Sentenza n. 106 del 2006

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SENTENZA N. 106

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Annibale                             MARINI                                   Presidente

-  Franco                                 BILE                                           Giudice

-  Giovanni Maria                   FLICK                                               “

-  Francesco                            AMIRANTE                                     “

-  Ugo                                     DE SIERVO                                     “

-  Romano                              VACCARELLA                               “

-  Paolo                                   MADDALENA                                “

-  Alfio                                   FINOCCHIARO                              “

-  Alfonso                               QUARANTA                                    “

-  Franco                                 GALLO                                             “

-  Luigi                                   MAZZELLA                                     “

-  Gaetano                              SILVESTRI                                      “

-  Sabino                                 CASSESE                                         “

-  Maria Rita                           SAULLE                                           “

-  Giuseppe                             TESAURO                                        “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9, 10 e 11 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari”, promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento notificato il 14 febbraio 2005, depositato in cancelleria il 18 febbraio 2005 ed iscritto al n. 23 del registro ricorsi 2005.

            Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

            uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l'avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

            1.– Con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 14 febbraio 2005 la Provincia autonoma di Trento ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimità costituzionale degli artt. 9, 10 e 11 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari”, per violazione dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) e, in connessione con esso, degli artt. 117 e 118 della Costituzione; degli artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e 16 dello statuto di autonomia approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e delle relative norme di attuazione, fra le quali, in particolare, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), l'art. 6 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) e l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché per violazione dei principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 2001.

            Espone la ricorrente, a sostegno dell'impugnativa, di essere dotata di potestà legislativa primaria in materia di agricoltura, foreste e patrimonio zootecnico e di potestà legislativa concorrente in materia di commercio e di essere, inoltre, titolare, nei relativi settori, delle corrispondenti funzioni amministrative in forza, rispettivamente, degli artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e 16 dello statuto speciale, di cui al d.P.R. n. 670 del 1972.

            Aggiunge che, in virtù dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la competenza provinciale nelle materie dell'agricoltura e del commercio è diventata piena, non risultando esse menzionate nell'art. 117, commi secondo e terzo, della Costituzione.

            Precisa anche che l'art. 1 del d.P.R. n. 279 del 1974 ha trasferito alle province le attribuzioni esercitate dallo Stato direttamente, a mezzo di suoi organi centrali e periferici, o indirettamente, per il tramite di enti e istituti pubblici a carattere nazionale o sovranazionale, nelle materie dell'agricoltura e della zootecnica, mentre l'art. 2 della medesima fonte normativa ha previsto che le province esercitano le funzioni amministrative, ivi comprese quelle di vigilanza e di tutela, già spettanti allo Stato e alla regione, «in ordine agli enti, consorzi, istituti e organizzazioni locali operanti» nel loro territorio, nei settori di cui innanzi. 

            Peraltro, posto che l'art. 8, lettera g), del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279, continua a riservare allo Stato la competenza in materia di «repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze ad uso agrario e di prodotti agrari», il riparto di competenze è  stato inteso nel senso che alla Provincia spetti «il momento della vigilanza» e allo Stato invece «quello sanzionatorio».

            Proprio muovendo da tale ricostruzione del sistema delle autonomie, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 371 del 2001, accogliendo il conflitto sollevato dalla Provincia autonoma di Trento, annullò una norma statale che attribuiva al Ministero delle politiche agricole e forestali il compito di provvedere ai controlli di cui al regolamento CEE n. 2815/98 (sulle denominazioni d'origine degli oli d'oliva), in quanto nella fattispecie veniva in rilievo il momento precedente l'esercizio dei poteri sanzionatori, vale a dire la fase dei controlli e della prevenzione, di spettanza, questa, della Provincia ricorrente.

            Osserva l'impugnante che nelle materie delle denominazioni di origine protette (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP) è necessario distinguere i controlli su chi usa le denominazioni, e cioè sui produttori, dai controlli sugli organismi che svolgono la vigilanza a garanzia dei consumatori, segnalando che la materia è  disciplinata dall'art. 53 della legge 24 aprile 1998, n. 128 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 1995-1997), come modificato dall'art. 14 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 1999), norma che, nel regolamentare, come indicato in rubrica, i controlli e la vigilanza «sulle denominazioni protette e sulle attestazioni di specificità», ha assegnato alle Regioni, anche a statuto ordinario (comma 12), funzioni di vigilanza «sugli organismi di controllo privati autorizzati» e ha comunque dettato una clausola di salvaguardia a tutela delle competenze di quelle a statuto speciale (comma 19).

