Commenti alla decisione di
I. Lucia Cavallini Cadeddu, I controlli sulla gestione delle autonomie nella sentenza della Corte costituzionale n. 267 del 2006 (per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)
II. Mario di Martino, La Corte “disegna” il quadro ordinamentale del sistema dei controlli (dal sito di )
SENTENZA N. 267
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 10 della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 19 maggio 2005, n. 10, recante “Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria e istituzione della relativa Autorità di vigilanza”, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 4 agosto 2005, depositato in cancelleria il successivo 9 agosto ed iscritto al n. 76 del registro ricorsi 2005.
Visto l’atto di costituzione della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;
udito nell’udienza pubblica del 16 maggio 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.
Ritenuto in fatto
1. ¾ Con ricorso notificato il 4 agosto 2005 e depositato il successivo 9 agosto, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 10 – e «delle altre disposizioni con tali articoli collegate» – della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 19 maggio 2005, n. 10, recante “Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria e istituzione della relativa Autorità di vigilanza”.
Il ricorrente osserva che la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha disciplinato, con la legge impugnata, l’istituzione ed il funzionamento dell’Autorità di vigilanza sulla gestione finanziaria e ciò – come fatto palese dall’art. 1 – in dichiarata «attuazione del combinato disposto degli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, primo comma, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), e al fine di assicurare il controllo sulla corretta gestione delle risorse collettive da parte della Regione, degli enti locali, dei loro enti ed aziende strumentali in qualsiasi forma costituiti».
Si evidenzia ancora nel ricorso che l’art. 2 della legge regionale istituisce, «presso il Consiglio regionale», la predetta Autorità di vigilanza, qualificandola come «organo imparziale che opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione»; Autorità che – a mente dell’art. 9 – risulta dotata di autonomia funzionale e organizzativa ed è composta da tre membri nominati dal Consiglio regionale, «per la verifica della correttezza della gestione finanziaria, con particolare riguardo ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità, della Regione e degli altri enti» innanzi ricordati. Inoltre, quanto alla durata della carica (quinquennale), alle cause ostative alla nomina e di incompatibilità per i suoi componenti, alla accettazione della nomina, alle dimissioni ed alla decadenza dei componenti stessi, provvedono, rispettivamente, gli art. 5, 6, 7 e 8 della stessa legge.
A sua volta, il successivo art. 10 individua i compiti dell’Autorità, prevedendo che ad essa, «nell’ambito dell’attività di verifica di cui all’art. 2 e nel rispetto della natura collaborativa del controllo esercitato», spetti «nei confronti della Regione e degli altri enti di cui all’art. 2: a) verificare la corretta gestione finanziaria; b) verificare la correttezza della gestione dei cofinanziamenti regionali per interventi sostenuti con fondi europei; c) formulare, a richiesta degli organi collegiali […], osservazioni sull’efficace ed efficiente gestione di procedure amministrative di particolare rilevanza e di interesse generale, riferendo tempestivamente sugli esiti dell’attività svolta agli enti richiedenti, anche al fine di stimolare processi di autocorrezione». Inoltre, alla medesima Autorità di vigilanza, spetta di: «a) valutare la realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione e dai settori programmatrici evidenziati nel bilancio della Regione; b) verificare la regolare tenuta della contabilità e la puntuale rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili della Regione; c) verificare l’attuazione, da parte della Regione e degli enti locali, della disciplina relativa al patto di stabilità interno previsto dalla normativa statale e regionale vigente».
Prosegue altresì il ricorrente osservando che l’art. 11 «attribuisce all’Autorità il potere di acquisizione di notizie, informazioni e documenti utili all’espletamento dei compiti di cui al precedente art. 10, nei confronti degli uffici della Regione e degli altri enti di cui all’art. 1; mentre il successivo art. 12 prevede che l’Autorità ha l’obbligo di riferire annualmente, entro il 31 marzo e con invio di apposita relazione, sugli esiti dei controlli al Consiglio Regionale ed ai Consigli dei Comuni e delle Comunità montane».
