SENTENZA N.347
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Puglia riapprovata il 5 marzo 1990 dal Consiglio regionale avente per oggetto: <Norme di attuazione dell'art. 5, sesto comma, della legge regionale 12 maggio 1980, n. 43> promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 21 marzo 1990, depositato in cancelleria il 28 successivo ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 1990.
Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell'udienza pubblica del 12 giugno 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il ricorrente e l'avv. Vincenzo Caputi Jambrenghi per la Regione.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 21 marzo 1990 il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la delibera legislativa della Regione Puglia, approvata il 29 luglio 1987 e riapprovata, a seguito del rinvio governativo, il 5 marzo 1990, recante "norme di attuazione dell'art. 5, sesto comma, della l.r. 12 maggio 1980, n. 43", sostenendone il contrasto con gli artt. 97 e 117 della Costituzione, quest'ultimo per la violazione degli artt. 1 e 4 della legge 29 marzo 1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego).
Gli antecedenti di fatto della questione sono i seguenti.
A seguito del trasferimento delle funzioni alle Regioni, operato con il d.P.R. n. 616 del 1977, la legge regionale 12 dicembre 1979, n. 76 aveva disciplinato la successione della Regione Puglia, con i poteri di cui all'art. 49 del citato d.P.R. n. 616, nella gestione dei Centri di servizio sociali e culturali, già della Cassa per il Mezzogiorno, i quali assumevano (art. 1) la denominazione di Centri di servizio e programmazione culturale regionale (C.S.P.C.R.) e venivano dotati, tra l'altro, di personale (operatori culturali) della carriera di concetto, in possesso del diploma di scuola media superiore, di 51 livello secondo l'ordinamento allora vigente (art. 4).
In seguito, con la l.r. 12 maggio 1980, n. 42, recante norme organiche per l'attuazione del diritto allo studio, la Regione Puglia (art. 16) aveva istituito e disciplinato il servizio di "educazione permanente" destinato prevalentemente agli adulti, all'uopo utilizzando le strutture dei predetti Centri che, mutata nuovamente la denominazione ed acquisita quella di Centri regionali dei servizi educativi e culturali (C.R.S.F.C.), venivano incaricati di ulteriori attività ( art. 17 l.r. n. 42/80), rispetto ai compiti già svolti dagli originari Centri di servizio e programmazione culturale regionale (C.S.P.C.R. - art. 2 l.r. n. 76/79).
La stessa l.r. n. 42/80 all'art. 26 stabiliva, poi, che al personale addetto a tali Centri andava riconosciuto il trattamento giuridico ed economico previsto dalle leggi regionali nn. 16 e 17 del 1980 (che, nel frattempo, avevano recepito il nuovo contratto collettivo), mentre le modalità di inquadramento venivano rinviate ad una successiva legge.
In attuazione del precetto suindicato la l.r. n. 9 del 1981 disponeva, quindi, l'inquadramento di questo personale nel 5° livello (art. 3).
Con la delibera legislativa ora impugnata lo stesso personale viene reinquadrato nel 6° livello di cui alla l.r. n. 16 del 1980, con decorrenza giuridica dal 1980 ed economica da primo giorno del mese successivo alla entrata in vigore della nuova disciplina, e ciò al fine di rendere il trattamento giuridico ed economico di quel personale (C.R.S.E.C.) omogeneo con quello dei dipendenti in servizio presso gli altri centri regionali (Centri di servizi e programmazione culturale regionale) che svolgono attività analoghe e che, in virtù di un provvedimento amministrativo della Giunta regionale del 1982, sono stati nel frattempo inquadrati nel 6° livello.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene, nel ricorso, il contrasto della delibera legislativa regionale impugnata con il principio della omogeneizzazione delle posizioni giuridiche dei pubblici dipendenti, dettato dalla legge quadro n. 93 del 1983 (art. 4).
La Regione, infatti, si proporrebbe di operare il reinquadramento ad un livello superiore di una ben individuata categoria di personale, laddove il principio ispiratore nella materia é quello della attribuzione dei dipendenti ai vari livelli retributivi in funzione unicamente dei requisiti posseduti, delle mansioni assolte e delle responsabilità a queste inerenti, ed a prescindere da qualsiasi riferimento a gruppi specifici di personale.
In più, il considerevole periodo di tempo, intercorso tra il primo inquadramento e quello ora oggetto di esame, costituirebbe, ad avviso del ricorrente, autonomo profilo di censura, perchè si introdurrebbe un serio fattore di turbativa nell'assetto ormai definito del personale regionale, in violazione dell'art. 97 Cost.
3.- Si é costituita in giudizio la Regione Puglia per resistere al ricorso e ribadire che l'iniziativa legislativa é stata determinata dalla necessità di perequare il trattamento economico di tutti gli operatori culturali, in servizio presso i centri regionali con identica posizione funzionale.
Era difatti avvenuto che il personale degli originari Centri (C.S.P.C.R.) era stato inquadrato nel 5° livello secondo l'ordinamento del 1974. Una volta recepito il nuovo contratto di lavoro per il triennio 1976-78 con la legge regionale n. 16 del 1980, la Giunta regionale limitatamente a quel personale operava una legittima trasposizione di livello, sulla base della coincidenza delle declaratorie funzionali, ed inquadrava i detti dipendenti nel 6° livello di cui alla citata legge regionale n. 16 del 1980 (v. delibera G.R. n. 4942 del 4 maggio 1982).
