Mario di Martino[1]

La Corte “disegna” il quadro ordinamentale del sistema dei controlli.

 

1.  Con la sentenza in esame, n. 267 del 2006, la Corte Costituzionale torna ad occuparsi delle problematiche connesse all’autonomia finanziaria delle Regioni, con particolare riguardo al sistema dei controlli.

Si tratta di una pronuncia che, dopo aver ricostruito un puntuale quadro del sistema dei controlli sulla gestione finanziaria delle amministrazioni pubbliche, traccia i confini tra due diverse forme di controllo (di e sulla gestione).

Motivo di fondo del contendere è la possibile sovrapposizione delle funzioni e dei compiti esercitati dall’Autorità di vigilanza istituita dall’impugnata legge della Regione Valle d’Aosta n. 10 del 2005[2] rispetto a quelli previsti a favore della Corte dei conti, in violazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica e del principio di leale collaborazione.

Nel respingere le doglianze della difesa erariale, la Consulta dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento alla legge della Valle d’Aosta che disciplina l’istituzione e il funzionamento dell’Autorità di vigilanza sulla gestione finanziaria avente la finalità di assicurare il controllo sulla corretta gestione delle risorse collettive da parte della Regione, degli enti locali e dei loro enti ed aziende strumentali.

Il Giudice costituzionale sottolinea come l’Autorità di vigilanza agisca nell’interesse esclusivo della Regione avendo quale scopo precipuo la corretta gestione delle risorse finanziarie destinate alle esigenze della collettività di riferimento; tale controllo, limitato alle gestioni di carattere regionale e locale, si inquadra nell’ambito dei controlli interni, ponendosi su un piano diverso rispetto a quello esercitato dalla Corte dei conti (e dalle sue sezioni regionali) rivolto al coordinamento dell’intera finanza pubblica e finalizzato al rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

 

2.  I principi costituzionali disegnati nella Costituzione del 1948 in materia di controlli hanno dato origine ad un’esperienza applicativa fortemente deludente oltre che tardiva[3].

Nell’ambito di un complesso programma di riforma dell’Amministrazione pubblica, il legislatore ha progressivamente modificato il quadro normativo, soprattutto a partire dagli anni novanta, nell’ottica di un graduale superamento dei controlli preventivi di legittimità sugli atti delle Regioni e degli enti locali[4].

Il modello del controllo preventivo di legittimità per singoli atti, previsto dagli articoli 125, comma 1, e 130 della Costituzione, lascia il passo gradualmente ad una nuova tipologia di controlli finalizzati ad una valutazione sul rendimento e sull’efficacia dell’azione amministrativa, anche in chiave di autocorrezione e di autotutela degli enti[5].

Come ricordato dalla Consulta a partire dalla sentenza n. 29 del 1995[6], in questa fase si consolida il ruolo della Corte dei conti nella sfera del controllo successivo, funzione che deve atteggiarsi quale attività di referto agli organi assembleari dello Stato, delle Regioni e degli enti locali con carattere precipuamente collaborativo ed ausiliario, senza vincolare l’autonomia degli enti[7].

In questa linea evolutiva dell’assetto dei controlli pubblici, è intervenuta la riforma del Titolo V della Parte II della Carta costituzionale con l’abrogazione degli articoli 125, comma 1, e 130 della Costituzione che fa venir meno l’aggancio costituzionale con un modello, seppur in stato di irreversibile obsolescenza, di tipo gerarchico e preventivo[8].

All’indomani dell’entrata in vigore della novella costituzionale si è sviluppato un confronto dottrinale, su posizioni divergenti, in merito agli effetti che le abrogazioni delle disposizioni costituzionali avevano determinato sul sistema dei controlli degli enti ad autonomia territoriale, così come disciplinati dalla legislazione ordinaria[9], posto che la Costituzione riformata contempla espressamente il solo “controllo” sostitutivo del Governo secondo quanto enunciato nell’articolo 120, comma 2, Cost.[10].

Pur non mancando interpretazioni da parte della dottrina[11] secondo cui tale abrogazione avrebbe semplicemente privato di copertura costituzionale la disciplina ordinaria, senza peraltro determinare la perdita di efficacia sulla vigenza di quest’ultima, è prevalsa una lettura del diritto positivo che consideri e bilanci, da un lato, il potenziamento e la valorizzazione delle autonomie territoriali (secondo i principi contenuti nell’art. 114 Cost.) e, dall’altro, la modifica di un sistema dei controlli, in particolare esterni, che trova la sua ratio in principi costituzionali il cui vigore rimane immutato, a partire da quelli fondati sugli artt. 97 e 81, fino a giungere alla cornice costituzionale in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali tracciata dall’art. 119.