Nel rammentare che gli ulteriori articoli della legge contengono disposizioni «complementari» (concernenti i compensi spettanti ai componenti l’Autorità, la dotazione organica e strumentale, le spese di funzionamento e la copertura finanziaria), il ricorrente precisa però che l’art. 17 dispone che «le attività di verifica non si estendono peraltro agli atti del Consiglio regionale e dei suoi organi interni destinati all’esercizio dell’autonomia funzionale e organizzativa riconosciuta dallo Statuto speciale e dal regolamento interno del Consiglio».
Ad avviso della difesa erariale, le disposizioni della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste n. 10 del 2005, e segnatamente gli artt. 1, 2 e 10, si porrebbero in contrasto, anzitutto, con gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, nonché con gli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, primo comma, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, ed inoltre con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e con il “principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni”.
La legge denunciata, infatti, avrebbe inteso attribuire all’istituita Autorità di vigilanza una generalizzata «funzione di controllo sulla gestione dell’attività» della Regione e degli enti locali, a carattere «collaborativo» (art. 10), nella prospettiva propria del «controllo di gestione» e cioè «della verifica e della valutazione complessiva della economicità e della efficienza dell'azione amministrativa e dell’efficacia dei servizi erogati, in riferimento ai risultati conseguiti rispetto agli obiettivi programmati e tenendo conto delle procedure e dei mezzi utilizzati per il loro raggiungimento». Coerentemente con tale finalità si porrebbero i poteri di acquisizione di informazioni di cui l’Autorità è fornita (art. 11) e l’obbligo del medesimo organismo di «relazionare periodicamente i Consigli della Regione, dei Comuni e delle Comunità montane degli esiti del controllo effettuato» (art. 12).
Osserva, tuttavia, il ricorrente che il controllo successivo sulla gestione deve essere inquadrato «nel coordinamento della finanza pubblica unitariamente considerata – e della quale partecipano anche le Regioni, comprese quelle a statuto speciale» (sentenza n. 425 del 2004) –, «i cui principi postulano una applicazione uniforme per tutte le pubbliche amministrazioni, ivi comprese anche quelle regionali e degli altri enti pubblici locali».
E’ in siffatta prospettiva, prosegue l’Avvocatura, che viene in rilievo, coerentemente al disegno costituzionale (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997), l’art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), il quale presenta due «tratti fondamentali e caratterizzanti»: il primo concernente la «applicazione tendenzialmente uniforme a tutte le pubbliche amministrazioni (anche regionali e locali) delle nuove regole», proprio in vista «del fine ultimo dell’introduzione in forma generalizzata del controllo sulla gestione»; il secondo riguardante la «scelta dell’imputazione soggettiva del controllo in questione alla Corte dei Conti in considerazione del ruolo che detto Istituto è venuto assumendo nel tempo, come organo posto al servizio dello Stato-comunità, quale garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario del settore pubblico» (sentenza n. 470 del 1997).
Posto, quindi, che, in forza del terzo comma dell’art. 117 Cost., il coordinamento della finanza pubblica è materia di legislazione concorrente (come sarebbe confermato dal secondo comma dell’art. 119 Cost.), per cui allo Stato è riservata «la determinazione dei principi fondamentali nell’ambito e nel rispetto dei quali può legittimamente esplicarsi la potestà legislativa delle Regioni», la legge regionale censurata si sarebbe «profondamente discostata» da detti principi, avendo essa (art. 2) istituito «presso il Consiglio regionale» la ricordata Autorità di vigilanza «limitatamente alla gestione finanziaria degli organi e degli uffici della Regione autonoma Valle d’Aosta e degli altri enti indicati nel suo art. 1» ed avendo altresì attribuito alla medesima Autorità, in modo esclusivo, senza riferimento alcuno alla Corte dei conti e in assenza «di qualsiasi previsto raccordo funzionale, con la stessa o una sua Sezione», le funzioni ed i compiti di controllo sulla gestione (art. 10), «che invece sono dalla legge statale riferiti, con portata generalizzata per tutte le amministrazioni, unicamente alla Corte dei conti, nella evidenziata sua veste di garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario del complessivo ed unitario settore pubblico».
