SENTENZA N. 232
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 55, 57, 58, 59, 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 72, 116, 117 e 175 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (n. 2 ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, con ricorsi notificati il 24 aprile, l’8, il 9, il 12, il 13, il 12-21 ed il 12-27 giugno 2006, depositati in cancelleria il 27 aprile, il 10, il 14, il 15, il 16, il 17, il 20, il 21 ed il 23 giugno 2006, ed iscritti ai nn. 56, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 78, 79 e 80 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri, sostituito per la redazione della sentenza dal Giudice Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia Bora e Guido Meloni per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione Piemonte, Giampaolo Parodi per la Regione Valle d’Aosta, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Gustavo Visentini per la Regione Marche, Alessandro Giadrossi per l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 24 aprile 2006 e depositato il successivo 27 aprile (reg. ric. n. 56 del 2006), ha proposto, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 63, commi 2 e 3, e 64 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento agli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, contestualmente chiedendo la sospensione dell’esecuzione delle norme impugnate.
1.1. – La ricorrente, ricostruito l’iter che ha condotto all’emanazione del d.lgs. n. 152 del 2006, censura anzitutto gli artt. 63, comma 3, e 64. Il primo stabilisce che «le autorità di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorità di bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto»; il secondo accorpa i precedenti, numerosi, bacini in otto distretti idrografici (il distretto della Sardegna, quello della Sicilia, il distretto idrografico pilota del Serchio ed altri cinque corrispondenti a macro Regioni).
La Regione Emilia-Romagna, premesso che la conformazione degli otto distretti è stata decisa senza alcuna partecipazione da parte delle Regioni, sostiene che le norme impugnate, da un lato, siano gravemente lesive delle attribuzioni regionali e, dall’altro, «e proprio perciò», violino l’oggetto ed i princìpi e criteri direttivi della delega.
Al riguardo, la ricorrente afferma che le norme contenute nella Sezione I («Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione») della Parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 (alla quale appartengono gli artt. 63 e 64), incidono sulla materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., sulla quale lo Stato può intervenire solo con norme di principio e, seppure l’«attrazione al centro» di funzioni «unitarie» si ritenesse giustificata in virtù del principio di sussidiarietà, ciò potrebbe avvenire solo «nel rispetto del principio di leale collaborazione, inteso in senso "forte” (e quindi attraverso procedure di codecisione, non semplicemente "sentendo” la Conferenza Stato-Regioni), e del principio di proporzionalità».
Ad avviso della difesa regionale, le norme che sopprimono le Autorità di bacino e istituiscono le Autorità distrettuali sarebbero pertanto illegittime, perché realizzano un ingiustificato accentramento con conseguente espropriazione delle competenze regionali. Infatti, le nuove Autorità distrettuali costituirebbero «una sorta di amministrazione decentrata dello Stato in cui la centralizzazione amministrativa è appena temperata da elementi di partecipazione minoritaria delle Regioni». In particolare, la ricorrente si duole del fatto che, mentre ai sensi della legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), le Regioni erano «contitolari del governo dei bacini nazionali (configurati come organismi a partecipazione mista Stato-Regioni) e titolari esclusive delle funzioni relative ai bacini regionali e interregionali», oggi i rappresentanti delle Regioni sono presenti in netta minoranza nel fondamentale organo decisionale, la Conferenza istituzionale permanente, e nella Conferenza operativa.
1.2. – La Regione Emilia-Romagna censura, poi, i commi 2 e 3 dell’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, nelle parti in cui attribuiscono ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri i compiti di definire «i criteri e le modalità per l’attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie» (comma 2) e di regolamentare il trasferimento di funzioni ed il periodo transitorio (comma 3).
La previsione di questo potere regolamentare, connesso all’accorpamento delle Autorità di bacino, sarebbe illegittima per le stesse ragioni, prima esposte, per le quali lo è la stessa riunificazione. Inoltre, se pure siffatta previsione potesse essere giustificata in virtù del principio di sussidiarietà, il potere regolamentare de quo dovrebbe essere esercitato d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e non semplicemente con il previo parere di quest’ultima.
1.3. – Oggetto di specifica censura è la previsione (contenuta nell’art. 63, comma 3) del 30 aprile 2006 quale data di soppressione delle Autorità di bacino, denunciando la Regione l’impossibilità di dettare una disciplina transitoria, poiché il d.lgs. n. 152 del 2006 entrava in vigore – almeno per la parte che qui interessa – il 29 aprile 2006.
Ciò, ad avviso della difesa regionale, determinerebbe il rischio di un periodo di incertezza sulle competenze ad emanare gli atti e a svolgere le funzioni di gestione, vigilanza e controllo che le Autorità di bacino svolgono da tempo.
1.4. – Infine, la Regione Emilia-Romagna censura gli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006 sotto il profilo dell’eccesso di delega, in relazione sia al suo oggetto sia ai princìpi e criteri direttivi in essa fissati.
Quanto all’oggetto, la ricorrente evidenzia come l’art. 1, comma 1, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) abbia conferito al Governo il potere di procedere al «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative […], anche mediante la redazione di testi unici». Pertanto, in assenza di princìpi e criteri direttivi volti a consentire l’innovazione del quadro normativo vigente, il Governo non avrebbe potuto adottare un decreto legislativo contenente norme che sopprimono le Autorità di bacino preesistenti ed introducono un sistema radicalmente diverso.
Inoltre, la Regione Emilia-Romagna rileva che l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 indica, prima di ogni altro criterio, il rispetto «delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali». D’altro canto, nessuno dei princìpi e criteri direttivi indicati nei commi 8 e 9 dell’art. 1 autorizza, ad avviso della ricorrente, «un’innovazione legislativa e amministrativa come quella apportata dalla sovversione del sistema delle Autorità di bacino».
Da quanto detto la difesa regionale deduce che la legge di delega presuppone «il mantenimento ed il miglioramento della funzionalità degli organismi esistenti» e conclude rilevando che nel caso di specie la violazione della legge di delega incide sulle prerogative regionali.
2. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle censure.
2.1. – In riferimento all’impugnazione dell’art. 63, comma 3, il resistente eccepisce l’inammissibilità delle censure concernenti la violazione del principio di leale collaborazione, perché la legge delega non stabiliva un procedimento di codecisione, ma soltanto l’obbligo di acquisire il parere non vincolante della Conferenza unificata, sicché la doglianza si appunta sulla norma della legge delega.
2.2. – La difesa erariale contesta, poi, la correttezza della riconduzione degli artt. 63, comma 3, e 64 alla materia «governo del territorio», poiché la riorganizzazione delle Autorità di bacino distrettuali è strumentale ad una preminente esigenza di tutela dell’ambiente, mirando a garantire la piena operatività degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela ed al risanamento del suolo e del sottosuolo.
Inoltre, la ristrutturazione dei distretti idrografici sarebbe stata compiuta nell’osservanza dell’art. 1, comma 8, lettera e), della legge di delega, allo scopo di dare attuazione all’art. 3, comma 1, della direttiva 23 ottobre 2000, n. 2000/60/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque) ed in vista del superamento della sovrapposizione tra i diversi piani di rilievo ambientale e di un loro coordinamento con i piani urbanistici, mediante una razionalizzazione dell’organigramma istituzionale e delle articolazioni territoriali.
Al riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che la definizione geografica dei distretti idrografici e l’attribuzione delle competenze spettanti alle Autorità di bacino attiene ad interessi di carattere unitario che rendono inammissibile la frammentazione della disciplina pretesa dall’istante.
La difesa erariale aggiunge che, anche se le norme impugnate fossero riconducibili alla materia «governo del territorio», esse sarebbero comunque legittime, sia perché non sarebbero norme di dettaglio, sia perché l’ambiente è un valore a tutela del quale lo Stato può fissare standard di tutela uniformi anche incidenti sulle competenze legislative delle Regioni. D’altronde, gli artt. 61, comma 1, e 75, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 fanno salvi espressamente funzioni e compiti delle Regioni, sicché un’interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo decreto legislativo conduce a ritenere non precluso l’esercizio della competenza legislativa della Regione nelle materie a questa attribuite.
Ad avviso del resistente, neppure è fondata la pretesa della ricorrente secondo cui il potere di accorpare i bacini idrografici avrebbe dovuto essere esercitato d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, poiché l’obbligo di prevedere procedure di codecisione sussiste qualora il legislatore statale disciplini funzioni amministrative di spettanza regionale, mediante la cosiddetta «chiamata in sussidiarietà», non invece nei casi in cui – come il presente – le norme riguardino la competenza legislativa esclusiva dello Stato, come ha affermato la Corte costituzionale proprio in riferimento alla materia dell’ambiente (il resistente cita in proposito la sentenza n. 383 del 2005).
2.3. – Secondo la difesa erariale, la censura avente ad oggetto l’art. 63, comma 3, nella parte concernente la asserita «assurdità» della norma in quanto produttiva di effetti il giorno successivo alla sua entrata in vigore, è inammissibile in quanto motivata apoditticamente e facendo valere presunti vizi di illogicità che non comportano lesione delle attribuzioni regionali. L’Avvocatura generale dello Stato aggiunge che la mancata attuazione della disciplina transitoria non configurerebbe un vizio denunciabile in questa sede e che il procedimento normativo per l’adozione di tale disciplina è stato avviato.
2.4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, poi, l’inammissibilità della censura diretta a denunciare il vizio di eccesso di delega degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, trattandosi di vizio che non comporta lesione delle attribuzioni regionali.
Peraltro, nel merito, tale censura sarebbe infondata, perché l’art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004 ha attribuito al Governo il potere di procedere anche alla «integrazione» delle norme vigenti, conferendo in tal modo la facoltà di innovare l’ordinamento vigente, come risulta anche dal comma 9, lettera c), dello stesso art. 1, il quale stabilisce obiettivi conseguibili soltanto attraverso la revisione degli organi esistenti.
2.5. – La difesa erariale deduce infine l’infondatezza dell’istanza di sospensione, in primo luogo, in quanto le censure sono inammissibili ed infondate. In secondo luogo, in quanto non sussiste il requisito dell’irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico, prospettato con deduzioni assertive e non motivate.
3. – In prossimità della camera di consiglio del 21 giugno 2006, la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.
4. – In data 14 giugno 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto di rinuncia all’intervento nel presente giudizio di legittimità costituzionale.
5. – Con l’ordinanza n. 245 del 2006 la Corte costituzionale ha dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza di sospensione di numerose disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 e, tra queste, anche degli artt. 63 e 64.
6. – In prossimità dell’udienza pubblica del 5 maggio 2009, la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.
In particolare, la ricorrente si sofferma sull’evoluzione normativa che ha fatto seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, rilevando come sia stata disposta la proroga delle preesistenti Autorità di bacino, prima, con il decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284 (Disposizioni correttive e integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale) e, poi, con il decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208 (Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 27 febbraio 2009, n. 13.
Inoltre, l’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 208 del 2008 ha fatto salvi gli atti posti in essere dalle Autorità di bacino dal 30 aprile 2006.
Pertanto, osserva la difesa regionale, sono rimaste ferme le censure di incostituzionalità formulate nel ricorso, in quanto la normativa suindicata ha solo prorogato transitoriamente le precedenti Autorità, ma non ha cambiato le «norme sostanziali».
7. – La Regione Emilia-Romagna, con un successivo ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il 16 giugno 2006 (reg. ric. n. 73 del 2006), ha proposto questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 57, 58, 59, 66, 70 e 72 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost. ed ai princìpi di legalità e di leale collaborazione.
7.1. – In particolare, la Regione impugna l’art. 57, commi 1, 4 e 6, perché, prevedendo la funzione statale di indirizzo e coordinamento, si porrebbero in contrasto con il nuovo quadro costituzionale dei rapporti tra lo Stato e le Regioni, come confermato dall’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), secondo cui «Nelle materie di cui all’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all’articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
La previsione generalizzata della funzione di indirizzo e coordinamento determinerebbe l’illegittimità delle disposizioni sopra indicate anche per violazione della legge di delega. Infatti, l’art. 1, comma 8, lettera m), della legge n. 308 del 2004 indica tra i princìpi e criteri direttivi la «riaffermazione del ruolo delle Regioni», che non può realizzarsi in presenza di atti statali di indirizzo e coordinamento. Secondo la Regione Emilia-Romagna, se anche tale funzione potesse essere ammessa, ciò potrebbe avvenire solo previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, secondo la disciplina legislativa in vigore prima della riforma costituzionale del 2001.
Sarebbero pertanto illegittime sia la norma di cui al comma 1, lettera a), n. 4, dell’art. 57, sia quella di cui al comma 6, nella parte in cui prevede il mero parere della Conferenza al posto dell’intesa.
Peraltro, aggiunge la ricorrente, già l’art. 52 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) prevedeva che l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento alla difesa del suolo, pur rientrando tra i compiti di rilievo nazionale (comma 1), dovesse avvenire «attraverso intese nella Conferenza unificata» (comma 3).
Pertanto, il comma 6 dell’art. 57 del d.lgs. n. 152 del 2006 si pone in contrasto anche con il principio del rispetto delle competenze regionali, contenuto nell’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004.
L’art. 57, comma 1, lettera a), n. 1, nella ricostruzione della difesa regionale, sarebbe ulteriormente illegittimo nella parte in cui attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di deliberare i «metodi» e «criteri, anche tecnici», in relazione allo svolgimento delle attività di cui agli artt. 55 e 56, cioè delle attività conoscitive, di pianificazione, di programmazione e di attuazione. Tale previsione violerebbe il principio di legalità, perché l’oggetto del conferimento è del tutto indeterminato, nonché l’art. 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, perché tale conferimento darebbe luogo ad un abnorme potere normativo, non suscettibile di essere inquadrato negli schemi costituzionali dei rapporti tra legge statale e legge regionale.
Nell’ipotesi in cui siffatta potestà normativa fosse ammissibile, la ricorrente ritiene che il suo esercizio, senza il coinvolgimento delle Regioni nella forma dell’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, è comunque illegittimo.
La difesa regionale rileva, inoltre, che già l’art. 54, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998, prevedeva che le funzioni relative alla identificazione dei criteri per la raccolta e l’informatizzazione di tutto il materiale cartografico ufficiale esistente fossero esercitate d’intesa con la Conferenza unificata. Di conseguenza, la norma di cui al comma 1 dell’art. 57 violerebbe i princìpi della legge di delega e le competenze regionali.
Le suddette censure verrebbero meno, a parere della ricorrente, ove dovesse ritenersi che le norme relative ai criteri e metodi riguardino soltanto le attività di cui agli artt. 55 e 56, in quanto esse siano svolte da organi statali.
La regione Emilia-Romagna impugna anche l’art. 57, comma 1, lettera a), n. 2, secondo cui i piani di bacino sono approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri con proprio decreto, sentita la Conferenza Stato-Regioni. La norma sarebbe illegittima nella parte in cui prevede il parere anziché l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
Ad avviso della ricorrente, siffatta censura deve estendersi all’art. 66, nella parte in cui non prevede l’intesa della Conferenza per l’approvazione dei piani di bacino.
Al riguardo, la Regione Emilia-Romagna sottolinea che gli interventi previsti dai piani di bacino, in quanto opere pubbliche, ricadono nella competenza regionale, salvo che si tratti di speciali opere di interesse strategico; di conseguenza, quand’anche fosse legittima l’assunzione della competenza di programmazione al livello statale, ciò non potrebbe avvenire senza lo strumento dell’intesa, in base a quanto stabilito nella sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.
Anche il potere sostitutivo, previsto dall’art. 57, comma 1, lettera a), n. 3, qualora siffatta disposizione dovesse essere intesa come «norma di conferimento di effettivi poteri sostitutivi», risulterebbe illegittimo sia per violazione del principio di legalità, in quanto generica ed indeterminata, sia perché non sono previste modalità di collaborazione con le Regioni.
Secondo la Regione Emilia-Romagna, illegittimo è pure il comma 4 dell’art. 57, ove si dovesse intendere che il Comitato dei ministri, nel proporre gli indirizzi delle politiche settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di distretto e nel verificarne la coerenza, eserciti in qualunque modo un potere sovraordinato alle competenze regionali di programmazione o comunque di approvazione di atti di propria competenza. Infatti, se così fosse, si avrebbe violazione delle competenze legislative e amministrative delle Regioni.
Ad avviso della ricorrente, anche l’art. 57, comma 1, lettera b), che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri l’approvazione del programma nazionale di intervento senza prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni, si porrebbe in contrasto con i princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e con i criteri direttivi della legge di delega. Infatti, anche in questo caso l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni era già prevista dall’art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998. Inoltre, l’art. 89, comma 1, lettera h), del medesimo decreto, ha conferito alle Regioni e agli enti locali le funzioni relative «alla programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesa delle coste e degli abitati costieri» e l’art. 89, comma 5, dello stesso d.lgs. n. 112 del 1998 ha stabilito che «Per le opere di rilevante importanza e suscettibili di interessare il territorio di più Regioni, lo Stato e le Regioni interessate stipulano accordi di programma con i quali sono definite le appropriate modalità, anche organizzative, di gestione». Pertanto, la violazione del d.lgs. n. 112 del 1998 si tradurrebbe in quella della legge di delega e nella lesione delle competenze costituzionali delle Regioni.
7.2. – La Regione Emilia-Romagna impugna anche l’art. 58, che individua le competenze del Ministro dell’ambiente. In particolare, sono censurate le norme di cui alle lettere a), b), d), e), e g), del comma 3, in quanto si intendano «non come riferite genericamente al ruolo che in tali ambiti al Ministro spetta in relazione ad altre legittime norme, ma come diretta attribuzione di una competenza propria del Ministro».
Con riferimento alla lettera a), concernente «programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo», la difesa regionale ricorda quanto previsto negli artt. 86, comma 3, e 89, comma 1, lettera h), e comma 5, del d.lgs. n. 112 del 1998.
Quanto alla lettera d), concernente la «identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonché con riguardo all’impatto ambientale dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali», invece, la ricorrente osserva come, ai sensi dell’art. 52, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998, l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento alla difesa del suolo, sia compito di rilievo nazionale e debba essere compiuta attraverso intese nella Conferenza unificata.
7.3. – La Regione Emilia-Romagna censura anche l’art. 59 del d.lgs. n. 152 del 2006, che elenca le competenze della Conferenza Stato-Regioni, in quanto depotenzierebbe le funzioni di quest’ultima, caratterizzandola come un organismo meramente consultivo.
Tale riduzione delle competenze della Conferenza si tradurrebbe in una violazione della legge di delega ed in particolare, dell’art. 1, comma 9, lettera c), che, tra l’altro, pone il vincolo della valorizzazione del ruolo e delle competenze degli organismi a composizione mista statale e regionale.
7.4. – Riguardo agli artt. 70, commi 1 e 3, e 72, comma 4, la ricorrente afferma che anche da essi risulterebbe evidente che le Regioni sono private di poteri decisionali in relazione alla pianificazione degli interventi attuativi del piano. In particolare, sarebbe previsto solo il parere della Conferenza Stato-Regioni e quest’ultimo si riferirebbe solo all’indicazione del fabbisogno finanziario per il successivo triennio (art. 70, comma 3).
Pertanto, secondo la ricorrente, la suddette norme sono illegittime per violazione del principio di leale collaborazione e delle attribuzioni regionali, nella parte in cui prevedono il parere anziché l’intesa e nella parte in cui non richiedono l’intesa in relazione all’adozione e all’approvazione del programma.
In proposito, la difesa regionale sostiene che, a ben vedere, neanche lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza garantirebbe la piena tutela delle competenze regionali, perché non si tratterebbe di decisioni indivisibili di livello nazionale, alle quali le Regioni collaborano come un insieme, ma di decisioni di interventi che interessano ciascuna singola Regione come tale. Di conseguenza, ad avviso della ricorrente, sarebbe necessario prevedere l’intesa della singola Regione, in relazione alle opere da eseguire nel proprio territorio. In definitiva, l’art. 70, comma 1, sarebbe illegittimo nella parte in cui non prevede sul programma di interventi l’intesa di ciascuna Regione territorialmente interessata.
Quanto all’art. 72, comma 4, la Regione Emilia-Romagna afferma che tale norma contrasta con l’art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998, che prevede l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni; pertanto sarebbe violato il principio della legge di delega che dispone la salvaguardia delle competenze regionali già previste nel d.lgs. n. 112 del 1998.
8. – In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Emilia-Romagna ha depositato memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.
9. – La Regione Calabria ha promosso, con ricorso notificato l’8 giugno 2006 e depositato il successivo 10 giugno (reg. ric. n. 68 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 55, 57, 58, 59, 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70 e 72 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 3, 11, 76, 117, 118, 119 e 120, Cost. ed al principio di leale collaborazione.
