ORDINANZA N. 144
ANNO 2007REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), promosso con ordinanza del 13 dicembre 2005 dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di C.V. ed altri, iscritta al n. 493 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che, con ordinanza del 13 dicembre 2005, il Tribunale penale di Grosseto ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l’estinzione anche del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), già art. 20, primo comma, lettera c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), in caso di rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna;
che, in punto di fatto, il Tribunale di Grosseto riferisce che, nel corso di un processo a carico di tre soggetti imputati dei reati di cui all’art. 20, primo comma, lettera c), della legge n. 47 del 1985, ora art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, e all’art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), ora art. 181, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004, per avere realizzato opere edilizie in zona sottoposta a vincolo paesaggistico in assenza della concessione edilizia e del nulla osta dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è stata avanzata dal difensore degli imputati richiesta di patteggiamento in ordine ad ogni reato contestato, e che il pubblico ministero ha prestato il suo consenso;
che, in ordine alla rilevanza della questione, il rimettente precisa di essere tenuto a verificare, ai sensi degli artt. 129 e 444, comma 2, del codice di procedura penale, che non sussistano i presupposti per l’emissione di una sentenza di proscioglimento;
che, in particolare, premesso che dai documenti in atti risulta provata l’avvenuta spontanea e completa riduzione in pristino dell’area oggetto dell’intervento edilizio non autorizzato, con conseguente estinzione del contestato reato ambientale, ai sensi dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (applicabile retroattivamente, quale norma di maggiore favore), il giudice a quo osserva che dall’eventuale accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale deriverebbe anche l’estinzione del concorrente reato edilizio;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Grosseto richiama, anzitutto, la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale (Cass., Sez. III penale, n. 9749 del 1994 e n. 10557 del 1995) esclude l’assorbimento del reato edilizio di cui all’art. 20 della legge n. 47 del 1985 (ora articolo 44 del decreto del Presidente della repubblica n. 380 del 2001) nel reato ambientale di cui all’articolo 163 del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora art. 181, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004), sull’assunto della diversa obiettività giuridica delle due fattispecie criminose, e parimenti esclude, per le stesse ragioni, che la estinzione del reato edilizio a seguito della concessione (ora permesso) in sanatoria determini l’estinzione di quello ambientale (Cass., Sez. III penale, n. 7541 del 1994);
che il rimettente ricorda, poi, la giurisprudenza di questa Corte (ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000), la quale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non prevedono che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria estingua, oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato ambientale;
che, in particolare, il Tribunale di Grosseto richiama il passo della citata ordinanza n. 46 del 2001, nel quale si afferma che il diverso trattamento normativo trova giustificazione nella peculiare esigenza di tutela dei beni paesaggistico-ambientali «considerata tra i principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della persona umana nella sua vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni future, in relazione al valore estetico-culturale assunto dall’ordinamento quale valore primario ed assoluto insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro»;
che, in ordine alla questione specifica della riduzione in pristino dell’opera abusiva, il rimettente ricorda come, prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 42 del 2004, fosse principio consolidato in giurisprudenza che l’eliminazione delle opere abusive non comportasse l’estinzione del reato commesso con la loro costruzione, in quanto nei reati urbanistici ha rilevanza penale anche l’elusione del controllo che l’autorità amministrativa è chiamata ad esercitare, in via preventiva e generale, sull’attività edilizia assoggettata al regime concessorio, ed in quanto l’eliminazione spontanea del manufatto abusivo non vale ad eliminare l’antigiuridicità sostanziale del fatto di reato, avendo il territorio comunque subito un vulnus;
che il rimettente ricorda, inoltre, la vicenda normativa dell’art. 8-quater del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146 (Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1985, n. 298, il quale esclude la punibilità nei confronti di coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive entro il 7 luglio 1985;
che il rimettente richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass., Sez. III penale, n. 10199 del 1998), che ha ritenuto tale disposizione testualmente riferita e limitata sotto il profilo temporale alle demolizioni di opere eseguite entro detta data;
che il Tribunale di Grosseto ricorda, altresì, la sentenza n. 167 del 1989 di questa Corte, la quale ha escluso che la riferita interpretazione limitativa data dalla giurisprudenza penale a questa disposizione contrastasse con la Costituzione, in quanto la demolizione dell’opera abusiva non elimina l’antigiuridicità del fatto e la configurazione e la disciplina di cause speciali di estinzione del reato o della pena rientra nella discrezionalità del legislatore;
che, anche alla luce di questi riferiti orientamenti giurisprudenziali ed in particolare dell’esigenza di tutela dell’ambiente, il giudice rimettente ritiene che sia irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell’effetto estintivo del concorrente reato ambientale, estensione non possibile in via ermeneutica, stante il carattere tassativo e di stretta interpretazione delle previsioni estintive dei reati;
che il rimettente ritiene, in particolare, «francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione» la previsione dell’estinzione del reato ambientale a seguito della riduzione in pristino e non di quello edilizio, stante la maggiore rilevanza del bene giuridico protetto dal reato ambientale;
che d’altra parte, per il rimettente, la denunciata differenziazione non sarebbe giustificabile in ragione di una diversa natura del reato, trattandosi in entrambi i casi di reati di pericolo e non essendo necessario, per giurisprudenza costante (Cass., Sez. III penale, n. 12863 del 2003, n. 14461 del 2003 e n. 19761 del 2003), un effettivo pregiudizio per l’ambiente ai fini della configurabilità del reato;
che il rimettente sostiene, poi, che l’autonomia delle due fattispecie di reato non impedisce di ravvisare lo schema “ternario” necessariamente presupposto del giudizio di ragionevolezza ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione;
