SENTENZA N. 335
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
Giovanni Maria FLICK Presidente
-
Francesco AMIRANTE
Giudice
-
Ugo DE
SIERVO "
-
Alfio FINOCCHIARO
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio
1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo
originario che in quello modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n.
179 (Disposizioni in materia ambientale), promossi con ordinanze del 3 e 31
maggio e del 18 settembre 2007 dal Giudice di pace di Gragnano,
rispettivamente iscritte al n. 830 del registro ordinanze 2007 e ai nn. 38 e 184 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 3, 10 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visti
gli atti di costituzione della s.p.a. G.O.R.I.,
nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 23 settembre 2008 e nella camera di consiglio del 24
settembre 2008 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi
gli avvocati Vincenzo Cocozza e Ferdinando Pinto per la s.p.a. G.O.R.I. e
l’avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio civile,
il Giudice di pace di Gragnano – con ordinanza del 3
maggio 2007 (r.o. n. 830 del 2007) – ha sollevato, in
riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994,
n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato
dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia
ambientale) [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in
cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura
e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia
sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano
temporaneamente inattivi.
Il rimettente riferisce che: a) l’oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Savino Cesarano nei confronti della s.p.a. G.O.R.I., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l’anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l’attore afferma che la società convenuta aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda, in quanto infondata, perché, in base all’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l’obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo».
Il
rimettente osserva che l’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 – il
quale prevede che la
quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione
sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di
impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e
che «i relativi proventi, determinati ai sensi dell’articolo 3, commi da
In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo premette di essere giurisdizionalmente competente, rilevando che la causa di fronte a lui instaurata «ha ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l’anno 2003» e che, «per giurisprudenza costante, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e non piú quella delle commissioni tributarie […], ogni qualvolta la lite giudiziaria sia relativa alla non debenza o alla restituzione del canone di depurazione per un periodo successivo al 3 ottobre 2000».
Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell’art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall’art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché «dal 28 agosto 2002 fino al 28 aprile 2006, il canone di depurazione è stato […] regolamentato dall’art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, come modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179».
2. – Si è costituita la s.p.a. G.O.R.I., eccependo preliminarmente la manifesta
inammissibilità delle proposte questioni, perché: a) «è assolutamente
generica la valutazione effettuata dal Giudice sulla rilevanza della
questione», in quanto egli «si limita […] all’affermazione, tautologica,
secondo cui la norma oggetto di sindacato è quella che "dovrà essere applicata in giudizio”»; b) «l’ordinanza è […]
contraddittoria e omissiva nella ricostruzione della fattispecie normativa, in
riferimento alla situazione concreta», in quanto non tiene conto del fatto che,
in caso di mancanza di impianti di depurazione, i canoni vengono utilizzati per
l’attuazione del piano d’àmbito; c) è
«contraddittoria l’impostazione adottata laddove, da una parte, il Giudice
ricostruisce la tariffa in termini di corrispettivo di una prestazione e,
dall’altra, ricostruisce i vizi in termini di illegittimo esercizio del potere autoritativo».
Nel merito, la s.p.a. G.O.R.I. chiede che le questioni siano dichiarate
manifestamente infondate.
In riferimento all’evocato art. 2
Cost., rileva la genericità dei rilievi svolti dal rimettente e osserva che
l’obbligo del pagamento del canone di depurazione delle acque reflue si
inquadra tra i doveri del cittadino verso la comunità, fissati dallo stesso
art. 2 Cost., senza che in contrario rilevi la circostanza che il Comune non
abbia preventivamente fissato un termine per lo svolgimento dei lavori di
realizzazione dell’impianto di depurazione. Infatti – sempre ad avviso della
s.p.a. G.O.R.I. – tale ultima circostanza non attiene
alla «legittimità di una previsione
legislativa astratta e generale», ma alla «efficacia amministrativa di un ente
locale cui, al piú, può contestarsi proprio la mancata
attuazione del disposto legislativo». Il termine entro il quale «debbano essere
utilizzate le somme accantonate non rileva ai fini della imposizione e della
conseguente valutazione circa la sua legittimità», perché «non può […] che
essere rimesso, in concreto, all’attività amministrativa in funzione del suo
svolgersi, condizionato, come è, da elementi che, in quanto tali, non possono
valutarsi in astratto e che si differenziano in relazione alle singole realtà
fattuali, su cui finiscono per incidere». L’agire amministrativo – sostiene la
s.p.a. G.O.R.I. – «non
può essere condizionato da tempistiche aprioristicamente ed astrattamente
definite», ferma restando, comunque, «la possibilità, per i cittadini anche
attraverso le forme associative in cui spesso gli interessi diffusi si
organizzano, di sollecitare gli interventi». Tale sollecitazione potrebbe
«avvenire anche attraverso strumenti formali, con la fissazione di termini
normativamente previsti, quali quelli contenuti nella legge n. 241/90
sull’agire amministrativo». In ogni caso, la controprestazione sarebbe
legittimamente strutturata dal legislatore in maniera complessa quale
attuazione del piano d’àmbito, «fase prodromica al completamento del servizio relativo al ciclo
integrato delle acque».
