SENTENZA N. 469
ANNO 2005
Commenti alla decisione di
I. Paolo Giangaspero, La Corte costituzionale e il procedimento di approvazione degli statuti regionali ordinari: problemi risolti e questioni da definire in tema di interpretazione dell'art. 123 Cost. (per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)
II. Antonio Ferrara, Contro la pubblicazione inferenziale degli atti normativi. Il discutibile caso dello statuto della regione Umbria (nota alla sent. della corte cost. 29 novembre 2005, n. 469) (per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale della legge della Regione Umbria 16 aprile 2005, n. 21 (Nuovo Statuto della Regione Umbria), e della legge della Regione Emilia-Romagna 31 marzo 2005, n. 13 (Statuto della Regione Emilia-Romagna), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente notificati il 18 e il 30 maggio 2005, depositati in cancelleria il 24 maggio ed il 1° giugno 2005 ed iscritti il primo al numero 60 e l’altro al numero 66 registro ricorsi 2005.
Visti gli atti di costituzione della Regione Umbria e della Regione Emilia-Romagna nonché l’atto di intervento di Claudio Abiuso, Marcello Teti e Mara Guidarelli, in proprio e nella qualità di rappresentanti del “Comitato per il referendum sullo Statuto regionale dell’Umbria”;
udito nella udienza pubblica del 29 novembre 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’avvocato Giandomenico Falcon per le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e l’avvocato Urbano Barelli per Claudio Abiuso, Marcello Teti e Mara Guidarelli, in proprio e nella qualità di rappresentanti del “Comitato per il referendum sullo Statuto regionale dell’Umbria”.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 18 maggio 2005 e depositato il 24 maggio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, per violazione degli articoli 123, 117, primo comma, 127, 134, 136, 1, 3 e 48 della Costituzione, la legge della Regione Umbria 16 aprile 2005, n. 21 (Nuovo Statuto della Regione Umbria), chiedendone “la dichiarazione di illegittimità costituzionale”.
2. – Il ricorrente premette, in fatto, che la delibera statutaria della Regione Umbria è stata a suo tempo oggetto di ricorso governativo, ai sensi dell’art. 123, secondo comma, Cost., e che, con la sentenza n. 378 del 2004, depositata il 6 dicembre 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 15 dicembre 2004, questa Corte, respinte alcune censure e dichiarate inammissibili altre censure, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale per quanto riguarda l’art. 66, commi 1, 2 e 3. Lo stesso 15 dicembre il testo della sentenza è stato pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione unitamente ad un avviso nel quale si comunicava che l’art. 66 era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, con la precisazione che “il presente avviso costituisce pubblicità notizia ai fini degli adempimenti previsti dall’art. 123, terzo comma, della Costituzione e dalla legge regionale 28 luglio 2004, n. 16”.
Riferisce ancora il ricorrente che, in data 29 dicembre 2004, veniva pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione la “risoluzione” 10 dicembre 2004 del Consiglio regionale, con la quale il Consiglio prendeva atto di quanto affermato dalla Corte e invitava “il Presidente della Giunta regionale a promulgare lo Statuto nei tempi più rapidi possibili, una volta esaurita la fase della possibile richiesta di referendum, ed ovviamente dopo lo svolgimento dello stesso, ove richiesto”.
Infine, nel medesimo Bollettino Ufficiale del 18 aprile 2005 veniva pubblicata la legge impugnata, accompagnata dalla seguente formula: “Il Consiglio regionale ha approvato ai sensi dell’art. 123, secondo comma della Costituzione; il Governo ha promosso giudizio di legittimità costituzionale conclusosi con la sentenza della Corte costituzionale n. 378 del 29 novembre 2004; nessuna richiesta di referendum è stata presentata; il Presidente della Giunta regionale promulga …”.
3. – Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri denunzia, innanzi tutto, l’illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata per violazione delle regole sul procedimento di approvazione degli statuti regionali previste dall’art. 123 della Costituzione. Ad avviso del ricorrente, infatti, qualunque dichiarazione di illegittimità costituzionale della delibera statutaria a seguito del ricorso governativo di cui al secondo comma del citato art. 123, anche se limitata solo ad alcune disposizioni, determinerebbe comunque la necessità di un nuovo esame da parte del Consiglio regionale al fine di definire compiutamente, attraverso le due deliberazioni successive, adottate ad intervallo non minore di due mesi, il testo dello statuto che si intenda definitivamente varare; testo che dovrebbe essere reso noto per la eventuale richiesta di referendum, da presentare entro tre mesi a decorrere dalla pubblicazione notiziale dell’esatto testo definitivo adottato.
Né, d’altra parte, si osserva nel ricorso, potrebbero mai ritenersi configurabili casi di non obbligatorietà di una nuova doppia deliberazione del Consiglio regionale o casi in cui non occorra una nuova pubblicazione del testo statutario modificato, e ciò per un duplice ordine di ragioni.
Da un primo punto di vista, in quanto le disposizioni statutarie formerebbero «un unico ed inscindibile contesto – particolarmente per quanto concerne il contenuto necessario dello statuto attinente alla forma di governo ed ai principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione – che deve ritenersi coordinato in un sistema in sé coerente», di modo che l’eliminazione ab extra anche di una sola norma imporrebbe una verifica circa la non alterazione dell’equilibrio voluto, tramite deliberazioni assunte con le maggioranze e secondo le speciali regole procedimentali fissate nell’art. 123 Cost.
La legge impugnata, peraltro, contrasterebbe con la disciplina costituzionale del procedimento statutario anche da un secondo punto di vista, poiché risulterebbe pregiudicata «l’esigenza di salvaguardia della garanzia costituzionale del libero esercizio del diritto pubblico soggettivo di richiedere il referendum popolare»; in particolare, il principio di chiarezza ed univocità del quesito referendario, di valenza generale ed assoluta, escluderebbe «la possibilità di ricavare il quesito referendario concernente un corpus normativo organico da interventi ortopedici o manipolatori del tessuto normativo, risultanti dalla combinazione di fonti diverse, suscettibili di compromettere la chiara comprensione dell’insieme di norme (e quindi del quesito) soggetto alla valutazione degli elettori» e non risultanti, invece, da una chiara e rinnovata volontà normativa del Consiglio regionale. Ciò arriverebbe a produrre una «palese compromissione della libertà del voto (art. 48 Cost.)» e la «vulnerazione del principio di effettività della sovranità popolare (art. 1 Cost.)».