            Del resto – segnala la deducente – la spettanza alle Regioni della vigilanza sugli organismi di controllo in materia di uso delle denominazioni protette dei prodotti agricoli è stata in tempi recenti ribadita nel decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali 27 agosto 2004 (Definizione dell'attività di vigilanza sulle strutture autorizzate a svolgere il controllo e certificazione delle produzioni agroalimentari regolamentate da norme comunitarie), che ha anche fatte salve «le specifiche competenze e attribuzioni di cui agli statuti delle province autonome di Trento e Bolzano» (art. 2, comma 5); la materia è stata inoltre direttamente disciplinata dalla Provincia di Trento, la quale con la legge provinciale 5 novembre 1990, n. 28 (Istituto agrario San Michele all'Adige), come modificata dalle leggi provinciali n. 1 del 2 febbraio 1996 e n. 11 del 4 settembre 2000, ha istituito l'Agenzia per la garanzia della qualità in agricoltura, quale organismo deputato ad effettuare il controllo sulle denominazioni di origine protetta dei prodotti trentini (art. 4-bis).

            In tale contesto normativo l'art. 3 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2002) – che delegava il Governo ad adottare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per violazione di direttive e regolamenti comunitari – andava attuato con norma che doveva tener conto, ove si fosse ritenuto di optare per le sanzioni amministrative, delle competenze piene spettanti alle Regioni in materia di agricoltura e commercio, a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001, dovendosi ritenere non più operante, in forza dell'art. 10 della predetta legge, in relazione alle sanzioni amministrative, la riserva di funzioni statali di carattere locale, di cui all'art. 8, lettera g), del d.P.R. n. 279 del 1974, ormai priva di fondamento nel nuovo assetto costituzionale delle competenze. Il d.lgs. n. 297 del 2004, invece, non solo ignora del tutto tale criterio di riparto ma, addirittura, disconosce i poteri provinciali di vigilanza nella materia in questione, ancorché espressamente previsti dalle norme di attuazione dello statuto, consentendo l'esercizio in capo allo Stato di funzioni di carattere locale in materia provinciale.

            Segnatamente sarebbero illegittimi, secondo la Provincia di Trento, gli artt. 9 e 10 che – inseriti in un contesto normativo che al Capo I si occupa degli illeciti dei produttori (art. 3, commi 1, 2, 3 e 4) e al Capo II di quelli degli organismi di controllo e dei consorzi di tutela (artt. 4 e 6), nonché degli illeciti a danno dei consorzi di tutela (art. 5) – riservano al Ministero delle politiche agricole e forestali (e quindi ad un organo statale), il primo, l'accertamento delle violazioni previste dall'art. 3, commi 1, 2 e 3, e dall'art. 4, e il secondo, l'accertamento delle violazioni previste dall'art. 3, comma 4, e dall'art. 6 del decreto stesso, e cioè parte dei poteri amministrativi di vigilanza in materia di DOP e di IGP, in ambito provinciale, in violazione degli artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972; degli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 279 del 1974 e dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.

            Né la competenza statale in parte qua potrebbe ritenersi giustificata dal fatto che le norme impugnate danno attuazione a norme comunitarie, perché, anche a prescindere dal disposto dell'art. 117, comma quinto, della Costituzione, l'art. 6 del d.P.R. n. 526 del 1987 stabilisce che spetta alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano provvedere a tanto, nelle materie di rispettiva competenza, ove i regolamenti comunitari richiedano «una normazione integrativa o un'attività amministrativa di esecuzione».

            In ogni caso, la legittimazione dello Stato a intervenire, al fine di evitare il maturare di situazioni di inadempimento e in considerazione della necessità di scegliere tra sanzione penale e sanzione amministrativa, comporterebbe che il legislatore, una volta che abbia optato per queste ultime, non possa poi ignorare il riparto costituzionale delle competenze in materia.

