara di voler censurare anche l’art. 10, commi 3 e 4 e gli artt.
15, comma 1; 16, commi 1 e 2; 17, commi 1 e 2, del decreto n. 124 del 2004, ma
non adduce alcuna specifica ragione di illegittimità.
Le questioni sono pertanto
inammissibili.
25.— La censura relativa alla
previsione di cui all’art. 18 del decreto sopra illustrata, espressamente
proposta «a titolo cautelativo» dalla ricorrente Provincia, va respinta, dovendosi
escludere la riferibilità della norma al personale della Provincia stessa, per
le ragioni già illustrate.
26.— Infine deve ritenersi infondata
la questione, sollevata dalla Provincia, concernente l’intero decreto che
sarebbe illegittimo per essere stato emesso senza che sia stata sentita la
Conferenza permanente Stato, Regioni e Province autonome.
Infatti, in linea di principio il
mancato parere della Conferenza non determina l’illegittimità costituzionale
del decreto (cfr. sentenza
n. 196 del 2004) e in concreto, come si è detto, il decreto in larga
prevalenza attiene a materie di competenza statale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibile
il ricorso proposto dalla Regione Toscana nei confronti degli artt. 1, comma 2,
lettera d), prima parte, e 8 della
legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e
mercato del lavoro);
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, commi 3 e 4; 15,
comma 1, primo periodo; 16, commi 1 e 2; e 17, commi 1 e 2, del decreto
legislativo 23 aprile 2004, n. 124 (Razionalizzazione delle funzioni ispettive
in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell’art. 8 della legge
14 febbraio 2003, n. 30), sollevate, in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione ed all’art. 2 del
decreto legislativo 16 marzo 1992 n. 266, dalla Provincia autonoma di Trento con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 124 del 2004,
limitatamente alle parole: «dal Coordinatore nazionale delle aziende sanitarie
locali»;
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 124 del 2004, limitatamente
alle parole: «dal Coordinatore regionale delle aziende sanitarie locali»;
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto legislativo n. 124 del 2004, nella
parte in cui non prevede che il decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali che definisce lo schema di convenzione sia adottato sentita
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano;
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo
n. 124 del 2004, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali concernente le modalità di attuazione e
funzionamento della banca dati sia adottato previa intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di
Trento e Bolzano;
dichiara non
fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera d), della legge n. 30 del 2003, sollevate in riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118 della Costituzione, dalle Regioni Marche, Basilicata,
Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non
fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera d), della legge n. 30 del 2003, sollevata, in riferimento all’art.
117, terzo comma, della Costituzione, agli artt. 8, n. 29), 9, n. 2), n. 4) e
n. 5) del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, ed all’art.
3, primo comma, del d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197,
dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, della
legge n. 30 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 76, 117, terzo e
sesto comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, dalle Regioni
Marche, Basilicata ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2,
lettere a), f) e g), della legge n.
30 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 117, terzo e sesto comma, e
118, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Marche con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2,
lettere f) e g), della legge n. 30 del 2003, sollevate, in riferimento all’art.
117, terzo comma, della Costituzione, agli artt. 8, n. 29), 9, n. 2), n. 4) e
n. 5) del d.P.R. n. 670 del 1972, ed all’art. 3,
primo comma, del d.P.R. n. 197 del 1980, dalla
Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo n.
124 del 2004 nel suo complesso, sollevata, in riferimento al principio di leale
collaborazione e all’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281, dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1,
primo periodo, e 6, comma 1, del decreto legislativo n. 124 del 2004 sollevate,
in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma della
Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1,
primo periodo, e 6, comma 1, del decreto legislativo n. 124 del 2004 sollevate,
in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, all’art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, agli artt. 8, n. 29), 9, n. 4) e n.
5), 10 e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972, ed agli artt.
3, primo comma, del d.P.R. n. 197 del 1980 e 3, primo
comma, numeri 11 e 12, del d.P.R. 28 marzo 1975, n.
474, dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, del
decreto legislativo n. 124 del 2004, sollevata, in riferimento all’art. 118,
primo comma, della Costituzione dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2; 3, commi 1, 3
e 4; 4, commi 1, 2, 4 e 5; 5, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo n. 124 del
2004, sollevate, in riferimento artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo
comma della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2; 3, commi 1, 3
e 4; 4, commi 1, 2, 4 e 5; 5, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo n. 124 del
2004, sollevate – in riferimento agli art. 117, terzo e quarto comma, e 118,
primo e secondo comma, della Costituzione, all’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001 ed agli artt. 2 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, 3, primo comma, del d.P.R. n. 197 del
1980, 3, primo comma, numeri 11 e 12, del d.P.R. n.
474 del 1975 ed 8, numeri 23 e 29, 9, numeri 4 e 5, 10 e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 – dalla Provincia autonoma di
Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del decreto
legislativo n. 124 del 2004 sollevata, in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del decreto
legislativo n. 124 del 2004, sollevata, in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, 118, primo e secondo comma, della Costituzione, ed all’art. 2 del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Trento
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1, 2, 4 e
5 del decreto legislativo n. 124 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, all’art. 8,
n. 29), del d.P.R. n. 670 del 1972 ed all’art. 2 del
d.lgs. n. 266 del 1992, dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma
di Trento con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 del decreto
legislativo n. 124 del 2004, sollevata, in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, e 118, secondo comma, della Costituzione dalla Provincia autonoma di
Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 3 e 4,
del decreto legislativo n. 124 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione dalla
Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 1, 4,
secondo periodo, 5 e 6 del decreto legislativo n. 124 del 2004, sollevate, in
riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, della
Costituzione dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 del decreto
legislativo n. 124 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, ed all’art. 2 del
d.lgs. n. 266 del 1992 dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12; 14 comma 2;
15, comma 1; 16, commi 1 e 2; e 17, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 124
del 2004, sollevate, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e
secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, 13 e 14, comma 2,
del decreto legislativo n. 124 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt.
117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, della Costituzione ed all’art. 2
del decreto legislativo n. 266 del 1992, dalla Provincia autonoma di Trento con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18 del decreto
legislativo n. 124 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt. 117, quarto
comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18 del decreto
legislativo n. 124 del 2004, sollevate, in riferimento all’art. 117, quarto
comma, della Costituzione, ed all’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del
1992, dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI,
Presidente
Francesco AMIRANTE,
Redattore
Giuseppe DI PAOLA,
Cancelliere
Depositata in Cancelleria
il 14 ottobre 2005.