In riferimento all’evocato art. 3
Cost., la s.p.a. G.O.R.I. rileva preliminarmente la
genericità della censura per la mancanza di un
tertium comparationis e di una «adeguata
descrizione della fattispecie concreta da cui emerga una ontologica differenza della
ipotesi che giustifichi, ai fini del giudizio di "ragionevolezza”, una
differente disciplina». Osserva, inoltre, che – contrariamente a quanto
sostenuto dal rimettente – la norma censurata, essendo diretta a rendere
concreto, attraverso la raccolta dei fondi con vincolo di destinazione, il
diritto dei cittadini a godere di un servizio di depurazione delle acque
reflue, realizza effettive condizioni di parità ed uguaglianza dei cittadini,
perché elimina la discriminazione che si verifica per la mancanza degli
impianti in parte del territorio.
In riferimento all’art. 32 Cost., la
s.p.a. G.O.R.I. sostiene che la censura è generica,
in quanto non è chiaro quale sia il collegamento tra l’affermazione del giudice
a quo per cui la disposizione censurata «incoraggia
il lassismo degli Enti Locali a spese della salute dei cittadini e delle future
generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce» e il
diritto alla salute. La disposizione in
questione, anzi, «è diretta attuazione delle norme costituzionali, in quanto
costituisce strumento giuridico necessario a realizzare una situazione
ambientale piú idonea a garantire il diritto alla
salute dei residenti di un determinato territorio».
In riferimento all’art. 41 Cost., la s.p.a. G.O.R.I. richiama le
considerazione già svolte in relazione agli altri parametri evocati, osservando
che «il giudice a quo, lungi dal proporre ulteriori eccezioni di legittimità
costituzionale, ripropone le medesime argomentazioni già affrontate in
precedenza».
In riferimento, infine, al parametro
dell’art. 97 Cost., la medesima società per azioni rileva che esso attiene
all’imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione e,
pertanto, non ha alcun nesso con «la scelta
legislativa di destinare fondi alla realizzazione del Piano d’Ambito,
finanziando gli stessi con un parziale contributo dei cittadini». In ogni caso,
«proprio lo strumento del vincolo posto ai proventi per la realizzazione
dell’impianto, e, dunque, la illegittimità di ogni eventuale differente utilizzazione,
dimostra la coerenza della previsione con i generali principi di buon
andamento».
3. – È intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o comunque per
l’infondatezza delle questioni.
L’Avvocatura generale sostiene, in
particolare che: a) «la carente descrizione della fattispecie oggetto del
giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l’inadempienza accertata
ai danni della società GORI s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per
giustificare l’eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone
di depurazione»; b) il canone di depurazione delle acque reflue ha natura di
prestazione patrimoniale imposta; c) non sussiste la violazione dell’art. 2
Cost. lamentata dal rimettente, in quanto «la norma in questione lungi dal
mortificare la persona umana come soggetto di diritti, viceversa ne esalta la
soggettività giuridica favorendo la prestazione di un servizio pubblico
irrinunciabile, quale è la depurazione delle acque reflue»; d) «l’eventuale
inerzia nella realizzazione dell’impianto di depurazione da parte degli enti
pubblici competenti costituisce una circostanza di mero fatto che non può
determinare l’incostituzionalità della norma, ma può eventualmente rilevare nel
senso dell’attribuzione della relativa responsabilità agli enti medesimi con le
normali conseguenze di legge»; e) «il tributo di cui si controverte presenta
[…] elementi di forte analogia con la tassa per lo smaltimento dei rifiuti, il
cui versamento è dovuto anche laddove l’impianto di smaltimento non sia stato
ancora realizzato ed i rifiuti vengano in ipotesi trasportati in impianti
situati fuori regione; f) non sussiste la violazione dell’art. 3 Cost., perché
l’eventuale disparità di trattamento fra chi usufruisce e chi non usufruisce
del servizio di depurazione non discende dalla norma, ma, al piú, dalle modalità della sua applicazione; g) non sussiste
la violazione dell’art. 32 Cost., in quanto il prelievo censurato è destinato a
finanziare opere ed impianti di depurazione e ha la funzione di supplire ad
eventuali carenze di fondi dei Comuni; h) non sussiste la violazione dell’art.