            Sarebbe comunque difficile dubitare dell'illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 del d.lgs. n. 297 del 2004, dopo i rilievi contenuti nella già richiamata sentenza n. 371 del 2001, che ravvisò nell'attribuzione al Ministero delle politiche agricole e forestali dei controlli previsti dal regolamento CEE n. 2815/98 «una stabile alterazione dell'assetto delle competenze delineato dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione statutaria, inconciliabile, in particolare, con il citato art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992»; situazione che gli artt. 9 e 10 del d.lgs. n. 297 del 2004 verrebbero in sostanza a riprodurre.

            In definitiva, gli accertamenti che le norme impugnate riconoscono di competenza del Ministero spetterebbero alla Provincia autonoma di Trento sia nel quadro delle nuove competenze in materia di agricoltura e commercio, acquisite in forza della legge costituzionale n. 3 del 2001, sia in forza delle disposizioni di attuazione dello statuto e segnatamente dell'art. 2 del d.P.R. n. 279 del 1974 e dell'art. 4 del d.P.R. n. 266 del 1992.

            Quanto all'art. 11 del d.lgs. n. 297 del 2004, la ricorrente evidenzia che la norma illegittimamente attribuirebbe al Ministero la competenza ad adottare le sanzioni accertate dai soggetti individuati negli artt. 8, 9 e 10, nonché, in genere, quelle accertate dagli organi competenti in materia di prodotti DOP e IGP; invero, essendo divenuta piena, come già detto, a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001, la competenza della Provincia in materia di agricoltura e commercio, non potrebbe più invocarsi, a sostegno della scelta normativa censurata, la competenza statale in ordine alla repressione delle frodi «nella preparazione e nel commercio di sostanze ad uso agrario e di prodotti agrari», riconosciuta dall'art. 8, lettera g), del d.P.R. n. 279 del 1974.

            Nella nuova prospettiva, ferma la legittimità della disciplina statale delle sanzioni (giustificata dalla necessità di adempiere ai doveri comunitari e di scegliere il tipo di misura da applicare), tutta la «repressione amministrativa delle frodi» rientrerebbe nella competenza provinciale e, invero, ad avviso della ricorrente, «l'applicazione delle sanzioni predeterminate per legge può e deve avvenire a livello locale».

            Né si potrebbe eccepire che per le autonomie speciali le più ampie funzioni attribuite dall'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 diventerebbero operative solo con l'emanazione di apposite norme di attuazione: ad avviso della ricorrente, queste ultime sarebbero in realtà necessarie per le «ulteriori materie» attribuite alle Regioni ad autonomia speciale, al fine di provvedere al trasferimento dei corrispondenti uffici dall'uno all'altro ente, ma non per quelle in relazione alle quali le Province già svolgono funzioni amministrative e in cui sono, quindi, pronte ad esercitare le più ampie competenze attribuite loro dal menzionato art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

            Del resto la possibilità di un diretto esercizio delle maggiori autonomie derivanti dal Titolo V è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale, sia pure con riferimento alle Regioni ordinarie, nella sentenza n. 13 del 2004.

            L'art. 11 del d.lgs. n. 297 del 2004, demandando ad organi statali l'applicazione di misure di carattere amministrativo, violerebbe pertanto gli artt. 117, comma quarto, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, in collegamento con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, posto che, in assenza di esigenze unitarie, la disciplina e l'esercizio della «funzione amministrativa sanzionatoria in materia di DOP e IGP», spetterebbe senz'altro alla Provincia.

            2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto il rigetto del ricorso.

            Ha osservato la difesa erariale che la normativa impugnata è stata dettata in attuazione di obblighi assunti in sede comunitaria, ed è pertanto espressione della potestà legislativa spettante allo Stato ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lettera a), della Costituzione.

            Ciò posto, le argomentazioni della ricorrente – la quale, titolare in materia di competenza concorrente, ritiene non più operativa la riserva di funzioni a carattere locale di cui all'art. 8, lettera g), del d.P.R. n. 279 del 1974, invocando le più ampie attribuzioni riconosciute alle regioni ordinarie dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 – non terrebbero conto del fatto che, allorché una Regione o una Provincia autonoma, in forza dell'art. 10 della legge n. 3 del 2001, rivendichi competenze ulteriori, rispetto al proprio statuto di autonomia, deve ritenersi soggetta ai medesimi limiti cui, nell'esercizio di quelle funzioni, sono soggette le regioni ordinarie.