Il ricorrente afferma altresì che i comportamenti degli organi della Regione Umbria avrebbero altresì violato alcune norme contenute nella legge regionale 28 luglio 2004, n. 16 (Disciplina del referendum sulle leggi di approvazione o di modificazione dello statuto regionale).
Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva come la Regione Umbria, «dopo la risoluzione amministrativa 10 dicembre 2004 del Consiglio regionale, neppure approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti», avrebbe totalmente disatteso le indicazioni circa il modus procedendi fornite dal Consiglio di Stato, Sez. I, nel parere 12 gennaio 2005, n. 12054/04, reso su richiesta della Regione medesima, nel quale si concludeva per la necessità di dare corso ad un nuovo procedimento in «tutti i casi di modificazione del testo della legge statutaria».
Il ricorrente conclude, pertanto, per «l’illegittimità della promulgazione della legge statutaria de qua operata, in violazione dell’art. 123 e vulnerando il principio di legalità costituzionale espresso anche dall’art. 117, comma 1, Cost., prima del compimento del relativo iter procedimentale costituzionalmente stabilito», non essendo intervenute – dopo la sentenza n. 378 del 2004 di questa Corte – «né le conformi delibere successive a maggioranza assoluta del Consiglio regionale né la pubblicazione del testo definitivo dello statuto da proporre come oggetto dell’eventuale richiesta referendaria, con conseguente compromissione dei diritti politici degli elettori costituzionalmente garantiti (artt. 1, 48 e 123 Cost.) e violazione dei canoni fondamentali di coerenza e ragionevolezza (art. 3 Cost.)». Inoltre, dal momento che la suddetta promulgazione non avrebbe omesso l’art. 66 già dichiarato costituzionalmente illegittimo, sarebbe «configurabile anche una violazione del principio espresso dall’art. 136 Cost.».
4. – Con atto depositato il 17 giugno 2005 si è costituita in giudizio la Regione Umbria, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e infondato, rinviando a separata memoria l’illustrazione delle ragioni a sostegno della propria difesa.
5. – Con atto depositato il 28 giugno 2005 hanno spiegato intervento ad adiuvandum i sig.ri Claudio Abiuso, Marcello Teti e Mara Guidarelli, in proprio ed in qualità di promotori del referendum sullo statuto dell’Umbria, nonché di rappresentanti dell’apposito “Comitato per il referendum sullo Statuto regionale dell’Umbria”.
Gli intervenienti – richiamati i fatti che li hanno condotti a promuovere, con autonomo ricorso, conflitto di attribuzione ex art. 134 Cost. avverso l’atto di promulgazione della legge regionale n. 21 del 2005, nonché, per quanto occorra, avverso le modificazioni introdotte al quesito referendario e ai moduli per la richiesta di referendum ad opera dell’Ufficio di Presidenza e del Segretario generale del Consiglio regionale dell’Umbria con decisione del 14 dicembre 2004 – riconoscono che «la Costituzione non prevede espressamente la legittimazione ad intervenire di coloro che, elettori regionali, si dichiarano interessati a promuovere il referendum confermativo dello statuto regionale come previsto e garantito dall’art. 123 Cost.»; tuttavia, osservano che tale legittimazione all’intervento sarebbe, seppure eccezionalmente, da ritenersi implicita nel sistema costituzionale, in quanto – «diversamente opinando e racchiudendo il contraddittorio tra Governo e Regione Umbria» – «si escluderebbe dal contraddittorio processuale un soggetto interessato e costituzionalmente qualificato, quale l’esponenza del potere legislativo del popolo, che ha il diritto e l’interesse a promuovere la procedura referendaria confermativa della legge statutaria». In questo senso rileverebbe la giurisprudenza di questa Corte, la quale avrebbe da tempo riconosciuto, ai sottoscrittori della richiesta di un referendum abrogativo di legge nazionale, la titolarità, nell’ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari e concorrono con altri organi e poteri al realizzarsi della consultazione popolare (da ultimo, ordinanza n. 137 del 2000). Trattandosi, nel caso di specie, di una funzione riconosciuta dalla stessa Costituzione, all’art. 123, in guisa di diritto pubblico soggettivo perfetto costituito in capo agli elettori regionali promotori di una richiesta referendaria confermativa dello statuto regionale, solo alla Corte costituzionale dovrebbe spettare il potere di garantirne il corretto esercizio contro impedimenti operati da altri poteri.
6. – Quanto al merito, gli intervenienti sostengono, in primo luogo, la radicale illegittimità costituzionale del nuovo statuto della Regione Umbria per una serie di distinte ragioni.
Anzitutto, osservano, la promulgazione non avrebbe potuto in alcun modo ritenersi consentita dall’ordinamento e sarebbe comunque lesiva del diritto soggettivo dei promotori del referendum, in quanto avrebbe impedito irreparabilmente l’esercizio del diritto di raccogliere le firme nel periodo di tre mesi di cui all’art. 123 Cost. Ad avviso degli intervenienti, il termine per la raccolta delle firme non sarebbe neppure cominciato a decorrere, in quanto non sarebbe mai avvenuta la «pubblicazione nel Bollettino Ufficiale regionale della nuova doppia e conforme deliberazione consiliare» a maggioranza assoluta, pubblicazione resasi necessaria a seguito della sentenza di questa Corte n. 378 del 2004 di parziale annullamento della delibera statutaria.