9.1. – La ricorrente premette che deve essere incontestabilmente esclusa la possibilità per lo Stato di disciplinare autonomamente la materia «difesa del suolo». Al riguardo la Regione Calabria ricorda che questa Corte, nella sentenza n. 85 del 1990, ha affermato che la difesa del suolo, essendo «un obiettivo comune allo Stato e alle Regioni», «può essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l’uno e gli altri soggetti». Ad avviso della ricorrente, la Corte avrebbe offerto una ricostruzione dalla quale si coglie, per un verso, la natura complessa della materia «difesa del suolo» e, per l’altro, la concorrenza di diversi titoli di competenza: tutela dell’ambiente, agricoltura, governo del territorio.
Secondo la difesa regionale, in questo caso il prevalente titolo di competenza è quello del «governo del territorio», con la conseguenza che si verte in una materia di potestà legislativa concorrente, caratterizzata tra l’altro «da una forte accentuazione del modulo cooperativo, tale da richiedere una costante dialettica tra i diversi livelli di governo nell’impostazione delle linee generali della politica di difesa del suolo».
La Regione Calabria ritiene quindi che tutte le disposizioni di dettaglio contenute nella sezione I della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 siano illegittime.
9.2. – Passando all’esame delle singole norme impugnate, la ricorrente sostiene l’illegittimità dell’art. 57, relativo alle competenze del Presidente del Consiglio dei ministri e del Comitato dei ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo, poiché esso opererebbe un accentramento organizzativo e funzionale che priva di qualsiasi coinvolgimento le autonomie territoriali, pur trattandosi di normativa che incide sulla materia «governo del territorio», di potestà legislativa concorrente.
In particolare, la Regione ritiene che il comma 1, lettera a), n. 2, del citato art. 57 violi il principio di leale collaborazione, in quanto nell’approvazione dei piani di bacino, strettamente correlata alla tutela del territorio regionale, non è sufficiente il mero parere della Conferenza Stato-Regioni, ma sarebbe necessaria l’acquisizione di un’intesa.
Illegittima sarebbe anche la norma di cui al comma 1, lettera a), n. 3, dell’art. 57, per violazione degli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo comma, Cost., perché prevede un’attività sostitutiva da parte del Governo «in caso di persistente inattività dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione». Secondo la ricorrente, tale previsione, a causa della sua genericità, consentirebbe allo Stato di agire in via sostitutiva al di fuori delle fattispecie espressamente contemplate nelle disposizioni costituzionali sopra indicate. Infatti, l’inserimento di formule legislative generiche, come quella impugnata, produrrebbe «un rischio permanente di riappropriazione, da parte dello Stato […] di attività amministrative di cui esso non ha più né la titolarità né la responsabilità», con conseguente violazione dell’art. 118 Cost.
Il comma 1, lettera a), n. 4, ed il comma 3 dell’art. 57 violerebbero, invece, gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto attribuiscono al Presidente del Consiglio dei ministri (comma 1, lettera a), n. 4) ed al Comitato dei ministri (comma 3) il potere di adottare atti di indirizzo e coordinamento in un ambito materiale di potestà legislativa concorrente, per il quale l’art. 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003, esclude che siffatti atti possano essere adottati.
Dall’illegittimità del comma 1, lettera a), n. 4, e del comma 3 dell’art. 57 deriverebbe quella del comma 6 del medesimo articolo, che postula la sussistenza di un potere di indirizzo e coordinamento, disciplinandone l’esercizio.
In termini analoghi, la ricorrente ritiene che debba concludersi per il comma 4 dell’art. 57, per la parte in cui presuppone, anch’esso, un potere di indirizzo e coordinamento del Comitato dei ministri.
La Regione Calabria impugna il comma 3 dell’art. 57 anche per violazione dell’art. 118 Cost., nella parte in cui attribuisce al Comitato dei ministri «funzioni di alta vigilanza», senza neppure specificare l’oggetto su cui tali funzioni vengono esercitate, in contrasto con il principio secondo cui non può prospettarsi l’esercizio in capo allo Stato delle funzioni di alta vigilanza in un ambito nel quale il principio di sussidiarietà impone l’attribuzione delle funzioni amministrative ai livelli di governo infra-statuali.
Secondo la ricorrente, siffatta ricostruzione sarebbe confermata dall’esame della normativa previgente; infatti, nell’art. 4, comma 3, della legge n. 183 del 1989 l’attribuzione delle funzioni di alta vigilanza al Comitato dei ministri era limitata ai «servizi tecnici nazionali». Per tali ragioni il censurato comma 3 dell’art. 57 si porrebbe in contrasto anche con i princìpi contenuti nella legge di delega e quindi con l’art. 76 Cost.; in particolare, l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, prescrivendo il rispetto delle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali, «come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112», garantirebbe agli enti infra-statuali, come soglia minima di autonomia, il mantenimento dello status quo.
L’illegittimità della previsione del potere di «alta vigilanza» si estenderebbe anche al comma 4 dell’art. 57, nella parte in cui concretizza tale potere attraverso la verifica della «coerenza nella fase di approvazione» degli atti di pianificazione.
9.3. – Oggetto di censura è anche l’art. 58, che individua le competenze del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Al riguardo, la Regione ritiene che la norma vìoli il principio di leale collaborazione, poiché l’incidenza delle competenze del Ministro sulla potestà legislativa delle Regioni renderebbe necessaria la partecipazione, in forme tendenzialmente paritarie, di queste ultime ai procedimenti che si concludano con atti imputabili al Ministro, mentre nell’art. 58 il coinvolgimento delle rappresentanze regionali è contemplato soltanto per alcune ipotesi, oltretutto nella forma del parere.
Inoltre, per alcune norme contenute nell’art. 58, alla violazione del principio di leale collaborazione si aggiungerebbe l’eccesso di delega. In particolare, il comma 3, lettera d), violerebbe l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, e quindi l’art. 76 Cost., nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’ambiente il compito di identificare le «linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonché con riguardo all’impatto ambientale dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali».
La ricorrente afferma che il potere in questione è già contemplato dall’art. 52 del d.lgs. n. 112 del 1998, il cui comma 3 prevede che sia esercitato «attraverso intese nella Conferenza unificata». La scomparsa di ogni riferimento a questa istanza di codecisione porrebbe la norma impugnata in contrasto con l’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, che invece, stando alla ricostruzione della difesa regionale, imporrebbe il mantenimento dello status quo.
Infine, sono censurati il comma 2, lettera c), ed il comma 3, lettera c), dell’art. 58, perché attribuiscono al Ministro un potere di indirizzo e coordinamento non più esercitabile da parte dell’organo di vertice del Governo, e dunque esorbitante anche rispetto alle attribuzioni di un Ministro.
9.4. – La Regione Calabria sostiene, inoltre, che l’art. 59, «nel suo complesso», violi il principio di leale collaborazione. In particolare, la lettera a) degraderebbe la Conferenza Stato-Regioni al ruolo di mero soggetto proponente per gli atti di cui all’art. 57, la lettera b) consentirebbe alla Conferenza di formulare solo osservazioni sui piani di bacino e la lettera d) limiterebbe all’espressione di meri pareri il ruolo della Conferenza nella ripartizione degli stanziamenti autorizzati da ciascun programma triennale.
Quest’ultima norma, incidendo su una materia di potestà legislativa concorrente, violerebbe anche l’art. 119 Cost., «che imporrebbe una intesa sulla ripartizione dei finanziamenti».
9.5. – La difesa regionale ritiene, inoltre, che la violazione delle competenze legislative ed amministrative delle Regioni emerga dal combinato disposto degli artt. 61, 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Le norme sulle Autorità di bacino e sui distretti idrografici segnerebbero, infatti, un arretramento, per le ragioni delle autonomie, rispetto alla normativa previgente sulla difesa del suolo contenuta nella legge n. 183 del 1989, in contrasto con il nuovo riparto di competenze delineato dal titolo V della parte seconda della Costituzione, con il d.lgs. n. 112 del 1998, con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 e quindi con l’art. 76 Cost.
L’art. 61 violerebbe gli artt. 76, 117 e 118 Cost. per due ordini di ragioni, desumibili dal confronto tra la norma impugnata e l’art. 10 della legge n. 183 del 1989.
Innanzitutto, la Regione Calabria ritiene che l’utilizzo delle parole «in particolare» nel comma 1 dell’art. 61, renderebbe tassativo l’elenco ivi contenuto delle funzioni esercitate dalle Regioni, mentre quello contenuto nell’art. 10 della legge n. 183 del 1989, essendo preceduto dalle parole «tra l’altro», era meramente esemplificativo.
In secondo luogo, la violazione dei suindicati parametri costituzionali discenderebbe dalla mancata previsione nell’art. 61 del d.lgs. n. 152 del 2006 di due funzioni attribuite alle Regioni dall’art. 10 della legge n. 183 del 1989. Si tratta, in particolare, della competenza a delimitare «i bacini idrografici di propria competenza» (art. 10, comma 1, lettera a), ad attivare «la costituzione di comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale» ed a stabilire «le modalità di consultazione di enti, organismi, associazioni e privati interessati, in ordine alla redazione dei piani di bacino» (art. 10, comma 1, lettera h).
Quanto all’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, la Regione Calabria afferma che il comma 3 violerebbe l’art. 3 Cost., per contrasto con il canone di ragionevolezza, perché la soppressione automatica delle Autorità di bacino esistenti determinerebbe una situazione di pericolosa incertezza, soprattutto per il termine della soppressione, che segue di un solo giorno la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006.
La Regione Calabria, poi, censura l’art. 63 nel suo complesso per violazione dell’art. 76 Cost. (a causa del mancato rispetto di quanto previsto dall’art. 1, commi 1, 8 e 9, della legge n. 308 del 2004), con argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla Regione Emilia-Romagna nel ricorso n. 56 del 2006.
La ricorrente ritiene che il vizio di eccesso di delega abbia riflessi sulle attribuzioni costituzionali delle Regioni, poiché l’ordinamento amministrativo introdotto dal d.lgs. n. 152 del 2006 sostituisce quello previsto dalla legge n. 183 del 1989 che attribuiva alle Regioni la costituzione delle Autorità di bacino di rilievo regionale e di quelle di rilievo interregionale, fissando specifiche competenze regionali all’art. 10, comma 1, lettera h), ed all’art. 15, comma 3. Inoltre l’art. 12 della legge n. 183 del 1989 stabiliva che gli organi delle Autorità di bacino di rilievo nazionale fossero caratterizzati da una composizione mista e da regole di funzionamento che garantivano una partecipazione effettiva delle Regioni alla politica di gestione.
Pertanto, le Regioni erano contitolari del governo dei bacini nazionali (configurati come organismi a partecipazione mista Stato-Regioni) e titolari, in via tendenzialmente esclusiva, delle funzioni relative ai bacini regionali e interregionali. L’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 avrebbe reso insignificanti i poteri delle Regioni; ciò sarebbe reso ancor più evidente da quanto stabilito dai commi 4, quarto periodo, e 6, secondo periodo, dell’art. 63, secondo cui gli organi delle nuove Autorità di bacino (caratterizzati da una presenza minoritaria dei rappresentanti delle Regioni) deliberano a maggioranza.
Infine, il rinvio ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, contenuto nei commi 2 e 3 dell’art. 63, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., poiché in una materia di competenza legislativa concorrente è precluso allo Stato l’utilizzo del potere regolamentare. Quand’anche si ritenesse di poter giustificare siffatta previsione, sussisterebbe comunque la violazione del principio di leale collaborazione, perché, per poter incidere sulla materia del «governo del territorio», dovrebbe essere prevista un’intesa e non il semplice parere della Conferenza Stato-Regioni.
Quanto all’art. 64 del d.lgs. n. 152 del 2006 (che individua i distretti idrografici), la Regione Calabria ritiene che esso vìoli anzitutto il principio di leale collaborazione, perché le Regioni non sono state chiamate ad esercitare alcun ruolo nella determinazione concreta dell’ambito dei distretti.
La norma violerebbe, poi, il principio di ragionevolezza espresso dall’art. 3 Cost., poiché la ripartizione dei nuovi distretti idrografici sarebbe stata effettuata in maniera arbitraria e l’irragionevolezza della delimitazione dei bacini avrebbe conseguenze pregiudizievoli sulla gestione dei bacini idrografici, di spettanza regionale.
In particolare, l’unificazione sotto un’unica autorità di bacini che, in molti casi, non hanno alcuna correlazione, realizzerebbe un accentramento privo di giustificazione, espropriando le Regioni delle proprie naturali competenze. Inoltre l’indistinto accorpamento dei bacini si porrebbe in contrasto con «la ragione stessa del significato di "bacino”, che deve essere considerato quale "ecosistema unitario”».
La Regione Calabria sostiene che l’art. 64 vìola anche quanto disposto dalla direttiva n. 2000/60/CE, e quindi gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione.
In particolare, la ricorrente si sofferma su quanto riportato nel tredicesimo considerando della direttiva, in cui si sottolinea la necessità che le decisioni siano adottate «al livello più vicino possibile ai luoghi di utilizzo effettivo o di degrado delle acque», e sul contenuto del trentatreesimo considerando, in cui si precisa che «l’obiettivo di ottenere un buono stato delle acque dovrebbe essere perseguito a livello di ciascun bacino idrografico, in modo da coordinare le misure riguardanti le acque superficiali e sotterranee appartenenti al medesimo sistema ecologico, idrologico e idrogeologico».
La difesa regionale ricorda le definizioni dei concetti di base, riportate nell’art. 2, numeri 13, 14 e 15 della direttiva, e sottolinea come l’art. 3, par. 1, di quest’ultima, stabilisca che «Gli Stati membri individuano i singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e, ai fini della presente direttiva, li assegnano a singoli distretti idrografici. Ove opportuno, è possibile accomunare in un unico distretto bacini idrografici di piccole dimensioni e bacini di dimensioni più grandi, oppure unificare piccoli bacini limitrofi. Qualora le acque sotterranee non rientrino interamente in un bacino idrografico preciso, esse vengono individuate e assegnate al distretto idrografico più vicino o più consono. Le acque costiere vengono individuate e assegnate al distretto idrografico o ai distretti idrografici più vicini o più consoni».
La Regione Calabria sostiene che da queste norme emerge che la regola è quella della corrispondenza tra l’individuazione del "bacino idrografico” e la perimetrazione del "distretto”, mentre la rottura di questa corrispondenza costituisce l’eccezione che deve essere giustificata per ragioni di opportunità, e segnatamente in considerazione dell’omogeneità dell’ecosistema o di una più efficace gestione. Questa logica sarebbe completamente sovvertita nell’art. 64, che individua macroaree, affidandole alle Autorità di bacino distrettuale in modo disomogeneo e secondo criteri che non rispondono alle ragioni che la direttiva comunitaria esige.
Il sistema dei distretti idrografici determinerebbe pertanto la riattribuzione al centro di attività già delegate o trasferite e la vanificazione delle attività di gestione, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., «in materia di "governo del territorio”» e dell’art. 118 della Costituzione.
Infine, la Regione Calabria impugna l’art. 64 per violazione dell’art. 76 Cost., sotto un duplice profilo: innanzitutto, perché la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, laddove determina la riappropriazione in capo allo Stato di funzioni amministrative già trasferite con il d.lgs. n. 112 del 1998; in secondo luogo, per contrasto con l’art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004, per le medesime ragioni per cui la stessa difesa regionale ritiene incostituzionale l’art. 63.
9.6. – Secondo la ricorrente, dall’illegittimità degli artt. 61, 63 e 64 deriva quella di alcuni articoli successivi che dei primi rappresentano la specificazione e che, dunque, contrasterebbero con il riparto di competenze di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Ciò varrebbe, innanzitutto, per l’art. 65, che disciplina il piano di bacino distrettuale. La sua illegittimità costituzionale, nella ricostruzione operata dalla difesa regionale, discende dall’illegittima centralizzazione della politica di gestione dei bacini.
In subordine, qualora gli artt. 61, 63 e 64 non dovessero essere ritenuti incostituzionali, la Regione Calabria censura l’art. 65 perché contiene una normativa estremamente dettagliata in un ambito materiale di competenza legislativa concorrente («governo del territorio»).
In ulteriore subordine, l’art. 65 sarebbe illegittimo in quanto non prevede una partecipazione delle Regioni nella procedura di approvazione dei piani di bacino; quest’ultimo vizio sarebbe aggravato dal fatto che il comma 4 del medesimo art. 65 stabilisce che «Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato».
L’illegittimità costituzionale dell’art. 65 dovrebbe comportare un’analoga dichiarazione in riferimento all’art. 66, che specifica ulteriormente il procedimento che si conclude con l’approvazione del piano di bacino. Per questa ragione, la ricorrente chiede una declaratoria di incostituzionalità ex art. 27, secondo periodo, della legge n. 87 del 1953.
Gli stessi motivi che inducono a ritenere incostituzionale l’art. 65 si ripresentano, secondo la difesa regionale, in ordine all’art. 67, che disciplina l’adozione, nelle more dell’approvazione dei piani di bacino, dei piani di stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico (PAI). In particolare, la Regione Calabria censura i commi 2, 3, 4, 5 e 6 dell’art. 67. Anche in questo caso l’illegittimità deriverebbe dalle medesime ragioni per le quali sarebbero illegittimi gli artt. 61, 63 e 64; in subordine, le norme di cui all’art. 67 sarebbero incostituzionali in quanto aventi un carattere estremamente dettagliato in un ambito materiale di competenza legislativa concorrente; infine, in ulteriore subordine, sarebbe violato il principio di leale collaborazione, in ragione della mancata partecipazione delle Regioni al procedimento formativo dei piani stralcio.
L’illegittimità costituzionale dei commi 2, 3, 4, 5 e 6 dell’art. 67 ha, come conseguenza inevitabile, sempre secondo la difesa regionale, quella di rendere incostituzionale anche l’art. 68 che rappresenta una specificazione ed una attuazione dell’art. 67.
9.7. – Parimenti illegittimi sono, nella prospettiva seguita dalla ricorrente, i commi 2 e 3 dell’art. 69. In particolare, il comma 2 violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché recante norme di dettaglio, e l’art. 119 Cost., poiché, nella ripartizione delle quote percentuali degli stanziamenti complessivi, pretenderebbe di indirizzare – attraverso vincoli di destinazione contrastanti con l’autonomia finanziaria degli enti infra-statuali – attività amministrative che non rientrano nella competenza dello Stato.
Il comma 3, invece, prevedendo la possibilità per le Regioni di provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e di interventi previsti dai piani di bacino, violerebbe il solo art. 119 Cost., poiché tali stanziamenti sarebbero indebitamente condizionati al previo parere favorevole della Conferenza istituzionale permanente di cui all’art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006. Secondo la ricorrente, il citato comma 3 comporterebbe la «mancata comprensione delle diversità territoriali degli enti, i quali debbono poter decidere liberamente in ordine al finanziamento degli interventi necessari per il proprio territorio».
9.8. – Il carattere dettagliato delle norme determinerebbe l’illegittimità anche dell’art. 70, che disciplina il procedimento di adozione dei programmi di intervento.
9.9. – La Regione Calabria censura anche i commi 3 e 5 dell’art. 72.
Il comma 3 stabilisce che il Comitato dei ministri, sentita la Conferenza Stato-Regioni, predisponga lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio e la ripartizione degli stanziamenti tra le Amministrazioni dello Stato e le Regioni. La norma in oggetto, prevedendo il semplice parere e non l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, violerebbe il principio di leale collaborazione, in quanto sarebbe necessaria una forma di codecisione per attività che abbiano riguardo ad ambiti normativi ed amministrativi spettanti alle Regioni in base agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
Il comma 5 dell’art. 72 attribuisce al Ministro dell’ambiente, su proposta della Conferenza Stato-Regioni, il potere di individuare, con proprio decreto, le opere di competenza regionale, che rivestono grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico. Questa norma violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., perché attribuirebbe al Ministro «un potere condizionante nei confronti dell’autonomia anche legislativa delle Regioni» e, in subordine, il principio di leale collaborazione, poiché il coinvolgimento delle Regioni è limitato soltanto alla semplice proposta iniziale della Conferenza Stato-Regioni.
9.10. – Infine, la Regione Calabria censura il comma 4 dell’art. 55, secondo cui l’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI) contribuisce allo svolgimento dell’attività conoscitiva in tema di difesa del suolo ed ai fini della diffusione dell’informazione ambientale. Tale norma sarebbe illegittima per violazione dell’art. 118 Cost., in quanto demanderebbe ad una associazione di categoria, rappresentativa degli interessi dei Comuni, un’attività che, secondo la ricorrente, deve trovare la sua sede naturale nella Conferenza Stato-città e nel normale esercizio delle funzioni amministrative da parte degli enti territoriali.
Dall’illegittimità del comma 4 dell’art. 55 discenderebbe, in via consequenziale, quella del comma 5 del medesimo articolo, che postula l’affidamento all’ANCI dell’attività conoscitiva di cui sopra. Per questa ragione la ricorrente chiede una dichiarazione di illegittimità costituzionale ex art. 27, secondo periodo, della legge n. 87 del 1953.