            In realtà, secondo l'Avvocatura, le funzioni di vigilanza e di controllo – e la connessa potestà sanzionatoria – spettanti in materia al Ministro delle politiche agricole e forestali risponderebbero all'esigenza di assicurare un esercizio unitario delle funzioni amministrative nel settore della repressione delle frodi, in forza del disposto del nuovo art. 118 della Costituzione e in ottemperanza alla previsione dell'art. 117, comma secondo, lettera m), della medesima Carta, che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Non a caso, segnala la deducente, la Corte costituzionale ha ripetutamente evidenziato che la predetta norma, più che individuare una specifica materia, prevede l'assunzione, da parte dello Stato, di un particolare compito di carattere trasversale, nel cui esercizio esso ha il potere di dettare uno standard di protezione uniforme valido in tutte le Regioni e da queste non derogabile (v. sentenze n. 307 del 2003 e n. 407 del 2002).

            Ne deriva che, a giudizio della difesa erariale, le disposizioni che mirano a dettare regole omogenee su tutto il territorio della Repubblica a salvaguardia di interessi di rilievo nazionale,  sono da ritenere efficaci anche se connesse con materie attribuite alla competenza concorrente o residuale delle Regioni.

            3.– Nella memoria depositata in prossimità della pubblica udienza, la Provincia autonoma di Trento contesta l'assunto dell'Avvocatura secondo cui la disciplina impugnata sarebbe stata adottata in attuazione di obblighi comunitari e costituirebbe pertanto esplicazione della potestà legislativa statale di cui all'art. 117, comma secondo, lettera a), della Costituzione.

            Rileva sul punto che la competenza esclusiva, prevista dalla disposizione costituzionale innanzi menzionata, attiene ai rapporti tra lo Stato e l'Unione europea e non ha pertanto niente a che vedere con l'adozione delle leggi necessarie a dare attuazione agli obblighi comunitari, materia che trovasi invece disciplinata nell'art. 117, comma quinto, della Costituzione e, per quanto riguarda la Provincia autonoma di Trento, nell'art. 6 del d.P.R. n. 526 del 1987.

            Né le contestate attribuzioni del Ministero delle politiche agricole e forestali potrebbero fondarsi sull'asserita necessità di «assicurare l'esercizio unitario delle funzioni amministrative nel delicato settore della repressione delle frodi», in forza dell'art. 118 della Costituzione, come pretende la difesa erariale.

            Sul punto la Provincia, premesso di avere invocato l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (solo) in relazione all'art. 11 del decreto legislativo n. 297 del 2004 – che prevede e disciplina la competenza ad irrogare le sanzioni connesse alle violazioni in materia di prodotti DOP e IGP – e di avere invece rivendicato le funzioni di vigilanza e di accertamento degli illeciti in base alle norme dello statuto e a quelle di attuazione dello stesso, ribadisce l'insussistenza delle pretese esigenze di esercizio unitario delle funzioni, ex art. 118 della Costituzione, fatte valere dalla controparte, rilevando che la controversia attiene alla spettanza della mera fase applicativa di sanzioni predeterminate per legge in misura fissa, o fra un minimo e un massimo, e talvolta anche di carattere accessorio e ad applicazione necessaria.

            Ribadisce quindi che l'applicazione di tali sanzioni «può e deve avvenire a livello locale».

            Sostiene inoltre che la tesi secondo la quale l'art. 118, comma primo, della Costituzione, consentirebbe allo Stato di intervenire in tutti i settori «delicati», o ritenuti tali, oltre ad essere contraddetta dalla lettera della disposizione costituzionale, sì da risultare affatto arbitraria, nega l'articolazione della Repubblica in comunità territoriali, che costituisce invece l'impianto sotteso al disegno costituzionale. 

            Osserva infine che del tutto improprio è il richiamo alla potestà legislativa riconosciuta allo Stato in punto di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di cui all'art. 117, comma secondo, lettera m), della Costituzione, perché la controversia non riguarda affatto le norme che definiscono le sanzioni e che sono volte, esse sì, a dettare regole uniformi a «garanzia di interessi di rilievo nazionale», ma l'accentramento, lesivo delle prerogative costituzionali della Provincia, di funzioni amministrative in capo ad un organo statale. Del resto la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che il parametro evocato non è utilizzabile «al fine di individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali», ma solo in relazione a specifiche prestazioni «delle quali la normativa nazionale definisca il livello essenziale di erogazione», secondo una prospettiva che evidenzia l'assoluta estraneità della disciplina impugnata al titolo di legittimazione invocato. 