A sostegno di questa ricostruzione gli intervenienti richiamano il parere del Consiglio di Stato, n. 12054/04, il quale avrebbe chiarito che «qualunque dichiarazione di illegittimità e quindi qualunque modificazione, anche parziale e meramente cassatoria o eliminatoria, comporta l’impossibilità di utilizzare il periodo di tempo già trascorso e gli atti essenzialmente compiuti, e la necessità di dare inizio ad un nuovo procedimento, con conseguente decorso ab inizio del termine di tre mesi».
Ciò renderebbe evidente che l’oggetto del referendum confermativo non avrebbe potuto e non potrebbe essere, dopo la citata sentenza di questa Corte, il testo originario della deliberazione statutaria come modificato dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale, bensì solo quello risultante da una nuova e rinnovata manifestazione di volontà del Consiglio regionale, da esprimersi con una nuova duplice delibera ex art. 123 Cost.
Nell’atto di intervento si fa rilevare, inoltre, che non solo non ci sarebbe stata un nuova doppia delibera ma neppure una semplice. Tale infatti non potrebbe essere considerato l’atto di indirizzo politico adottato dal Consiglio regionale il 10 dicembre 2004, di mera “risoluzione” e “presa d’atto” delle notizie riferite dal Presidente della Giunta, approvato con la maggioranza semplice dei consiglieri e dunque con una maggioranza non idonea ad esprimere alcuna volontà consiliare statutaria.
Gli intervenienti affermano anche che la promulgazione non sarebbe stata comunque possibile durante il periodo di scioglimento del Consiglio regionale, in particolare poiché tale potere non avrebbe potuto essere considerato tra quelli relativi “agli affari di ordinaria amministrazione” spettanti alla Giunta e al suo Presidente. Su queste premesse, inoltre, la intervenuta modificazione in via amministrativa del quesito referendario non potrebbe che essere ritenuta illegittima, di talché – si conclude nell’atto di intervento – l’intero procedimento statutario non sarebbe ancora uscito dalla fase consiliare, non si sarebbe mai aperto il termine dei tre mesi per la richiesta di referendum confermativo e, soprattutto, non si sarebbe mai aperta la possibilità di esercizio del potere di promulgazione da parte del Presidente della Giunta regionale.
A giudizio degli intervenienti, infine, lo statuto della Regione Umbria non avrebbe potuto essere promulgato anche perché vi sarebbe un difetto di conformità, sotto molteplici profili, tra le due deliberazioni consiliari del 2 aprile e del 29 luglio 2004.
7. – Con ricorso notificato il 30 maggio 2005 e depositato il 1° giugno 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, per violazione degli articoli 123, 117, primo comma, 127, 134, 1, 3 e 48 della Costituzione, la legge della Regione Emilia-Romagna 31 marzo 2005, n. 13 (Statuto della Regione Emilia-Romagna), chiedendone “la dichiarazione di illegittimità costituzionale”.
8. – Il ricorrente premette, in fatto, che la delibera statutaria della Regione Emilia-Romagna, è stata a suo tempo oggetto di ricorso governativo a questa Corte, ai sensi dell’art. 123, secondo comma, Cost., e che la sentenza n. 379 del 2004, depositata il 6 dicembre 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 15 dicembre 2004, respinte alcune censure e dichiarate inammissibili altre censure, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 2, terzo periodo, della citata delibera statutaria.
Rileva il ricorrente che nel Bollettino Ufficiale della Regione del 1° aprile 2005 è stata pubblicata la delibera statutaria, accompagnata dalla seguente formula: “Il Consiglio regionale ha approvato; nessuna richiesta di referendum è stata presentata; il Presidente della Giunta regionale promulga …”. Il ricorrente osserva, in primo luogo, che il testo della legge regionale pubblicato non coincide con quello originariamente deliberato, risultando omesso il terzo periodo del comma 2 dell’art. 45, dichiarato incostituzionale; in secondo luogo, che nello stesso Bollettino, in calce alla legge, sotto la dicitura “Lavori preparatori”, risulta la seguente testuale indicazione: “– presa d’atto della sentenza della Corte costituzionale n. 379 del 29-11-2004, con deliberazione del Consiglio regionale n. 638 del 18-1-05”.
9. – Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri denunzia l’illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata per violazione delle regole sul procedimento di approvazione degli statuti regionali previste dall’art. 123 Cost. nonché per violazione degli artt. 117, primo comma, 134, 1, 3 e 48 Cost., con argomenti in tutto identici a quelli già fatti valere nel ricorso avverso la legge di adozione dello statuto della Regione Umbria, concludendo anche in questo caso per «l’illegittimità della promulgazione della legge statutaria de qua operata, in violazione dell’art. 123 e vulnerando il principio di legalità costituzionale espresso anche dall’art. 117, comma 1, Cost., prima del compimento del relativo iter procedimentale costituzionalmente stabilito», non essendo intervenute – dopo la sentenza n. 379 del 2004, con la quale questa Corte aveva accolto parzialmente il ricorso del Governo sulle disposizioni dello statuto regionale approvato in seconda deliberazione il 14 settembre 2004 – «né le conformi delibere successive a maggioranza assoluta del Consiglio regionale né, comunque, la pubblicazione del testo definitivo dello statuto da proporre come oggetto dell’eventuale richiesta referendaria, con conseguente compromissione dei diritti politici degli elettori costituzionalmente garantiti (artt. 1, 48 e 123 Cost.) e violazione dei canoni fondamentali di coerenza e ragionevolezza (art. 3 Cost.)».
Il ricorrente afferma anche che i comportamenti della Regione Emilia-Romagna si sarebbero posti in violazione di alcune norme contenute nella legge regionale 27 ottobre 2000, n. 29 (Disciplina del referendum sulle leggi regionali di revisione statutaria ai sensi dell’art. 123 della Costituzione), dal momento che non ci si sarebbe potuti riferire ad un nuovo testo statutario consapevolmente e definitivamente adottato dal Consiglio regionale.
Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva come la Regione Emilia-Romagna, «con la risoluzione amministrativa 18 gennaio 2005 del Consiglio regionale, che non risulta neppure approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, di presa d’atto della sentenza della Corte costituzionale», abbia totalmente ed inspiegabilmente disatteso le indicazioni circa il modus procedendi fornite dal Consiglio di Stato, Sez. I, nel parere 12 gennaio 2005, n. 12036/04, reso su richiesta della Regione medesima, nel quale si concludeva affermando che «l’approvazione di un testo privo della norma dichiarata non conforme a Costituzione richiede un procedimento integralmente nuovo».
10. – Con atto depositato il 21 giugno 2005 si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e infondato, rinviando a separata memoria l’illustrazione delle ragioni a sostegno della propria difesa.
11. – In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Umbria ha depositato una memoria, argomentando circa la manifesta inammissibilità e, in subordine, l’infondatezza del ricorso, nonché circa l’inammissibilità e l’infondatezza dell’atto di intervento.
12. – Quanto all’inammissibilità del ricorso, la difesa regionale muove dalla duplice considerazione del carattere esclusivamente preventivo dell’impugnazione prevista dalla speciale disciplina dell’art. 123, secondo comma, Cost., il cui termine di trenta giorni decorrerebbe dalla pubblicazione notiziale della delibera statutaria (sentenza n. 304 del 2002 di questa Corte), e della inapplicabilità agli statuti regionali dell’impugnazione governativa prevista, in via generale, dall’art. 127 Cost. per le leggi regionali.
Nella specifica vicenda dell’approvazione del nuovo statuto della Regione Umbria, l’eventuale nuova impugnazione non avrebbe potuto che rivolgersi avverso la legge statutaria quale risultava dall’atto che costituiva «ad ogni effetto la seconda pubblicazione notiziale»; atto da rinvenirsi nella pubblicazione della sentenza di questa Corte n. 378 del 2004, avvenuta nel Bollettino Ufficiale della Regione del 15 dicembre 2004 unitamente alla comunicazione della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 66, con la esplicita precisazione che «il presente avviso costituisce pubblicità notizia ai fini degli adempimenti previsti dall’art. 123, comma terzo, della Costituzione e della legge regionale 28 luglio 2004, n. 16». Era dunque da tale data, ad avviso della Regione Umbria, «che decorrevano nuovamente i tre mesi per la richiesta di referendum e […] i trenta giorni per l’eventuale ulteriore impugnazione da parte del Governo».
Il ricorso – conclude la difesa regionale – dovrebbe pertanto essere dichiarato inammissibile per palese tardività in relazione all’art. 123, secondo comma, Cost., nonché per palese inammissibilità dell’impugnazione in relazione all’art. 127 Cost., dal momento che il Governo avrebbe dovuto «proporre un secondo ricorso preventivo ex art. 123 Cost., senza attendere la pubblicazione legale dello statuto per proporre un ricorso successivo in chiaro contrasto con le norme costituzionali che regolano le impugnazioni rispettive degli statuti e delle leggi regionali ordinarie».
13. – Quanto al merito del ricorso governativo, la Regione contesta la fondatezza delle tesi sostenute dal ricorrente e dal Consiglio di Stato in sede consultiva.
In primo luogo, sarebbe eccessiva ed erronea la tesi secondo la quale l’eliminazione anche di una sola norma imponga «di rivedere i nessi che legavano la norma elisa ad altre disposizioni suscettibili di essere incise nella loro valenza proprio dalla rimozione di essa». Questa tesi non terrebbe conto, infatti, della possibilità, che esiste per qualunque legge, che una delle norme che la compongono sia oggetto di dichiarazione di illegittimità costituzionale in via incidentale o in via principale, con la conseguenza che «qualunque pronuncia di illegittimità costituzionale dovrebbe imporre come conseguenza la sospensione dell’efficacia dell’intera legge, in attesa che l’organo competente valuti se, senza la norma dichiarata incostituzionale, il resto è ancora meritevole di valere come legge».
Secondo la resistente, soltanto a questa Corte spetterebbe il potere di valutare se la norma dichiarata incostituzionale presenti connessioni essenziali con altre norme della stessa legge ed, in questo caso, la stessa Corte provvederebbe ad estendere la pronuncia di illegittimità anche a tali norme. Ciò, d’altronde, sarebbe accaduto proprio nel caso in questione con la sentenza n. 378 del 2004, la quale ha esteso la pronuncia di illegittimità costituzionale all’intero art. 66 dello statuto approvato dal Consiglio, pur se l’impugnazione ne coinvolgeva solo una parte.
Le censure formulate nel ricorso e ancor prima il parere del Consiglio di Stato, al contrario, confonderebbero due istituti diversi: il rinvio «come strumento di blocco del procedimento legislativo» ed il giudizio di legittimità costituzionale «come strumento rivolto ad eliminare preventivamente o successivamente le disposizioni costituzionalmente illegittime (e quelle indissolubilmente connesse), senza affatto porre in discussione l’entrata in vigore o la vigenza già acquisita delle parti rimanenti».
In definitiva, la Regione sostiene che, con riferimento al procedimento statutario, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di singole norme non vi sarebbe alcuna necessità di uno specifico intervento del Consiglio regionale per “riattivare” il procedimento, ma questo dovrebbe semplicemente continuare in relazione allo statuto, quale risulta dopo il giudizio della Corte costituzionale. Vi sarebbe, dunque, «non un potere ma precisamente un dovere di pubblicazione ai fini del referendum, e successivamente, una volta scaduto il termine per la richiesta o una volta superato il referendum, un dovere di promulgazione a carico del Presidente».
La difesa regionale osserva, inoltre, come il dibattito dottrinale non si sia incentrato sulla necessità di una nuova delibera legislativa per confermare lo statuto “mutilato”, ma sulla necessità di una nuova delibera legislativa o di un mero ordine del giorno per bloccare eventualmente la promulgazione dello statuto parzialmente annullato. Ciò tanto più in una circostanza quale quella del caso concreto, nella quale la declaratoria di illegittimità effettuata da questa Corte con la sentenza n. 378 del 2004 è risultata dovuta alla estraneità della disciplina delle incompatibilità dei consiglieri e degli assessori alla materia statutaria per incompetenza assoluta dello statuto a dettare una simile disciplina spettante, invece, alla legge regionale ordinaria, “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica”.