9.11. – La ricorrente chiede che sia disposta la sospensione dell’efficacia degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto la previsione della soppressione automatica delle Autorità di bacino prima del completamento della fase transitoria, determinerebbe il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico, derivante dall’inevitabile apertura di un periodo di grave incertezza in ordine alla gestione dei bacini idrografici.
10. – In prossimità dell’udienza pubblica del 5 maggio 2009, la Regione Calabria ha depositato una memoria con la quale, preso atto che le modifiche legislative intervenute sul testo originario del d.lgs. n. 152 del 2006 non hanno riguardato le norme oggetto del presente giudizio, insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.
11. – La Regione Toscana ha promosso, con ricorso notificato il 12 giugno 2006 e depositato il successivo 14 giugno (reg. ric. n. 69 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 57, 58, 61, 63, 64 e 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione.
11.1. – Preliminarmente, la difesa regionale osserva che le norme impugnate rientrano nella materia «governo del territorio», di potestà legislativa concorrente; di conseguenza, lo Stato può solo dettare i princìpi fondamentali cui devono attenersi le Regioni nell’elaborazione delle proprie normative. In particolare, le norme censurate incidono sulla pianificazione territoriale e sugli atti di programmazione regionali, dettando una disciplina puntuale.
11.2. – La ricorrente censura, innanzitutto, l’art. 57, commi 4 e 6, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
Secondo la Regione Toscana, la norma di cui al comma 4 ha una portata eccessivamente ampia al punto da attribuire al Comitato dei ministri il compito di proporre (per l’approvazione con decreto del Presidente del Consiglio) «gli indirizzi delle politiche settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di distretto», anche quando si tratti di piani di settore di competenza regionale, con conseguente lesione dell’art. 117 della Costituzione.
Sarebbe violato anche l’art. 118 Cost., poiché non si prevede che i suddetti indirizzi siano definiti previo adeguato coinvolgimento delle Regioni interessate, che sono poi tenute a recepirli e ad adeguarsi ad essi.
Ad evitare l’illegittimità del comma 4 non sarebbe sufficiente quanto disposto dal successivo comma 6 del medesimo art. 57, ove si stabilisce che «I princìpi degli atti di indirizzo e coordinamento di cui al presente articolo sono definiti sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano». Infatti, secondo la ricorrente, non è chiaro se anche le proposte di indirizzi elaborate dal Comitato dei ministri ricadano nella previsione del citato comma 6; in ogni caso, gli indirizzi elaborati dal Comitato dei ministri sono idonei a condizionare le politiche settoriali delle Regioni, per cui la partecipazione di queste ultime sarebbe necessaria anche per l’adozione degli indirizzi e non solo dei «princìpi degli atti di indirizzo». Peraltro, la ricorrente rileva come non sia chiaro il significato della stessa espressione «princìpi degli atti di indirizzo».
Pertanto, la Regione Toscana ritiene che sia illegittimo, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., anche il comma 6 nella parte in cui prevede il parere invece che l’intesa per la definizione degli indirizzi di cui al comma 4.
Infine, la ricorrente censura l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 57, nella parte in cui prevede che il Comitato dei ministri verifica la coerenza delle politiche settoriali nella fase di approvazione dei relativi atti. In questo modo si introdurrebbe una forma di controllo di atti regionali non prevista da norme costituzionali e idonea a interferire nelle decisioni adottate a livello regionale, con conseguente ulteriore violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
11.3. – L’art. 58, comma 3, lettere a) e d), è impugnato per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
La Regione Toscana ritiene che le competenze assegnate al Ministero dell’ambiente in merito a «programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo» (lettera a) ed a «identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonché con riguardo all’impatto ambientale dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali» (lettera d), siano invasive delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio.
In particolare, la norma di cui alla lettera a) sarebbe illegittima, perché riguarda la programmazione, il finanziamento ed il controllo di tutti gli interventi in materia di difesa del suolo, attribuiti al Ministero, senza alcun ruolo delle Regioni alle quali è riconosciuto un mero potere di proposta e di osservazione da esercitarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni.
La lettera d), invece, interferirebbe in modo rilevante con le attribuzioni regionali in materia di governo del territorio poiché alloca in capo al Ministero, senza alcuna intesa con la Regione, l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riguardo all’impatto ambientale dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali.
Al riguardo, la Regione Toscana osserva che sarebbe irrilevante il fatto che la norma in oggetto si riferisca alle «linee fondamentali», in quanto queste riguardano l’impatto ambientale dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, che sono le opere di maggior incidenza sul territorio. Per queste ragioni la ricorrente ritiene che si tratti di una situazione analoga a quella decisa da questa Corte con la sentenza n. 303 del 2003, nella quale, in riferimento alle opere infrastrutturali strategiche, è stata ritenuta essenziale la previsione, in tutte le fasi, di un momento concertativo tra lo Stato e le Regioni, stante l’interferenza della realizzazione di dette opere con le competenze regionali in materia di governo del territorio.
11.4. – La ricorrente impugna l’art. 61, comma 1, lettere d) ed e), per violazione degli artt. 76 e 117 della Costituzione.
La disposizione censurata elenca le competenze regionali e fra queste prevede che le Regioni: «per la parte di propria competenza, dispongono la redazione e provvedono all’approvazione e all’esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra, gestioni comuni» (lettera d) e «provvedono, per la parte di propria competenza, all’organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni» (lettera e).
Il d.lgs. n. 112 del 1998, invece, aveva trasferito alle Regioni le funzioni relative «alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura» (art. 89, comma 1, lettera a), «ai compiti di polizia idraulica e di pronto intervento» (art. 89, comma 1, lettera c) e «alla polizia delle acque» (art. 89, comma 1, lettera g).
Pertanto, ad avviso della ricorrente, sarebbe ravvisabile un palese contrasto tra l’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, che individua, tra i princìpi e criteri direttivi, il rispetto delle attribuzioni regionali, come definite dal d.lgs. n. 112 del 1998, e l’art. 61 del d.lgs. n. 152 del 2006, che limita le funzioni esercitabili dalle Regioni alla «parte di loro competenza».
11.5. – La Regione Toscana censura l’art. 63 per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, ritenendo che le disposizioni in esso contenute, incidenti sulla materia della difesa del suolo, ledano la competenza legislativa regionale in tema di governo del territorio. Sarebbero violati anche l’art. 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, in quanto la norma non prevede «adeguati e sufficienti meccanismi concertativi idonei a compensare l’interferenza della disciplina in ambiti materiali riservati alle Regioni».
In particolare, la ricorrente sottolinea che sono state soppresse le Autorità di bacino istituite dalla legge n. 183 del 1989, che rappresentavano gli organismi di cooperazione tecnica ed istituzionale tra lo Stato e le Regioni, ed al loro posto sono state istituite le Autorità distrettuali, che sono emanazione diretta del Ministero dell’ambiente, alle quali le Regioni partecipano con un numero minoritario di rappresentanti in seno alla Conferenza istituzionale e alla Conferenza operativa.
La difesa regionale si sofferma, inoltre, sui compiti assegnati agli organi delle nuove Autorità di bacino, evidenziando come la Conferenza istituzionale non solo adotti il piano di bacino, ma anche determini quali componenti del piano costituiscono interesse esclusivo delle singole Regioni e quali costituiscono interessi comuni a più Regioni (comma 5, lettera c), con conseguente lesione delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio.
Per queste ragioni la ricorrente ritiene che il rispetto delle competenze regionali imponga che le Autorità di bacino si limitino a dettare criteri ed indirizzi generali per la difesa del suolo, che poi le Regioni dovrebbero disciplinare e specificare nella propria legislazione e negli atti di pianificazione territoriale o che, negli organi delle Autorità di bacino, vi sia sempre una paritaria partecipazione regionale.
Secondo la ricorrente l’art. 63 non rispetta alcuno di tali criteri; infatti, i commi 5, 6, 7 e 8 attribuiscono all’Autorità di bacino «compiti puntuali e specifici di programmazione, gestione e controllo idonei a sovrapporsi alle scelte regionali». Fra questi, i compiti più significativi sarebbero quelli previsti al comma 5, lettera c), e al comma 7, lettera b).
Particolarmente lesiva sarebbe la norma contenuta nell’art. 63, comma 3, in quanto la soppressione delle Autorità di bacino esistenti e la mancata emanazione delle norme relative alla fase transitoria determinerebbe la lesione delle competenze regionali in materia di difesa del suolo, con conseguente contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
Infine, l’art. 63 violerebbe l’art. 76 Cost. sia a causa del suo carattere fortemente innovativo a fronte di una delega che riguardava il «riordino, coordinamento ed integrazione», sia perché sovverte le attribuzioni regionali previste dal d.lgs. n. 112 del 1998, mentre l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 imponeva il loro rispetto.
11.6. – La ricorrente afferma, poi, che l’art. 64 contrasta con gli artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione.
In particolare, la norma violerebbe l’art. 76 Cost. per le stesse ragioni esposte a proposito dell’analoga censura formulata contro l’art. 63.
L’art. 64 violerebbe, poi, l’art. 11 Cost., perché l’individuazione degli otto nuovi distretti idrografici in esso contenuta prescinde dalla dimensione del bacino, ponendosi in contrasto con i princìpi espressi dalla direttiva n. 2000/60/CE, che definisce i distretti idrografici come bacini omogenei specie in relazione alle finalità della direttiva stessa, e quindi agli obiettivi di qualità e di bilancio idrico da garantire.
Ad avviso della Regione Toscana, la nuova delimitazione dei bacini distrettuali lederebbe anche le attribuzioni regionali di cui all’art. 117 Cost. e, quand’anche si volesse giustificare l’intervento statale in nome di presunte esigenze di carattere unitario, residuerebbe l’illegittimità della previsione per il mancato coinvolgimento regionale nella nuova delimitazione, con conseguente violazione dell’art. 118 Cost.
11.7. – Infine, la ricorrente impugna l’art. 65 per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
In particolare, la Regione Toscana ritiene che i contenuti del piano di bacino indicati nel comma 3, lettere d), punto 4, e), h), p), e r), e le prescrizioni di cui ai commi 4 e 5 del medesimo art. 65 siano lesivi delle competenze legislative regionali in materia di difesa del suolo e quindi di governo del territorio, di cui all’art. 117 Cost. Ciò perché le norme impugnate provocherebbero un accentramento in capo allo Stato delle funzioni di pianificazione, programmazione e gestione di funzioni di competenza regionale.
La ricorrente censura inoltre la procedura prevista per l’approvazione del piano di bacino, evidenziando come le Regioni non siano adeguatamente coinvolte, a causa della presenza minoritaria dei loro rappresentanti in seno alla Conferenza istituzionale e della previsione di un mero parere della Conferenza Stato-Regioni ai fini dell’approvazione dei piani di bacino, ex art. 57, comma 1, lettera a), punto 2. Ciò determinerebbe la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
Oggetto di specifica censura è il comma 6 dell’art. 65, secondo cui «Fermo il disposto del comma 4, le Regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del Piano di bacino sui rispettivi Bollettini Ufficiali regionali, emanano ove necessario le disposizioni concernenti l’attuazione del piano stesso nel settore urbanistico. Decorso tale termine, gli enti territorialmente interessati dal Piano di bacino sono comunque tenuti a rispettarne le prescrizioni nel settore urbanistico. Qualora gli enti predetti non provvedano ad adottare i necessari adempimenti relativi ai propri strumenti urbanistici entro sei mesi dalla data di comunicazione delle predette disposizioni, e comunque entro nove mesi dalla pubblicazione dell’approvazione del Piano di bacino, all’adeguamento provvedono d’ufficio le Regioni».
Secondo la difesa regionale, tale norma risulta lesiva delle attribuzioni regionali, perché impone un termine incongruo ed eccessivamente breve per dettare le norme necessarie per l’attuazione urbanistica del piano di bacino, con conseguente lesione del principio di leale collaborazione e delle competenze urbanistiche regionali garantite dall’art. 117 Cost.
È impugnato anche il comma 7 dell’art. 65, il quale prevede l’adozione da parte delle Autorità di bacino di misure di salvaguardia ed, in caso di una loro mancata attuazione, l’intervento sostitutivo del Ministro dell’ambiente.
La Regione Toscana ritiene tale previsione lesiva degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, sia perché le misure di salvaguardia incidono sull’assetto del territorio e quindi sulla potestà legislativa regionale in materia, sia perché è previsto il ricorso al potere sostitutivo anche nel caso in cui la Regione abbia manifestato il suo motivato dissenso, chiedendo soluzioni alternative. Quanto appena detto si porrebbe in contrasto con l’orientamento della Corte costituzionale, secondo cui sarebbe necessaria la previsione di un’intesa tra lo Stato e le Regioni ogni volta che l’intervento statale abbia un impatto sulle funzioni regionali.
Quand’anche il potere sostitutivo fosse ricondotto al principio di sussidiarietà, la Regione ritiene necessaria la previsione di un idoneo meccanismo di collaborazione.
Infine, l’art. 65, come i precedenti artt. 63 e 64, violerebbe l’art. 76 Cost. sia a causa del suo carattere fortemente innovativo a fronte di una delega che riguardava il «riordino, coordinamento ed integrazione», sia perché sovverte le attribuzioni regionali previste dal d.lgs. n. 112 del 1998, mentre l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, imponeva il rispetto di queste.
12. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle censure.
12.1. – In particolare, quanto alla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 57, commi 4 e 6, la difesa erariale sottolinea la necessità di un coordinamento e di un indirizzo unitario al livello di politiche settoriali statali, da cui discenderebbe la legittimità di affidare al Comitato dei ministri le proposte di indirizzo e coordinamento, sentita la Conferenza Stato-Regioni.
12.2. – In merito alle censure rivolte all’art. 58, comma 3, lettere a) e d), il resistente osserva che non esiste un diritto delle Regioni all’intesa «forte», in materia di tutela dell’ambiente e salvaguardia del territorio. Nondimeno, le norme in esame non derogano la disciplina vigente in tema di localizzazione delle opere.
12.3. – Le questioni relative all’art. 61, comma 1, lettere d) ed e), sarebbero invece inammissibili per genericità. In ogni caso, aggiunge la difesa erariale, il quadro delle competenze in materia di ambiente e di tutela del territorio ha subito, rispetto all’originaria attrazione nell’edilizia (intesa come scienza globale del territorio), una evoluzione di cui è testimone la formulazione del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione e la stessa nozione di ambiente fatta propria dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
12.4. – In relazione alle censure rivolte all’art. 63, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che la legge statale, in materia di competenza esclusiva (come sarebbe quella in esame), può legittimamente modificare gli assetti di uffici ed organismi, anche a partecipazione mista, sempre che si tratti di organi dello Stato. Quanto alla presenza «minoritaria» delle Regioni in seno agli organi delle nuove Autorità di bacino, il resistente osserva che «in siffatti organismi "i voti non si contano ma si pesano” e la legittimità delle deliberazioni adottate è strettamente connessa alla valutazione e ponderazione degli effettivi interessi in gioco».
12.5. – Inoltre, la creazione delle nuove Autorità distrettuali, prevista nell’art. 64, risponderebbe alla necessità di tener conto della struttura geofisica del Paese e prescinderebbe dalle delimitazioni amministrative dei confini regionali. Pertanto, non vi sarebbe alcuna violazione della normativa comunitaria, ma anzi una sua attuazione.
12.6. – Infine, il termine di novanta giorni, previsto dall’art. 65, comma 6, avrebbe una funzione meramente acceleratoria, nel senso che, una volta decorso, la disposizione di piano si applicherebbe, ma resterebbe ferma la possibilità della legge o di altro strumento di competenza regionale di provvedere alle necessarie norme di adattamento nei termini che le stesse autorità locali riterranno opportuni e congrui.
13. – In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Toscana ha depositato una memoria nella quale si sofferma sull’evoluzione normativa che ha fatto seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, rilevando come sia stata disposta la proroga delle preesistenti Autorità di bacino, prima, con il decreto legislativo n. 284 del 2006 e, poi, con il decreto-legge n. 208 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 13 del 2009.
Inoltre, l’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 208 del 2008 ha fatto salvi gli atti compiuti dalle Autorità di bacino dal 30 aprile 2006.
Al riguardo, la difesa regionale rileva che, in virtù delle suddette modifiche, la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 63, comma 3, «non presenta più un interesse attuale», perché, come già evidenziato, il d.lgs. n. 284 del 2006 e il decreto-legge n. 208 del 2008 hanno disposto la proroga delle preesistenti Autorità di bacino sino alla costituzione dei nuovi distretti.
Per il resto, invece, la difesa regionale conferma le censure di incostituzionalità formulate nel ricorso.
14. – La Regione Piemonte ha promosso, con ricorso notificato il 12 giugno 2006 e depositato il successivo 15 giugno (reg. ric. n. 70 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 57, 63, 64, 65, 66, 67, 68 e 175 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. ed ai «princìpi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di princìpi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali».
14.1. – La difesa regionale osserva preliminarmente che le norme impugnate rientrano nella materia «governo del territorio», di potestà legislativa concorrente e che l’art. 176, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 afferma che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione». La ricorrente considera «superficiale e non corretta» questa affermazione, sia per la sua genericità, riferendosi indistintamente a tutta la disciplina della parte terza del d.lgs. n. 152, sia perché le norme in oggetto contengono una «completa revisione» ed una disciplina puntuale e di dettaglio, escludendo ogni ambito legislativo regionale.
Secondo la difesa regionale, con le norme contenute nella parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 è stata abrogata la disciplina preesistente in tema di difesa del suolo, ma non è stata riordinata la materia in maniera organica, né sono stati coordinati i diversi livelli di pianificazione.
14.2. – In particolare, ad avviso della Regione Piemonte, con l’art. 64 sono stati individuati, senza alcuna concertazione con le Regioni, otto distretti idrografici, eliminandosi così la precedente ripartizione del territorio funzionale alla difesa del suolo, ispirata al principio di sussidiarietà, al fine di assicurare il più appropriato livello di governo in rapporto all’ambito territoriale preso a riferimento e di garantire autonomia decisionale alle Regioni.
14.3. – Quanto all’art. 63, la ricorrente contesta la composizione della Conferenza istituzionale permanente in seno alle Autorità di bacino distrettuali, poiché già l’inserimento dei ministri delle attività produttive e per la funzione pubblica renderebbe la disposizione viziata da irragionevolezza e travolgerebbe un assetto istituzionale idoneo a bilanciare in concreto gli interessi unitari dello Stato e gli interessi delle collettività locali.
14.4. – Inoltre, ai sensi dell’art. 57, comma 1, lettera a), n. 2, tutti i piani di bacino sono approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri con il mero parere della Conferenza Stato-Regioni; ciò esautorerebbe le Regioni di ogni potere.
14.5. – Particolarmente lesiva sarebbe poi la norma di cui all’art. 63, comma 3, che, secondo la ricorrente, risulta irragionevole sotto il profilo temporale, poiché l’entrata in vigore al 30 aprile 2006 delle norme in oggetto avrebbe determinato la paralisi del sistema istituzionale di pianificazione di bacino e l’interruzione dei procedimenti e delle attività in corso.
14.6. – Per le ragioni anzidette la Regione Piemonte ritiene che sussistano i presupposti per disporre la sospensione dell’efficacia degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché dell’art. 175, comma 1, lettera l), del medesimo decreto che dispone l’abrogazione della legge n. 183 del 1989.
14.7. – Sono poi impugnati gli artt. 65, 66, 67 e 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, a parere della ricorrente, individuano numerosi strumenti di pianificazione, diversificati per contenuti, modalità di elaborazione, adozione e approvazione, rilevanza ed effetti, senza apprezzabile fondamento della distinzione e senza che ne siano definiti i reciproci rapporti.
Secondo la difesa regionale, l’illogicità manifesta dell’articolazione di questo sistema configura anche una violazione delle norme comunitarie, poiché l’incoerenza che ne deriva determina l’impossibilità di perseguire gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE di cui il decreto intende costituire recepimento (art. 170, comma 4, lettera r) e che invece prevede, quale strumento di pianificazione unitaria, il piano di gestione che può essere articolato per piani più dettagliati o tematici.
Sussisterebbe, inoltre, violazione dell’art. 76 Cost., sia per il contrasto con l’art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004, che individua l’oggetto della delega nel «riordino, coordinamento e integrazione» della normativa esistente, sia per il contrasto con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 – che impone il rispetto della attribuzioni regionali definite dall’art. 117 Cost., dalla legge n. 59 del 1997 e dal d.lgs. n. 112 del 1998 – e con l’art. 1, comma 9, lettera c), della medesima legge. L’eccesso di delega si sarebbe concretato nella compressione delle prerogative istituzionali regionali ed in generale del ruolo delle autonomie territoriali nell’ambito considerato della difesa del suolo.
15. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato «inammissibile ed infondato».
La difesa erariale deduce che il carattere trasversale della materia ambientale, pur legittimando le Regioni a provvedere attraverso la propria competenza legislativa esclusiva o concorrente su temi che hanno riflessi sulla materia ambientale, non costituisce però un limite alla competenza esclusiva dello Stato a dettare regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono specificatamente alla tutela dell’ambiente ed alla salvaguardia del territorio. In tale materia la legislazione statale non è condizionata ad una «intesa forte», oltretutto di difficile perseguibilità in sede di redazione di testi normativi di notevole complessità.
16. – La Regione Valle d’Aosta ha promosso, con ricorso notificato il 9 giugno 2006 e depositato il successivo 15 giugno (reg. ric. n. 71 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 63, 64 e 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76 e 117, terzo e quarto comma, Cost., all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché all’art. 2, lettere d), e), f), g), i), m) e q), all’art. 3, lettera d) e all’art. 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), ed al principio di leale collaborazione.
16.1. – Preliminarmente, la difesa regionale rileva che le norme contenute nell’art. 63 esorbitano palesemente dai limiti di oggetto imposti dall’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 308 del 2004, in base al quale il Governo è delegato ad adottare decreti legislativi di «riordino, coordinamento ed integrazione». Secondo la ricorrente, la soppressione delle precedenti Autorità di bacino e la loro sostituzione con le Autorità distrettuali avrebbe una evidente portata innovativa ed eccederebbe i limiti della legge di delega.
Inoltre, la soppressione delle Autorità di bacino previste dalla legge n. 183 del 1989 non sarebbe riconducibile in alcun modo ai princìpi e criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 9, lettera c), della legge n. 308 del 2004, che impone di valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale.
In merito alla composizione degli organi delle nuove Autorità di bacino, la Regione Valle d’Aosta osserva come dall’art. 63, comma 4, emerga «una posizione del tutto subalterna delle Regioni», a causa della minoritaria presenza dei rappresentanti regionali in seno alla Conferenza istituzionale permanente e della previsione secondo cui la Conferenza medesima delibera a maggioranza. Quanto appena detto, stante la competenza della Conferenza istituzionale ad adottare il piano di bacino (art. 63, comma 5, lettera e), può comportare l’imposizione di scelte in materia di pianificazione non condivise da parte di una singola Regione direttamente interessata.
Il quadro normativo introdotto con il censurato art. 63 appare alla ricorrente tanto più inaccettabile in quanto, in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, è prevista in Valle d’Aosta una gestione coordinata e paritetica basata sull’art. 8, terzo comma, dello Statuto di autonomia speciale.
Le norme contenute nell’art. 63 violerebbero, inoltre, le competenze legislative di rango primario di cui all’art. 2 dello Statuto speciale in materia di piccole bonifiche ed opere di miglioramento agrario e fondiario (lettera e), urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica (lettera g), acque minerali e termali (lettera i), acque pubbliche destinate ad irrigazione ed a uso domestico (lettera m), tutela del paesaggio (lettera q), nonché la competenza concorrente in materia di governo del territorio, ex art. 117, terzo comma, Cost., che, secondo la ricorrente, si estende anche alla Valle d’Aosta per quanto eccedente la materia urbanistica ed edilizia, assegnata alla competenza primaria della ricorrente.
Parimenti menomate sarebbero le competenze amministrative della Regione, di cui all’art. 4 dello Statuto speciale ed al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 89 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta in materia di acque pubbliche), il quale all’art. 1, comma 1, stabilisce che «Sono trasferite al demanio della regione tutte le acque pubbliche utilizzate ai fini irrigui o potabili, compresi gli alvei e le pertinenze relative» ed al comma 2 che «La regione Valle d’Aosta esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità di tale demanio ed in particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque dall’inquinamento».
La rilevanza delle attribuzioni regionali e delle garanzie partecipative nella materia in oggetto risulterebbe chiaramente anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 524 del 2002, con la quale è stata dichiarata illegittima una norma che attribuiva alle determinazioni assunte in sede di Comitato istituzionale delle Autorità di bacino (bacini idrografici di rilievo nazionale) il valore di «variante agli strumenti urbanistici».
Un ulteriore profilo di incostituzionalità riguarda l’art. 63, comma 3, che, secondo la ricorrente, crea un vuoto normativo senza approntare alcuna disciplina transitoria, determinando anche in Valle d’Aosta una situazione di incertezza in ordine agli strumenti di pianificazione e gestione.
16.2. – Secondo la ricorrente, quanto dedotto in merito all’art. 63 implica, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 64, contenente la nuova ripartizione dei distretti idrografici, all’interno dei quali sono esercitate le funzioni delle nuove Autorità di bacino distrettuali.
16.3. – La Regione Valle d’Aosta impugna anche l’art. 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, affermando che tale norma, non prevedendo che i progetti dei piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico siano sottoposti a VAS, violerebbe gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., perché si pone in contrasto con l’art. 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE, il quale prevede espressamente che siano sottoposti a valutazione ambientale i piani e i programmi «elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE».
17. – In prossimità dell’udienza pubblica del 5 maggio 2009, la Regione Valle d’Aosta ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso, escludendo che il d.lgs. n. 284 del 2006 ed il decreto-legge n. 208 del 2008 abbiano determinato il sopravvenuto difetto di interesse al ricorso.
18. – La Regione Umbria ha promosso, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 16 giugno (reg. ric. n. 72 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 55, 58, 63, 64 e 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione.
18.1. – La ricorrente impugna, innanzitutto, l’art. 55, comma 2, per violazione del principio di leale collaborazione, contestando l’accentramento in un soggetto statale – il Servizio geologico d’Italia - Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) –, senza coinvolgimento delle Regioni, delle scelte di costituzione e gestione di un unico sistema informativo; inoltre si censura l’obbligo del raccordo dei sistemi informativi regionali, nella misura in cui questo accordo non sia bilaterale.
18.2. – La Regione Umbria censura anche le norme di cui alle lettere a) e b) del comma 3 dell’art. 58, secondo cui, ai fini di cui al precedente comma 2, il Ministero dell’ambiente svolge le funzioni di «programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo» (lettera a) e di «previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni e altri fenomeni di dissesto idrogeologico, nel medio e nel lungo termine al fine di garantire condizioni ambientali permanenti ed omogenee, ferme restando le competenze del Dipartimento della protezione civile in merito agli interventi di somma urgenza» (lettera b).
Secondo la difesa regionale, la norma di cui alla lettera a) accentrerebbe in capo al Ministero dell’ambiente funzioni che erano attribuite alle Regioni o alle Autorità di bacino preesistenti o che, comunque, erano svolte con la partecipazione regionale. In proposito, la ricorrente sottolinea come l’art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998 preveda l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni per la programmazione dei finanziamenti statali in materia di difesa del suolo. Inoltre, il comma 2 dell’art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998 richiede il parere della Conferenza unificata per la programmazione ed il finanziamento degli interventi di difesa del suolo (art. 88, comma 1, lettera b). Ancora, l’art. 89, comma 1, lettera h), conferisce alle Regioni e agli enti locali la «programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesa delle coste e degli abitati costieri»; infine, l’art. 89, comma 5, prevede che «per le opere di rilevante importanza e suscettibili di interessare il territorio di più Regioni», lo Stato e queste ultime stipulino accordi di programma con i quali sono definite le modalità di gestione.
La censurata lettera a) sarebbe dunque illegittima per violazione dell’art. 76 Cost., sia per il carattere innovativo delle norme, sia perché «peggiora» la posizione regionale (art. 1, commi 1 e 8, della legge n. 308 del 2004); inoltre, sarebbero violati l’art. 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, perché la norma in esame accentrerebbe in capo allo Stato funzioni amministrative in materie regionali senza alcun coinvolgimento delle Regioni.
In relazione alla funzione di controllo, la lettera a), oltre ad essere illegittima per le ragioni anzidette, lo sarebbe anche perché «accentra una funzione allo Stato in mancanza di esigenze di esercizio unitario, dato che il controllo sugli interventi di difesa del suolo può essere adeguatamente svolto a livello locale».
La lettera b), invece, violerebbe l’art. 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione in quanto attribuisce allo Stato una funzione amministrativa in assenza di esigenze di esercizio unitario e, comunque, senza prevedere l’intesa della Regione interessata. Inoltre, la norma impugnata innova nell’ordinamento, alterando il riparto di funzioni previsto in relazione al rischio idrogeologico e quindi violando, per le ragioni anzidette, l’art. 76 Cost.
Nel caso di specie le norme impugnate ricadrebbero negli ambiti materiali del governo del territorio e della protezione civile, di competenza legislativa concorrente.
18.3. – La ricorrente impugna, inoltre, gli artt. 63 e 64, prospettando le medesime questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 56 del 2006.
18.4. – Infine, la Regione Umbria censura l’art. 65, comma 3, lettera e), secondo cui «Il Piano di bacino, in conformità agli indirizzi, ai metodi e ai criteri stabiliti dalla Conferenza istituzionale permanente […] contiene […] la programmazione e l’utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive».
Secondo la ricorrente, questa norma espropria le Regioni delle funzioni in oggetto ed assegna, in materie di competenza regionale esclusiva o concorrente, un ruolo preponderante ad un atto al quale le Regioni partecipano in misura assai limitata, con conseguente violazione dell’art. 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
19. – In prossimità dell’udienza pubblica la Regione Umbria ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso, affermando che l’evoluzione normativa successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 (d.lgs. n. 284 del 2006, decreto-legge n. 208 del 2008) ha solo prorogato transitoriamente le precedenti Autorità, ma non ha cambiato le «norme sostanziali», onde restano ferme le censure di incostituzionalità formulate nel ricorso.
20. – La Regione Liguria ha promosso, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 16 giugno (reg. ric. n. 74 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 58, 59, 63, 64, 65, 67, 69, 116 e 117 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione.
20.1. – In relazione agli artt. 58, 59, 63 e 64, la ricorrente prospetta le medesime questioni di legittimità costituzionale proposte dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, con i ricorsi numeri 56, 72 e 73 del 2006.
20.2. – La ricorrente impugna, inoltre, gli artt. 65, 67, 69, 116 e 117, per violazione dell’art. 76 Cost. e della normativa comunitaria.
Le norme censurate prevedono, rispettivamente, il piano di bacino distrettuale, i piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico, i programmi di misure, che a loro volta integrano i piani di tutela di cui all’art. 121, ed i piani di gestione.
Secondo la difesa regionale, i diversi piani di tutela «così intrecciati e parzialmente sovrapposti», violano l’art. 1, comma 8, lettera g), della legge n. 308 del 2004, che individua quale criterio direttivo quello di prevedere misure che assicurino la tempestività e l’efficacia dei piani e dei programmi di tutela ambientale, e l’art. 1, comma 9, lettera c), della medesima legge, che stabilisce il criterio del superamento della sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale.
Inoltre, quanto ai piani di gestione dei bacini idrografici, la ricorrente lamenta l’incompleta attuazione dell’art. 14 della direttiva 2000/60/CE, concernente l’obbligatoria fase di informazione e consultazione pubblica. Per queste ragioni risulterebbe violato il principio di delega relativo alla piena attuazione delle direttive comunitarie.
21. – In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Liguria ha depositato una memoria nella quale insiste nelle proprie conclusioni, sostenendo che la normativa successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 ha solo prorogato transitoriamente le precedenti Autorità, senza mutare le «norme sostanziali».
22. – La Regione Abruzzo ha promosso, con ricorso notificato il 12 giugno 2006 e depositato il successivo 17 giugno (reg. ric. n. 75 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 della Costituzione.
La ricorrente prospetta le medesime questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 56 del 2006, chiedendo anche la sospensione dell’efficacia degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto la previsione della soppressione automatica delle Autorità di bacino prima del completamento della fase transitoria, determinerebbe il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico, derivante dall’inevitabile apertura di un periodo di grave incertezza in ordine alla gestione dei bacini idrografici.
23. – La Regione Puglia ha promosso, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 20 giugno (reg. ric. n. 76 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 58, 59, 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione.
23.1. – Ad avviso della ricorrente, l’art. 58, comma 3, lettere a) e b), determina un’illegittima concentrazione di funzioni in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ed una marcata riduzione del ruolo delle Regioni, in un ambito materiale riconducibile al «governo del territorio», che l’art. 117, terzo comma, Cost., affida alla potestà legislativa concorrente.
Quanto all’art. 59, la Regione Puglia lamenta lo scarso rilievo delle attribuzioni delle Regioni, le quali possono limitarsi solo a pareri, proposte ed osservazioni, da formularsi esclusivamente in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Per queste ragioni la ricorrente sostiene che gli artt. 58, comma 3, lettere a) e b), e 59 vìolino l’art. 76 Cost., per contrasto con i princìpi generali della legge di delega, e gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., a causa della preponderanza dei poteri riconosciuti al Ministero dell’ambiente.
23.2. – Sono inoltre censurati gli artt. 63, comma 3, e 64, per violazione degli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 della Costituzione.
La Regione Puglia sottolinea come la soppressione delle preesistenti Autorità di bacino, prima che siano istituite le nuove, rappresenti una fonte di grave rischio per gli interessi pubblici ambientali. Inoltre, illegittimamente il comma 2 dell’art. 63 prevede che sia sentita la Conferenza Stato-Regioni per determinare i soli criteri per l’attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie, ma non anche per definire quelli relativi alla nomina degli organi delle Autorità di bacino.
Quanto all’art. 64, la difesa regionale ritiene che la nuova suddivisione dei distretti idrografici sia disomogenea ed arbitraria, perché stabilita senza il contributo delle Regioni.
La Regione Puglia ricorda infine il tredicesimo considerando della direttiva 2000/60/CE, secondo cui «Le decisioni dovrebbero essere adottate al livello più vicino possibile ai luoghi di utilizzo effettivo o di degrado delle acque».
23.3. – Da ultimo, la Regione Puglia chiede che sia disposta la sospensione dell’efficacia degli artt. 58, 59, 63, 64 e 121, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, in considerazione del rischio di un pregiudizio irreparabile all’interesse pubblico o di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti della popolazione regionale, derivante in particolare: dalla previsione della soppressione delle Autorità di Bacino di cui alla legge n. 183 del 1989, prima dell’istituzione delle nuove Autorità; dalla sovrapposizione di nuove funzioni statali a quelle già svolte dalle Regioni, con conseguenze negative in termini di certezza del diritto e di efficienza dell’azione amministrativa; dalla riduzione delle garanzie imposte dalle norme vigenti in materia di scarichi e di rifiuti; dalla restrizione della nozione di danno ambientale e delle relative ipotesi risarcitorie.
24. – In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Puglia ha depositato una memoria nella quale si sofferma sull’evoluzione normativa che ha fatto seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, rilevando come sia stata disposta la proroga delle preesistenti Autorità di bacino con il decreto legislativo n. 284 del 2006.
Pertanto, la difesa regionale rileva che, in relazione all’art. 63, comma 3, «deve considerarsi venuto meno l’interesse della Regione Puglia all’impugnativa proposta, in ragione dell’intervenuto aggiustamento in via legislativa».
Per il resto, invece, la difesa regionale conferma le censure di incostituzionalità formulate nel ricorso.
25. – La Regione Campania ha promosso, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 21 giugno (reg. ric. n. 78 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 della Costituzione.
La ricorrente prospetta le medesime questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 56 del 2006 e, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.
26. – La Regione Marche ha promosso, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 21 giugno (reg. ric. n. 79 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 57, 58, 61, 63, 64, 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, lamentando la violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
La ricorrente prospetta, in riferimento ai predetti parametri costituzionali, le medesime questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione Toscana con il ricorso n. 69 del 2006.
27. – In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Marche ha depositato una memoria nella quale afferma che, in virtù dell’evoluzione normativa successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, si può verosimilmente ritenere cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 3, «anche in considerazione dell’efficacia evidentemente retroattiva delle modifiche relative al regime transitorio».
Per il resto, invece, la difesa regionale conferma le censure di incostituzionalità formulate nel ricorso.
28. – La Regione Basilicata ha promosso, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 23 giugno (reg. ric. n. 80 del 2006), questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione.
Secondo la ricorrente, le norme impugnate violano l’art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004, in quanto eccedono il limite del «riordino, coordinamento e integrazione», fissato nella legge di delega, e l’art. 1, commi 8 e 9, della medesima legge, poiché il legislatore era tenuto a non modificare il sistema preesistente delle attribuzioni regionali.
Pertanto, il legislatore delegato non aveva «il potere di abrogare le norme ed il sistema delineato dalla legge n. 183 del 1989 e di sostituirlo con un sistema diverso, […] di tipo centralistico».
Al contempo, le norme censurate avrebbero espropriato le Regioni delle proprie attribuzioni nelle materie in oggetto, con conseguente violazione dell’art. 117 Cost. e del principio di sussidiarietà.
Secondo la difesa regionale, lo Stato, trattandosi di una materia (la difesa del suolo) che afferisce al governo del territorio, avrebbe potuto dettare solo norme di principio, senza possibilità di riservarsi funzioni amministrative, se non nel rispetto del principio di leale collaborazione e quindi attraverso procedure di codecisione tra Stato e Regione.
29. – In tutti i giudizi, ad eccezione di quello promosso con il ricorso n. 68 del 2006, è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo che le norme impugnate dalle Regioni siano dichiarate illegittime e, in prossimità dell’udienza di discussione, ha depositato memorie con le quali insiste nelle conclusioni già rassegnate negli atti di intervento.
30. – Nel giudizio introdotto dal ricorso n. 70 del 2006 sono intervenute la Biomasse Italia s.p.a., la Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., la Ital Green Energy S.r.l. e la E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente s.p.a., chiedendo che la Corte costituzionale dichiari l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle questioni promosse dalla Regione Piemonte.
Successivamente, le stesse società hanno depositato una memoria con la quale insistono nelle conclusioni formulate nell’atto di intervento e, per alcune questioni, chiedono una dichiarazione di «sopravvenuta improcedibilità».
Considerato in diritto
1. – Le Regioni Emilia-Romagna (con due distinti ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche, Basilicata, hanno proposto in via principale, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 55, 57, 58, 59, 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 72, 116, 117 e 175 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), lamentando la violazione degli artt. 3, 5, 11, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), degli artt. 2, lettere d), e), f), g), i), m), q), 3, lettera d), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), del principio di leale collaborazione e del principio di legalità.
Stante la loro connessione oggettiva, i suddetti ricorsi devono essere riuniti ai fini di un’unica pronuncia.
2. – Riservata ad altre pronunce la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi, in via preliminare va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento in giudizio dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, della Biomasse Italia s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., della Ital Green Energy S.r.l. e della E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente s.p.a., in applicazione dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui il giudizio di costituzionalità in via principale si svolge «esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo, sentenza n. 405 del 2008).
3. – Le norme impugnate appartengono alla Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, intitolata «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche» e, in particolare, fanno parte della sezione I «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione» (il solo art. 175 è compreso nella sezione IV «Disposizioni transitorie e finali»).
Tutte le predette disposizioni sono riconducibili alla materia «tutela dell’ambiente».
In effetti, già la prima delle norme contenute nella sezione I della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 (art. 53), nell’individuare le finalità delle disposizioni che compongono la sezione medesima, dichiara che esse «sono volte ad assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione». Sono scopi che attengono con buona evidenza direttamente alla tutela delle condizioni e qualità intrinseche del suolo e non già alla sua utilizzazione.
Simile osservazione vale per tutte le disposizioni che compongono la sezione I. Si tratta di interventi (conservazione e recupero del suolo, difesa e sistemazione dei corsi d’acqua, moderazione delle piene, disciplina delle attività estrattive nei corsi d’acqua, nei laghi, nelle lagune ed in mare, al fine di prevenire il dissesto del territorio, difesa e consolidamento dei versanti e degli abitati contro frane, valanghe e altri fenomeni di dissesto, contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, protezione delle coste e degli abitati dall’invasione e dall’erosione delle acque marine, razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica e di navigazione interna, nonché della gestione dei relativi impianti, manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e conservazione dei beni; regolamentazione dei territori interessati dai predetti interventi ai fini della loro tutela ambientale, riordino del vincolo idrogeologico) miranti non già a disciplinare come e secondo quali regole l’uomo debba stabilire propri insediamenti (abitativi, industriali, eccetera) sul territorio, bensì a garantire un certo stato del suolo, così come le norme contro l’inquinamento delle acque mirano a garantire un determinato standard qualitativo dei corpi idrici, quelle contro l’inquinamento atmosferico uno specifico livello qualitativo dell’aria, e così via.
4. – Le ricorrenti hanno denunciato, in riferimento a numerose disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, la violazione dei criteri direttivi della legge n. 308 del 2004. E’ opportuno, pertanto, prima di esaminare le singole questioni, precisare la portata ed il contenuto dei princìpi enunciati dalla predetta legge di delega.