41 Cost., con riferimento all’asserita violazione della dignità umana, perché
«la norma è preordinata proprio a garantire la copertura finanziaria per lo
svolgimento di un’attività di utilità sociale quale la depurazione delle acque
reflue»; i) non sussiste la violazione dell’art. 97 Cost., in quanto la norma
realizza l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione,
«mediante la predisposizione di una copertura finanziaria per l’erogazione di
un servizio pubblico irrinunciabile».
4. – Con successiva memoria
depositata in prossimità dell’udienza, la s.p.a. G.O.R.I.
ha sostanzialmente ribadito, nel merito, quanto già sostenuto nell’atto di
costituzione, eccependo la manifesta inammissibilità delle sollevate questioni,
sui rilievi che: a) le questioni sono premature, essendo la loro rilevanza
«solo futura ed ipotetica ed anzi neanche prevista, giacché […] il giudice
rimettente non era ancora nelle condizioni di prospettare alcun esito del
giudizio, essendo assenti valutazioni essenziali ai fini della controversia
come introdotta dal ricorrente»; b) «assolutamente vago è il riferimento a
formule stereotipate per sostenere la violazione dell’art. 2 della Costituzione
e della "dignità di soggetto di diritto”»; c) è incoerente la scelta di
denunciare, in riferimento al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.,
una norma che, attraverso il vincolo di destinazione delle somme derivanti
dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione
all’attuazione del piano d’àmbito, è diretta ad
eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della depurazione e chi no; d) è
incoerente la censura relativa alla violazione dell’art. 32 Cost., perché
basata sulla considerazione non giuridica che la formulazione della norma
impugnata «incoraggia il lassismo degli Enti locali a spese della salute dei
cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne
scaturisce»; e) i riferimenti del rimettente ai parametri degli artt. 41 e 97
Cost. sono indeterminati e contraddittori.
La s.p.a. G.O.R.I.
afferma, inoltre, che le sollevate questioni non sono fondate e sostiene, in
particolare, in relazione all’evocato art. 2 Cost., che: a) «la circostanza che
una delle prestazioni sia differita nel tempo, in considerazione della
complessità dell’intervento non solo tecnico, ma anche organizzativo e
gestionale, non ne muta la natura corrispettiva, che è garantita dalla
circostanza che tutte le somme sino ad ora riscosse sono e saranno vincolate
alla specifica finalità individuata dalla legge»; b) la norma censurata
risponde a finalità solidaristiche, prevedendo, nell’interesse della
collettività degli utenti, il pagamento della quota di tariffa anche da parte
di chi non usufruisca del servizio di depurazione.
5. – Nel corso di un diverso giudizio
civile, il Giudice di pace di Gragnano – con
ordinanza del 31 maggio 2007 (r.o. n. 38 del 2008) –
ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 97 Cost., questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994,
nel testo originario [in vigore dal
3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui prevede che la quota di
tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta
dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti
centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
Il rimettente riferisce che: a)
l’oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Vincenzo Sabbatino nei confronti del Comune di Gragnano,
affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita
alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l’anno 2001, con conseguente
restituzione della stessa; b) secondo l’attore, il Comune convenuto gli aveva
richiesto il pagamento del canone di depurazione pur non avendo assicurato agli
utenti la fruizione del servizio di depurazione delle acque reflue, per
mancanza degli appositi impianti; c) sempre secondo l’attore, «in assenza di
tale fruizione, nella chiara configurazione sia di un inadempimento
contrattuale che dei presupposti per la risoluzione per inadempimento
limitatamente a singole coppie di prestazioni, il somministrato aveva diritto
alla restituzione della somma pagata al convenuto per il servizio di
depurazione»; d) il convenuto solleva, in via preliminare, eccezione di difetto
di legittimazione passiva, asserendo che «i suoi compiti erano limitati solo
alla riscossione del canone in questione per conto della Regione Campania, alla
quale venivano versati i corrispettivi incassati» e, nel merito, chiede il
rigetto della domanda attorea, in quanto infondata,
perché, in base all’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, il canone di
depurazione è, comunque, dovuto anche in mancanza dei relativi impianti.
Il
rimettente osserva che l’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, prevedendo che la quota di tariffa
riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli
utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti
centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e che «i
relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati
esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti
centralizzati di depurazione», víola: a) l’art. 2 Cost., perché «importa l’aggressione
del diritto inviolabile alla qualificazione dell’individuo come soggetto di
diritto», per il quale è esclusa «ogni forma di potere arbitrario e
persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in
assenza della relativa controprestazione», e perché, «non prevedendo […] un
limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione
del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio
degli amministratori locali, deputati all’applicazione della norma, la
cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore» e differisce, cosí, «sine die la realizzazione della qualità di soggetto di
diritto»; b) l’art. 3 Cost., perché determina una discriminazione dei cittadini
che versano il tributo senza usufruire del servizio di depurazione, rispetto a
coloro che versano la tariffa e si giovano invece del servizio; c) l’art. 32
Cost., perché incoraggia «il lassismo degli enti locali a spese della salute
dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne
scaturisce»; d) l’art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione
«d’imporre ai cittadini una sorta di "tassa
sine titulo” la cui finalizzazione ad una futura
esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».