            4.– Nella sua memoria il Presidente del Consiglio dei ministri, ricordato che il d.lgs. n. 297 del 2004 ha ad oggetto la definizione dell'impianto sanzionatorio correlato al Regolamento CEE n. 2081 del 1992, sostiene che la disciplina delle indicazioni geografiche (IGP) e delle denominazioni di origine (DOP) non può essere inquadrata nell'ambito della materia del commercio e dell'agricoltura, ma rientra piuttosto, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, in quello delle opere dell'ingegno e della tutela della leale concorrenza, attribuite alla competenza esclusiva dello Stato.

            Rileva inoltre che le disposizioni del citato Regolamento n. 2081 del 1992 – in attuazione del quale sono state emanate le norme censurate – mirano a sanzionare ogni forma di impiego di DOP o di IGP che si traduca in una «usurpazione, imitazione o evocazione» della denominazione protetta, così tutelando direttamente le posizioni soggettive di coloro che hanno diritto di utilizzare tali segni, con un obbiettivo di salvaguardia delle regole della concorrenza, che è del tutto estraneo invece alle norme in tema di commercializzazione dell'olio di oliva – oggetto del regolamento n. 2815 del 1998, posto a base del d.P.R. n. 458 del 1999, impugnato dalla Provincia di Trento col ricorso per conflitto di attribuzione deciso dalla sentenza n. 371 del 2001 – che si preoccupano esclusivamente di evitare l'inganno dei consumatori.

            Sul punto segnala l'Avvocatura che la formula «opere dell'ingegno», contenuta nel testo dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione, alla lettera r), è da ritenere omologa a quella, «proprietà intellettuale», spesso utilizzata in alternativa all'espressione «proprietà industriale» e indicativa di beni astratti o immateriali i quali, si concretino o meno in prodotti tangibili, possiedono, come evidenziato dalla dottrina, «un'autonomia esistenziale propria, a prescindere dal prodotto stesso».

            Sarebbe del resto irragionevole, e lesivo dell'art. 3 della Costituzione, restringere la formula «opere dell'ingegno» al solo diritto d'autore, laddove essa appare, invece, idonea a comprendere tutti i beni immateriali che, in considerazione anche del principio di territorialità, devono avere eguale «efficacia» e identica disciplina sull'intero territorio nazionale.

            L'inquadrabilità delle denominazioni protette nell'ambito della materia «proprietà intellettuale (o industriale)» – per vero condivisa anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, e confermata dal fatto che la relativa regolamentazione tende ad intersecarsi con quella dei marchi (in particolare dei marchi geografici e dei marchi collettivi) – sarebbe poi supportata da vari indici normativi e segnatamente: dall'Accordo Trips, firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e ratificato dall'Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747, che, nel Capo II, contiene una Sezione, la 3° (artt. 22, 23 e 24), dedicata proprio alle indicazioni geografiche; dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 198 (Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale alle prescrizioni obbligatorie dell'accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio – Uruguay Round), il cui capo VI è intitolato «Disciplina delle indicazioni geografiche»; dall'art. 1 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), nel quale si precisa che l'espressione proprietà industriale comprende anche le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.

            A ciò si aggiunga che le denominazioni protette si atteggiano come istituti di diritto industriale – segnatamente inquadrabili nella categoria dei diritti di monopolio – idonei ad attribuire una posizione di esclusiva a coloro che si trovano nelle condizioni di poterne fare legittimamente uso. Del resto, proprio aderendo a tale prospettiva, le violazioni in materia di DOP e di IGP vengono qualificate dalla giurisprudenza come fattispecie di concorrenza sleale, per appropriazione di pregi (rilevante ex art. 2598, numero 2, del codice civile) ovvero per contrarietà ai principi della correttezza professionale (rilevante ex art. 2598, numero 3, cod. civ).

            Quanto poi all'estensione della nozione di «tutela della concorrenza», ricorda l'Avvocatura come la Corte ne abbia in più occasioni affermato il carattere trasversale, posto che essa inevitabilmente si intreccia con altre materie, rientranti nella competenza concorrente o residuale delle Regioni, tutte implicate nei processi di sviluppo economico-produttivo del Paese: di modo che criterio valutativo della legittimità degli interventi del legislatore statale in parte qua finisce per essere quello della proporzionalità-adeguatezza.