L’art. 1 di tale legge ha conferito al Governo il potere di adottare uno o più decreti legislativi in materia di: a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; b) tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche; c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna; e) tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente; f) procedure per la valutazione di impatto ambientale, per la valutazione ambientale strategica e per l’autorizzazione ambientale integrata; g) tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
La delega, pur mirando al riordino della materia, consentiva al Governo di emanare norme innovative.
Ciò si ricava dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 308 del 2004, che attribuiva agli emanandi decreti legislativi, non solo il compito di «coordinamento» delle previgenti disposizioni, ma anche quello di «riordino» e di «integrazione» della normativa relativa ai settori elencati nello stesso comma 1.
Il carattere innovativo della delega è confermato dai princìpi e criteri direttivi indicati nei successivi commi 8 e 9 dello stesso art. 1, molti dei quali, implicitamente o esplicitamente, presuppongono o impongono la modifica sostanziale della normativa ambientale all’epoca vigente.
Ad esempio, il comma 8, alla lettera b) impone al Governo il «conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali»; alla lettera d) fissa, quale obiettivo del legislatore delegato, lo «sviluppo e coordinamento […], delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili […], nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere più efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali»; alla lettera e) impone la «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie»; alla lettera l) richiede al Governo la «semplificazione, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle procedure relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale».
Con specifico riferimento all’assetto delle competenze in materia ambientale, poi, lo stesso comma 8, formula in apertura, un criterio generalissimo, secondo cui i decreti legislativi dovevano conformarsi a princìpi direttivi quali, a livello costituzionale, il rispetto: dei princìpi e delle norme comunitarie; delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione; del principio di sussidiarietà, fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e, in materia di legislazione ordinaria, il rispetto della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
La contestuale menzione, accanto alla legge n. 59 del 1997 ed al d.lgs. n. 112 del 1998, dell’art. 117 Cost. (che, al secondo comma, attribuisce allo Stato competenza esclusiva in tema di «tutela dell’ambiente») e del flessibile principio di sussidiarietà (che consente allo Stato – competente per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema – di riservare a sé le funzioni amministrative in siffatta materia tutte le volte in cui, ai sensi dell’art. 118 Cost., sia ravvisata l’esigenza di un loro esercizio unitario), conferma l’ipotesi che nessun carattere di intangibilità può attribuirsi alle previsioni delle predette norme ordinarie. Se così non fosse, la pretesa immodificabilità della distribuzione delle funzioni amministrative in materia ambientale contenuta nel d.lgs. n. 112 del 1998 impedirebbe l’attuazione di gran parte dei princìpi precisati subito dopo nello stesso comma 8 e nel successivo comma 9.
Pertanto i criteri indicati nell’incipit dell’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, debbono essere valutati e coordinati alla luce degli ulteriori criteri espressi dalla legge di delega, nel senso che il legislatore delegato era abilitato a modificare le attribuzioni già conferite alle Regioni quando la modifica fosse coerente con uno dei princìpi direttivi indicati nelle lettere progressive che compongono i commi 8 e 9 dell’art. 1. Ad esempio, se l’attuazione di una direttiva comunitaria avesse richiesto, per assicurarne l’esercizio unitario, uno spostamento, nel settore interessato, delle funzioni amministrative, la riallocazione di competenze avrebbe potuto legittimamente essere disposta dal legislatore delegato anche presso il livello statale.
Tale conclusione è valida anche con riferimento al settore della difesa del suolo, rispetto al quale l’art. 1, comma 9, lettera c), detta, tra gli altri criteri, quello di «valorizzare il suolo e le competenze svolte dagli organismi a composizione mista statale e regionale». Questa previsione non deve intendersi nel senso che essa imponesse al legislatore delegato l’obbligo di conservare le precedenti competenze degli organismi in questione, né tantomeno quello di mantenere la precedente proporzione tra le componenti statale e regionale di questi organi. Essa comporta solamente che, nell’intervenire sulla disciplina del settore, il Governo doveva comunque riconoscere un ruolo e attribuire competenze ad organismi a composizione mista statale-regionale.
Dalle considerazioni che precedono discende che il mero effetto riduttivo delle attribuzioni regionali derivante dalla disciplina posta dal d.lgs. n. 152 del 2006 rispetto a quella contenuta nel d.lgs. n. 112 del 1998 non è sufficiente per considerare illegittima una disposizione del primo decreto legislativo, essendo necessario, invece, dimostrare che la riallocazione a livello statale di determinate competenze non costituisce attuazione di uno dei princìpi direttivi indicati nei commi 8 e 9 dell’art. 1 della legge di delega.
5. – Passando all’esame delle singole questioni, la Regione Umbria censura l’art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale stabilisce che l’attività conoscitiva per le finalità di cui all’art. 53 (tutela e risanamento del suolo e del sottosuolo, risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione) e riferita all’intero territorio nazionale, è svolta, secondo criteri, metodi e standard di raccolta, elaborazione e consultazione, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque operanti nel settore, che garantiscano la possibilità di omogenea elaborazione ed analisi e la costituzione e gestione, ad opera del Servizio geologico d’Italia - Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), di un unico sistema informativo, cui vanno raccordati i sistemi informativi regionali e quelli delle province autonome.
La ricorrente deduce che la disposizione violerebbe il principio di leale collaborazione, in quanto accentrerebbe in un soggetto statale (l’APAT), senza coinvolgimento delle Regioni, le scelte di costituzione e gestione di un unico sistema informativo; inoltre essa censura l’obbligo del raccordo dei sistemi informativi regionali, «nella misura in cui questo accordo non sia bilaterale».
La questione non è fondata.
Lo Stato è abilitato a dettare norme in materia di «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale» [art. 117, secondo comma, lettera r), Cost.]. L’art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 mira appunto alla creazione di un sistema informativo avente ad oggetto la raccolta e l’elaborazione (secondo criteri e metodi diretti ad assicurare l’omogeneità necessaria per la loro proficua elaborazione ed utilizzazione) dei dati rilevanti nel settore della difesa del suolo. Trattandosi di norma appartenente ad un ambito materiale riservato alla competenza esclusiva dello Stato e considerata la natura eminentemente tecnica della disciplina di coordinamento statale, va escluso che il principio di leale collaborazione imponga nella fattispecie una forma di coinvolgimento delle Regioni. Si aggiunga che obblighi costituenti espressione di un coordinamento meramente informativo gravanti sulle Regioni non sono di per sé idonei a ledere sfere di autonomia costituzionalmente garantite (sentenza n. 376 del 2003).
6. – La Regione Calabria impugna l’art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui l’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI) contribuisce allo svolgimento dell’attività conoscitiva in tema di difesa del suolo ed ai fini della diffusione dell’informazione ambientale, lamentando che la norma violerebbe l’art. 118 Cost., poiché demanderebbe ad una associazione di categoria, rappresentativa degli interessi dei Comuni, un’attività che, secondo la ricorrente, deve trovare la sua sede naturale nella Conferenza Stato-città e nel normale esercizio delle funzioni amministrative da parte degli enti territoriali.
La stessa ricorrente invoca, poi, la dichiarazione di illegittimità in via consequenziale ex art. 27, secondo periodo, della legge n. 87 del 1953, dell’art. 55, comma 5, contenente disposizioni in tema di esercizio, da parte dell’ANCI, delle attività previste dal precedente comma 4.
6.1. – La questione relativa all’art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 non è fondata.
La norma, infatti, si limita a prevedere che l’ANCI «contribuisce» allo svolgimento dell’attività conoscitiva, senza sottrarre alle Regioni alcuna competenza. Essa, dunque, è priva di idoneità lesiva delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.
6.2. – La questione relativa al comma 5 dello stesso art. 55 è invece inammissibile, perché la ricorrente, anziché chiedere la dichiarazione di illegittimità della norma in via consequenziale, avrebbe dovuto impugnare direttamente la disposizione in oggetto.
7. – La Regione Piemonte propone un’unica questione impugnando congiuntamente gli artt. 57, 63, 64, 65, 66, 67, 68 e 175 del d.lgs. n. 152 del 2006 e lamentando che essi violerebbero l’art. 76 Cost., sia per contrasto con l’art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004, che individua l’oggetto della delega nel «riordino, coordinamento e integrazione» della normativa esistente, sia per contrasto con l’art. 1, comma 8, della stessa legge n. 308 – che impone il rispetto della attribuzioni regionali definite dall’art. 117 Cost., dalla legge n. 59 del 1997 e dal d.lgs. n. 112 del 1998 – e con l’art. 1, comma 9, lettera c), della medesima legge. L’eccesso di delega si sarebbe concretizzato nella «compressione delle prerogative istituzionali regionali ed in generale del ruolo delle autonomie territoriali nell’ambito considerato della difesa del suolo, stravolgendo l’ordinamento della legge-quadro n. 183 del 1989».
La questione è inammissibile per la genericità dei termini in cui è stata formulata.
Infatti la motivazione è riferita ad un complesso di norme dal contenuto eterogeneo e la ricorrente non puntualizza i motivi di illegittimità delle singole disposizioni impugnate.
8. – Le Regioni Emilia-Romagna (reg. ric. n. 73 del 2006), Calabria, Toscana, Piemonte e Marche propongono alcune questioni aventi ad oggetto varie disposizioni contenute nell’art. 57 d.lgs. n. 152 del 2006.
Tale articolo, tra l’altro, individua le competenze, in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione del Presidente del Consiglio dei ministri (comma 1) e del Comitato dei ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo (commi 3 e 4), e stabilisce la forma di partecipazione della Conferenza Stato-Regioni [comma 1, lettera a), n. 2) e comma 6].
8.1. – La Regione Piemonte censura, in particolare, l’art. 57, comma 1, lettera a), n. 2, nella parte in cui prevede che i piani di bacino siano approvati con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, «sentita la Conferenza Stato-Regioni», deducendo che tale previsione contrasterebbe con gli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. ed i «princìpi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di princìpi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali», poiché esautorerebbe le Regioni di ogni potere.
Tale questione è inammissibile, perché non è specificato quale, tra i numerosi parametri costituzionali genericamente evocati dalla ricorrente, sarebbe leso dalla norma censurata sulla base della motivazione enunciata nel ricorso.
8.2. – Le questioni proposte dalle altre Regioni debbono invece essere esaminate nel merito.
Un primo gruppo di esse concerne le disposizioni in tema di atti di indirizzo e coordinamento contenute nell’art. 57. Nel settore della difesa del suolo e della lotta alla desertificazione, tali atti sono approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri [art. 57, comma 1, lettera a), n. 4]; il Comitato dei ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo «adotta gli atti di indirizzo e di coordinamento delle attività» (comma 3) e «propone gli indirizzi delle politiche settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di distretto» (comma 4); i princìpi di tutti questi atti di indirizzo e coordinamento sono definiti sentita la Conferenza Stato-Regioni (comma 6).
Queste norme sono censurate dalle Regioni Emilia-Romagna (ad eccezione del comma 3), Calabria, Toscana (limitatamente ai commi 4 e 6) e Marche (limitatamente ai commi 4 e 6), le quali sostengono, anzitutto, che la previsione di una funzione statale di indirizzo e coordinamento in una materia di potestà legislativa concorrente contrasterebbe con gli artt. 117 e 118 Cost. In secondo luogo, le predette disposizioni dell’art. 57 del d.lgs. n. 152 del 2006 violerebbero l’art. 76 Cost., perché l’art. 1, comma 8, lettera m), della legge di delega n. 308 del 2004 indicava tra i princìpi ed i criteri direttivi la «riaffermazione del ruolo delle Regioni» (che non potrebbe realizzarsi in presenza di atti statali di indirizzo e coordinamento) e imponeva il rispetto delle attribuzioni regionali definite dal d.lgs. n. 112 del 1998 (e questo, all’art. 52, prevedeva che l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento alla difesa del suolo, pur rientrando tra i compiti di rilievo nazionale, dovesse avvenire «attraverso intese nella Conferenza unificata»). Infine, gli artt. 117 e 118 Cost. sarebbero lesi dalla mancata previsione della necessità dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni per la definizione degli indirizzi in materia di difesa del suolo.
Le questioni non sono fondate.
Non sussistono le denunciate violazioni degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Come si è già detto, l’art. 57 – al pari delle altre norme che compongono la sezione I della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 – appartiene, non ad un ambito materiale di potestà legislativa concorrente, bensì alla materia della tutela dell’ambiente (di competenza statale esclusiva). Conseguentemente, da un lato, esso prevede legittimamente, in capo allo Stato, l’attività di indirizzo e coordinamento e, dall’altro, per l’esercizio di quest’ultima attività, non è costituzionalmente imposta, quale forma di collaborazione istituzionale, l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
In ragione della possibile influenza dell’attività in questione su attribuzioni regionali in materie di competenza legislativa concorrente o residuale, è bensì necessario un coinvolgimento delle Regioni che le norme impugnate assicurano in maniera adeguata mediante la previsione del parere che deve essere espresso dalla Conferenza Stato-Regioni sui princìpi degli atti di indirizzo e coordinamento.
Deve poi essere escluso il rischio (paventato dalle Regioni Toscana e Marche) che il compito, assegnato dall’art. 57, comma 4, al Comitato dei ministri, di proporre gli indirizzi delle politiche settoriali riguardi anche piani di settore di competenza regionale; infatti, la norma si riferisce esclusivamente alle politiche settoriali che rientrano nelle materie di competenza statale.
Non sussiste neppure lesione dell’art. 76 della Costituzione.
In particolare, non è violato il principio direttivo relativo alla «riaffermazione del ruolo delle Regioni» [art. 1, comma 8, lettera m), della legge n. 308 del 2004]. Infatti, ricordato che si verte in materia di tutela dell’ambiente, il riconoscimento di un potere di indirizzo e coordinamento in capo allo Stato è connaturato all’attribuzione allo stesso Stato della competenza legislativa esclusiva in materia. Del resto, la medesima lettera m) precisa che la riaffermazione del ruolo delle Regioni deve avvenire «ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione», il quale, appunto, attribuisce la predetta competenza esclusiva allo Stato e, come detto (supra, n. 4), il mero effetto riduttivo delle precedenti attribuzioni regionali non è di per sé fonte di illegittimità delle previsioni del d.lgs. n. 152 del 2006 per violazione dell’art. 76 della Costituzione.
La Regione Emilia-Romagna individua un ulteriore motivo di violazione del precetto costituzionale da ultimo richiamato nel fatto che l’art. 52 del d.lgs. n. 112 del 1998 prevedeva che l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento alla difesa del suolo, pur rientrando tra i compiti di rilievo nazionale, dovesse avvenire «attraverso intese nella Conferenza unificata», intese oggi non più previste. Ribadito quanto precedentemente detto in generale sul valore da assegnare al richiamo del d.lgs. n. 112 del 1998 contenuto nell’incipit del comma 8 dell’art. 1 della legge n. 308 del 2004, nella fattispecie ci troviamo di fronte proprio ad un caso nel quale le disposizioni di quel risalente decreto legislativo sono innovate da norme coerenti con il nuovo riparto di competenze definito dall’art. 117 Cost., così come novellato dalla legge cost. n. 3 del 2001. Con riferimento alle norme oggetto della presente questione, l’interpretazione coordinata dei vari criteri enunciati in apertura dal comma 8 dell’art. 1 della legge n. 308 del 2004, comporta l’impossibilità di ritenere rilevante, ai fini della valutazione del rispetto dell’art. 76 Cost., la previsione dell’art. 52 del d.lgs. n. 112 del 1998, secondo la quale le linee fondamentali dell’assetto del territorio dovevano essere individuate previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
8.3. – La Regione Emilia-Romagna censura specificamente, poi, l’art. 57, comma 1, lettera a), n. 1, nella parte in cui attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di deliberare i «metodi» ed i «criteri, anche tecnici», in relazione allo svolgimento delle attività di cui agli artt. 55 e 56, cioè delle attività conoscitive, di pianificazione, di programmazione e di attuazione, deducendo che tale disposizione violerebbe il principio di legalità (perché l’oggetto del conferimento sarebbe indeterminato) e l’art. 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, Cost. (poiché tale conferimento darebbe luogo ad un abnorme potere normativo non inquadrabile nella disciplina costituzionale dei rapporti tra legge statale e legge regionale e del potere regolamentare).
In subordine, qualora siffatto potere normativo fosse ammissibile, ad avviso della ricorrente l’art. 57, comma 1, lettera a), n. 1, violerebbe gli artt. 76 e 117 Cost., nella parte in cui non prevede il coinvolgimento delle Regioni nella forma dell’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, e l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 (che impone il rispetto delle attribuzioni regionali definite dal d.lgs. n. 112 del 1998) e quindi l’art. 76 Cost., perché già l’art. 54, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998, prevedeva che le funzioni relative alla identificazione dei criteri per la raccolta e l’informatizzazione di tutto il materiale cartografico ufficiale esistente fossero esercitate d’intesa con la Conferenza unificata.
La questione non è fondata.
Non sussiste violazione del principio di legalità, perché la norma, riferendosi espressamente agli artt. 55 e 56, non è fonte di alcuna incertezza circa le attività in relazione alle quali il Presidente del Consiglio dei ministri può deliberare.
Né l’attribuzione di un simile compito al Presidente del Consiglio dei ministri, in una materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato, vìola il riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni definito dall’art. 117 Cost.
Nella fattispecie, poi, non è ravvisabile la necessità di un coinvolgimento regionale. In effetti, si tratta di indicazioni metodologiche, di natura anche tecnica, dirette ad uniformare ed omogeneizzare le attività in questione.
A proposito dell’asserita violazione dell’art. 76 Cost., oltre alle considerazioni già svolte, si deve aggiungere che la norma dalla quale la ricorrente desume un precedente maggior coinvolgimento regionale [art. 54, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 112 del 1998] riguarda semplicemente la «indicazione dei criteri per la raccolta e l’informatizzazione di tutto il materiale cartografico ufficiale esistente, e per quello in corso di elaborazione, al fine di unificare i diversi sistemi per una più agevole lettura dei dati» e, pertanto, non può costituire un valido termine di raffronto rispetto all’art. 57, comma 1, lettera a), n. 1, che concerne i metodi ed i criteri di svolgimento delle attività conoscitive, di pianificazione, di programmazione e di attuazione in materia di difesa del suolo.
8.4. – L’art. 57, comma 1, lettera a), n. 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui prevede che i piani di bacino siano approvati con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, «sentita la Conferenza Stato-Regioni», è impugnato, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, dalle Regioni Emilia-Romagna (reg. ric. n. 73 del 2006), Calabria e Toscana, le quali sostengono che, essendo i piani di bacino strettamente correlati alla tutela del territorio regionale, la loro approvazione dovrebbe essere condizionata all’acquisizione di un’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
La questione non è fondata.
Infatti i piani di bacino, costituendo il fondamentale strumento di pianificazione in materia di difesa del suolo e delle acque, anche al fine di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, rientrano a pieno titolo nell’ambito materiale della tutela dell’ambiente. Pertanto gli interessi regionali risultano adeguatamente tutelati dalla forma di collaborazione prevista dalla norma impugnata (parere della Conferenza Stato-Regioni).
8.5. – L’art. 57, comma 1, lettera a), n. 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede l’attività sostitutiva del Governo «in caso di persistente inattività dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione», è impugnato dalla Regione Calabria per lesione degli artt. 117, quinto comma, 118 e 120, secondo comma, Cost. (perché esso, a causa della sua genericità, consentirebbe allo Stato di agire in via sostitutiva al di fuori delle fattispecie espressamente contemplate nelle disposizioni costituzionali sopra indicate) e dalla Regione Emilia-Romagna, qualora siffatta disposizione dovesse essere intesa come «norma di conferimento di effettivi poteri sostitutivi», per violazione del principio di legalità (in quanto generica ed indeterminata) e perché non sono previste modalità di collaborazione con le Regioni.
Le questioni non sono fondate.
La norma in oggetto si limita ad attribuire al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di compiere gli atti volti a provvedere in via sostitutiva in caso di persistente inattività dei soggetti tenuti a provvedere, ma non configura una distinta fattispecie di potere sostitutivo statale esercitabile al di fuori delle condizioni previste dall’art. 120, secondo comma, della Costituzione.
8.6. – La Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 73 del 2006), censura l’art. 57, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, poiché esso, attribuendo al Presidente del Consiglio dei ministri l’approvazione del programma nazionale di intervento senza prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni, violerebbe i princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 (che impone il rispetto delle attribuzioni regionali definite dal d.lgs. n. 112 del 1998) e quindi l’art. 76 Cost., perché il predetto d.lgs. n. 112 del 1998, agli artt. 86, comma 3, e 89, commi 1, lettera h), e 5, prevedeva varie modalità di coinvolgimento delle Regioni.