In punto di rilevanza delle
questioni, il giudice a quo premette
di essere giurisdizionalmente competente, rilevando
che la causa di fronte a lui proposta ha ad oggetto la non debenza
e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l’anno 2001,
periodo in relazione al quale
Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell’art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall’art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché dal «3 ottobre del 2000 sino al 27 agosto del 2002, la disciplina del canone di depurazione è stata regolamentata dall’art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nella sua formulazione originaria ».
6. – È intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel
giudizio r.o. n. 830 del 2007 e concludendo per
l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza delle questioni.
7. – I giudizi, la cui trattazione
era inizialmente fissata per l’udienza del 6 maggio e la camera di consiglio
del 7 maggio 2008, sono stati trattati all’udienza del 23 settembre e alla
camera di consiglio del 24 settembre 2008.
8. – Nel corso di un altro giudizio
civile, il Giudice di pace di Gragnano – con
ordinanza del 18 settembre 2007 (r.o. n. 184 del 2008)
– ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 Cost., questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del
1994, nel testo modificato dall’art. 28 della legge n. 179 del 2002 [in vigore
dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota
di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta
dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti
centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
Il rimettente riferisce che: a) l’oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Carmela Alfano nei confronti della s.p.a. G.O.R.I., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lei pagata per l’anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l’attrice afferma che la società convenuta le aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata, perché, in base all’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l’obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo».
Quanto alle questioni
di legittimità costituzionale prospettate e alla motivazione sulla rilevanza e
non manifesta infondatezza delle stesse, il giudice a quo svolge considerazioni identiche a quelle esposte
nell’ordinanza r.o. n. 830 del 2007, sopra riportate.
9. – Si è costituita la
s.p.a. G.O.R.I., concludendo per la manifesta
inammissibilità o, in subordine, per la manifesta infondatezza delle proposte
questioni e svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria di
costituzione nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.
10. – È intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o
comunque per l’infondatezza delle questioni e svolgendo considerazioni analoghe
a quelle esposte nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.
11. – Con memoria
depositata in prossimità dell’udienza, la s.p.a. G.O.R.I.
ha ribadito quanto già sostenuto nell’atto di costituzione, svolgendo
considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria depositata in prossimità
dell’udienza nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.
Considerato in diritto
1. – Con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008, di contenuto
sostanzialmente identico, il Giudice di pace di Gragnano
dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, della
legittimità dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36
(Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato dall’art. 28
della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) [in
vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la
quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione –
quota che affluisce «a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori
del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione
del piano d’ambito» – è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura
sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano
temporaneamente inattivi.
In
particolare, per il rimettente, la norma censurata víola: a) l’art. 2 Cost., perché
incide sul «diritto inviolabile alla qualificazione dell’individuo come
soggetto di diritto»; b) l’art. 3 Cost., perché irragionevolmente impone agli
utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione
anche in mancanza del servizio di depurazione; c) l’art. 32 Cost., perché consente
che la salute dei cittadini e delle future generazioni sia danneggiata
dall’inquinamento che deriva dal «lassismo degli enti locali»; d) l’art. 41
Cost., perché il gestore delle risorse idriche, imponendo senza limiti
temporali il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di
depurazione, «espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana
e l’utilità sociale»; e) l’art. 97 Cost., perché consente alla pubblica
amministrazione «d’imporre ai cittadini una sorta di "tassa sine titulo” la cui finalizzazione ad una futura
esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».
2. – Con l’ordinanza r.o. n. 38 del 2008, lo stesso giudice rimettente dubita –
sollevando in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 97 Cost. questioni analoghe a quelle
sollevate con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n.
184 del 2008 – della legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della
legge n. 36 del 1994, nel testo originario
[in vigore dal 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui
prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di
depurazione – quota che affluisce a un fondo vincolato ed è destinata
«esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti
centralizzati di depurazione» – è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la
fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi
siano temporaneamente inattivi.
3 – I tre giudizi sopra
menzionati vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi, in considerazione
dell’evidente analogia delle questioni prospettate.
4 – Come appena
ricordato, nei giudizi r.o. n. 830 del 2007 e n. 184
del 2008, il rimettente denuncia, in riferimento all’art. 3 Cost.,
l’irragionevolezza della norma censurata, perché essa ingiustificatamente
impone agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e
depurazione anche nel caso in cui gli impianti centralizzati di depurazione
manchino o siano temporaneamente inattivi, cosí discriminando
tali utenti rispetto a quelli che versano la tariffa e si giovano, invece,
della controprestazione costituita dal servizio.