Del resto – si argomenta ancora nel ricorso – l’art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), chiarisce e conferma «la centralità del ruolo del controllo generalizzato sulla gestione affidato alla Corte dei conti», assegnando ad essa, in vista del coordinamento della finanza pubblica, compiti di verifica del «rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea».
E sebbene lo stesso comma 7 dell’art. 7 della legge n. 131 del 2003 disponga che «resta ferma la potestà delle Regioni a statuto speciale, nell’esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità», ciò deve essere tuttavia interpretato, ad avviso della difesa erariale, anzitutto nel senso che la «prevista riserva di potestà legislativa delle Regioni ad autonomia speciale presuppone (“nell’ambito delle rispettive competenze”) una esistente competenza legislativa regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica e del relativo controllo finanziario»; competenza, questa, di cui la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste non sarebbe fornita in base allo statuto di autonomia ed alle relative norme di attuazione. Inoltre, detta riserva di legislazione riguarderebbe unicamente l’introduzione di «particolari discipline», le quali «non possono estendersi sino alla “sostituzione” della Corte dei conti e quindi alla esclusione della stessa dall’esercizio della funzione di controllo della corretta gestione delle risorse collettive e quindi di garanzia dell’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva».
Il ricorrente sostiene, pertanto, che gli artt. 1, 2 e 10 – e «le conseguenti norme collegate» – della legge denunciata detterebbero una disciplina che, con tutta evidenza, si verrebbe a sovrapporre «alle funzioni del controllo proprie della Corte dei conti, le cui competenze non sono in alcun modo fatte salve». Peraltro, tali norme sarebbero il frutto di «una iniziativa del tutto unilaterale che deliberatamente ignora – in violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni ribadito anche nell’art. 120 Cost. – la avanzata elaborazione in sede di Commissione paritetica» tra lo Stato e la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, ai sensi dell’art. 48-bis dello statuto speciale, «di una specifica norma integrativa delle norme di attuazione dello Statuto stesso volta a prevedere proprio la istituzione di sezione regionale di controllo della Corte dei Conti nella Regione e l’esercizio da parte della stessa del controllo sulla gestione delle amministrazioni, regionale e locali».
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la legge impugnata – il cui art. 1 richiama a fondamento della complessiva disciplina gli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, primo comma, lettera f), dello statuto di autonomia e l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – non potrebbe neppure giustificarsi in base a detti parametri, i quali, anzi, sarebbero anch’essi violati.
Quanto, infatti, all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, si osserva che l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale delle disposizioni della medesima legge costituzionale che «prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» presupporrebbe che le Regioni ordinarie «abbiano acquisito potestà più ampie in determinati ambiti materiali: tra i quali non si colloca certamente quello del coordinamento della finanza pubblica nel quale lo Stato aveva e conserva (art. 117, terzo comma, Cost.) potestà di disciplina generale attraverso la emanazione dei principi fondamentali, nel rispetto dei quali va in ogni caso esercitata la potestà legislativa regionale».
In riferimento poi alle suddette norme statutarie, il ricorrente sostiene, anzitutto, che l’art. 2 attribuisce alla Regione, tra l’altro, la potestà legislativa nelle materie dell’ordinamento degli uffici e degli enti da essa dipendenti e dello stato giuridico ed economico del personale, nonché dell’ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni. Si tratterebbe, dunque, di «materie che, per tale loro definito oggetto, non attengono in alcun modo al coordinamento della finanza pubblica e nulla in realtà rilevano ai fini di fondare la prevista istituzione dell’Autorità di vigilanza e la attribuzione alla stessa del qui contestato controllo sulla gestione della Regione e degli enti indicati nell’art. 1 della legge n. 10 in difformità rispetto ai principi fondamentali in proposito della legislazione statale».
Quanto, poi, all’art. 3 dello statuto, che attribuisce alla Regione la potestà di emanare «in armonia con la Costituzione [...] norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica» anche «in materia di finanze regionali e comunali», esso tuttavia non consentirebbe «al legislatore regionale di introdurre forme di controllo finanziario sulle amministrazioni, regionale e locali, in difformità rispetto ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, dalla Costituzione riservati allo Stato e risultanti dalla legislazione statale».