Come ulteriore argomento a sostegno della non necessità della riapprovazione ex art. 123 Cost. dello statuto parzialmente annullato, la Regione richiama le previsioni contenute nelle leggi della Regione Lazio n. 8 del 2004, della Regione Emilia-Romagna n. 29 del 2000, della Regione Marche n. 28 del 2002, nonché della Provincia autonoma di Trento n. 13 del 2002, le quali stabiliscono espressamente – senza che il Governo abbia proposto censure al riguardo – che, a seguito di una sentenza di annullamento parziale, sia necessaria la riapprovazione ex art. 123 Cost. solo nel caso in cui il Consiglio intenda introdurre modifiche sostanziali al testo già approvato e oggetto del giudizio di costituzionalità.
Altra “conferma istituzionale” della ricostruzione prospettata, secondo la Regione, sarebbe rinvenibile nella pur discutibile prassi, adottata in Sicilia, della promulgazione parziale di leggi regionali oggetto di impugnazione statale.
La Regione conclude sul punto affermando l’erroneità della tesi che una dichiarazione di illegittimità parziale possa far venire meno, per le leggi statutarie, il dovere di riattivazione della procedura referendaria e, in seguito, di promulgazione a carico del Presidente; ciò, a maggior ragione, quando «non solo non sia stata annullata una norma riguardante un contenuto necessario dello statuto», ma sia stata annullata «una norma che non doveva essere contenuta nello statuto».
14. – Ad avviso della Regione Umbria, sarebbe infondata anche la censura concernente la lamentata violazione del diritto di chiedere il referendum.
Anzitutto, l’asserita mancanza dell’intero termine di tre mesi per la richiesta del referendum sarebbe del tutto infondata in fatto, dal momento che la Regione avrebbe considerato interrotto il termine dopo la sentenza n. 378 del 2004 di questa Corte, facendolo decorrere ex novo a seguito della pubblicazione avvenuta nel Bollettino Ufficiale del 15 dicembre 2004.
Quanto alla pubblicazione dello statuto, la Regione sottolinea di aver appunto pubblicato nel Bollettino Ufficiale la notizia della caducazione dell’art. 66 e che dunque il testo dello statuto era quello già a suo tempo pubblicato, con la soppressione del predetto art. 66, precisandosi anche che tale comunicazione valeva ai fini della richiesta di referendum. Nessuna incertezza poteva dunque sussistere circa il testo sul quale eventualmente chiedere il referendum.
D’altronde, fa osservare la resistente, non solo l’esercizio del diritto di richiedere il referendum era possibile, «ma tale diritto è stato addirittura esercitato concretamente e senza alcuna difficoltà»; il Bollettino Ufficiale del 22 dicembre documenterebbe, infatti, che già il giorno 16 dicembre coloro che intendevano promuovere il referendum avevano regolarmente ritirato 1.500 moduli per la raccolta delle firme, rendendo così evidente che la mancata raccolta delle firme o il mancato deposito di una richiesta di referendum non sarebbero in alcun modo addebitabili «a presunte incertezze sul testo su cui esso avrebbe dovuto svolgersi, né a difetti della relativa pubblicazione».
15. – La Regione Umbria contesta, infine, analiticamente la fondatezza delle diverse censure del Governo concernenti l’asserita violazione della legge regionale n. 16 del 2004.
Le censure, in ogni caso, dovrebbero ritenersi inammissibili, dal momento che si risolverebbero nella contestazione della violazione di una legge regionale ordinaria, senza che essa si traduca in violazione di norme costituzionali.
16. – Da ultimo, la difesa regionale rileva l’inammissibilità dell’atto di intervento in giudizio depositato dai sig.ri Abiuso, Teti e Guidarelli «in proprio ed in qualità di promotori del referendum sullo statuto dell’Umbria, nonché di rappresentanti dell’apposito Comitato per il referendum sullo statuto regionale dell’Umbria», nonché l’infondatezza dei motivi in esso svolti.
L’inammissibilità dell’intervento in quanto tale, ad avviso della Regione, discenderebbe anzitutto dalla evidente carenza di legittimazione di un Comitato promotore di referendum che lo stesso Comitato non avrebbe mai richiesto, non avendo provveduto a raccogliere le firme necessarie pur avendo regolarmente ritirato i relativi moduli. In secondo luogo, l’intervento sarebbe comunque tardivo per essere avvenuto oltre il termine previsto per la costituzione del resistente, termine che sarebbe scaduto il 17 giugno 2005. In terzo luogo, l’intervento di terzi nel giudizio di costituzionalità in via principale – e, in particolare, nel giudizio sugli statuti regionali – sarebbe comunque da escludere in base alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale «anche nel giudizio sulla speciale legge regionale disciplinata dall’articolo 123 della Costituzione, gli unici soggetti che possono essere parti sono la Regione, in quanto titolare della potestà normativa in contestazione, e lo Stato, indicato dalla Costituzione come unico possibile ricorrente».
Quanto alle singole censure formulate dagli intervenienti, la difesa regionale contesta anzitutto l’ammissibilità di quelle dalle quali deriverebbe un ampliamento dell’oggetto del giudizio rispetto al tema risultante dal ricorso del Governo, ampliamento che non sarebbe consentito neppure se l’intervento come tale fosse considerato ammissibile.
Per ciò che riguarda le censure coincidenti con quelle del Governo, la difesa regionale le ritiene nel merito infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle in precedenza riferite.
La Regione si sofferma sul fatto che la promulgazione da parte del Presidente, in quanto atto dovuto, farebbe sì che «una legge possa e debba essere promulgata anche se il Consiglio regionale è sciolto».
