SENTENZA N.185
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della Regione siciliana 9 maggio 1986, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, recante <Nuove norme per il personale dell'Amministrazione regionale> e altre norme per il personale comandato, dell'occupazione giovanile e i precari delle unità sanitarie locali), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 16 marzo 1994 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana su ricorso proposto da Galante Giovanni ed altro contro la Presidenza della Regione siciliana ed altro iscritta al n. 635 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1994; 2) ordinanza emessa il 14 settembre 1994 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, su ricorso proposto da Manno Fulvio contro la Presidenza della Regione siciliana ed altro iscritta al n. 794 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di costituzione di Galante Giovanni ed altro nonchè gli atti di intervento della Regione siciliana; udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi; uditi l'avvocato Arturo Merlo per Galante Giovanni ed altro e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per la Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
1.1. - Adito da Galante Giovanni e Calabrò Alfonso per la riforma d'una sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con ordinanza emessa il 16 marzo 1994 e pervenuta alla Corte il 1 ottobre 1994 solleva, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della Regione siciliana 9 maggio 1986, n. 21, nella parte in cui - disciplinando la procedura selettiva per il passaggio alla qualifica di dirigente superiore amministrativo - limita l'ammissione ai dirigenti ed equiparati che alla data del 1 novembre 1985 risultano inquadrati nei ruoli di cui alla legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41.
Ferma restando la potestà del legislatore regionale d'indicare una data cui riferire il possesso dei requisiti di ammissione, il 1 novembre 1985, assunto quale discrimine dalla norma denunciata, non rispetterebbe il principio di eguaglianza, nel momento in cui esclude una categoria di personale già statale, ma inquadrato nei ruoli regionali in una data, il 31 dicembre 1985, anteriore a quella della promulgazione della citata legge n. 21 del 1986. Non vi sarebbe ragionevole giustificazione di tale scelta legislativa: l'aver elevato a titolo di ammissione l'inquadramento nel ruolo regionale, alla data indicata, non sarebbe - ad avviso del rimettente - indice di maggiore capacità professionale; e vi sarebbe, altresì, lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione, restringendosi irrazionalmente il numero degli aspiranti.
1.2. - Si è costituita in giudizio la Regione siciliana, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo l'inammissibilità o, quanto meno, l'infondatezza della questione. Non essendovi identità di situazioni non si potrebbe parlare - secondo la difesa erariale - di violazione del principio di eguaglianza; né d'altro canto sarebbe utilizzabile il canone di buon andamento per negare la discrezionalità del legislatore, al quale non si potrebbe, invero, rimproverare l'adozione di criteri improntati a gradualità e prudenza, considerata la diversa provenienza delle categorie di personale.
1.3. - Si sono costituite le parti private sottolineando come non vi siano motivi plausibili che giustifichino l'avvenuta differenziazionedi posizioni analoghe; e ricordando, anzi, come proprio l'Assessorato alla presidenza della Regione si sia posto il problema della legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 21 fino ad investirne in sede consultiva, con nota del 24 aprile 1987, il Consiglio di giustizia amministrativa che - nel rilevare la disparità di trattamento verificatasi a danno del personale dei ruoli transitori - suggerì all'amministrazione, con il parere n. 148 del 1987, di vagliare l'opportunità di modificare l'art. 2 citato.
Il possesso dello status di dipendente regionale alla data del 1 novembre 1985, quale titolo di ammissione alla procedura selettiva, non rappresenta un indice di maggiore capacità rispetto ai dipendenti che provengono dai ruoli statali inquadrati in epoca successiva; per altro verso, poi, riducendo il numero degli aspiranti legittimati, si svilisce inevitabilmente - questo l'assunto dei ricorrenti - la qualità della selezione concorsuale.
2.1. - Anche il T.A.R. Sicilia, sezione di Catania, giudicando sul ricorso proposto da Fulvio Manno avverso il decreto dell'Assessore regionale alla presidenza della Regione n. 3361/II del 30 maggio 1994, che annullava il precedente decreto 5 dicembre 1986, n. 7034/XV, di attribuzione della qualifica di dirigente superiore, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge regionale n. 21 del 1986, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione, richiamando le sentenze di questa Corte n. 879 e n. 827 del 1988.
2.2. - Pure in tale giudizio si è costituita la Regione siciliana, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso della inammissibilità (per difetto di rilevanza) o quanto meno della infondatezza della questione. In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, l'Avvocatura sottolinea che il Manno ha impugnato, dinanzi al T.A.R. Sicilia, il decreto assessorile di annullamento d'un precedente atto che gli attribuiva, illegittimamente, la qualifica di dirigente superiore: nel giudizio di merito si discute, dunque, soltanto del provvedimento di autotutela; di qui, l'irrilevanza della questione di legittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1.-Entrambe le ordinanze di rimessione, emesse rispettivamente dal Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana e dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, denunciano, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 2 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, che nel novellare la precedente legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, recante <Nuove norme per il personale dell'amministrazione regionale>-ne ha sostituito l'art. 70, dettando una norma transitoria (per la <prima applicazione della legge>), in base alla quale tutti i posti previsti nella qualifica di dirigente superiore sono coperti dai dirigenti inquadrati in ruolo (alla data del 1° novembre 1985), previa valutazione dei titoli e un colloquio.