La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.
Il programma nazionale di intervento è un atto che, per l’ampiezza del proprio contenuto, è sicuramente suscettibile di produrre significativi effetti indiretti anche nella materia del governo del territorio, di competenza legislativa concorrente. Il principio di leale collaborazione istituzionale richiede, pertanto, il coinvolgimento delle Regioni nella forma del parere, come era già previsto dall’art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998.
Non è fondata, invece, la pretesa della ricorrente di ottenere la dichiarazione dell’illegittimità dell’art. 57, comma 1, lettera b), nella parte in cui non prevede l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. Infatti, ricordato che era onere della ricorrente individuare le specifiche funzioni attribuite alle Regioni dal d.lgs. n. 112 del 1998 che sarebbero state illegittimamente sottratte ad esse dal d.lgs. n. 152 del 2006, le disposizioni del d.lgs. n. 112 all’uopo indicate nella fattispecie dalla Regione Emilia-Romagna, o sono norme già abrogate alla data di emanazione della legge n. 308 del 2004 (art. 86, comma 3, d.lgs. n. 112 del 1998) – e, dunque, non suscettibili di essere comprese nel rinvio al d.lgs. n. 112 del 1998 operato dall’art. 1, comma 8, della legge di delega –, oppure [art. 89, commi 1, lettera h), e 5 del d.lgs. n. 112 del 1998] concernevano funzioni diverse da quella generale di programmazione cui si riferisce la norma oggetto della presente questione che, invece, è omogenea a quella prevista dal citato art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998, che prevedeva il semplice parere della Conferenza unificata.
Pertanto va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che il programma nazionale di intervento sia approvato previo parere della Conferenza unificata.
8.7. – La Regione Calabria impugna l’art. 57, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Comitato dei ministri «funzioni di alta vigilanza» (comma 3) e nella parte in cui concreta tali funzioni prevedendo la verifica della «coerenza nella fase di approvazione» degli atti di pianificazione (comma 4), per contrasto con l’art. 118 Cost. (non potendosi prospettare l’esercizio in capo allo Stato delle funzioni di alta vigilanza in un àmbito nel quale il principio di sussidiarietà impone l’attribuzione ai livelli di governo infra-statuali delle funzioni amministrative) e con l’art. 76 Cost. (risultando violato l’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004 che garantiva «agli enti infra-statuali, come soglia minima a livello di autonomia, il mantenimento dello status quo» mentre, nella fattispecie, il previgente art. 4, comma 3, della legge n. 183 del 1989 limitava l’attribuzione delle funzioni di alta vigilanza del Comitato dei ministri ai soli «servizi tecnici nazionali»).
La questione non è fondata.
Per principio generale, la competenza in tema di funzioni di vigilanza coincide con quella relativa all’attività oggetto di vigilanza. Nei commi 3 e 4 dell’art. 57 non è contenuto alcun riferimento che possa indurre a ritenere che i compiti di vigilanza da essi attribuiti al Comitato dei ministri riguardino anche attività rientranti nelle attribuzioni delle Regioni. Pertanto, dovendosi ritenere che quei compiti di vigilanza abbiano ad oggetto esclusivamente attività di competenza statale, la norma non lede le prerogative garantite alle Regioni dalla Costituzione.
9. – Le Regioni Calabria, Toscana, Umbria, Emilia-Romagna, Liguria, Puglia e Marche propongono alcune questioni aventi ad oggetto disposizioni contenute nell’art. 58 del d.lgs. n. 152 del 2006, norma che individua le competenze del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
9.1. – La Regione Calabria afferma che l’art. 58 violerebbe il principio di leale collaborazione, perché la «marcata incidenza» delle competenze del Ministro sulla potestà legislativa delle Regioni renderebbe necessaria la partecipazione di queste ultime «ai procedimenti che si concludano con atti imputabili al Ministro».
La questione è inammissibile per la sua genericità, poiché la ricorrente impugna l’art. 58 nel suo complesso, senza indicare quali competenze del Ministro dell’ambiente sarebbero lesive delle attribuzioni regionali.
9.2. – Anche la questione avente ad oggetto l’art. 58, comma 3, lettere b), e) e g) sollevata dalla Regione Emilia-Romagna è inammissibile, perché la ricorrente non motiva in alcun modo la propria censura.
9.3. – Le altre questioni proposte sulle disposizioni dell’art. 58 del d.lgs. n. 152 del 2006 debbono essere esaminate nel merito.
In primo luogo, è censurata la previsione di cui alla lettera a) del comma 3 dell’art. 58, per violazione degli artt. 117 e 118 e del principio di leale collaborazione (Regioni Toscana, Umbria, Liguria, Puglia e Marche), poiché la norma attribuisce al Ministro dell’ambiente funzioni di programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo senza alcun coinvolgimento delle Regioni. E’ denunciata altresì la violazione dell’art. 76 Cost., poiché la disposizione impugnata, in contrasto con l’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, ha effetti peggiorativi per le Regioni (Regioni Umbria, Liguria e Puglia), le quali, in precedenza, potevano godere delle forme di coinvolgimento previste dagli artt. 86, comma 3, e 89, commi 1, lettera h), e 5, del d.lgs. n. 112 del 1998 (Regione Emilia-Romagna).
La questione è fondata, nei limiti di seguito precisati, per gli stessi motivi indicati (v., supra, n. 8.6) a proposito dell’approvazione del piano nazionale di intervento di cui all’art. 57, comma 1, lettera b).
Infatti, ribadito che anche gli interventi in tema di difesa del suolo appartengono a pieno titolo alla materia della tutela dell’ambiente, le generali funzioni di programmazione e finanziamento che l’art. 58, comma 3, lettera a), assegna al Ministro dell’ambiente, sono tali da produrre effetti significativi sull’esercizio delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio. Nella fattispecie, pertanto, il principio di leale collaborazione impone un coinvolgimento delle Regioni e la norma va dichiarata illegittima nella parte in cui non stabilisce che la programmazione ed il finanziamento degli interventi in difesa del suolo avvengano sentita la Conferenza unificata, analogamente a quanto disposto in precedenza – per le stesse funzioni – dall’art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998.
La declaratoria di illegittimità costituzionale non riguarda il potere di controllo, anch’esso attribuito al Ministro dell’ambiente dalla disposizione oggetto della presente questione, perché – per motivi analoghi a quelli illustrati con riferimento alla non fondatezza della questione sollevata relativamente alle funzioni di alta vigilanza attribuite al Comitato dei ministri dall’art. 57, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 (v., supra, n. 8.7) – si deve ritenere che le funzioni di controllo del Ministro dell’ambiente riguardino esclusivamente attività di competenza statale.
Non è fondata la pretesa della ricorrente Emilia-Romagna di ottenere la dichiarazione dell’illegittimità dell’art. 58, comma 3, lettera a), nella parte in cui non prevede l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. Infatti, come nel caso dell’impugnazione dell’art. 57, comma 1, lettera b), anche nella presente questione la Regione Emilia-Romagna indica norme del d.lgs. n. 112 del 1998 che erano già abrogate alla data di emanazione della legge n. 308 del 2004 (art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998) oppure [art. 89, commi 1, lettera h), e 5 del d.lgs. n. 112 del 1998] concernevano funzioni diverse da quella generale di programmazione e finanziamento cui si riferisce la disposizione oggetto della presente questione che, invece, come si è detto, è omogenea a quella prevista dal citato art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998.
9.4. – Le Regioni Umbria, Liguria e Puglia impugnano anche la disposizione di cui alla lettera b) del comma 3 dell’art. 58, che attribuisce al Ministro dell’ambiente i compiti di «previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni e altri fenomeni di dissesto idrogeologico, nel medio e nel lungo termine al fine di garantire condizioni ambientali permanenti ed omogenee, ferme restando le competenze del Dipartimento della protezione civile in merito agli interventi di somma urgenza». Ad avviso delle ricorrenti, la norma violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione (perché attribuisce al Ministro dell’ambiente funzioni amministrative di competenza regionale senza che sussistano esigenze di esercizio unitario) e l’art. 76 Cost. [per il carattere innovativo della norma e perché – in contrasto con quanto previsto dall’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004 – peggiora la posizione regionale così come definita dal previgente art. 108, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 112 del 1998].
Le questioni non sono fondate.
La norma attiene ad un particolare aspetto della più generale attività di difesa del suolo, e precisamente alla parte relativa ai rischi derivanti dal dissesto idrogeologico che spesso interessano più regioni. Rientra pertanto anch’essa nell’àmbito materiale della tutela dell’ambiente. La disposizione non può invece essere ricondotta alla materia del governo del territorio, perché essa non attribuisce al Ministro dell’ambiente le funzioni in tema di utilizzazione del territorio, ma competenze dirette ad assicurare la salvaguardia dello stato del suolo, come affermato espressamente dalla stessa norma che individua il fine delle attribuzioni ministeriali in quello di «garantire condizioni ambientali permanenti ed omogenee».
Né l’art. 58, comma 3, lettera b) del d.lgs. n. 152 del 2006 invade le attribuzioni regionali in materia di protezione civile, perché esso fa salve le competenze del Dipartimento della protezione civile e, quindi, anche le corrispondenti attribuzioni delle Regioni.
Quanto al principio di leale collaborazione, la sua salvaguardia è assicurata dalla necessità del parere della Conferenza unificata per l’esercizio delle funzioni di programmazione e finanziamento, quale risulta a seguito della declaratoria di parziale illegittimità della lettera a) dello stesso art. 58, comma 3. Infatti, il parere sarà richiesto anche in caso di programmazione e finanziamento riguardanti la prevenzione del rischio idrogeologico.
Non sussiste neppure il denunciato contrasto con l’art. 76 Cost., poiché la norma impugnata non fa venir meno le competenze attribuite alle Regioni dall’art. 108, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 112 del 1998, che si riferiscono, in generale, all’attività di previsione e prevenzione dei rischi in materia di protezione civile. L’art. 58, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 si riferisce, invece, all’attività di previsione e prevenzione funzionale allo specifico scopo della difesa del suolo. In quest’àmbito, esso trova una corrispondenza con l’art. 88, comma 1, lettere c) e z), del d.lgs. n. 112 del 1998 che attribuiscono allo Stato i compiti relativi, rispettivamente, agli «indirizzi volti all’accertamento, ricerca e studio degli elementi dell’ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio» e «alla determinazione di criteri, metodi e standard volti a garantire omogeneità delle condizioni di salvaguardia della vita umana, del territorio e dei beni».
9.5. – Le Regioni Calabria, Toscana, Emilia-Romagna (reg. ric. n. 73 del 2006) e Marche impugnano l’art. 58, comma 3, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui al Ministro dell’ambiente compete identificare le «linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonché con riguardo all’impatto ambientale dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali». Sarebbero violati gli artt. 117 e 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione (poiché la norma interferirebbe in maniera rilevante con le attribuzioni regionali in materia di governo del territorio, onde sarebbe necessaria l’intesa con la Regione) e l’art. 76 Cost. (perché – in contrasto con quanto previsto dall’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004 – peggiora la posizione regionale, in particolare non richiedendo l’intesa nella Conferenza unificata, invece richiesta dall’art. 52, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 112 del 1998).
La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.
I compiti attribuiti al Ministro dell’ambiente dall’art. 58, comma 3, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006 sono sicuramente tali da produrre effetti indiretti sulla materia del governo del territorio e dunque il loro esercizio richiede un cointeressamento delle Regioni che deve essere realizzato nella forma del parere della Conferenza unificata.
Né a esito diverso può pervenirsi per il tramite di una pretesa violazione dell’art. 76 Cost., perché, come già chiarito (v., supra, n. 8.2), l’art. 52 del d.lgs. n. 112 del 1998 (il quale prevedeva che l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento alla difesa del suolo dovesse avvenire «attraverso intese nella Conferenza unificata»), richiamato anche nell’ambito della presente questione a sostegno della denunciata lesione dei princìpi direttivi della legge di delega n. 308 del 2004, rappresenta una delle disposizioni del d.lgs. n. 112 del 1998 che può essere legittimamente superata dalla nuova normativa in riferimento a esigenze di esercizio unitario ai sensi dell’art. 118 Cost.
9.6. – La Regione Calabria censura il comma 2, lettera c), ed il comma 3, lettera c), dell’art. 58 del d.lgs. n. 152 del 2006, sostenendo che essi violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost., poiché attribuiscono al Ministro dell’ambiente il potere di adottare atti di indirizzo e coordinamento in un àmbito materiale di potestà legislativa concorrente.
Le questioni non sono fondate.
La lettera c) del comma 2 dell’art. 58 dispone che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio «opera, ai sensi dell’articolo 2, commi 5 e 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349, per assicurare il coordinamento, ad ogni livello di pianificazione, delle funzioni di difesa del suolo con gli interventi per la tutela e l’utilizzazione delle acque e per la tutela dell’ambiente». Si tratta, pertanto, di un potere non riconducibile a quello di indirizzo, bensì a quello di coordinamento proprio del Ministro dell’ambiente in virtù della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale).
La lettera c) del comma 3 dello stesso art. 58 stabilisce, invece, che il Ministro dell’ambiente svolge funzioni di «indirizzo e coordinamento dell’attività dei rappresentanti del Ministero in seno alle Autorità di bacino distrettuale di cui all’articolo 63». La norma, riferendosi esclusivamente all’indirizzo ed al coordinamento di rappresentanti ministeriali, non attribuisce al Ministro dell’ambiente un potere di emanare atti indirizzati alle Regioni.
10. – Le Regioni Emilia-Romagna (reg. ric. n. 73 del 2006), Puglia e Calabria impugnano l’art. 59 del d.lgs. n. 152 del 2006 che definisce le competenze della Conferenza Stato-Regioni.
Le prime due Regioni deducono la violazione dell’art. 76 Cost.: la Regione Puglia lamenta la violazione dei «princìpi generali richiamati dalla legge di delega»; la Regione Emilia-Romagna afferma che sarebbe violato, in particolare, l’art. 1, comma 9, lettera c), della legge n. 308 del 2004 che imponeva al legislatore delegato di valorizzare il ruolo e le competenze degli organismi a composizione mista statale e regionale, mentre l’art. 59 del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuisce alla Conferenza un mero ruolo consultivo.
La Regione Puglia lamenta anche la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., a causa della preponderanza dei poteri riconosciuti al Ministro dell’ambiente.
La Regione Calabria denuncia la violazione del principio di leale collaborazione con riferimento alle previsioni contenute nelle lettere a), che degraderebbe la Conferenza Stato-Regioni a mero proponente per gli atti di cui all’art. 57, b), che consente alla Conferenza di esprimere solamente osservazioni sui piani di bacino e d), che prevede il mero parere della Conferenza nella ripartizione degli stanziamenti autorizzati da ciascun piano triennale. Ad avviso della ricorrente, quest’ultima previsione, incidendo su una materia di potestà legislativa concorrente, violerebbe anche l’art. 119 Cost., non prevedendo l’intesa.
Le questioni non sono fondate.
Non sussiste il contrasto con l’art. 1, comma 9, lettera c) della legge di delega dedotto dalla regione Emilia-Romagna, perché, come detto (supra, n. 4), quest’ultima disposizione non imponeva al Governo di conservare agli organismi a composizione mista Stato-Regioni tutte le attribuzioni che gli stessi vantavano in precedenza.
La deduzione della Regione Puglia secondo cui sarebbero lesi i princìpi generali richiamati dalla legge di delega è, invece, del tutto generica.
Non sono violati neppure gli artt. 117 e 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, perché l’art. 59 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede adeguate forme di collaborazione istituzionale (formulazione di pareri, proposte ed osservazioni), né può ritenersi costituzionalmente imposta la necessità dell’intesa.
Infine, la censura svolta in riferimento all’art. 119 Cost. (peraltro formulata in termini meramente assertivi), si fonda sull’erroneo presupposto secondo cui si verterebbe in una materia di competenza legislativa concorrente.
11. – La Regione Calabria impugna l’art. 61 del d.lgs. n. 152 del 2006 per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. La ragione del contrasto con tali precetti costituzionali risiederebbe nel fatto che la norma non prevede più la competenza delle Regioni a delimitare i propri bacini idrografici, ad attivare la costituzione di comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale ed a stabilire le modalità di consultazione di enti, organismi, associazioni e privati interessati, in ordine alla redazione dei piani di bacino [funzioni previste dal previgente art. 10, comma 1, lettere a) e h), della legge n. 183 del 1989], nonostante che la legge n. 308 del 2004 prescrivesse il rispetto delle attribuzioni di cui le Regioni e gli enti locali erano già titolari ai sensi della normativa vigente.
La questione non è fondata.
La mancata previsione, nel d.lgs. n. 152 del 2006, delle competenze regionali sopra ricordate è l’inevitabile conseguenza della modifica del sistema di pianificazione in materia di difesa del suolo e tutela delle acque introdotta dal d.lgs. n. 152 medesimo e, soprattutto, della modificazione dell’ambito territoriale cui si riferiscono gli strumenti di pianificazione. Una volta che, in conformità – come si dirà (infra, n. 13.1) – con la normativa comunitaria, il precedente sistema di ripartizione del territorio nazionale in bacini idrografici di rilievo nazionale, interregionale e regionale, è stato sostituito dalla ripartizione per distretti idrografici, non è più ragionevole l’attribuzione alle Regioni delle competenze che la Regione Calabria vorrebbe fossero mantenute nell’art. 61 d.lgs. n. 152 del 2006.
Tale considerazione consente di escludere, oltre alla sussistenza, nella fattispecie, della lesione delle attribuzioni regionali garantite dagli artt. 117 e 118 Cost., anche quella della violazione dell’art. 76 della Costituzione. Richiamando quanto detto a proposito della corretta interpretazione del generalissimo criterio enunciato all’inizio del comma 8 dell’art. 1 della legge n. 308 del 2004 (supra, n. 4), la fattispecie costituisce un’ipotesi di riallocazione al livello centrale di funzioni attribuite alle Regioni dal d.lgs. n. 112 del 1998 imposta dalla necessità di assicurarne l’esercizio unitario e coordinato.
12. – Le Regioni Toscana e Marche censurano l’art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 laddove stabilisce che le Regioni «per la parte di propria competenza, dispongono la redazione e provvedono all’approvazione e all’esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra, gestioni comuni» (lettera d), e «provvedono, per la parte di propria competenza, all’organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni» (lettera e). Ad avviso delle ricorrenti, tali disposizioni violerebbero gli artt. 76 e 117 Cost., perché il d.lgs. n. 112 del 1998 aveva trasferito alle Regioni tutte le funzioni relative alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura, ai compiti di polizia idraulica e di pronto intervento e alla polizia delle acque e l’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004 imponeva il rispetto delle attribuzioni regionali come definite dal d.lgs. n. 112 del 1998.
Le questioni non sono fondate.
Le disposizioni impugnate non hanno effetti lesivi sulle attribuzioni regionali. Come reso evidente dall’utilizzo dell’espressione «per le parti di propria competenza», la norma non sottrae, né aggiunge alcunché alle attribuzioni delle Regioni.
13. – Tutte le Regioni ricorrenti propongono questioni aventi ad oggetto gli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006.
L’art. 63, disciplina l’Autorità di bacino distrettuale, disponendo che, in ciascun distretto idrografico di cui all’articolo 64, è istituita l’Autorità di bacino distrettuale, ente pubblico non economico, ed enumerandone gli organi e le funzioni rispettive.
L’art. 64, invece, suddivide il territorio nazionale in otto distretti idrografici.
13.1. – Le due norme attuano, pertanto, una riorganizzazione del sistema delle autorità di bacino.
In precedenza, ai sensi dell’art. 13 della legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), l’intero territorio nazionale era ripartito in bacini idrografici che potevano essere di tre tipi: bacini di rilievo nazionale, bacini di rilievo interregionale e bacini di rilievo regionale. La legge individuava 11 bacini di rilievo nazionale (art. 14) e 18 bacini di rilievo interregionale (art. 15); i bacini di rilievo regionale erano quelli non ricompresi nelle altre due categorie (art. 16).
Nei bacini di rilievo nazionale era istituita l’Autorità di bacino (art. 12), anche se, a tal fine, alcuni bacini erano raggruppati sotto un’unica Autorità (art. 14, comma 2).
Nei bacini di rilievo interregionale, le Regioni definivano d’intesa la formazione del comitato istituzionale di bacino e del comitato tecnico (art. 15, comma 3).
L’art. 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, individuando otto distretti idrografici, procede all’accorpamento dei precedenti bacini nazionali, interregionali e regionali. Un’analoga riorganizzazione interessa automaticamente anche le Autorità di bacino, proprio perché l’art. 63 istituisce in ciascun distretto un’unica Autorità di bacino.
Tale riorganizzazione è stata attuata in coerenza con la normativa comunitaria (che il legislatore delegato doveva rispettare, ai sensi dell’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004).