In relazione alla modifica del quesito referendario, la difesa della Regione osserva che tale operazione non avrebbe affatto alterato la volontà legislativa consiliare, ma avrebbe solo adeguato formalmente il quesito alla sentenza di questa Corte, per esigenze di chiarezza e a tutela degli stessi interessati al referendum.
Sulla censura concernente il fatto che la delibera consiliare del 10 dicembre 2004 sia stata adottata a maggioranza semplice, la resistente ribadisce che, con tale determinazione, il Consiglio sarebbe intervenuto «solo per confermare al Presidente che non c’era necessità (e neppure possibilità) di rideliberare sul punto dell’incompatibilità e che, dunque, il Consiglio non intendeva riaprire il procedimento».
Quanto, infine, al merito delle presunte difformità tra la prima e la seconda delibera approvativa dello statuto, la Regione illustra puntualmente le ragioni per le quali le modifiche in questione implicherebbero «differenze meramente formali, prive di qualunque incidenza sul significato normativo, pienamente legittimate dall’art. 53 del regolamento interno del Consiglio».
17. – In prossimità dell’udienza hanno depositato una memoria anche i soggetti intervenienti in giudizio, insistendo per l’ammissibilità del loro intervento e per la fondatezza del ricorso governativo, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle in precedenza svolte.
18. – Anche la Regione Emilia-Romagna, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria, sostenendo la manifesta inammissibilità e, in subordine, l’infondatezza del ricorso proposto dal Governo con argomentazioni in larga parte del tutto coincidenti con quelle fatte valere dalla Regione Umbria.
I soli profili di mancata coincidenza delle due memorie difensive risiedono nelle peculiari vicende di fatto che hanno caratterizzato il procedimento statutario della Regione Emilia-Romagna rispetto a quello della Regione Umbria e nella speciale disciplina dettata dalla legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 29 del 2000.
19. – Quanto al primo profilo, la difesa regionale fa presente che il termine per la richiesta di referendum avrebbe ricominciato a decorrere – in virtù dell’art. 11, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2000 – il 15 dicembre 2004, data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della sentenza n. 379 del 2004. Tale sentenza è stata poi pubblicata anche nel Bollettino Ufficiale n. 173 del 21 dicembre 2004. Infine, prosegue la Regione, benché l’art. 11, comma 1, della citata legge regionale non lo imponesse, la delibera consiliare di “presa d’atto” della sentenza n. 379 del 2004 e lo stesso testo statutario privo dell’art. 45, comma 2, terzo periodo, dichiarato costituzionalmente illegittimo, sono stati pubblicati nel Bollettino Ufficiale del 15 febbraio 2005, «al fine di garantire la massima trasparenza in ogni fase del procedimento statutario (e ferma restando, ovviamente, la decorrenza del termine di tre mesi dal 15 dicembre 2004)».
Di qui, ad avviso della resistente, la palese inammissibilità del ricorso governativo, dal momento che «qualunque censura riguardante lo statuto avrebbe dovuto […] essere proposta, ex art. 123 Cost., al più tardi a seguito di tale ultima pubblicazione, dunque entro trenta giorni a partire dal 15 febbraio 2005».
Di qui, sempre secondo la difesa regionale, anche l’infondatezza della censura concernente l’asserita violazione del diritto di richiedere il referendum; con la pubblicazione della sentenza n. 379 del 2004 nella Gazzetta Ufficiale e poi nel Bollettino Ufficiale del 21 dicembre, si rendeva evidente «che il testo che poteva costituire oggetto di referendum era lo statuto precedentemente pubblicato senza la norma annullata dalla Corte. La pubblicazione della sentenza […] rendeva non solo conoscibile ma anche assolutamente certo il testo che avrebbe potuto, dopo la sentenza n. 379 del 2004, essere sottoposto a referendum». D’altronde, la ripubblicazione dell’intero testo dello statuto non era prevista dall’art. 11 della legge regionale n. 29 del 2000 ai fini della decorrenza del termine e dunque solo “per uno scrupolo di estrema chiarezza” sia la deliberazione consiliare di presa d’atto, che il testo dello statuto sarebbero stati pubblicati nel Bollettino Ufficiale del 15 febbraio, “quando era ancora largamente aperto il termine per la richiesta di referendum”.
20. – La Regione Emilia-Romagna richiama poi, in modo specifico, i contenuti della legge regionale n. 29 del 2000 a sostegno della tesi circa la non necessità di riapprovare ex art. 123 Cost. lo statuto privo della norma dichiarata incostituzionale. L’art. 11, comma 5, di tale legge stabilisce che, «nel caso in cui la legge di revisione statutaria venga parzialmente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, il Consiglio regionale delibera sui provvedimenti consequenziali da adottare nella prima seduta successiva alla pubblicazione della sentenza della Corte»; si prevede poi che, «qualora il Consiglio deliberi di apportare modifiche non derivanti da esigenze di mero coordinamento testuale o formale, la deliberazione legislativa di modifica si considera nuova legge, ed è quindi approvata e pubblicata secondo il procedimento di cui all’articolo 1» e che in questo caso «le attività e le operazioni referendarie eventualmente compiute sulla deliberazione legislativa oggetto di modifica perdono ogni validità».
Considerate tali disposizioni, la Regione ritiene assolutamente chiara la conseguenza “che la necessità di dare corso ad un nuovo procedimento statutario c’è solo in caso di modifiche sostanziali, mentre, in caso di modifiche meramente formali e – a fortiori – qualora non serva alcuna modifica, il Consiglio può (e deve, in virtù della legge regionale n. 29 del 2000) adottare una delibera ordinaria”.