Verrebbero così discriminati, ai fini del conferimento della qualifica di dirigente superiore, i dipendenti provenienti dallo Stato che erano stati inquadrati in ruolo, con decorrenza 31 dicembre 1985, ai sensi della legge regionale 27 dicembre 1985, n. 53.
Le due ordinanze, ponendo la medesima questione di legittimità costituzionale, vanno riunite e decise con unica sentenza.
2.-Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità mossa dall'Avvocatura dello Stato con riguardo alla questione sollevata dal T.A.R. Sicilia: il giudice rimettente fornisce una motivazione plausibile sulla rilevanza che la questione di legittimità costituzionale può avere sull'esame del ricorso proposto dal Manno avverso il decreto che annulla l'atto di conferimento della qualifica di dirigente; e non vi è dubbio, infatti, che l'eventuale dichiarazione d'illegittimità costituzionale della novella introdotta dalla citata legge regionale n. 21 cambierebbe il quadro normativo assunto dal giudice di merito.
3. -Per chiarire i termini della questione, è necessario soffermarsi sulla cronologia delle leggi sinora richiamate.
Il 1° novembre 1985 entra in vigore la legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, che detta nuove norme per il personale dell'amministrazione regionale, disciplinandone ex novo lo stato giuridico e il trattamento economico.
L'art. 70 della riforma riguardava il corso di formazione per dirigente superiore. Poco dopo, con la legge regionale 27 dicembre 1985, n. 53, il personale dello Stato comandato presso l'amministrazione regionale è immesso in uno speciale ruolo transitorio con inquadramento al 31 dicembre 1985.
Ora, la legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, novellando l'art. 70 della riforma dell'ottobre 1985, innova la procedura per l'attribuzione della qualifica di dirigente superiore, ammettendo tutti i dirigenti, o equiparati, inquadrati nei ruoli regionali alla data del 1° novembre 1985, che abbiano un'anzianità di servizio di almeno dieci anni.
4.-Il punto decisivo della questione è, dunque, il termine del 1° novembre 1985.
Il 1° novembre 1985 è entrata in vigore la riforma del personale regionale di cui alla legge n. 41 dello stesso anno; nel frattempo, erano stati inquadrati in ruolo i dipendenti dello Stato in posizione di comando, per i quali l'art. 12 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, introduce, invero, una norma ad hoc (che equipara gli ex direttori aggiunti di divisione ai dirigenti superiori). L'art. 12 non risolve, però, la discriminazione denunciata dai giudici rimettenti: è certamente grave motivo di irrazionalità che la legge n. 21 non abbia considerato le posizioni di coloro i quali erano già immessi in ruolo, per volontà del legislatore regionale, sulla base di una valutazione positiva del servizio reso e dell'interesse pubblico a inquadrare (sia pure in un <ruolo speciale transitorio>) i dipendenti statali in posizione di comando.
Non vale eccepire la discrezionalità del legislatore, e il fatto che la norma denunciata introduce (rispetto al testo originario dell'art. 70, poi novellato) un trattamento di favore, che non sarebbe suscettibile di estensione. La salvaguardia di tale ambito di discrezionalità non esime questa Corte dall'accertare se non vi siano manifesti motivi di irrazionalità, e discriminazioni prive di fondamento giustificativo. Alla luce di quanto si è fin qui osservato, è evidente la violazione dell'art. 3 della Costituzione sia sotto il profilo della disparità di trattamento, a danno degli ex statali, sia sotto quello dell'intrinseca irrazionalità, per non aver adeguatamente ponderato il legislatore regionale, nel maggio del 1986, la situazione che si era determinata nei ruoli regionali con precedenti atti normativi, e in particolare con la legge, più volte menzionata, del 27 dicembre 1985, n. 53 (v. in generale, nella giurisprudenza di questa Corte, le sentenze nn. 313, 234, 51 del 1994, 250, 219 del 1993, 487 del 1991, 472, 369 e 347 del 1990).
Resta assorbita l'ulteriore censura mossa con riguardo all'art. 97 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della Regione siciliana 9 maggio 1986, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, recante <Nuove norme per il personale dell'Amministrazione regionale> e altre norme per il personale comandato, dell'occupazione giovanile e i precari delle unità sanitarie locali), nella parte in cui limita l'ammissione alla procedura per l'attribuzione della qualifica di dirigente superiore amministrativo ai dipendenti inquadrati in ruolo alla data del 1° novembre 1985, anzichè a quella di entrata in vigore di detta legge n. 21 del 1986.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/05/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 23/05/95.