Invece, per il personale addetto al servizio di educazione permanente (servizio, quest'ultimo, istituita solo successivamente con la legge n. 42 del 1980) veniva previsto l'inquadramento nel 5° livello del nuovo ordinamento (l.r. n. 16 del 1980), mentre la identità delle mansioni svolte dai due gruppi di operatori culturali avrebbe imposto la omogeneizzazione dei relativi trattamenti economici, cui ha poi provveduto la legge regionale impugnata, che, nell'ovviare all'evidenziata ingiustizia, ha considerato che le strutture e il personale dei diversi Centri erano tutti confluiti nei "Centri regionali dei servizi educativi e culturali" (C.R.S.E.C.) e che il personale appartenente alla categoria presa a raffronto apparteneva alla qualifica terminale della carriera di concetto, secondo l'ordinamento (del 1974) vigente prima del contratto collettivo per il triennio 1976-78, cosicchè, una volta recepito quest'ultimo, anche il restante personale non poteva che essere inquadrato nel 6° livello della nuova disciplina (l.r. n. 16 del 1980).
Considerato in diritto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Puglia, riapprovata, a seguito di rinvio governativo, il 5 marzo 1990, con la quale gli operatori culturali in servizio presso i Centri regionali dei servizi educativi e culturali (C.R.S.E.C.), già inquadrati al 5° livello retributivo dall'art. 3 della legge regionale n. 19 del 1981, sono stati inquadrati al 6° livello.
Si sostiene la violazione, da parte di detta legge, dell'art. 117 della Costituzione nell'assunto che tale inquadramento contrasterebbe con il principio della omogeneizzazione delle posizioni giuridiche dei pubblici dipendenti (art. 4 della legge- quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983) perchè disposto nei confronti di una determinata categoria di personale, mentre i vari livelli retributivi dovrebbero essere stabiliti in via generale per tutte le categorie di personale, senza discriminazioni, sulla base di criteri comuni. Si assume altresì la violazione dell'art. 97 della Costituzione, perchè tale reinquadramento, che modifica quello disposto circa dieci anni prima, introdurrebbe un serio fattore di turbativa nell'assetto ormai definito del personale regionale.
2.-La questione sollevata in riferimento all'art. 117 della Costituzione ed alla norma interposta, costituita dall'art. 4 della legge n. 93 del 1983, è infondata.
Va precisato in proposito che i Centri regionali dei servizi educativi e culturali (C.R.S.E.C.), cui appartiene il personale in questione, furono istituiti con la legge regionale n. 42 del 1980, in materia di diritto allo studio, all'uopo utilizzando (art. 16 legge cit.) strutture dei Centri di servizio sociali e culturali (C.S.S.C.) della Cassa per il Mezzogiorno trasferiti alle regioni dal d.P.R. n. 616 del 1977 e di cui, in precedenza, la Regione Puglia, nel disciplinare le modalità del subentro al precedente ente gestore, con la legge regionale n. 76 del 1979 aveva modificato la denominazione in Centri di servizio e programmazione culturale regionale (C . S. P.C. R.) .
Senonchè - mentre gli operatori culturali di questi ultimi Centri, già inquadrati con la citata legge regionale n. 76 del 1979 al 5° livello, furono, al sopravvenire del nuovo contratto collettivo, reinquadrati nel 6° livello con delibera della Giunta regionale in data 24 maggio 1982, n. 4942-gli operatori culturali dei Centri regionali dei servizi educativi e culturali (C.R.S.E.C.), che pur costituivano un organismo derivato dai C.S.P.C.R., rimasero inquadrati nel 5° livello (art. 3, legge regionale n. 19 del 1981).
Come risulta dalla relazione che accompagna il disegno di legge regionale, questo tende ad eliminare tale sperequazione, allineando allo stesso livello personale omogeneo, attesa la provenienza dai medesimi Centri di servizi e le comuni mansioni.
Non appare perciò violato il principio di omogeneizzazione fissato dall'art. 4 della legge quadro sul pubblico impiego, perchè lo specifico riferimento ad una determinata categoria di personale, individuato in base all'appartenenza a specifici Centri di servizi, dipende proprio dalla finalità riequilibratrice che il provvedimento legislativo intende perseguire per allineare la categoria individuata ad altra categoria omogenea di personale.
3.-Da quanto precede discende, come naturale conseguenza, l'infondatezza della questione sollevata in riferimento all'art. 97 della Costituzione, nell'assunto che la legge impugnata, modificando dopo circa dieci anni il precedente inquadramento, sia pur con decorrenza degli effetti economici dalla sua entrata in vigore, costituirebbe fattore di turbativa nell'assetto ormai definito del personale regionale.
In proposito questa Corte (sentenza n. 56 del 1989) ha già espressamente escluso -proprio in relazione ad una legge regionale che aveva previsto una modifica del precedente inquadramento di proprio personale -il contrasto con l'art. 97 della Costituzione, ritenendo affidata al prudente apprezzamento del legislatore la possibilità di modificare l'assetto di certi rapporti definiti da leggi precedenti, quando ragionevolmente ritenga, e ciò risulti in concreto, che il nuovo inquadramento tenda a porre rimedio a pregresse situazioni di disparità: ipotesi questa che ricorre proprio nella specie, secondo quanto risulta dal punto precedente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Puglia, approvata il 29 luglio 1987 e riapprovata il 5 marzo 1990, recante <Norme di attuazione dell'art. 5, sesto comma, della legge regionale 12 maggio 1980, n. 43>, sollevate, in riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, nonchè agli artt. 1 e 4 della legge 29 marzo 1983, n. 93, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 20/07/90.