Il ricordato parere del Consiglio di Stato, ad avviso della Regione, avrebbe equivocato il senso della legge, chiedendosi se la modifica introdotta dalla sentenza costituzionale possa mai ritenersi “formale”; la legge in questione, invece, muoverebbe dalla acquisizione della soppressione della norma incostituzionale, mostrando così l’incongruenza del fatto che il Consiglio si domandi “se a seguito di ciò sia necessario o opportuno introdurre altre modifiche, di carattere sostanziale”. Proprio sulla base di tale equivoco sul significato della disciplina regionale, il Consiglio di Stato avrebbe erroneamente ritenuto, in definitiva, che essa costringesse il Consiglio a scegliere fra la rinnovazione della procedura ex art. 123 o l’“abbandono” della legge statutaria, addirittura finendo per assimilare la situazione conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale a quella prevista dall’art. 12 della legge regionale n. 29 del 2000 (che contempla il caso della abrogazione o modifica – da parte del Consiglio regionale – dello statuto già approvato, entro la scadenza del termine per la richiesta di referendum), dunque «arbitrariamente accostando un nuovo intervento legislativo statutario (che ovviamente deve essere compiuto attraverso la procedura statutaria) ai provvedimenti “consequenziali” ad un annullamento parziale dello statuto».
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato con distinti ricorsi, per violazione degli articoli 123, 117, primo comma, 127, 134, 136, 1, 3 e 48 della Costituzione, la legge della Regione Umbria 16 aprile 2005, n. 21 (Nuovo Statuto della Regione Umbria), e la legge della Regione Emilia-Romagna 31 marzo 2005, n. 13 (Statuto della Regione Emilia-Romagna), chiedendone “la dichiarazione di illegittimità costituzionale”.
Entrambi i testi statutari sono stati oggetto di precedenti impugnative del Governo, ai sensi dell’art. 123, secondo comma, Cost., e le conseguenti sentenze di questa Corte n. 378 e n. 379 del 2004, accogliendo in minima parte le questioni di legittimità sollevate, hanno dichiarato la illegittimità costituzionale rispettivamente dell’art. 66, commi 1, 2 e 3, della delibera statutaria della Regione Umbria, e dell’art. 45, comma 2, terzo periodo, della delibera statutaria della Regione Emilia-Romagna, in quanto disciplinanti una materia che «sfugge alle determinazioni lasciate all’autonomia statutaria».
Entrambi i testi statutari non sono stati oggetto di riesame da parte dei rispettivi Consigli regionali tramite la procedura di cui all’art. 123, secondo comma, Cost., ma, dopo una fase di pubblicazione notiziale degli esiti del giudizio di costituzionalità e la riapertura dei termini per l’eventuale richiesta di referendum ai sensi dell’art. 123, terzo comma, Cost., sono stati promulgati dai Presidenti delle rispettive Regioni.
Il Governo ha impugnato le due leggi regionali di adozione degli statuti, negando che si possa, sulla base dell’art. 123 Cost., procedere alla promulgazione di una delibera statutaria dichiarata parzialmente illegittima da una sentenza di questa Corte senza procedere previamente al suo riesame e ad una nuova approvazione secondo la procedura di cui all’art. 123, secondo comma, Cost. L’asserita illegittimità della procedura di promulgazione seguita dalle Regioni avrebbe inoltre leso il diritto degli elettori regionali ad esercitare il potere di richiedere referendum popolare sul testo della deliberazione statutaria, secondo quanto previsto dall’art. 123, terzo comma, Cost.
2. – Sulla base di analoghe motivazioni, hanno presentato atto di intervento ad adiuvandum nel giudizio relativo alla legge n. 21 del 2005 della Regione Umbria i sig.ri Claudio Abiuso, Marcello Teti e Mara Guidarelli, in proprio ed in qualità di promotori del referendum sullo statuto dell’Umbria, nonché di rappresentanti dell’apposito “Comitato per il referendum sullo Statuto regionale dell’Umbria”.
3. – Considerata l’identità di materia, nonché la sostanziale analogia delle questioni prospettate, i giudizi possono essere riuniti per essere affrontati congiuntamente e decisi con unica sentenza.
4. – Con ordinanza letta nella pubblica udienza del 29 novembre 2005 e allegata alla presente sentenza, in conformità al costante orientamento di questa Corte, è stato dichiarato inammissibile l’intervento spiegato dai sig.ri Claudio Abiuso, Marcello Teti e Mara Guidarelli.
A differenza di quanto affermato dalla difesa regionale, l’atto di intervento è stato presentato in termini, conformemente a quanto disciplinato dal quarto comma dell’art. 4 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (testo da ultimo modificato dalla deliberazione 10 giugno 2004, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 giugno 2004, n. 151), ai sensi del quale il deposito deve avvenire «non oltre venti giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’atto introduttivo del giudizio». Peraltro, come questa Corte ha più volte affermato (si veda, da ultimo, la sentenza n. 383 del 2005), il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi promosso in via di azione è configurato come svolgentesi esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale. Ciò anche con specifico riferimento al giudizio previsto dall’art. 123, secondo comma, Cost. (cfr. sentenza n. 378 del 2004), disposizione nella quale si individua nel solo Governo il titolare della legittimazione soggettiva a ricorrere contro la deliberazione statutaria.
Quanto detto permette di prescindere dalla considerazione se nel caso specifico si sarebbero potuti ritenere sussistere i requisiti soggettivi degli intervenienti, in relazione alla necessità o meno dell’avvenuta raccolta delle sottoscrizioni indispensabili per la presentazione della richiesta referendaria.
5. – Entrambi i ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri sono inammissibili.
Essi, infatti, sono stati proposti non già nell’ambito del procedimento di controllo preventivo di cui all’art. 123, secondo comma, Cost., ma nell’esercizio del potere che l’art. 127, primo comma, Cost. riconosce al Governo di impugnare a posteriori le leggi regionali, quindi assumendo come termine iniziale di riferimento per l’esercizio dell’azione la data della pubblicazione della legge regionale nel Bollettino Ufficiale della Regione interessata; ciò è del tutto evidente per entrambi i ricorsi, sia in quanto essi si riferiscono esplicitamente alle leggi n. 21 del 2005 della Regione Umbria e n. 13 del 2005 della Regione Emilia-Romagna, sia perché assumono come dies a quo per l’impugnativa la data di pubblicazione delle due leggi regionali nei rispettivi Bollettini Ufficiali, sia, infine, perché richiamano – fra i parametri costituzionali che si assumono violati – anche l’art. 127 Cost. Inoltre, uno dei ricorsi (quello rivolto contro la legge di adozione dello Statuto della Regione Emilia-Romagna) risulta, di fatto, notificato entro il termine di cui all’art. 127, primo comma, Cost.