Infatti, la direttiva 2000/60/CE, istitutiva di «un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque», all’art. 2, definisce «bacino idrografico» il «territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce», «sottobacino» il «territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d’acqua» e «distretto idrografico» la «area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere» e stabilisce che quest’ultimo è «la principale unità per la gestione dei bacini idrografici».
All’interno di ciascun distretto deve essere individuata l’autorità competente per l’applicazione della direttiva (art. 3, comma 2) e l’elenco di tali autorità deve essere fornito alla Commissione europea (art. 3, comma 8); l’esame dell’impatto ambientale delle attività umane e l’analisi economica dell’utilizzo idrico deve essere effettuato su base distrettuale (art. 5); il registro delle aree protette deve essere tenuto per ciascun distretto (art. 6); l’art. 13 individua, quale strumento di pianificazione, il piano di gestione dei bacini idrografici che deve essere predisposto «per ciascun distretto idrografico».
In sostanza, la normativa comunitaria in materia di acque individua nel livello di distretto (più ampio di quello di bacino) la dimensione territoriale nella quale concentrare l’attività diretta alla tutela degli ecosistemi acquatici e di quelli terrestri direttamente dipendenti.
E ciò è quanto risulta anche dal quadro delineato dagli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006 che costituiscono l’adeguamento, sotto questo profilo, dell’ordinamento interno a quello comunitario. Tale conclusione non è contrastata dal fatto che la direttiva 2000/60/CE ha ad oggetto specifico la tutela delle acque e non anche la difesa del suolo. Infatti, posto che la delega interessava tanto la tutela delle acque dall’inquinamento, quanto la difesa del suolo e la desertificazione, è ragionevole che il legislatore delegato abbia configurato un unico sistema di distribuzione delle competenze amministrative per i due settori, i quali, tra l’altro, sono intimamente connessi.
13.2. – Passando all’esame delle censure proposte contro gli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, la Regione Piemonte impugna l’art. 63, sostenendo che esso violerebbe gli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. ed i «princìpi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di princìpi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali», poiché «già il solo inserimento dei Ministri delle attività produttive e per la funzione pubblica» renderebbe la disposizione viziata da irragionevolezza e travolgerebbe un assetto istituzionale idoneo a bilanciare in concreto gli interessi unitari dello Stato e gli interessi delle collettività locali.
La questione è inammissibile, poiché la ricorrente deduce genericamente la violazione di una pluralità di parametri senza motivare in modo specifico sull’illegittimità della norma.
13.3 – La Regione Valle d’Aosta impugna l’art. 63 nel suo complesso, sostenendo che esso violerebbe: a) le competenze legislative di rango primario di cui all’art. 2 dello statuto speciale in materia di: piccole bonifiche ed opere di miglioramento agrario e fondiario (lettera e), urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica (lettera g), acque minerali e termali (lettera i), acque pubbliche destinate ad irrigazione ed a uso domestico (lettera m), tutela del paesaggio (lettera q); b) la competenza legislativa concorrente in materia di governo del territorio di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (estesa alla Regione Valle d’Aosta in virtù dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001); c) l’art. 4 dello statuto speciale ed il d.lgs. n. 89 del 1999, che all’art. 1, comma 1, stabilisce che «Sono trasferite al demanio della regione tutte le acque pubbliche utilizzate ai fini irrigui o potabili, compresi gli alvei e le pertinenze relative» ed al comma 2 che «La regione Valle d’Aosta esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità di tale demanio ed in particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque dall’inquinamento»; d) l’art. 2, lettere d) e f) e l’art. 3, lettera d), dello statuto speciale. Ad avviso della ricorrente, poi, dovrebbe essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, in via consequenziale, anche l’art. 64 del d.lgs. n. 152 del 2006.
La questione è inammissibile.
Infatti la ricorrente indica una serie di titoli di competenza legislativa ed amministrativa, senza motivare adeguatamente sulle ragioni per le quali l’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006 ledrebbe ciascuno di essi.
13.4. – Deve invece essere dichiarata la cessazione della materia del contendere rispetto alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede la soppressione delle Autorità di bacino a partire dal 30 aprile 2006, sollevate, in riferimento: all’art. 3 Cost. dalle Regioni Emilia-Romagna (con il ricorso n. 56 del 2006), Calabria, Umbria, Liguria e Abruzzo; agli artt. 117 e 118 Cost. dalle Regioni Toscana e Marche; alle attribuzioni regionali previste sia nello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, sia nell’art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione Valle d’Aosta; agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. ed i «princìpi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di princìpi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali» dalla Regione Piemonte; agli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 Cost. dalla Regione Puglia.
Infatti le ricorrenti individuano la ragione dei menzionati vizi di incostituzionalità nel fatto che la norma impugnata stabiliva l’immediata cessazione delle vecchie autorità di bacino e ciò avrebbe determinato l’interruzione di qualsiasi attività sino all’effettiva entrata in funzione dei nuovi organismi previsti dal d.lgs. n. 152 del 2006.
Tuttavia, l’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284 (Disposizioni correttive e integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale) ha inserito nell’art. 170 del d.lgs. n. 152 del 2006 il comma 2-bis che ha previsto che le autorità di bacino di cui alla legge n. 183 del 1989 sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del decreto correttivo che, ai sensi dell’art. 1, comma 6, della legge n. 308 del 2004, definisca la relativa disciplina. Il successivo comma 4 dello stesso art. 1 del d.lgs. n. 284 del 2006 ha fatto salvi gli atti posti in essere dalle autorità di bacino dal 30 aprile 2006 in poi.
Successivamente, l’art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208 (Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 27 febbraio 2009, n. 13, ha stabilito che le Autorità di bacino di cui alla legge n. 183 del 1989 sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, a norma dell’art. 63, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, deve disciplinare il trasferimento delle funzioni, del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie e regolamentare il periodo transitorio.
Conseguentemente le vecchie autorità di bacino hanno continuato a svolgere le loro funzioni e continueranno a farlo sino all’effettiva istituzione dei nuovi organismi. Pertanto, in virtù della normativa successiva alla norma censurata, è venuto meno il rischio che la norma medesima possa causare la lesione paventata dalle Regioni.
13.5. – Le questioni sollevate dalle altre Regioni debbono invece essere esaminate nel merito.
Le Regioni Toscana, Marche e Basilicata, impugnano l’art. 63, in tutti i suoi commi [le Regioni Toscana e Marche, in particolare il comma 5, lettera c), ed il comma 7, lettera b)], sostenendo che esso violerebbe l’art. 117 Cost. (perché, incidendo sulla materia della difesa del suolo, lede la competenza legislativa regionale in tema di governo del territorio), l’art. 118 ed il principio di leale collaborazione (poiché non prevede adeguati meccanismi concertativi) e l’art. 76 Cost. (sia a causa del suo carattere innovativo a fronte di una delega che riguardava il «riordino, coordinamento ed integrazione», sia perché sovverte le attribuzioni regionali previste dal d.lgs. n. 112 del 1998, mentre l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, ne imponeva il rispetto).
Le questioni non sono fondate.
L’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, definendo struttura e funzioni delle Autorità di bacino distrettuale, istituisce nuovi organismi per la tutela del suolo e delle acque, vale a dire in un àmbito materiale di competenza esclusiva statale.
Se è vero che le competenze di tale nuovo organismo possono indirettamente avere conseguenze su àmbiti materiali di competenza concorrente (come il governo del territorio), è anche vero che il coinvolgimento delle Regioni è assicurato dalla norma in esame che prevede la partecipazione dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico di cui di volta in volta si tratta, alla Conferenza istituzionale permanente (art. 63, comma 4), principale organo dell’Autorità di bacino che assomma le vaste competenze elencate nel comma 5 dello stesso art. 63.
Non sussiste, pertanto, la denunziata violazione delle attribuzioni regionali garantite dagli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
Neppure è ravvisabile un contrasto con l’art. 76 Cost., per i motivi già illustrati (supra, n. 4): la delega conferita dalla legge n. 308 del 2004 al Governo consentiva a quest’ultimo di introdurre anche innovazioni nell’ordinamento previgente e inoltre, nella fattispecie, la redistribuzione delle competenze amministrative è coerente con l’attuazione del criterio direttivo generale del «rispetto dei princìpi e delle norme comunitarie» enunciato in apertura dell’art. 1, comma 8, e ribadito dalla successiva lettera e) dello stesso comma (che richiedeva la «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie»).
13.6. – Alcune Regioni censurano gli artt. 63, commi 2 e 3, e 64, perché, prevedendo l’accorpamento delle preesistenti Autorità di bacino ed assegnando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri i compiti di definire «i criteri e le modalità per l’attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie» e di regolamentare il trasferimento di funzioni ed il periodo transitorio, violerebbero: a) l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché incidono sulla materia «governo del territorio», rientrante nella competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, dettando norme di dettaglio (Regioni Emilia-Romagna, con il ricorso n. 56 del 2006, Umbria, Liguria, Abruzzo, Campania); b) l’art. 118 Cost., poiché non assicurano il rispetto del principio di leale collaborazione attraverso procedure di codecisione (Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Umbria, Liguria, Abruzzo, Campania); c) l’art. 118 Cost., per violazione delle competenze amministrative delle Regioni, che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, erano contitolari del governo dei bacini nazionali e titolari, in via tendenzialmente esclusiva, delle funzioni relative ai bacini regionali e interregionali (Regione Calabria); d) l’art. 117, sesto comma, Cost., perché in una materia di competenza legislativa concorrente è precluso allo Stato l’utilizzo del potere regolamentare (Regione Calabria).
Le questioni non sono fondate.
Tutti i profili di illegittimità dedotti dalle ricorrenti presuppongono la riconducibilità degli artt. 63 e 64 alla materia del governo del territorio, mentre invece le due norme attengono pienamente alla materia della tutela dell’ambiente, le Autorità di bacino distrettuale essendo preposte a compiti rientranti in quelli previsti in generale dalla sezione I della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006. Pertanto non è ravvisabile alcuna invasione di competenze regionali, né il principio di leale collaborazione richiede necessariamente che negli organismi a composizione mista la componente regionale sia numericamente equivalente a quella statale; infine, è consentito allo Stato esercitare la potestà regolamentare.
13.7. – Le Regioni Emilia-Romagna, con il ricorso n. 56 del 2006, Calabria, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo e Campania denunciano l’illegittimità costituzionale degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006 anche per la violazione dell’art. 76 Cost., derivante dal contrasto con l’art. 1, commi 1, 8 e 9 della legge di delega n. 308 del 2004 che, in assunto, non consentiva al Governo di stravolgere l’impianto normativo esistente e gli imponeva il rispetto delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali.
Le questioni non sono fondate, perché, come già si è detto, la delega conferita dalla legge n. 308 del 2004 comprendeva anche il potere di introdurre innovazioni nell’ordinamento previgente e, inoltre, la suddivisione del territorio nazionale in distretti idrografici e la connessa riorganizzazione delle Autorità di bacino rispondono alla necessità di assicurare un esercizio unitario e coordinato, secondo quanto consentito dall’art. 118 Cost. al legislatore statale.
13.8. – Le Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Puglia e Marche propongono questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64, deducendo che l’individuazione degli otto distretti idrografici contenuta in tale norma contrasterebbe con: a) il principio di leale collaborazione, poiché le Regioni non sono state chiamate «ad esercitare alcun ruolo nella determinazione concreta dell’ambito dei distretti» (Regione Calabria); b) l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, poiché la divisione dei nuovi distretti idrografici sarebbe stata effettuata in maniera arbitraria e l’irragionevolezza della delimitazione dei bacini avrebbe conseguenze profondamente pregiudizievoli sulla gestione dei bacini idrografici, di spettanza regionale (Regione Calabria); c) gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., perché l’art. 64 individuerebbe macroaree, affidandole alle Autorità di bacino distrettuale, «in modo del tutto disomogeneo, secondo criteri non meglio identificabili», non rispondenti alle ragioni di opportunità che la direttiva n. 2000/60/CE esige (Regione Calabria); d) la direttiva 2000/60/CE e quindi l’art. 11 Cost., perché l’individuazione degli otto nuovi distretti idrografici prescinde dalla dimensione del bacino, mentre la predetta direttiva definisce i distretti idrografici come bacini omogenei in relazione alle finalità della direttiva stessa e, quindi, agli obiettivi di qualità e di bilancio idrico da garantire (Regione Toscana); e) l’art. 76 Cost., sia a causa del suo carattere fortemente innovativo a fronte di una delega che riguardava il «riordino, coordinamento ed integrazione» della normativa previgente, sia perché sovverte le attribuzioni regionali previste dal d.lgs. n. 112 del 1998, mentre l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 ne imponeva il rispetto (Regioni Toscana e Marche); f) gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., poiché il sistema dei distretti idrografici determinerebbe la «riappropriazione al centro di attività già delegate o trasferite» e la «vanificazione delle attività di gestione, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di "governo del territorio” e dell’art. 118 della Costituzione» (Regione Calabria); g) l’art. 117 Cost., perché la nuova delimitazione dei bacini distrettuali lederebbe la competenza legislativa regionale in tema di governo del territorio (Regioni Toscana e Marche); h) l’art. 118, poiché, quand’anche si volesse giustificare l’intervento statale in nome di presunte esigenze di carattere unitario, resterebbe l’illegittimità della previsione per il mancato coinvolgimento regionale nella nuova delimitazione (Regioni Toscana e Marche); i) gli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. ed i «princìpi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di princìpi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali», perché sono stati individuati, senza alcuna concertazione con le Regioni, otto distretti idrografici, eliminando così una ripartizione del territorio funzionale alla difesa del suolo che si fondava su una anticipata applicazione del principio di sussidiarietà (Regione Piemonte); l) gli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 Cost., perché la nuova suddivisione dei distretti idrografici sarebbe «disomogenea ed arbitraria» e sarebbe stata «stabilita in assenza del contributo delle Regioni, che peraltro svolgevano in precedenza tutte le funzioni relative alla gestione dei bacini interregionali e regionali» (Regione Puglia).
Le questioni sono in parte inammissibili ed in parte non fondate.
Sono inammissibili le doglianze relative alla presunta irragionevolezza della delimitazione degli otto distretti, anche rispetto alla pretesa incoerenza con le indicazioni fornite dalla normativa comunitaria [motivi sub lettere b), c), d) ed l)], poiché le ricorrenti non vanno oltre una generica affermazione di arbitrarietà del riparto dei distretti idrografici, senza indicare le ragioni per le quali questi ultimi accorperebbero territori disomogenei.
Non sono invece fondate le censure con le quali le ricorrenti lamentano il loro mancato coinvolgimento nel procedimento di individuazione dei distretti [motivi sub lettere a), h), i) ed l)]; infatti, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel senso che l’esercizio dell’attività legislativa sfugga al principio di leale collaborazione.
E’ insussistente la dedotta violazione della legge n. 308 del 2004 [motivo sub e)] in virtù delle già ripetute considerazioni (carattere anche innovativo della delega, coerenza della nuova ripartizione del territorio nazionale con i princìpi direttivi imposti al Governo).
Sono infondate anche le censure svolte in riferimento alla presunta lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite [motivi sub f) e g)], poiché l’ambito materiale di competenza è quello della tutela dell’ambiente e non – come affermato dalle Regioni – quello del governo del territorio.
14. – La Regione Piemonte impugna gli artt. 65, 66, 67 e 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, per contrasto con gli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. ed i «princìpi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di princìpi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali».
La questione è inammissibile perché la ricorrente censura congiuntamente una pluralità di disposizioni evocando numerosi parametri costituzionali senza fornire una specifica motivazione dell’illegittimità costituzionale delle singole norme impugnate.
15. – La Regione Liguria impugna gli artt. 65, 67, 69, 116 e 117, del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali disciplinano il piano di bacino distrettuale, i piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico, i programmi di misure, che a loro volta integrano i piani di tutela di cui all’art. 121, ed i piani di gestione. Ad avviso della ricorrente sussisterebbe violazione dell’art. 76 Cost. e della «normativa comunitaria», poiché l’intreccio tra i diversi piani di tutela contrasterebbe con l’art. 1, comma 8, lettera g), della legge n. 308 del 2004, che imponeva di prevedere misure che assicurassero la tempestività e l’efficacia dei piani e dei programmi di tutela ambientale, con l’art. 1, comma 9, lettera c), della medesima legge, che stabilisce il criterio del superamento della sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e con il principio di delega relativo alla piena attuazione delle direttive comunitarie.
Anche tale questione è inammissibile per genericità della censura, poiché la ricorrente impugna cinque articoli del d.lgs. n. 152 del 2008, senza una adeguata specificazione delle disposizioni lesive delle attribuzioni regionali.
16. – Le Regioni Calabria, Toscana, Umbria e Marche sollevano varie questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale disciplina valore, finalità e contenuti del piano di bacino distrettuale.
16.1. – In precedenza, la legge n. 183 del 1989 prevedeva che per ciascun bacino idrografico occorreva adottare un piano di bacino, ma diverse erano le autorità competenti alla sua elaborazione ed approvazione, a seconda del tipo di bacino idrografico cui esso si riferiva.
Per i bacini di rilievo nazionale, il progetto del piano era elaborato dal comitato tecnico, adottato dal Comitato istituzionale (entrambi organi dell’Autorità di bacino), inviato per i pareri al Comitato nazionale per la difesa del suolo ed alle Regioni interessate, successivamente adottato dal Comitato istituzionale (tenuto conto dei predetti pareri) (art. 18) e infine approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri previa delibera del Consiglio stesso (art. 4, comma 1, lettera c).
Per i bacini di rilievo interregionale il procedimento era il medesimo, ma i progetti, dopo le osservazioni formulate dal Comitato nazionale per la difesa del suolo, erano approvati dalle Regioni per le parti di rispettiva competenza territoriale e poi nuovamente trasmessi al Comitato per la difesa del suolo; in caso di mancato adeguamento, da parte delle Regioni, alle osservazioni del Comitato in questione, il Consiglio dei ministri poteva adottare eventuali modifiche (art. 19).
Per i bacini di rilievo regionale, i piani erano elaborati e approvati dalla Regione interessata e trasmessi al Comitato nazionale per la difesa del suolo per la verifica del rispetto dei criteri generali dettati dal Presidente del Consiglio dei ministri (art. 20).
Infine, il comma 6-ter dell’art. 17 prevedeva che «I piani di bacino idrografico possono essere redatti ed approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali».
L’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, dunque, contiene una nuova disciplina del piano di bacino in coerenza con le modificazioni introdotte nella suddivisione del territorio nazionale (in distretti piuttosto che in bacini idrografici). In particolare, mentre sono rimasti sostanzialmente confermati valore, finalità e contenuti del piano di bacino, è cambiato l’àmbito territoriale cui esso si riferisce (il distretto idrografico e non più il singolo bacino nazionale, interregionale o regionale) e l’autorità che lo elabora (in tutti i casi l’Autorità di bacino distrettuale).
16.2. – Passando ora all’esame delle singole questioni di legittimità costituzionale, quelle relative al comma 6 dell’art. 65 sollevate, in riferimento al principio di leale collaborazione ed all’art. 117 Cost., dalle Regioni Toscana e Marche sono inammissibili per difetto di adeguata motivazione.
Infatti le ricorrenti censurano la predetta disposizione perché stabilirebbe un termine eccessivamente breve per dettare le norme necessarie per l’attuazione urbanistica del piano di bacino, ma non indicano le ragioni per le quali il termine di novanta giorni previsto dalla norma sarebbe insufficiente.
16.3. – La Regione Calabria sostiene che l’illegittimità dell’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006 discenderebbe dalla centralizzazione della politica di gestione dei bacini idrografici disposta dagli artt. 61, 63 e 64. La norma, inoltre, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché contiene una normativa dettagliata in un àmbito materiale di competenza legislativa concorrente («governo del territorio») ed il principio di leale collaborazione, poiché non prevede una partecipazione delle Regioni nella procedura di approvazione dei piani di bacino. Ad avviso della ricorrente, dall’illegittimità dell’art. 65 deriverebbe, in via consequenziale ex art. 27, secondo periodo, della legge n. 87 del 1953, quella dell’art. 66, il quale specifica ulteriormente il procedimento che si conclude con l’approvazione del piano di bacino.
Le questioni non sono fondate.
Le censure con le quali la Regione Calabria denuncia la centralizzazione della gestione dei bacini e la mancata partecipazione delle Regioni alla procedura di approvazione dei piani di bacino (da esaminarsi congiuntamente, stante la loro intima connessione) non sono condivisibili.