Il ricorrente, infine, denuncia la legge impugnata, e in particolare gli artt. 1, 2 e 10, per violazione dell’art. 114 Cost. e degli artt. 2, primo comma, lettera a) e b), e 3, primo comma, lettera f), dello statuto di autonomia, nella parte in cui prevede che il controllo di gestione affidato alla Autorità di vigilanza venga esercitato «sugli enti locali e loro enti e aziende strumentali».
Si osserva, infatti, che le citate norme statutarie, come già del resto evidenziato, «non assegnano alla competenza legislativa primaria e tanto meno a quella integrativa» della Regione «la introduzione di forme di controllo finanziario come attribuite all’istituito Organismo regionale, in “deroga” alla funzione riservata dalla legislazione statale alla Corte dei conti». Peraltro, il previsto «assoggettamento dei predetti enti locali al controllo di gestione regionale e con la correlativa compressione della loro autonomia», si porrebbe in contrasto «con il principio di equiordinazione dei soggetti pubblici che costituiscono la Repubblica enunciato dall'art. 114 Cost.».
2. ¾ Si è costituita in giudizio la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, la quale, rinviando a successiva memoria l’esposizione delle proprie ragioni, ha concluso per il rigetto del ricorso «in quanto inammissibile, improcedibile e, comunque, infondato nel merito».
3. ¾ In prossimità dell’udienza, la Regione resistente ha depositato memoria con la quale insiste per una declaratoria di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della sollevata questione.
Quanto all’inammissibilità, essa deriverebbe dalla genericità dei motivi di ricorso, giacché, pur dolendosi lo Stato che la legge regionale n. 10 del 2005 violi i principi di coordinamento della finanza pubblica, tuttavia tali principi non sono «riferiti a precise disposizioni legislative», né, peraltro, sarebbero indicate le norme da cui desumere il preteso «principio di assoluta esclusività della competenza della Corte di conti in ordine al controllo sulla gestione». Generica e immotivata sarebbe anche la censura che evoca il contrasto con l’art. 114 Cost.
Nel merito, si osserva che «i controlli di gestione […] trovano titolo nella materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario quale insieme di strumenti atti a radicare e ad assicurare l’efficiente gestione delle risorse pubbliche». Pertanto, nell’attuale quadro costituzionale, deve aversi a tal fine riguardo ad una serie di parametri costituzionali (artt. 28, 97, 98 e 81 Cost.) «che confermano ulteriormente la necessità di un quadro organizzativo ed operativo vincolato alla garanzia del buon andamento, dell’imparzialità e dell’efficienza». Ad avviso della Regione, le ricordate norme costituzionali «risultano puntualmente e pienamente rispettate» dalla legge denunciata, non solo perché essa istituisce e disciplina «uno strumento atto a vagliare l’attività amministrativa regionale e locale sotto il profilo della sua funzionalità operativa e del suo rendimento al fine di accertare l’equilibrio costi-risultati attesi», ma altresì perché l’attività dell’Autorità di vigilanza, quale organo esterno e dotato di piena autonomia rispetto ai soggetti od organi controllati, «può consentire la tempestiva adozione di autonomi rimedi correttivi da parte di questi ultimi per correggere ed orientare fin da subito l’azione pubblica, e ciò prima ancora che vi provveda la Corte dei conti».
Sicché, prosegue la resistente, non sarebbe dato comprendere la ragione per cui – «nel quadro di rafforzata autonomia risultante dalla revisione costituzionale del 2001 e alla stregua dei principi statutari» – dalle disposizioni legislative statali che intestano alla Corte dei conti il controllo sulla gestione «debba desumersi il principio di coordinamento che precluderebbe alla Regione Valle d’Aosta di istituire autonomi sistemi di controllo sulla gestione, basati sulle richiamate attribuzioni statutarie», tra cui la competenza esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, considerato, peraltro, che l’art. 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003 espressamente prevede che «resta ferma la potestà delle Regioni a statuto speciale, nell’esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità».