Le due azioni promosse dal Governo contrastano con il sistema dei controlli sulle fonti primarie regionali quale attualmente configurato nel Titolo V della Parte II della Costituzione e, specificamente, con le previsioni contenute nell’art. 123, secondo comma, e nell’art. 127, primo comma, che individuano due ben distinte procedure di controllo, mediante ricorso diretto del Governo a questa Corte, per la legge che adotta lo statuto regionale e per tutte le altre leggi regionali. Come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire espressamente nella sentenza n. 304 del 2002, per gli statuti regionali continua ad esistere uno speciale controllo preventivo di legittimità costituzionale (in ragione dei rilevanti contenuti statutari e della posizione della fonte statutaria rispetto all’ordinamento della Regione), mentre per le ordinarie leggi regionali tale controllo è ormai successivo, dunque esperibile soltanto dopo la pubblicazione della legge nel Bollettino Ufficiale della Regione. Ciò implica, altresì, la rilevante differenza che viene ad assumere lo stesso significato del termine “pubblicazione” nelle due disposizioni: mentre per il ricorso del Governo volto ad attivare il controllo di legittimità costituzionale in via successiva sulle leggi regionali vale come termine a quo la data della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale del testo della legge previamente promulgata, per il ricorso preventivo nei confronti delle deliberazioni statutarie vale come termine a quo la pubblicazione notiziale della delibera statutaria non ancora promulgata (questa Corte ha infatti chiarito, sempre nella sentenza n. 304 del 2002, che sia “l’interpretazione testuale” che “l’architettura logica dell’art. 123 della Costituzione” inducono “a ritenere che il termine pubblicazione di cui ai commi secondo e terzo indichi forme di pubblicità notiziale”).
L’esplicita previsione di uno speciale e meno favorevole (perché preventivo) sistema di controllo sulla legge statutaria comporta che a questa legge, una volta promulgata e pubblicata nel Bollettino Ufficiale, non possa applicarsi anche il controllo successivo previsto per le altre leggi regionali dall’art. 127, primo comma, Cost. D’altra parte, è tutto il disegno costituzionale relativo alle forme di autonomia delle Regioni che, nel silenzio delle disposizioni costituzionali, si pone come ostacolo ad una estensione di forme di controllo tipiche di una fonte legislativa ad un’altra.
Peraltro, occorre considerare che il controllo preventivo di cui al secondo comma dell’art. 123 Cost. è senz’altro reiterabile (diversamente da quanto è sembrata asserire la difesa regionale), seppure solo a certe condizioni, così come nel passato, nel vigore del previgente art. 127 Cost., era ben nota la possibilità di una nuova impugnativa (per quanto limitata) da parte del Governo delle leggi regionali rideliberate dal Consiglio regionale dopo il primo rinvio governativo. Non può escludersi, infatti, che il testo della deliberazione statutaria, già sottoposto ad un primo scrutinio di questa Corte, venga successivamente modificato ad opera del Consiglio regionale e che questo nuovo testo susciti dubbi di legittimità costituzionale sul piano sostanziale in relazione alle nuove disposizioni, con la conseguente possibilità per il Governo di promuovere una nuova impugnazione limitatamente alle norme che non avrebbero potuto formare oggetto del precedente ricorso; analogamente, non può escludersi per il Governo la possibilità di presentare un nuovo ricorso facendo valere eventuali vizi formali relativi al procedimento di adozione dello statuto e successivi al primo giudizio di questa Corte. Anche in questi casi, tuttavia, il dies a quo per l’azione del Governo non potrebbe che essere costituito dalla data della necessaria pubblicazione notiziale, ad opera della Regione, dell’atto da cui risulti il testo statutario che la Regione intenda deliberato come definitivo.
In entrambi i casi di specie la suddetta seconda pubblicazione notiziale si è verificata.
Nel Bollettino Ufficiale della Regione Umbria del 15 dicembre 2004, n. 54, è stata pubblicata la sentenza n. 378 di questa Corte unitamente ad un avviso nel quale si comunicava l’avvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 66 della delibera statutaria, con la esplicita precisazione che «il presente avviso costituisce pubblicità notizia ai fini degli adempimenti previsti dall’art. 123, comma terzo, della Costituzione e della legge regionale 28 luglio 2004, n. 16». In ogni caso, nel Bollettino Ufficiale della Regione Umbria del 29 dicembre 2004, n. 56, è stata anche pubblicata la deliberazione del Consiglio regionale 10 dicembre 2004, n. 430, con la quale – esplicitata la constatazione che lo statuto, «nel testo privato dalle disposizioni di cui all’art. 66 dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale», era da ritenersi “completo” e non avrebbe potuto «prevedere sul punto niente di diverso», si invitava «la Presidente della Giunta regionale a promulgare lo statuto nei tempi più rapidi possibili, una volta esaurita la fase della richiesta di referendum, ed ovviamente dopo lo svolgimento dello stesso, ove richiesto».
Nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna del 15 febbraio 2005, n. 24, è stata pubblicata la deliberazione del Consiglio regionale 18 gennaio 2005, n. 638, contenente la “presa d’atto” della sentenza di questa Corte n. 379 del 2004, con allegato il testo della delibera statutaria privato della disposizione di cui all’art. 45, comma 2, terzo periodo, dichiarata costituzionalmente illegittima.
È del tutto evidente che in entrambi i casi il Governo avrebbe potuto promuovere il ricorso di cui al secondo comma del medesimo art. 123, sollevando le questioni di legittimità costituzionale oggetto dei giudizi qui riuniti nel termine dei trenta gi