In uno Stato riformato in senso federale si valorizza così, da un lato, un sistema di controlli interni[12], attraverso il quale si esplica l’autonomia dell’ente e, dall’altro, si rafforza un sistema di controlli esterni e successivi, sugli equilibri e la gestione finanziaria nonché sul funzionamento dei controlli interni, esercitato in chiave collaborativa e ausiliaria dalla Corte dei conti.

Come emerge dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, nel ricercare i necessari riferimenti da porre a fondamento di una funzione di controllo di carattere finanziario da parte della Corte dei conti, si è convenuto che nella declinazione della nozione e della materia “coordinamento della finanza pubblica”[13], rientrante nella legislazione a competenza concorrente, possa iscriversi un ruolo proprio di quest’ultima[14].

A conferma di tale orientamento, la legge n. 131 del 2003, nel definire i profili applicativi della riforma costituzionale, detta precise regole riguardanti la materia dei controlli confermando sostanzialmente le competenze della Corte dei conti in materia di controllo sulla gestione nei confronti degli enti autonomi.

     Attraverso l’art. 2 della legge 131/2003, contenente la delega per l’adeguamento della normativa statale alla Costituzione riformata, si riconosce la centralità della potestà statuaria degli enti locali e, quindi, del loro potere normativo, confermando la prevalente linea di tendenza legislativa che riserva all’autonomia organizzativa e normativa dell’ente locale la materia dei controlli.

     Alla Corte dei conti è assegnato il compito di verificare “in un’ottica collaborativa”, il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al Patto di stabilità interno ed ai vincoli di appartenenza all’Unione europea; tale verifica, avente per oggetto gli andamenti generali del sistema di finanza territoriale, sfocia in una funzione di referto al Parlamento[15].

     Alle sezioni regionali, invece, è assegnato il compito di verificare il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali o regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria nonché il funzionamento dei controlli interni. Le verifiche sul controllo di gestione hanno quale esito una relazione all’organo assembleare dell’ente[16].

Tali funzioni hanno quale finalità l’attuazione del principio di leale collaborazione, richiamato espressamente nella legge n. 131 del 2003 e riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale[17].

In questo quadro ordinamentale le funzioni di controllo successivo della Corte dei conti, che sempre più la legge riconosce quale organo della Repubblica (nella nuova definizione di cui all’art. 114 Cost.) depurandolo dai caratteri di organo ausiliario dell’Amministrazione centrale, appare in linea ed in sintonia con il nuovo assetto costituzionale[18].

Dall’insieme delle disposizioni richiamate risulta, quindi, definitivamente confermato il superamento del modello del controllo preventivo esercitato sugli atti degli enti territoriali. In tale nuova prospettiva, il controllo assegnato alla Corte dei conti risulta di tipo referente, non comportando alcuna conseguenza in ordine all’efficacia degli atti emanati dalle autonomie territoriali: l’eventuale eliminazione o modifica di quest’ultimi è rimessa esclusivamente alle amministrazioni che li hanno emanati[19].

La finalità è quella di consentire agli enti di adottare misure idonee per rimuovere le inefficienze e correggere i propri comportamenti gestionali antieconomici ed inefficienti, dandone comunicazione alla Corte dei conti.

 

3. E’ da sottolineare come, a seguito delle riforma del Titolo V della Costituzione, parzialmente attuata con la L. 5 giugno 2003 n. 131, si è significativamente inciso sull’attività della Corte dei conti confermandone il ruolo unitario nel controllo esterno degli enti autonomi e ampliandone l’autonomia organizzativa[20].

Alla stessa stregua, e in ragione della maggiore autonomia dei diversi enti territoriali[21], si è inteso da parte del legislatore rafforzare il controllo collaborativo secondo modalità che, nell’ambito dell’autonomia finanziaria sancita dal nuovo art. 119 della Costituzione, «lascia comunque agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»[22].

Il Giudice delle Leggi nell’intento di «salvaguardare l’equilibrio complessivo della finanza pubblica» [23] richiama il controllo affidato alle sezioni regionali della Corte dei conti che, sulla base di predeterminati programmi e criteri, verifica la regolarità delle gestioni e il funzionamento dei controlli interni al fine di accertare la rispondenza dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa[24].