4.1. – In detti due
giudizi, la costituita s.p.a. G.O.R.I., cioè la
società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, eccepisce l’inammissibilità della suddetta
questione, per difetto di rilevanza o di motivazione sulla rilevanza, e
comunque per la mancata prospettazione di un tertium comparationis.
La difesa erariale, a sua volta, eccepisce l’inammissibilità della medesima
questione, affermando che «la carente descrizione della fattispecie oggetto del
giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l’inadempienza accertata
ai danni della società GORI s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per
giustificare l’eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone
di depurazione».
Le eccezioni non sono
fondate.
Entrambe
le ordinanze di rimessione, infatti: a) descrivono sufficientemente le
fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, specificando che esse riguardano richieste di
rimborso della quota di tariffa
riferita al servizio di depurazione per l’anno 2003; b) muovono dal presupposto
che gli utenti hanno pagato la suddetta quota in mancanza del servizio di
depurazione delle acque reflue (come del resto riconosciuto dalla stessa s.p.a.
G.O.R.I.); c) chiariscono che la norma applicabile ratione temporis alla
fattispecie è la norma denunciata; d) denunciano la violazione dell’art. 3
Cost. sia per l’irragionevolezza intrinseca della norma sia per la disparità di
trattamento che questa crea, nell’àmbito di coloro
che sono tenuti al pagamento della tariffa del servizio idrico integrato, tra
chi fruisce e chi non può fruire del servizio di depurazione delle acque.
4.2. –
La s.p.a. G.O.R.I. eccepisce, altresí,
l’inammissibilità della medesima questione, affermandone l’incoerenza, perché
essa ha ad oggetto una norma che, attraverso il vincolo di destinazione
all’attuazione del piano d’àmbito delle somme
derivanti dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione, è
diretta proprio ad eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della
depurazione e chi no. Tuttavia tale eccezione, allegando la ragionevolezza
della norma, si risolve in un rilievo sull’infondatezza della questione e,
pertanto, non può essere esaminata in via preliminare, separatamente dal merito
della questione medesima.
5. – Passando all’esame
del merito della dedotta violazione dell’art. 3 Cost., deve innanzi tutto
rilevarsi che le censure proposte riguardano solo la quota dell’unitaria
tariffa del servizio idrico integrato riferita al servizio di depurazione,
quota costituente oggetto esclusivo delle richieste di rimborso degli utenti
nei giudizi principali.
Ancorché la norma
denunciata non distingua espressamente tale quota da quella riferita al
servizio di pubblica fognatura, tuttavia l’autonoma rilevanza di essa si desume
dall’espresso riferimento che l’art. 3, comma 42, della legge 28 dicembre 1995,
n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), fa alla quota
medesima, determinandone in modo distinto la misura da applicarsi
transitoriamente fino alla «entrata in vigore della tariffa del servizio idrico
integrato, prevista dall’articolo 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36». Tale
distinzione è presente anche nella normativa di attuazione della legge n. 36
del 1994, costituita: a) dal d.m. 1° agosto 1996
(Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la
determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato); b)
dalla delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02 (Direttive per la determinazione, in via transitoria, delle tariffe dei
servizi acquedottistici, di fognatura e di
depurazione per l’anno 2002). In particolare, ai fini della
determinazione, con il metodo normalizzato, della «componente modellata dei
costi operativi» della tariffa di riferimento, il primo dei due suddetti
provvedimenti individua, al punto 3.1, «formule di costo» diverse per i tre
distinti elementi nei quali si articola il servizio idrico integrato, e cioè il
«servizio acque potabili», «il servizio fognature» e il «servizio trattamento
reflui» (attinente, appunto, alla depurazione). Il secondo provvedimento, ai
fini della determinazione degli investimenti specifici per i singoli servizi,
individua interventi distinti per il servizio di fognatura e per quello di
depurazione (allegato 1, punti 2.2 e 2.3) e disciplina, all’allegato 2 –
significativamente intitolato «Adeguamento parametri per la tariffa di
depurazione 2002» – la sola quota di tariffa riferita al servizio di
depurazione.
Sulla base di tale
ricostruzione del quadro normativo, lo scrutinio di questa Corte va, pertanto,
circoscritto alla quota dell’unitaria tariffa del servizio idrico integrato
riferita al servizio di depurazione.
6. – Il giudice a quo denuncia l’irragionevolezza della
disposizione censurata, nella parte in cui essa prevede che la suddetta quota
di tariffa, pur avendo natura di corrispettivo, sia dovuta dagli utenti anche
quando manchi la controprestazione cui essa è collegata, e cioè «anche nel caso
in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o
questi siano temporaneamente inattivi».