Invero, si sostiene nella memoria, «proprio per il suo tenore letterale e per l’assenza di qualsiasi indizio di segno contrario, la legge regionale non solo ammette ma anzi impone all'interprete di offrirne un’interpretazione costituzionalmente orientata», la quale condurrebbe ad affermare che non sussiste «alcun motivo di temere che venga in qualche modo compromesso il ruolo della Corte dei conti». La Regione deduce quindi che «le competenze della Corte dei conti nell’ambito della Regione Valle d’Aosta restano, infatti, disciplinate dall’art. 3 della legge n. 20 del 1994, le quali non sono state certo abrogate dalla legge regionale n. 10 del 2005». Quest’ultima, dunque, dovrebbe reputarsi legittima proprio sulla base dell’art. 117, terzo comma, Cost. e degli artt. 2, comma primo, lettere a) e b), e 3, comma primo, lettera f), dello statuto di autonomia, in un’ottica di «autonoma organizzazione dei controlli amministrativi nell’ambito della Regione», avendo affidato «ad un organo terzo ed autonomo compiti di verifica sulla gestione che non possono qualificarsi “sostitutivi” rispetto al controllo esercitato dalla Corte dei conti».
Pertanto, secondo la difesa regionale, la legge denunciata, «lungi dal sostituire le competenze proprie della Corte dei conti, si muove proprio nell’ottica del “confronto collaborativo”», giacché introduce «uno strumento parallelo rispetto all’attività propria della Corte dei conti, atto a monitorare da vicino le dinamiche gestionali rispetto agli interessi ed alle esigenze proprie della collettività, non solo a livello regionale, ma anche a livello locale, senza con ciò ledere l’autonomia degli enti locali».
La legge regionale n. 10 del 2005, prosegue la resistente, sarebbe stata emanata, dunque, nell’esercizio del «compito affidatole dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione, secondo il quale, in materia di coordinamento della finanza pubblica, la potestà legislativa spetta alle Regioni, tanto più con riferimento alle attribuzioni della Valle d’Aosta, titolare di una competenza legislativa primaria in materia di “ordinamento degli enti locali” (art. 2, primo comma, lettera b, dello Statuto)». Sarebbe, quindi, destituito di fondamento, ad avviso della Regione, l’assunto sul quale si impernia il ricorso, giacché muoverebbe dall’errato presupposto «di ritenere che l’attribuzione all’Autorità di vigilanza del potere di vigilare sulla corretta gestione economico-finanziaria della Regione e degli enti locali in genere escluda o comunque sostituisca il compito assegnato dalla Costituzione e dalla legge n. 20 del 1994 alla Corte dei conti, laddove invece si allinea ad essa nel pieno spirito collaborativo espressamente indicato dall’art. 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003» e dalla giurisprudenza costituzionale.
In riferimento poi alla censura che evoca la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni di cui all’art. 120 Cost., per aver la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste «disatteso i lavori della Commissione Paritetica per l’approvazione di una norma di attuazione dello Statuto ex art. 48-bis in vista della costituzione della sezione regionale della Corte dei conti sul territorio valdostano», essa sarebbe inammissibile e, comunque, infondata, giacché apoditticamente motivata, senza fornire alcuna prova documentale da cui poter «evincere con certezza che l’argomento sia stato effettivamente oggetto di discussione e che sia stato realmente raggiunto un punto di incontro tra le parti».
Considerato in diritto
1. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha denunciato la legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 19 maggio 2005, n. 10, recante “Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria e istituzione della relativa Autorità di vigilanza”.
La legge impugnata disciplina l’istituzione ed il funzionamento dell’Autorità di vigilanza sulla gestione finanziaria e ciò – come evidenziato dall’art. 1 – in dichiarata attuazione del combinato disposto degli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, primo comma, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) «al fine di assicurare il controllo sulla corretta gestione delle risorse collettive da parte della Regione, degli enti locali, dei loro enti ed aziende strumentali in qualsiasi forma costituiti».