Infatti, riprendendo quanto affermato in riferimento agli artt. 63 e 64 (supra, n. 13.1 e n. 13.5), l’attribuzione delle competenze in ordine alla elaborazione ed all’adozione dei piani di bacino alle nuove Autorità di bacino distrettuale è la conseguenza del riordino del sistema di ripartizione del territorio nazionale in distretti idrografici e il coinvolgimento delle Regioni nella procedura di emanazione dei piani di bacino è adeguatamente assicurato dalla partecipazione dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome il cui territorio è interessato dal distretto di cui si tratta (o degli assessori dagli stessi delegati) alla Conferenza istituzionale permanente che ha il compito di stabilire gli indirizzi, i metodi ed i criteri di elaborazione del piano di bacino (art. 65, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006) e, poi, di adottare il piano medesimo (art. 66, comma 2).
Il richiamo dell’art. 117, terzo comma, Cost., poi, non è pertinente, vertendosi in materia di competenza esclusiva dello Stato e non di competenza legislativa concorrente.
La questione relativa all’art. 66, la cui illegittimità costituzionale è stata dedotta dalla Regione Calabria solamente in via consequenziale, è invece inammissibile, perché la ricorrente avrebbe dovuto impugnare direttamente la norma in oggetto.
16.4. – Le Regioni Toscana e Marche sostengono che l’art. 65, in tutti i suoi commi, ed in particolare il comma 3, lettere d), n. 4, e), h), p), e r), ed i commi 4 e 5, violerebbe l’art. 117 Cost. (ledendo la competenza legislativa regionale in tema di governo del territorio) e l’art. 76 Cost. (sia a causa del suo carattere fortemente innovativo, sia perché sovverte le attribuzioni regionali previste dal d.lgs. n. 112 del 1998, mentre l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 ne imponeva il rispetto).
La Regione Umbria impugna solamente l’art. 65, comma 3, lettera e), affermando che tale disposizione contrasterebbe con l’art. 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, poiché «espropria» le Regioni delle funzioni da essa previste ed assegna, in materie di competenza regionale piena o concorrente, «un ruolo preponderante ad un atto al quale le Regioni partecipano ormai in misura assai limitata».
Le questioni, da esaminare congiuntamente a causa della loro intima connessione, non sono fondate.
L’art. 117 Cost. non è violato, perché il piano di bacino costituisce il fondamentale strumento di pianificazione in tema di difesa del suolo, lotta alla desertificazione e tutela delle acque, onde esso appartiene alla materia della tutela dell’ambiente e il necessario coinvolgimento regionale è soddisfatto dalla partecipazione dei rappresentanti regionali alla Conferenza istituzionale permanente.
Le specifiche disposizioni censurate dalle ricorrenti sono prive, poi, di idoneità lesiva.
In particolare, iniziando da quelle concernenti il contenuto del piano di bacino, l’art. 65, comma 3, lettera d), n. 4, stabilisce che il piano debba contenere l’indicazione delle opere necessarie distinte in funzione del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio territoriale in funzione della tutela dell’ambiente nonché del tempo necessario per assicurare l’efficacia degli interventi. Come si vede, si tratta di una disposizione inidonea a produrre effetto sulle competenze regionali, consistendo in una semplice prescrizione relativa alle modalità di redazione del piano di bacino.
La successiva lettera e) afferma che il piano debba indicare anche «la programmazione e l’utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive». La norma deve essere letta tenendo conto del contesto generale nel quale si colloca. Vale a dire che le prescrizioni in tema di programmazione ed utilizzazione delle risorse da essa indicate sono solamente quelle finalizzate direttamente ad assicurare la tutela dell’ambiente e, precisamente, a garantire determinate condizioni e qualità intrinseche del suolo e delle acque. Ad esempio, le risorse forestali sono sicuramente funzionali anche alla prevenzione di movimenti franosi e, pertanto, limitazioni al loro sfruttamento ovvero la programmazione di interventi di forestazione ben possono integrare il contenuto del piano di bacino senza perciò essere fonte di lesione di attribuzioni regionali. Ovviamente, nel caso in cui, in concreto, nei piani di bacino siano previsti interventi o prescrizioni che eccedano dalla finalità di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ed invadano àmbiti di competenza delle Regioni, queste ultime potranno tutelare le proprie prerogative impugnando questi atti con gli strumenti che l’ordinamento mette loro a disposizione.
Le considerazioni ora svolte valgono anche per i contenuti dei piani di bacino indicati nelle altre lettere del comma 3 dell’art. 65 oggetto di specifica impugnazione da parte delle ricorrenti: le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei litorali marini che sottendono il distretto idrografico (lettera h); il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri e delle portate (lettera p); il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le derivazioni che per altri scopi, distinte per tipologie d’impiego e secondo le quantità (lettera r).
Le prescrizioni sull’efficacia del piano di bacino contenute nell’art. 65, comma 4 (che dispone che le disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove si tratti di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano di bacino e che i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il piano di bacino approvato) sono espressione della generale caratteristica delle norme in materia di tutela dell’ambiente che, come già affermato da questa Corte (sentenze n. 12 del 2009 e n. 104 del 2008), funzionano come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano negli ambiti di loro competenza. Pertanto, il carattere vincolante dei piani di bacino e la necessità che gli strumenti di pianificazione per lo sviluppo socio-economico ed il governo del territorio non si pongano in contrasto con essi, non ledono i precetti costituzionali.
Tali considerazioni valgono anche per il successivo comma 5 dello stesso art. 65 che prevede il termine per l’adeguamento dei piani territoriali e regionali (quali quelli relativi alle attività agricole, zootecniche ed agroforestali, alla tutela della qualità delle acque, alla gestione dei rifiuti, alla tutela dei beni ambientali ed alla bonifica).
Non sussiste, per le ragioni più volte esposte, neppure la denunciata lesione dell’art. 76 della Costituzione.
16.5. – Le Regioni Toscana e Marche censurano specificamente anche il comma 7 dell’art. 65 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, sia perché le misure di salvaguardia in esso previste incidono sulla potestà legislativa regionale in materia di assetto del territorio, sia perché esso consente il ricorso al potere sostitutivo anche nel caso in cui la Regione abbia manifestato il suo motivato dissenso, chiedendo soluzioni alternative. Inoltre, quand’anche il potere sostitutivo fosse ricondotto al principio di sussidiarietà, la Regione ritiene necessaria la previsione di un’idonea forma di collaborazione.
La questione non è fondata.
Le misure di salvaguardia disciplinate dalla norma impugnata hanno la stessa natura e la stessa funzione degli interventi previsti in generale dal piano di bacino. Si tratta di misure, per così dire, cautelari, dirette a tutelare le condizioni di suolo ed acque nelle more dell’approvazione del piano di bacino. La relativa disciplina, pertanto, appartiene a pieno titolo alla materia della tutela dell’ambiente e, anche in questo caso, vale il rilievo secondo il quale la necessità del coinvolgimento delle Regioni derivante dall’indiretto riflesso che tali misure possono avere in materia di governo del territorio è adeguatamente soddisfatta dalla partecipazione dei rappresentanti delle Regioni il cui territorio è interessato dai provvedimenti in questione negli organi delle Autorità di bacino, competenti anche all’adozione delle misure previste dall’art. 65, comma 7.
17. – E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 66 del d.lgs. n. 152 del 2006 sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, poiché tale norma non è compresa fra le disposizioni per le quali la Giunta regionale ha deliberato la proposizione del ricorso.
18. – La Regione Calabria propone questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, commi 2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina l’adozione, nelle more dell’approvazione dei piani di bacino, dei piani di stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico. Ad avviso della ricorrente, l’incostituzionalità delle predette disposizioni discenderebbe dall’illegittima centralizzazione della politica di gestione dei bacini idrografici disposta dagli artt. 61, 63 e 64. Esse, inoltre, violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., perché contengono una normativa dettagliata in un ambito materiale di competenza legislativa concorrente («governo del territorio») ed il principio di leale collaborazione, in quanto non prevedono una partecipazione delle Regioni nella procedura di approvazione dei piani stralcio.
La questione non è fondata.
I motivi dedotti dalla ricorrente sono analoghi a quelli che la stessa Regione Calabria ha svolto a sostegno della propria impugnazione dell’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006 in tema di piani di bacino. Poiché i piani stralcio per l’assetto idrogeologico disciplinati dall’art. 67 hanno la stessa natura e le medesime finalità di quelli, più generali, di bacino (essi costituiscono solamente uno stralcio dei piani di bacino, a norma dell’art. 65, comma 8), le censure proposte dalla ricorrente non possono essere accolte per gli stessi motivi in base ai quali è stata dichiarata non fondata la questione proposta contro l’art. 65 (supra, n. 16.3).
19. – Ad avviso della Regione Calabria, dovrebbe essere dichiarata l’illegittimità dell’art. 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, perché esso costituirebbe specificazione ed attuazione dell’art. 67.
La questione è inammissibile perché priva di specifica motivazione, considerato che l’art. 67 e l’art. 68 disciplinano aspetti diversi (il primo, l’oggetto e l’esecuzione dei piani stralcio e delle misure di prevenzione per le aree a rischio; il secondo, il procedimento per l’adozione dei piani stralcio).
20. – La Regione Valle d’Aosta censura l’articolo 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui esso esclude dalla valutazione ambientale strategica (VAS) i progetti dei piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico. La ricorrente sostiene che la norma violerebbe gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., perché contrasterebbe con l’art. 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE, il quale prevede che siano sottoposti a valutazione ambientale i piani ed i programmi «che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE».
La questione è inammissibile.
Infatti la Regione Valle d’Aosta non specifica nel ricorso come la mancata previsione dell’obbligo della VAS nella procedura di adozione dei piani in questione lederebbe le sue competenze costituzionalmente garantite.
21. – La Regione Calabria propone questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nell’art. 69 del d.lgs. n. 152 del 2006, che disciplina i programmi triennali di intervento, i quali sono gli strumenti attuativi dei piani di bacino.
In particolare, la ricorrente impugna i commi 2 e 3 dell’art. 69.
Il primo (che indica alcune finalità cui deve essere destinato almeno il quindici per cento degli stanziamenti previsti dai piani triennali di intervento) violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché recante norme di dettaglio in un ambito materiale di potestà legislativa concorrente, e l’art. 119 Cost., poiché pretenderebbe di indirizzare attività amministrative che non rientrano nella competenza dello Stato.
Il secondo (che prevede la possibilità per le Regioni di provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e di interventi previsti dai piani di bacino) violerebbe l’art. 119 Cost., perché tali stanziamenti sarebbero indebitamente condizionati al previo parere favorevole della Conferenza istituzionale permanente di cui all’art. 63, comma 4, mentre invece i singoli enti dovrebbero poter decidere liberamente in ordine al finanziamento degli interventi necessari per il loro territorio.
21.1. – Le questioni non sono fondate.
L’art. 69, comma 2, stabilendo la quota minima complessiva degli stanziamenti che deve essere destinata a determinate categorie di interventi ed attività, non lede i precetti costituzionali invocati dalla ricorrente, perché esso interviene in materia di competenza esclusiva statale e il coinvolgimento delle Regioni è assicurato dal parere della Conferenza unificata che deve essere richiesto a norma dell’art. 58, comma 3, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, quale risulta a seguito della dichiarazione della sua parziale illegittimità (supra, n. 9.3).
21.2. – Neppure l’art. 69, comma 3, è lesivo di attribuzioni regionali. Le opere e gli interventi che le Regioni intendano realizzare utilizzando propri stanziamenti sono compresi nella generale pianificazione contenuta nel piano di bacino e, dunque, appartengono ad un ambito di competenza materiale statale. Le possibili interrelazioni tra le opere che la singola Regione propone di realizzare con propri stanziamenti e gli altri interventi previsti dal medesimo piano di bacino giustifica la previsione della necessità del parere favorevole della Conferenza istituzionale permanente, al fine di garantire l’indispensabile coerenza complessiva dell’attività di pianificazione.
22. – La Regione Calabria impugna l’art. 70 del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina il procedimento di adozione dei piani di intervento, sostenendo che la norma violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché reca norme di dettaglio in un àmbito materiale di potestà legislativa concorrente.
La questione non è fondata, trattandosi di materia di cui al comma secondo dell’art. 117 della Costituzione.
23. – La Regione Emilia-Romagna censura il comma 1 dell’art. 70 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede sul programma di intervento l’intesa di ciascuna Regione territorialmente interessata, ed il comma 3 dello stesso articolo, nella parte in cui richiede il parere anziché l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, per violazione del principio di leale collaborazione e delle attribuzioni regionali, poiché le Regioni sarebbero private di poteri decisionali in relazione alla pianificazione degli interventi attuativi del piano.
Le questioni non sono fondate.
I programmi di intervento sono atti finalizzati alla concreta attuazione delle misure previste nei piani di bacino e la loro disciplina, al pari di quella di questi ultimi, appartiene alla materia della tutela dell’ambiente.
Il coinvolgimento delle Regioni è, poi, realizzato sia dal comma 1, sia dal comma 3. Dal primo, nella parte in cui prevede che i programmi di intervento sono adottati da un organismo a composizione mista quale la Conferenza istituzionale permanente la cui delibera, in caso di decisione a maggioranza, deve contenere un’adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse in seno alla Conferenza. Dal secondo, nella parte in cui prevede che il Ministro dell’ambiente, ai fini dell’indicazione del fabbisogno finanziario, acquisisca il parere della Conferenza Stato-Regioni.
24. – Le Regioni Calabria ed Emilia-Romagna propongono questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nell’art. 72 del d.lgs. n. 152 del 2006, norma che disciplina il finanziamento degli interventi in materia di difesa del suolo.
In particolare, la Regione Calabria censura il comma 3, che stabilisce che il Comitato dei ministri, sentita la Conferenza Stato-Regioni, predisponga lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio e la ripartizione degli stanziamenti tra le amministrazioni dello Stato e le Regioni. La ricorrente deduce che la norma violerebbe il principio di leale collaborazione, poiché sarebbe necessaria una forma di codecisione (e non un semplice parere) per attività che hanno riguardo ad àmbiti normativi ed amministrativi spettanti alle Regioni in base agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione.
La Regione Emilia-Romagna censura, invece, il comma 4, nella parte in cui non prevede l’intesa in relazione all’adozione e all’approvazione del programma, assumendo che tale disposizione violerebbe sia il principio di leale collaborazione e le attribuzioni regionali (poiché in questo modo le Regioni sarebbero private di poteri decisionali in relazione alla pianificazione degli interventi attuativi del piano), sia l’art. 76 Cost. (perché l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 imponeva il rispetto delle attribuzioni regionali definite dal d.lgs. n. 112 del 1998, il cui art. 86, comma 3, prevedeva l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni).
Infine, la Regione Calabria afferma che il comma 5, attribuendo al Ministro dell’ambiente, su proposta della Conferenza Stato-Regioni, il potere di individuare con proprio decreto le opere di competenza regionale, che rivestono grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., perché attribuirebbe al Ministro un potere condizionante nei confronti dell’autonomia anche legislativa delle Regioni e, in subordine, il principio di leale collaborazione, poiché l’esplicita incidenza sulle competenze regionali ad opera del decreto ministeriale vede un coinvolgimento delle Regioni limitato soltanto alla semplice proposta iniziale della Conferenza Stato-Regioni.
24.1. – La questione concernente il comma 3 non è fondata.
Occorre premettere che gli interventi previsti a difesa del suolo dalla sezione I della Parte III del d.lgs. n. 152 «sono a totale carico dello Stato» (art. 72, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006). Gli stanziamenti che, a norma dell’art. 72, comma 3, sono ripartiti tra amministrazioni statali e Regioni dal programma nazionale di intervento sono quindi finanziamenti erogati dallo Stato per l’esecuzione di attività riconducibili ad una materia rientrante nella sua competenza esclusiva (la tutela dell’ambiente). Il principio di leale collaborazione è rispettato mediante la previsione della necessità del parere della Conferenza Stato-Regioni.
24.2. – La questione concernente il comma 4 dell’art. 72 non è fondata.
La norma in oggetto dispone che il programma di intervento nazionale e la ripartizione degli stanziamenti sono approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Quest’ultimo, al comma 1, lettera b), stabilisce che il programma nazionale di intervento sia approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri e, non contemplando alcuna forma di collaborazione istituzionale, è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede che l’approvazione del programma nazionale di intervento sia preceduta dall’acquisizione del parere della Conferenza unificata (supra, n. 8.6).
A seguito di tale declaratoria di parziale illegittimità costituzionale, la questione relativa all’art. 72, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, deve essere dichiarata non fondata.
Infatti, relativamente all’approvazione del piano nazionale di intervento, da un lato, non sussiste un obbligo costituzionale di acquisizione dell’intesa con le Regioni (si rinvia, in proposito, alle argomentazioni svolte sub n. 8.6) e, dall’altro, il cointeressamento delle Regioni è assicurato dalla previsione della necessità del previo parere della Conferenza unificata quale risulta a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità dell’art. 57, comma 1, lettera b).
Per quanto concerne la ripartizione degli stanziamenti, l’art. 59, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006 già prevede che la Conferenza Stato-Regioni esprima pareri in materia.
24.3. – La questione concernente il comma 5 dell’art. 72 del d.lgs. n. 152 del 2006 non è fondata.
La norma, pur prevedendo che le opere di competenza regionale, che rivestono grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico, siano individuate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, stabilisce che ciò avvenga «su proposta della Conferenza Stato-Regioni». Non sussiste, pertanto, la lesione delle competenze regionali e del principio di leale collaborazione lamentati dalla Regione Calabria, perché la disposizione impugnata, pur imputando formalmente l’individuazione delle opere in questione all’atto ministeriale, attribuisce alle Regioni un ruolo condizionante il contenuto dell’atto stesso.
25. – In considerazione della decisione nel merito delle relative questioni di illegittimità costituzionale, non vi è luogo a provvedere sulle istanze di sospensione dell’efficacia degli artt. 58, 59, 63, 64 e 175, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 152 del 2006, avanzate dalle Regioni Calabria, Piemonte, Abruzzo e Puglia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione dell’intero testo del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché di singole disposizioni dello stesso decreto;
1) dichiara inammissibili gli interventi in giudizio dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, della Biomasse Italia s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l, della Ital Green Energy S.r.l. e della E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente S.p.a;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che il programma nazionale di intervento sia approvato con il previo parere della Conferenza unificata;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 3, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che le funzioni di programmazione e finanziamento degli interventi in materia di difesa del suolo siano esercitate previo parere della Conferenza unificata;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 3, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che le funzioni in esso indicate siano esercitate previo parere della Conferenza unificata;
5) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, alle attribuzioni regionali previste dallo statuto speciale per la Regione Valle d’Aosta ed al principio di leale collaborazione dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 56 del 2006 e dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 57, 63, 64, 65, 66, 67, 68 e 175 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a), n. 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 3, lettere b), e) e g) del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006;
11) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
12) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 2, lettere d), e), f) g), i), m), q), 3, lettera d) e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, all’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 89 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta in materia di acque pubbliche), dalla Regione Valle d’Aosta con il ricorso indicato in epigrafe;
13) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 3, 11, 76, 117, primo e terzo comma, e 118, della Costituzione, dalle Regioni Calabria, Toscana e Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 65, 66, 67 e 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
15) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 65, 67, 69, 116 e 117 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;
16) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento all’art. 117 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Toscana e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
17) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 66 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
18) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 66 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006;
19) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
20) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Valle d’Aosta con il ricorso indicato in epigrafe;
21) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Umbria con il ricorso indicato in epigrafe;
22) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento all’art. 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
23) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, commi 1, lettera a), n. 4, 3, 4 e 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006 e dalle Regioni Calabria, Umbria e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
24) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a), n. 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76 e 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, della Costituzione ed al principio di legalità, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006;
25) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a), n. 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006 e dalle Regioni Calabria e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe;
26) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a), n. 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117, quinto comma, 118 e 120, secondo comma, della Costituzione ed al principio di legalità dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006 e dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
27) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76 e 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
28) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione dalle Regioni Umbria, Liguria e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
29) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, lettera c) e comma 3, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
30) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 59 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006 e dalle Regioni Calabria e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
31) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
32) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 1, lettere d) ed e), del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76 e 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
33) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Toscana, Marche e Basilicata con i ricorsi indicati in epigrafe;
34) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 63, commi 2 e 3, e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117, commi terzo e sesto, e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 56 del 2006 e dalle Regioni Calabria, Umbria, Liguria, Abruzzo e Campania con i ricorsi indicati in epigrafe;
35) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento all’art. 76 della Costituzione dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 56 del 2006 e dalle Regioni Calabria, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo e Campania con i ricorsi indicati in epigrafe;
36) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria, Toscana, Marche, Piemonte e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
37) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione dalle Regioni Calabria, Toscana, Umbria e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
38) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, commi 2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
39) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
40) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70 del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento all’art. 117, terzo comma, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
41) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 70, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento al principio di leale collaborazione ed alle «attribuzioni regionali», dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006;
42) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 72, commi 3, 4 e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 73 del 2006 e dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2009.
Allegato: ordinanza letta all'udienza del 5 maggio 2009