La censura è fondata.
6.1. – Il rimettente
muove dal presupposto interpretativo che nel sistema delineato dalla legge n.
36 del 1994 la tariffa del servizio idrico integrato, articolato in tutte le
sue componenti – e, quindi, anche quella relativa al servizio di depurazione –
ha natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo.
Questa Corte ritiene
che tale presupposto sia corretto e trovi fondamento nelle seguenti
considerazioni.
Innanzi tutto,
dall’analisi dei lavori preparatori relativi alla norma censurata si desume che
il legislatore ha inteso costruire la tariffa in modo tale da coprire i costi
del servizio idrico integrato. In tali lavori si afferma che «l’utilità
particolare che ogni utente […] ottiene dal servizio dovrà essere pagata per il
suo valore economico» e che «la tariffa deve […] essere espressiva del costo
industriale del servizio idrico rappresentato […] dall’integrazione dei servizi
di captazione, adduzione, distribuzione, collettamento
e depurazione» (atti Camera dei deputati, XI legislatura, 6 ottobre 1993,
pagina 18599; nello stesso senso, anche atti Camera dei deputati, XI
legislatura, VIII Commissione permanente, 15 giugno 1993, pagine 57-58). In
coerenza con tale impostazione, l’art. 13, comma 1, della citata legge n. 36
del 1994 stabilisce espressamente che tutte le componenti della tariffa
rappresentano «il corrispettivo del servizio idrico integrato», costituito, in
base a quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lettera f), della stessa legge, «dall’insieme dei servizi pubblici di
captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di
depurazione delle acque reflue».
La natura di
corrispettivo della tariffa è, poi, confermata dal successivo comma 2 dell’art.
13, il quale stabilisce che essa deve assicurare «la copertura integrale dei
costi di investimento e di esercizio». In particolare, essa deve essere
determinata in base a criteri sostanzialmente analoghi a quelli stabiliti in
via generale per la determinazione delle tariffe dei servizi pubblici locali
dall’art. 117 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), e cioè «tenendo conto della qualità della
risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti
necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza
della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree
di salvaguardia». Tale impostazione legislativa è analoga a quella adottata dal
legislatore in altri settori concernenti la determinazione della remunerazione
di prestazioni di pubblici servizi e, in particolare, a quella di cui agli
artt. 11-nonies e seguenti del
decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla
legge 2 dicembre 2005, n. 248, per la determinazione dei diritti aeroportuali
mediante il metodo del cosiddetto price
cap. Tali diritti sono stati qualificati come non tributari, con norma di
carattere interpretativo, dall’art. 39-bis
del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto dalla legge di
conversione 29 novembre, n. 222, e la loro natura di «corrispettivi dovuti in
base a contratti» è stata affermata da questa da questa Corte con la sentenza n. 51 del
2008.
La natura non
tributaria della quota di tariffa disciplinata dalla norma censurata è stata,
inoltre, costantemente riconosciuta dalle sezioni unite della Corte di
Cassazione, che, con riguardo proprio alle controversie relative alla quota
riferita al servizio di depurazione, hanno ritenuto sussistente la
giurisdizione del giudice ordinario, sul presupposto che, con il passaggio
dalla disciplina previgente a quella della legge n. 36 del 1994, i "canoni” di
depurazione delle acque reflue si sono trasformati da tributo a «corrispettivo
di diritto privato» (ex plurimis, Cassazione, sezioni unite civili, sentenze n.
6418 del 2005, n. 16426 e n. 10960 del 2004; tutte precedenti all’entrata in
vigore dell’art. 3-bis, comma 1, del
decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, il quale ha espressamente
attribuito alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del «canone per lo scarico e la depurazione delle
acque reflue», indipendentemente dalla loro qualificazione come tributo o
corrispettivo).
L’uso legislativo del
termine «corrispettivo» e la rilevata struttura sinallagmatica del rapporto con
l’utente si armonizzano, altresì, con il disposto dell’alinea e della lettera b) del quinto comma dell’art. 4 del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore
aggiunto), come modificato dall’art. 31, comma 30, della legge 23 dicembre
1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo),
i quali considerano le quote di tariffa riferite ai servizi di fognatura e
depurazione come veri e propri corrispettivi dovuti per lo svolgimento di
attività commerciali, «ancorché esercitate da enti pubblici», come tali
assoggettate a IVA. Infatti, la qualificazione, anche ai fini di quest’ultima
imposta, di dette quote di tariffa come corrispettivi evidenzia ulteriormente
la scelta del legislatore di non ricondurre le quote stesse al novero di quei
«diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13,
paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del
28 novembre 2006) esclude in linea generale dall’assoggettamento a IVA, perché
percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in
quanto pubbliche autorità».
