SENTENZA N. 64
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 25 febbraio 2003, depositato in cancelleria il 7 marzo 2003 ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2004 il giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 25 febbraio 2003, e depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 7 marzo 2003, la Regione Veneto ha chiesto a questa Corte di dichiarare, fra l’altro, l’illegittimità dell’art. 23 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) in relazione all’art. 117 Cost. per indebita invasione della propria sfera di competenza legislativa concorrente in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, e in relazione all’art. 97 Cost. per l’incerta finalità della norma.
La Regione ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117 Cost. perché la norma impugnata – stabilendo che i provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni pubbliche sono trasmessi agli organi di controllo e alla competente Procura della Corte dei conti – pone una disciplina molto specifica, che non lascia margini alla potestà legislativa della Regione.
Afferma la Regione Veneto che, già nella vigenza del precedente titolo V della Costituzione, la giurisprudenza costituzionale definiva i principî che si impongono alla legislazione regionale concorrente come quei generali criteri che informano la disciplina legislativa statale del settore e precisava che questi devono riguardare in ogni caso il modo di esercizio della potestà legislativa regionale e non comportare l’inclusione o l’esclusione di singoli settori della materia nell’ambito di essa: la disposizione impugnata non conterrebbe, quindi, principî fondamentali, ma una normativa di semplice dettaglio.
La Regione ricorrente lamenta inoltre la violazione dell’art. 97 Cost., perché la disposizione in discorso pone in capo alle pubbliche amministrazioni un nuovo incombente – la trasmissione agli organi di controllo e alla Procura della Corte dei conti dei provvedimenti di riconoscimento di debito – di cui non è chiara la finalità.
Non si chiarisce infatti né quali siano le attività che l’organo di controllo o la procura contabile possano porre in essere una volta presa visione dell’atto né quali conseguenze derivino dal mancato invio.
2.– Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ministero dell’Avvocatura generale dello Stato, assumendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
La questione sarebbe inammissibile per mancata indicazione delle norme della Costituzione violate, mentre sarebbe infondata perché l’obbligo di trasmissione dei provvedimenti di riconoscimento di debito è previsto per consentire il controllo da parte della Corte dei conti su quei pagamenti che non trovano la loro giustificazione in atti di impegno e quindi nei casi in cui non sono state rispettate le norme di contabilità.
Si tratterebbe pertanto di materia che rientra in quella degli “organi dello Stato” (nella quale va inclusa non solo la loro struttura, ma anche il loro funzionamento) o della “giustizia amministrativa”: non a caso la Regione non ha indicato alcun parametro costituzionale, perché sarebbe stato necessario individuare una norma che attribuisca alle Regioni la potestà legislativa sui controlli esterni a se stessa.
3.– Nell’imminenza dell’udienza hanno depositato distinte memorie sia la Regione Veneto, sia la Presidenza del Consiglio dei ministri.
La prima, nell’ammettere che il legislatore statale può imporre vincoli alle politiche di bilancio, che comprimano l’autonomia regionale, precisa che tali limitazioni, per essere costituzionalmente legittime, devono avere carattere transitorio ed essere concepite in vista di specifici obiettivi, purché vengano salvaguardati gli spazi di autonomia riconosciuti a Regioni ed enti locali e per evitare che il testo costituzionale venga vulnerato in forza di ormai perniciose crisi di bilancio (sentenze n. 36 del 2004 e n. 376 del 2003).
Secondo la difesa regionale il potere statale di coordinamento della finanza pubblica sarebbe un potere a carattere finalistico, si svolgerebbe esclusivamente mediante la posizione di “principî fondamentali”, potrebbe svolgersi attraverso l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di rilevazione dati e di controllo e non potrebbe mai trasformarsi in attività di direzione o di indebito condizionamento dell’attività degli enti autonomi.
Inoltre, con il nuovo titolo V della Costituzione, sarebbero stati soppressi i controlli esterni, quelli interni ricadrebbero nell’ambito della sfera di autonomia organizzativa della Regione, mentre quelli della Corte dei conti sarebbero limitati solo alla gestione.
Afferma, infine, la Regione che, per quanto riguarda l’obbligo di trasmissione dei provvedimenti di riconoscimento del debito “alla competente Procura della Corte dei conti”, sussistono già, nell’ambito dell’ordinamento, l’obbligo di denuncia proprio dei funzionari preposti agli uffici in cui si articolano le amministrazioni.
La difesa erariale, nel sostenere l’inammissibilità del ricorso, osserva che il richiamo alla materia “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” non ha alcuna attinenza con la norma impugnata, che introduce solo un obbligo di comunicazione successivo alla redazione del bilancio e alla effettuazione delle spese. I provvedimenti di riconoscimento di debito sono formati per costituire un titolo di pagamento fino ad allora mancante e provocano diffidenza perché presuppongono che non siano state seguite le formalità per ordinare le spese stesse.