            In tale ottica, e avuto riguardo agli indici ermeneutici estrapolabili dal diritto comunitario, il quale privilegia una nozione dinamica della tutela della concorrenza, la Corte ha affermato, nella sentenza n. 14 del 2004, che la politica agricola rientra nella competenza esclusiva dello Stato, attraverso la sua riconducibilità alla materia della concorrenza, così rigettando i ricorsi proposti da alcune regioni contro l'art. 52, comma 83, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)”, norma che attribuisce al Ministro delle politiche agricole e forestali il potere di disciplinare con decreto le modalità operative e gestionali del fondo di cui all'art. 127, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

            Nella stessa prospettiva la Corte, nella sentenza n. 274 (rectius: 272

) del 2004, non ha ritenuto lesivo delle competenze regionali l'art. 14, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 settembre 2003, n. 326, contenente una regolamentazione dettagliata e autoapplicativa dei servizi pubblici locali, in quanto disciplina volta a garantire, in forme adeguate e proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza.

Considerato in diritto

            1.– La Provincia autonoma di Trento denuncia l'illegittimità costituzionale degli articoli 9, 10 e 11 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari”, in riferimento all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) e, in connessione con esso, agli artt. 117 e 118 della Costituzione, ed inoltre in riferimento agli artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e 16 dello statuto di autonomia approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e delle relative norme di attuazione, fra le quali, in particolare, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), l'art. 6 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) e l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); infine, in riferimento ai principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 2001.

            2.– Debbono preliminarmente essere esaminate le censure mosse dalla Provincia autonoma ricorrente nei confronti dell'art. 11 del d.lgs. n. 297 del 2004: norma con la quale è riservata al Ministero delle politiche agricole e forestali la competenza ad adottare le sanzioni amministrative accertate ai sensi degli artt. 8, 9 e 10 del medesimo decreto legislativo.

            2.1.– Tali censure non sono fondate.

            La Provincia non contesta la competenza dello Stato non solo ad operare la scelta tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, ma anche, una volta effettuata tale scelta, a determinare l'entità delle sanzioni amministrative.

            Questa premessa contraddice l'assunto della Provincia autonoma – nei termini precisati nella memoria depositata in prossimità dell'udienza – secondo il quale la disciplina dettata dal d.lgs. n. 297 del 2004 rientrerebbe integralmente nelle materie “agricoltura” e “commercio” e, pertanto, nell'area della competenza legislativa residuale che l'art. 117, comma quarto, della Costituzione, riserva alle Regioni.

            Il carattere accessorio della potestà di disciplinare le sanzioni rispetto alla materia presidiata dalle sanzioni stesse – carattere più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 384 e n. 50 del 2005; n. 428 e n. 12 del 2004; n. 307 del 2003) – implica, ove la potestà in questione spetti allo Stato (ciò che, nella specie, non è contestato), la compresenza di una pluralità di materie, talune delle quali spettanti alla competenza (quanto meno concorrente) dello Stato e, comunque, l'esigenza di una disciplina uniforme che solo il legislatore statale è in grado di assicurare (sentenza n. 361 del 2003; n. 63 del 2006).

            2.2.– Da quanto appena rilevato discende che l'attribuzione allo Stato del potere di irrogare le sanzioni previste dalla legislazione statale non contrasta con le norme costituzionali invocate dalla Provincia ricorrente, in quanto rispondente alla medesima esigenza di uniformità – contemplata dall'art. 118, comma primo, della Costituzione – che giustifica il potere di dettarne la disciplina (sentenza n. 63 del 2006).

            3.– Non fondate sono altresì le censure mosse agli artt. 9 e 10 del d.lgs. n. 297 del 2004 con riferimento esclusivo – come precisato nella memoria depositata in prossimità dell'udienza – alle previsioni dello statuto speciale (artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972) e delle relative norme di attuazione (artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 279 del 1974; art. 6 del d.P.R. n. 526 del 1987; art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992): censure con le quali si lamenta, in sostanza, la sottrazione alla Provincia del potere amministrativo di vigilanza sugli organi di controllo operanti in materia di denominazione di origine (DOP) e di indicazioni geografiche protette (IGP).