Sempre in questa
prospettiva va, infine, interpretata l’inapplicabilità alla tariffa del
servizio idrico integrato – disposta dalla stessa legge n. 36 del 1994
contenente la disposizione censurata (in combinato disposto con l’art. 17,
ottavo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela
delle acque dall’inquinamento») – di quelle modalità di riscossione mediante
ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari. L’art.
15 della citata legge n. 36 del 1994 si limita, infatti, a disporre che «la
tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato», eliminando
ogni riferimento a quei meccanismi coattivi di riscossione dei tributi che
erano, invece, espressamente richiamati dal previgente art. 17, ottavo comma,
primo periodo, della legge n. 319 del 1976 – il quale ne prevedeva
l’applicabilità solo «fino all’entrata in vigore della tariffa fissata dagli
articoli 13, 14, 15 della legge 5 gennaio 1994, n. 36» – e disciplinati dagli
artt. 273 e seguenti del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 e dagli artt.
68 e 69 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43.
L’interpretazione della
legge n. 36 del 1994, condotta alla stregua dei comuni criteri ermeneutici,
porta dunque a ritenere che la tariffa del servizio idrico integrato si
configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione
commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base
alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo
direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di
utenza. L’inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in
particolare, dal fatto sopra rilevato che, a fronte del pagamento della
tariffa, l’utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella
somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di
fognatura e depurazione. Ne consegue che la quota di tariffa riferita al
servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del
servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo
contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (art.
13 della legge n. 36 del 1994).
6.2. – Dall’accertata
volontà del legislatore di costruire la quota di tariffa riferita al servizio
di depurazione come corrispettivo deriva la fondatezza della censura di
irragionevolezza della disposizione denunciata, nella parte in cui prevede che
la suddetta quota di tariffa è dovuta dagli utenti anche quando manchi il
servizio di depurazione.
La norma censurata,
imponendo l’obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, prescinde
dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si pone
ingiustificatamente in contrasto con la sopra delineata ratio del sistema della legge n.
36 del 1994, che, come si è visto, è invece fondata sull’esistenza di un
sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del
servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico
integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di
depurazione.
Ad evidenziare il
rilevato contrasto vale anche la considerazione che la disciplina della quota
di tariffa in questione, da un lato, qualifica detta quota come corrispettivo
di una prestazione commerciale, come tale assoggettato ad IVA, e, dall’altro,
contraddittoriamente, non consente la tutela civilistica dell’utente. Infatti,
mentre l’alinea e la lettera b) del
quinto comma dell’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 sottopongono ad IVA – come sopra
ricordato – la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, perché
considerano detta quota in ogni caso come corrispettivo, invece, la
disposizione censurata, prescindendo dal sinallagma genetico e funzionale fra
la prestazione di pagamento e la controprestazione del servizio, impedisce
irragionevolmente all’utente di tutelarsi da eventuali inadempimenti della
controparte mediante gli ordinari strumenti civilistici previsti per i
contratti a prestazioni corrispettive (quali, ad esempio, l’azione di
adempimento, l’exceptio inadimpleti contractus, l’azione di risoluzione per inadempimento).
6.2.1. – A tale
conclusione non può obiettarsi – come fa la difesa della s.p.a. G.O.R.I. – che la corrispettività fra la suddetta quota e
il servizio di depurazione sussisterebbe comunque, perché le somme pagate dagli
utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito
fondo vincolato, all’attuazione del piano d’àmbito,
comprendente anche la realizzazione dei depuratori. Va osservato, in contrario,
che: a) l’ammontare della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione
è determinato indipendentemente dal fatto se il depuratore esista o no, essendo
esso in ogni caso commisurato al costo del servizio di depurazione, in
applicazione del cosiddetto «metodo normalizzato», e non al costo di
realizzazione del depuratore (come risulta dall’allegato del citato d.m. 1° agosto 1996, punto 3.1, lettera c, e dall’allegato 1, punto 2.3, della
citata delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02); b) il provento costituito
dalla quota confluente nel fondo vincolato può essere destinato alla
realizzazione di depuratori non utilizzabili dal singolo utente obbligato al
pagamento, come nel caso in cui i depuratori siano realizzati in Comuni diversi
da quello in cui si trova l’utente, oppure nel caso in cui l’utente, dopo il
pagamento della tariffa, si sia trasferito in altro Comune; c) nel caso in cui
il Comune non gestisca direttamente il servizio idrico, la scelta del tempo e
del luogo di realizzazione dei depuratori è affidata, dall’art. 11, comma 3,
della legge n. 36 del
Dall’impossibilità di
qualificare l’attuazione del piano d’àmbito come
controprestazione contrattuale del pagamento della quota di tariffa riferita al
servizio di depurazione discende la già evidenziata conseguenza che l’utente
può agire contro l’inerzia dell’amministrazione nella realizzazione dei
depuratori, non già in forza del rapporto contrattuale di utenza utilizzando
gli ordinari strumenti civilistici di tutela, ma solo esercitando il generale
potere di denuncia attribuitogli dall’ordinamento uti civis.