All’Autorità di vigilanza – istituita, secondo l’art. 2, «presso il Consiglio regionale» e qualificata come «organo imparziale che opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione» – sono affidati i compiti individuati dall’art. 10, i quali, in sintesi, riguardano: la verifica della corretta gestione finanziaria; la formulazione, a richiesta, di osservazioni sull’efficace ed efficiente gestione di procedure amministrative di particolare rilevanza e di interesse generale, anche al fine di stimolare processi di autocorrezione; la valutazione circa la realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione e dai settori programmatici evidenziati nel bilancio della Regione; la verifica dell’attuazione, da parte della Regione e degli enti locali, della disciplina relativa al patto di stabilità interno previsto dalla normativa statale e regionale vigente.
Le altre disposizioni regolano aspetti concernenti l’attività e l’organizzazione dell’Autorità e lo status dei suoi componenti.
Secondo il ricorrente, la legge regionale n. 10 del 2005, nei suoi artt. 1, 2 e 10 – e nelle «altre disposizioni con tali articoli collegate» – violerebbe anzitutto gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Posto, infatti, che il coordinamento della finanza pubblica è materia di legislazione concorrente, le norme denunciate si sarebbero «profondamente discostate» dai principi desumibili dagli artt. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), e 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2003, n. 3), in tema di controllo sulla gestione, avendo istituito ed attribuito all’Autorità di vigilanza, in modo esclusivo, senza riferimento alcuno alla Corte dei conti e in assenza «di qualsiasi previsto raccordo funzionale, con la stessa o una sua Sezione», le funzioni ed i compiti di controllo di gestione, «che invece sono dalla legge statale riferiti, con portata generalizzata per tutte le amministrazioni, unicamente alla Corte dei conti», nella sua «veste di garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario del complessivo ed unitario settore pubblico». Tale disciplina si verrebbe a sovrapporre «alle funzioni del controllo proprie della Corte dei conti, le cui competenze non sono in alcun modo fatte salve».
Sussisterebbe poi la violazione degli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale, in quanto:
– l’art. 2 si riferisce, tra l’altro, alla potestà legislativa regionale nelle materie dell’ordinamento degli uffici e degli enti da essa dipendenti, nonché dell’ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni e, dunque, non riguarderebbe materie attinenti al coordinamento della finanza pubblica e non potrebbe quindi essere richiamato a fondamento della prevista istituzione dell’Autorità di vigilanza;
– l’art. 3, che attribuisce alla Regione la potestà di emanare «in armonia con la Costituzione [...] norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica» anche «in materia di finanze regionali e comunali», non consentirebbe comunque «al legislatore regionale di introdurre forme di controllo finanziario sulle amministrazioni, regionale e locali, in difformità rispetto ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica dalla Costituzione riservati allo Stato e risultanti dalla legislazione statale».
Inoltre sarebbe violato l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, giacché l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale delle disposizioni della medesima legge costituzionale che «prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» presupporrebbe che le Regioni ordinarie abbiano acquisito potestà più ampie in determinati ambiti materiali: tra i quali non si colloca certamente quello del coordinamento della finanza pubblica nel quale lo Stato aveva e conserva potestà di disciplina generale attraverso la emanazione dei principi fondamentali.
Sarebbe vulnerato anche il «principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni», in quanto le norme censurate sarebbero il frutto di una iniziativa del tutto unilaterale che deliberatamente ignorerebbe la avanzata elaborazione in sede di Commissione paritetica tra lo Stato e la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, ai sensi dell’art. 48-bis dello statuto speciale, «di una specifica norma integrativa delle norme di attuazione dello Statuto stesso, volta a prevedere proprio la istituzione di sezione regionale di controllo della Corte dei Conti nella Regione e l’esercizio da parte della stessa del controllo sulla gestione delle amministrazioni, regionale e locali».
Ed ancora, le stesse norme denunciate, nella parte in cui è previsto che il controllo di gestione affidato alla Autorità di vigilanza venga esercitato «sugli enti locali e loro enti e aziende strumentali», violerebbero, in primo luogo, le innanzi citate disposizioni statutarie, in quanto, come detto, esse «non assegnano alla competenza legislativa primaria e tanto meno a quella integrativa» della Regione «la introduzione di forme di controllo finanziario come attribuite all’istituito Organismo regionale, in “deroga” alla funzione riservata dalla legislazione statale alla Corte dei conti».