che, per il rimettente, il principio di uguaglianza non può ritenersi violato solo nell’ipotesi di trattamento differenziato di situazioni identiche, bensì pure in quella di trattamento identico di fattispecie dotate di offensività diversa e quindi, a maggior ragione, anche nel caso di specie, dove un trattamento più sfavorevole viene riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;
che il carattere derogatorio della disposizione di cui all’articolo 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 non renderebbe la stessa inidonea alla funzione di tertium comparationis;
che il rimettente ricorda, al riguardo, le ordinanze n. 185 del 1995 e n. 484 del 1994, con le quali questa Corte ha ritenuto possibile estendere l’ambito di una previsione eccezionale o derogatoria quando tra il caso ricompreso e quello escluso ricorra l’eadem ratio derogandi, non potendo ritenersi che la salvaguardia della discrezionalità legislativa esima il giudice delle leggi dal valutare se non vi siano manifesti motivi di irrazionalità;
che tale sarebbe la situazione nel caso di specie, di qui la non manifesta infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge n. 308 del 2004);
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della questione;
che, secondo la difesa erariale, proprio la notevole rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico tutelato dalla disposizione censurata, rende del tutto ragionevole che la potestà punitiva dello Stato receda dinanzi all’esigenza di celere tutela del bene stesso;
che la ratio del denunciato art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge n. 308 del 2004) sarebbe da ravvisare, secondo l’Avvocatura, proprio nella incentivazione del ripristino immediato dello status quo ante, ratio che troverebbe conferma anche nei commi 1-ter ed 1-quater dello stesso articolo (anch’essi aggiunti dall’art. 1 della legge n. 308 del 2004), per i quali la sanzione prevista non si applica quando l’autorità amministrativa competente accerti successivamente la compatibilità paesaggistica dell’opera realizzata in assenza di autorizzazione od in difformità da quanto disposto;
che parimenti ragionevole sarebbe, secondo l’Avvocatura, la scelta legislativa di non estendere il medesimo effetto estintivo al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici;
che la difesa erariale rileva, oltretutto, che una tale ipotetica estensione avrebbe determinato il paradossale effetto di consentire l’estinzione del reato edilizio ove commesso su area sottoposta a vincolo paesaggistico e di negarla in caso di assenza del vincolo stesso;
che la scelta legislativa di non estendere l’effetto estintivo sarebbe, invece, ragionevole, dacché eviterebbe che l’art. 181, comma 1-quinquies, del d.lgs. n. 42 del 2004 possa risolversi in una incentivazione alla commissione di violazioni paesaggistiche, in quanto anche in caso di riduzione in pristino residua comunque la punibilità del soggetto attivo in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Considerato che il Tribunale di Grosseto ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l’estinzione anche del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), già art. 20, primo comma, lettera c) della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), in caso di rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dalla autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna;
che, per il rimettente, sarebbe irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell’effetto estintivo del concorrente reato paesaggistico, stante la maggiore rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico paesaggistico rispetto a quello tutelato dalla normativa penale in materia edilizia;
che il rimettente, in definitiva, utilizza l’argomento logico a fortiori, ritenendo «francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione» la circostanza che un trattamento più sfavorevole venga riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;
che la questione è manifestamente infondata;
che il rimettente chiede l’estensione di una previsione, quella dell’art. 181, comma 1-quinquies del decreto legislativo n. 42 del 2004, avente, per sua stessa ammissione, natura derogatoria;
che, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto (cfr. ex multis sentenza n. 149 del 2005);
che, nella specie, tale estensione non è possibile, trattandosi di fattispecie criminose analoghe, ma non identiche, tanto è vero che sono in concorso tra di loro;
che infatti, come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000) e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cassazione, sezione V, 31 marzo 1999, n. 10514), e come riconosciuto dallo stesso rimettente, il reato edilizio previsto dall’articolo 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed il reato paesaggistico previsto dall’art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, hanno oggetti giuridici diversi;
che i reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali, mentre i reati edilizi tutelano un bene astratto consistente nel rispetto della complessiva disciplina amministrativa dell’uso del territorio;
che, pertanto, pur avendo entrambi i reati la natura di reati di pericolo (avendo il legislatore in ambo i casi ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia di tutela degli interessi), la diversità degli oggetti “finali” protetti dai due reati giustifica discipline sanzionatorie e fattispecie estintive differenziate;
che, in particolare, la materialità del bene paesaggistico-ambientale conferisce un valore essenziale alla rimessione in pristino del paesaggio e dell’ambiente, alla quale, in definitiva, tende l’intero sistema sanzionatorio in questa materia;
che, proprio in considerazione della straordinaria importanza della tutela “reale” dei beni paesaggistici ed ambientali, il legislatore, nell’ambito delle sue scelte di politica legislativa, ha deciso di incentivarla in varie forme: sia riconoscendo attenuanti speciali a favore di chi volontariamente ripari le conseguenze dannose dei reati previsti a tutela delle acque (articolo 140 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»), sia subordinando alla riduzione in pristino il beneficio della sospensione condizionale della pena nei reati collegati alla gestione del ciclo dei rifiuti (artt. 139, 255, 257 e 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), sia, infine, riconoscendo, come nel caso in esame, valore prevalente al ripristino del bene paesaggistico rispetto alla stessa pretesa punitiva dello Stato;
che, invece, nell’ambito della repressione degli illeciti edilizi, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con demolizione delle opere abusivamente realizzate, rappresenta solo uno dei possibili esiti sanzionatori dell’illecito, essendo prevista, in alternativa ad essa, (art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001) la possibilità per il Comune di mantenere, a determinate condizioni, l’opera coattivamente acquisita;
che, pertanto, non sussistendo tra le ipotesi criminose poste a raffronto la piena identità ritenuta dal giudice rimettente, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Grosseto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2007.