6.2.2. – Neppure
potrebbe opporsi che la denunciata irragionevolezza non sussiste in
considerazione di un’adombrata natura di prelievo tributario della quota
tariffaria riferita al servizio di depurazione. L’unitarietà della tariffa
impedisce, infatti, di ritenere che le sue singole componenti abbiano natura
non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle
altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale. E ciò perché il
legislatore, per la remunerazione delle varie componenti del servizio idrico
integrato, non ha istituito tariffe distinte, ma ha concepito la tariffa di
detto servizio come un tutto unico, nell’àmbito del
quale la suddivisione in quote risponde solo all’esigenza di una più precisa
quantificazione della tariffa stessa, che tenga conto di tutte le prestazioni
che il gestore deve erogare.
L’armonia di un sistema
di finanziamento del servizio idrico integrato, costruito unitariamente dal
legislatore sull’esistenza di un nesso sinallagmatico, sulla sufficienza di un
contratto di utenza ai fini della nascita dell’obbligo di pagamento e, perciò,
su una tariffa unica, sarebbe, in conclusione, lesa dalla previsione, quale
mezzo di finanziamento, di un prelievo coattivo, la cui ratio confliggerebbe
ingiustificatamente con la logica unitaria sopra detta, in quanto introduce un
obbligo di pagamento non correlato alla controprestazione. Solo un autonomo
prelievo tributario avulso dalla tariffa e, perciò, del tutto sganciato dal
sistema del servizio idrico integrato potrebbe giustificare una tassazione per
fini ambientali diretta a far contribuire anche colui che non utilizza il
servizio alla spesa pubblica per la depurazione.
7. – Nel giudizio r.o. n. 38 del 2008, il rimettente – formulando la stessa
censura di cui alle ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e
n. 184 del 2008 – denuncia l’intrinseca irragionevolezza dell’art. 14, comma 1,
della legge n. 36 del 1994, nel testo originario, il quale prevede che la quota
di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione – quota
i cui «proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati
esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti
centralizzati di depurazione» – è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la
fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi
siano temporaneamente inattivi. La disposizione denunciata è uguale a quella
risultante dalla modifica introdotta dall’art. 28 della legge n. 179 del 2002
ed oggetto delle ordinanze di rimessione sopra esaminate, con la sola
differenza che la prima prevede che i proventi della quota di tariffa riferita
al servizio di depurazione sono destinati esclusivamente alla realizzazione e
alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione, la
seconda – come visto – ne prevede la destinazione a un fondo vincolato per
l’attuazione del piano d’àmbito.
La censura è fondata,
per le stesse ragioni esposte al precedente punto 6, perché la norma
denunciata, eliminando ogni diretta relazione tra il pagamento di tale quota e
l’effettivo svolgimento del servizio che tale pagamento dovrebbe retribuire, ha irragionevolmente disciplinato il
pagamento della quota in modo non coerente con la sua natura di corrispettivo
contrattuale.
8. – L’accoglimento
delle esaminate questioni comporta la dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, sia nel testo
originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della legge n. 179 del 2002,
nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di
depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia
sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano
temporaneamente inattivi».
9. – La riconosciuta
fondatezza delle suddette questioni riferite alla violazione dell’art. 3 Cost.
comporta l’assorbimento delle altre questioni sollevate dal rimettente.
10. – Il censurato art.
14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 è stato, con decorrenza dal 29 aprile
2006, abrogato dall’art. 175, comma 1, lettera u), del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e sostituito
dall’art. 155, comma 1, primo periodo, dello stesso decreto legislativo, il
quale prevede che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica
fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui
manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il
gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione
tariffaria definita ai sensi dell’articolo
L’analogia tra
quest’ultima disposizione e quelle sopra dichiarate incostituzionali rende
evidente che le considerazioni dianzi svolte, in ordine alla irragionevolezza
di queste ultime, valgono anche per la prima.
In conclusione, ai
sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto
legislativo n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa
riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in
cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».
per questi
motivi
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n.
36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia
nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179
(Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota
di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel
caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di
depurazione o questi siano temporaneamente inattivi»;
2) dichiara, ai sensi
dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota
di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel
caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente
inattivi».
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, l'8 ottobre 2008.
F.to:
Giovanni Maria FLICK,
Presidente
Depositata in