Ma la natura collaborativa del controllo, così come emerge dalla l. 131 del 2003, pur consentendo alle Regioni a statuto speciale la possibilità di adottare scelte autonome ed innovative per la verifica del regolare esercizio contabile e finanziario, non può prescindere dalla precipua finalità del controllo sulla gestione delle risorse collettive rivolte a tutte le amministrazioni pubbliche con imputazione soggettiva alla Corte dei conti, in considerazione del ruolo che l’Istituto è venuto assumendo nel tempo come organo posto al servizio della Repubblica, garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario dell’intero settore pubblico[25].

La Corte ascrivendo il controllo sulla gestione esterna nel novero dei principi fondamentali di coordinamento di finanza pubblica, di cui agli artt. 117, comma 3, e 119, comma 2, coinvolge anche le Regioni a statuto speciale[26].

Delineato il sistema attuale dei controlli nel nuovo quadro costituzionale, al Giudice delle leggi non rimane che invitare lo Stato e la Regione Valle d’Aosta all’istituzione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, secondo la particolare procedura prevista dall’art. 48-bis dello Statuto valdostano[27].

 

4. Dopo aver definito l’assetto del sistema nel nuovo quadro costituzionale, la Corte coglie l’occasione per ribadire «la persistente legittimità dei controlli interni»[28] ricomprendendovi l’attività svolta dall’Autorità di vigilanza istituita dalla legge n. 10 del 2005 della Valle d’Aosta.

     Come emerge dalla normativa regionale impugnata, l’Autorità è destinata a svolgere un’attività che si limita alla verifica della gestione nell’ambito regionale (e locale), avendo quale prospettiva quella limitata del corretto utilizzo delle risorse finanziarie della propria collettività e, quindi, differenziandosi rispetto al controllo esercitato dalle Sezioni regionali della Corte dei conti, finalizzata al rispetto del «coordinamento dell’intera finanza pubblica anche con riguardo al rispetto dei vincoli comunitari»[29].

La stessa modalità di nomina dei tre componenti l’Autorità, privi delle garanzie costituzionali d’imparzialità proprie dei membri della Corte dei conti[30], conferma che si tratta di un istituto di diretta espressione dell’ordinamento regionale nell’ambito dell’autonomia prevista dallo Statuto della Regione Valle d’Aosta, segnatamente artt. 2, comma 1, lett. a) e b) e 3, comma 1, lett. f), non in contrasto con i parametri costituzionali invocati né, tanto meno, con il principio di leale collaborazione[31].

La Corte ritiene, quindi, che l’istituzione dell’Autorità di vigilanza, alla quale viene riconosciuto il potere di vigilare sulla corretta gestione economico-finanziaria della Regione,  degli enti locali e dei loro enti ed aziende strumentali, non sostituisce ed esclude il controllo assegnato dalla Costituzione e dalla legge n. 20/1994 alla Corte dei conti, ma si allinea a quest’ultima nel pieno spirito collaborativo espressamente indicato dall’art. 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003 e richiamato a più riprese dallo stesso Giudice delle leggi.

 

5. Il Giudice costituzionale con la sentenza in commento non si limita ad assolvere la legge regionale impugnata, ma pone ulteriori punti fermi che vanno ben oltre la vicenda contingente.

Nella prima parte della decisione che si commenta, attraverso una ricostruzione sistematica della normativa sui controlli sulla pubblica amministrazione e rispondendo ad un’avvertita (e quanto mai attuale) esigenza di ricondurre ad unità la materia, la Corte sembra porre un punto fermo nell’individuare nella Corte dei conti la forma istituzionale di controllo, verifica e raccordo tra tutti i livelli di governo, quale «garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive»[32].

Il progressivo trasferimento di funzioni e di poteri decisionali dal centro alla periferia ha posto le basi per un crescente policentrismo istituzionale che per operare necessita, inevitabilmente, di dati contabili certi e garantiti da un soggetto terzo ed imparziale, quale la Corte dei conti e le sue sezioni regionali.

Nel quadro prospettato, il Giudice delle leggi conferma l’attribuzione alla Corte dei conti della verifica complessiva dell’equilibrio economico finanziario del settore pubblico attraverso i due livelli centrale e regionale, fornendo ai decisori istituzionali gli strumenti conoscitivi necessari per una corretta valutazione dell’azione amministrativa e finanziaria[33].