Infine, sussisterebbe contrasto con l’art. 114 della Costituzione, giacché il previsto «assoggettamento dei predetti enti locali al controllo di gestione regionale e con la correlativa compressione della loro autonomia», contrasterebbe «con il principio di equiordinazione dei soggetti pubblici che costituiscono la Repubblica».
2. ¾ Deve essere esaminata, anzitutto, l’eccezione di inammissibilità della sollevata questione che la difesa della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste imputa alla genericità dei motivi di ricorso, assumendo che la dedotta violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica mancherebbe di un riferimento a «precise disposizioni legislative», così come non sarebbero indicate le norme da cui desumere il preteso «principio di assoluta esclusività della competenza della Corte di conti in ordine al controllo sulla gestione»; mentre generica e immotivata sarebbe anche la censura che evoca il contrasto con l’art. 114 Cost.
L’eccezione non può trovare accoglimento, giacché il ricorso governativo soddisfa i requisiti che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le più recenti, sentenze n. 450 e n. 360 del 2005 e n. 213 del 2003), devono essere rispettati affinché la questione sollevata in via principale possa scrutinarsi nel merito. L’atto introduttivo del presente giudizio, infatti, oltre ad aver identificato esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando i parametri costituzionali e le norme ordinarie di principio che si pretendono violate – ravvisando queste ultime negli artt. 3 della legge n. 20 del 1994 e 7 della legge n. 131 del 2003 –, fornisce, a sostegno delle censure, adeguate argomentazioni a chiarimento delle ragioni che fondano la richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge denunciata.
3. ¾ Nel merito, la questione non è fondata.
4. ¾ Il ricorso muove dall’assunto che l’Autorità di vigilanza istituita e disciplinata dalla legge regionale denunciata venga a sovrapporsi alle funzioni e compiti del controllo propri della Corte dei conti, quale organo «garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario del complessivo ed unitario settore pubblico».
Un tale assunto non può essere condiviso: ben differenti, infatti, sono i fini per i quali operano ed i piani su cui si collocano la Corte dei conti, da un lato, e l’Autorità di cui alla legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste n. 10 del 2005, dall’altro.
Occorre, a tal fine, rammentare che, in base all’art. 3 della legge n. 20 del 1994, il controllo sulla gestione, differenziandosi dal controllo interno “di gestione”, concomitante all’azione della pubblica amministrazione e di natura amministrativa, costituisce un controllo successivo ed esterno all’amministrazione, di natura imparziale e collaborativa.
L’estensione di tale controllo a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le Regioni e gli enti locali, è il frutto di una scelta del legislatore che ha inteso superare la dimensione un tempo “statale” della finanza pubblica riflessa dall’art. 100 Cost. ed ha riconosciuto alla Corte dei conti, nell’ambito del disegno tracciato dagli artt. 97, primo comma, 28, 81 e 119 (nel testo originario) Cost., il ruolo di organo posto al servizio dello “Stato-comunità”, quale garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997).
La disciplina posta dalla legge n. 20 del 1994 ha assunto peraltro maggior rilievo a seguito dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, tra cui, in particolare, l’obbligo imposto agli Stati membri di rispettare un determinato equilibrio complessivo del bilancio nazionale, secondo quanto precisato dalla risoluzione del Consiglio europeo del 17 giugno 1997 relativa al “patto di stabilità e crescita”. A tali vincoli si riconnette essenzialmente la normativa nazionale sul “patto di stabilità interno”, il quale coinvolge Regioni ed enti locali nella «realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica» scaturenti, appunto, dalla ricordata risoluzione e che è stato diversamente modulato negli anni in forza di disposizioni legislative che, in ogni caso, a partire dalla legge n. 289 del 2002 (finanziaria 2003), sono qualificate come «princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione».