            3.1.– Le norme impugnate riconoscono al Ministero il potere di «accertamento delle violazioni» di quanto prescritto dagli artt. 3 (commi 1, 2, 3 e 4), 4 e 6, in relazione, rispettivamente, al piano di controllo, alle inadempienze della struttura di controllo e alle inadempienze dei consorzi di tutela.

            Poiché la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel negare che il potere di vigilanza sia autonomo rispetto alla materia cui inerisce, in quanto «la vigilanza è spesso la fonte dell'individuazione di fattispecie sanzionabili o comunque di carenze che richiedono interventi anche non sanzionatori diretti ad assicurare il rispetto di una determinata disciplina » (sentenze n. 384 del 2005; n. 63 del 2006), deve escludersi che le norme censurate, nella parte in cui prevedono l'esercizio di tale potere da parte di organi statali, siano affette da illegittimità costituzionale.

            3.2.– La censura di illegittimità costituzionale deve, a fortiori, essere respinta ove si consideri che la locuzione «accertamento delle violazioni» è tale da riservare alla competenza esclusiva del Ministero soltanto l'esito finale dell'attività di vigilanza, e cioè soltanto il potere di qualificazione, come “violazione”, dei comportamenti accertati dagli organi preposti alla vigilanza, ma non implica affatto la competenza ministeriale esclusiva in ordine alle attività di vigilanza.

            Questa conclusione non contrasta con il principio per cui «la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza e di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione» (art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992), in quanto questa norma presuppone che le funzioni amministrative inibite allo Stato siano relative a “materie di competenza propria della regione o delle province autonome”.

            D'altra parte, la conclusione sopra enunciata è suffragata dalla circostanza che il d.lgs. n. 297 del 2004 è stato emanato in attuazione della delega conferita al Governo dall'art. 3 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2002), per l'emanazione di «disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa ai sensi […] della legge 24 aprile 1998, n. 128»; legge, quest'ultima, il cui art. 53 – come sostituito dall'art. 14 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 – esplicitamente dispone che «il Ministero delle politiche agricole e forestali è l'autorità nazionale preposta al coordinamento dell'attività di controllo e responsabile della vigilanza sulla stessa» (comma 1) e che «la vigilanza sugli organismi di controllo privati autorizzati» con decreto del Ministro «è esercitata dal Ministero delle politiche agricole e forestali e dalle regioni o province autonome per le strutture ricadenti nel territorio di propria competenza» (comma 12).

            Deve, ancora, rilevarsi che – in dichiarata attuazione di quanto disposto dalla norma appena ricordata – con d.m. 27 agosto 2004 il Ministro delle politiche agricole e forestali ha provveduto ad istituire (art. 1) l'Unità nazionale di coordinamento della vigilanza (UNCV) ed ha disposto che «ciascuna regione o provincia autonoma entro dodici mesi dalla pubblicazione del presente decreto deve attivare l'unità territoriale di vigilanza (UTV) secondo criteri e modalità definiti dai singoli enti» (art. 2) per lo svolgimento dell'attività di vigilanza «sull'operatività delle organizzazioni autorizzate/designate per il controllo…» e «sulla corretta attuazione del/della piano/procedura di controllo…» (art. 3) organizzandosi secondo linee-guida elaborate dall'UNCV (art. 5).

            3.3.– L'analitica disciplina dell'attività di vigilanza, incentrata sulla competenza degli organi sia statali sia regionali (e delle province autonome), rende manifesto che tale attività  non è riservata in via esclusiva allo Stato dagli artt. 9 e 10 del d.lgs. n. 297 del 2004, e cioè da un atto normativo emanato ai sensi della medesima legge che, nel disciplinare l'attività di vigilanza, ne attribuisce la competenza sia allo Stato che alle regioni e province autonome.

            In conclusione, deve ribadirsi che l'«accertamento delle violazioni», di cui agli artt. 9 e 10 censurati, consente anche allo Stato l'esercizio dell'attività di vigilanza, ma non ne espropria le regioni e province autonome, mentre riserva allo Stato il potere di qualificare come “violazione” i comportamenti accertati in sede di vigilanza e di irrogare (ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 297 del 2004) le relative sanzioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con il ricorso in epigrafe, dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti degli articoli 9, 10 e 11 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari”, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione e all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione); agli artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e 16 dello statuto di autonomia approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); agli artt. 1 e 2 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di minime unità colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste); all'art. 6 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616); all'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché ai principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 2001.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2006.