Secondo l’Avvocatura la funzione della norma è meramente informativa, poiché presuppone che già operino disposizioni sul controllo dei vari enti e che sia prevista la competenza della Corte dei conti. La materia entro la quale ricondurre la norma è quella del coordinamento informativo, che l’art. 117, secondo comma, lettera r) attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato.
La questione sarebbe comunque infondata anche qualora si ammettesse che la materia sia quella della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, dal momento che la norma impugnata non può essere considerata di dettaglio, perché si limita ad imporre a tutti gli enti che rientrano nella finanza pubblica un obbligo di informazione in modo che il coordinamento sia effettivo: i controlli sarebbero solo quelli previsti dalla legislazione già in vigore, mentre i doveri di informazione si pongono l’obiettivo di renderli possibili in modo organico.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto ha impugnato, fra gli altri, l’art. 23, quinto comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), perché lo stesso, laddove stabilisce in modo specifico e preciso che i provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni pubbliche sono trasmessi agli organi di controllo e alla competente Procura della Corte dei conti, non lasciando margini alla potestà legislativa della Regione, e non chiarendo la finalità di tale trasmissione, dal momento che non dice né quali siano le attività che l’organo di controllo o la procura contabile possono porre in essere una volta presa visione dell’atto, né quali conseguenze derivino dal mancato invio, violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, che riserva alla legislazione concorrente della Regione la materia “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, e l’art. 97 della Costituzione, che stabilisce che i pubblici uffici sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
2.– In via preliminare va disattesa la censura di inammissibilità del ricorso, sollevata dall’Avvocatura erariale per mancata indicazione delle norme costituzionali asseritamente violate, dal momento che dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio risulta l’indicazione dei parametri costituzionali che giustificherebbe la pronuncia di incostituzionalità richiesta e, precisamente, gli articoli 97 e 117, terzo comma, della Costituzione (il primo invocabile dalla Regione in quanto la affermata violazione ridonderebbe in una lesione dell’autonomia della Regione, vincolata nella sua attività all’osservanza delle norme impugnate).
3.– Passando all’esame del merito, il ricorso è infondato sulla base delle considerazioni che seguono.
3.1.– La norma impugnata – secondo cui i provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente procura della Corte dei conti – è espressione di un principio fondamentale in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica” (che è materia affidata alla competenza ripartita di Stato e Regioni), tendente a soddisfare esigenze di contenimento della spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno.
Questa Corte ha avuto infatti modo di affermare che non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, pur se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti, da ciò facendo derivare – nell’esaminare una norma della legge finanziaria del 2002 (art. 24 della legge n. 448 del 2001) – la legittimità della trasmissione a fini di controllo al Ministero dell’economia da parte di regioni, province e comuni, di informazioni relative ad incassi e pagamenti effettuati (sentenza n. 36 del 2004).
Orbene, se rientra nei limiti delle norme che lo Stato ha la competenza ad emanare nella materia del coordinamento della finanza pubblica, la previsione di un’ingerenza, nell’attività di Regioni ed enti locali, esercitata da un organo dello Stato, a maggior ragione deve ritenersi legittimo il controllo svolto da un organo terzo quale è la Corte dei conti.
E’ vero che, con il nuovo titolo V della Costituzione, i controlli di legittimità sugli atti amministrativi degli enti locali debbono ritenersi espunti dal nostro ordinamento, a seguito dell’abrogazione del primo comma dell’art. 125 e dell’art. 130 della Costituzione, ma questo non esclude la persistente legittimità, da un lato, dei c.d. controlli interni (cfr. art. 147 del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000) e, dall’altro, dell’attività di controllo esercitata dalla Corte dei conti, legittimità già riconosciuta da una molteplicità di decisioni di questa Corte sulla base di norme costituzionali diverse da quelle abrogate (cfr. sentenze nn. 470 del 1997; 335 e 29 del 1995), fra le quali proprio l’art. 97 della Costituzione, invocato quale ulteriore parametro con il quale contrasterebbe la norma impugnata.
Quest’ultima, assoggettando una tipologia di provvedimento indice di possibili patologie nell’ordinaria attività di gestione ad un controllo rispettoso dell’autonomia locale e venendo altresì incontro alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno, è conforme al principio di buon andamento delle pubbliche amministrazioni.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunzie ogni decisione sulle ulteriori questioni sollevate dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), in riferimento agli articoli 117 e 97 della Costituzione, sollevata dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2005.