In linea di continuità si pone, quindi, l’art. 7, commi da 7 a 9, della legge n. 131 del 2003, che, nel mutato quadro costituzionale, a seguito della riforma del Titolo V, valorizza, in un’ottica collaborativa, il controllo sulla gestione, attribuendo alla Corte dei conti, «ai fini del coordinamento della finanza pubblica», il compito di verificare «il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea». Una previsione, quest’ultima, che va letta anche nella prospettiva di quanto stabilito dall’art. 248 del Trattato CE, in ordine al controllo negli Stati membri della Corte dei conti europea, da effettuarsi «in collaborazione con le istituzioni nazionali di controllo».
In tale più ampio, ma unitario contesto, essenzialmente volto a salvaguardare l’equilibrio complessivo della finanza pubblica, si inserisce il controllo affidato alle sezioni regionali della Corte dei conti dal comma 7 del citato art. 7, secondo cui è compito delle predette sezioni verificare, «nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni», riferendo sugli esiti delle verifiche «esclusivamente ai consigli degli enti controllati».
Risulta, quindi, evidente che la possibilità data, dal già richiamato comma 7 dell’art. 7 della legge n. 131 del 2003, alle Regioni a statuto speciale, «nell’esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità», non pone in nessun caso in discussione la finalità di uno strumento, quale il controllo sulla gestione delle risorse collettive, affidato alla Corte dei conti, in veste di organo terzo (sentenza n. 64 del 2005) a servizio dello “Stato-comunità” (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997), che garantisca il rispetto dell’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva. Del resto, la necessità di coordinamento della finanza pubblica, nel cui ambito materiale si colloca il controllo esterno sulla gestione, riguarda pure le Regioni e le Province ad autonomia differenziata, non potendo dubitarsi che anche la loro finanza sia parte della “finanza pubblica allargata”, come già affermato da questa Corte (in particolare, sentenza n. 425 del 2004).
Nel richiamato quadro ordinamentale, lo Stato e la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dovranno dunque provvedere, secondo la procedura di cui all’art. 48-bis dello statuto valdostano, all’istituzione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
5. ¾ Come detto, diverso è il piano su cui si colloca e differenti sono i fini che caratterizzano l’attività dell’Autorità di vigilanza istituita dalla impugnata legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste n. 10 del 2005.
Anzitutto, come fatto palese dalle disposizioni censurate, detta Autorità, in quanto espressione dell’ordinamento regionale, agisce nell’interesse esclusivo della Regione alla corretta gestione delle risorse finanziarie destinate ai bisogni della propria collettività. Peraltro, non è senza rilievo che i componenti dell’Autorità (tre membri nominati dal Consiglio regionale) siano privi delle garanzie costituzionali di indipendenza, proprie, invece, dei componenti della Corte dei conti (art. 100, terzo comma, Cost.).
Trattandosi, poi, di un controllo ovviamente limitato alle gestioni di carattere regionale e locale, esso non è in grado di invadere l’ambito del controllo che, a fini di coordinamento dell’intera finanza pubblica anche con riguardo al rispetto dei vincoli comunitari, soltanto le Sezioni regionali della Corte dei conti, in quanto componenti dell’unitario sistema di controlli esercitati dalla stessa Corte nel suo complesso, possono perseguire.
In definitiva, le disposizioni denunciate, configurando un’Autorità di vigilanza che svolge un’attività di controllo interno alla Regione, a fini di collaborazione con il Consiglio regionale, presso il quale risulta istituita, e che non si sovrappone, né pone limitazioni a quella di livello unitario da esercitarsi dalla Corte dei conti, si collocano nell’ambito delle previsioni di cui agli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, comma primo, lettera f), dello statuto di autonomia, e cioè delle materie, rispettivamente, dell’ordinamento degli uffici regionali e degli enti locali e dell’attuazione ed integrazione delle leggi della Repubblica in tema di finanze regionali e comunali.
Di qui, l’insussistenza del contrasto con gli evocati parametri di cui agli artt. 114, 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione e della dedotta violazione del principio di leale collaborazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 10 della legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 19 maggio 2005, n. 10 (Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria e istituzione della relativa Autorità di vigilanza), sollevata, in riferimento agli artt. 114, 117, terzo comma, 119, secondo comma, e 120 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) ed agli artt. 2, primo comma, lettere a) e b), e 3, primo comma, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2006.