Del resto, non va dimenticato che dal corretto esercizio della finanza pubblica nel suo complesso dipende non solo l’adempimento degli obblighi di finanza pubblica derivanti «dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» ma anche l’osservanza di principi costituzionali quali quello dell’equilibrio dei bilanci pubblici, del buon andamento dell’azione amministrativa, del concorso di tutti i cittadini alla spesa pubblica secondo la rispettiva capacità fiscale[34].

Per altro verso, lo spazio di autonomia individuato a favore dei controlli interni, pur nell’ambito di una potestà legislativa esclusiva riconosciuta alla Regione Valle d’Aosta in forza del suo Statuto, rimarca l’esigenza di trovare un necessario punto di equilibrio tra la nuova posizione delle Regioni e degli enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e la necessaria verifica dei vincoli di finanza pubblica[35].

La Corte sembra orientarsi a favore del pieno riconoscimento di un sistema di verifica interna all’amministrazione regionale e locale che allontani, quindi, i timori di una interpretazione del proprio ruolo da parte della Corte dei conti (con le sue sezioni regionali) che risulti invasiva dell’Autonomie locali[36].

Seguendo questa interpretazione viene fugato il dubbio che attraverso uno stretto nesso funzionale tra controllo esterno ed interno, sia pur nell’ambito del principio di collaborazione, si metta in crisi la stessa concezione e natura del controllo interno, soffocando l’autonomia organizzativa dell’ente con evidenti profili d’incostituzionalità[37].

L’illustrazione fin qui tratteggiata rende evidente come la Corte costituzionale abbia tentato di conciliare due interessi: da una parte il rispetto degli obblighi comunitari derivanti dalla risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam sul “patto di stabilità e crescita” direttamente richiamato dal Giudice costituzionale[38]; dall’altra, in ossequio ai nuovi principi costituzionali, la garanzia dell’autonomia sancita dalla riforma del Titolo V a favore di Regioni ed enti territoriali.

     La compatibilità di un controllo esterno collaborativo con l’autonomia degli enti soggetti alla verifica necessita di una Corte dei conti che tenga primariamente ben distinte le funzioni di controllo da quelle giurisdizionali, evitando che il controllo esterno si trasformi da collaborativo a fase istruttoria anche prodromica all’avvio di un giudizio di responsabilità[39].

Nello stesso tempo, un efficiente sistema dei controlli interni richiede un ruolo attivo da parte delle Regioni nella disciplina della materia per istituire apposite strutture da mettere a disposizione degli enti locali[40].

     In conclusione, con la pari dignità riconosciuta ora dall’art. 114 della Costituzione a tutti gli enti territoriali che insieme compongono la Repubblica e in attesa della concreta attuazione dei meccanismi di finanziamento previsti dall’art. 119 Cost., si rende necessario un collegamento diretto tra il controllo successivo sulla gestione e quello interno di gestione per garantire, in termini pienamente collaborativi, la realizzazione di un’azione amministrativa aderente ai principi di efficacia, efficienza ed economicità[41].



[1] Dottorando di ricerca in diritto pubblico nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia.

[2] La normativa oggetto del giudizio è la legge della Regione Valle d’Aosta n. 10 del 19 maggio 2005 (Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria e istituzione della relativa Autorità di vigilanza), con riferimento agli artt. 1, 2, e 10.

[3] Sin dall’istituzione delle Regioni ordinarie, la Consulta aveva avuto modo di riconoscere come i controlli generali e tipici, in precedenza esercitati dai prefetti e dalle giunte provinciali amministrative, fossero stati sostanzialmente estesi, attraverso la legge n. 62 del 1953, al sistema previsto dagli artt. 125, comma 1, e 130 della Costituzione del 1948, senza modificare di fatto il sistema previgente (se si esclude la costituzione dei comitati di controllo sugli atti dei comuni e delle province). A partire dalle prime pronunce sul tema (cfr. sent. 17 del 1965, in questa Rivista, 179 ss., sent. 143 del 1968, in questa Rivista, II, 2359 ss., sent. 68 del 1971, in questa Rivista, I, 627 ss.), la Corte Costituzionale rileva come i controlli amministrativi previsti nell’art. 130 della Costituzione «sono poi, anche per la coscienza comune e per la pratica amministrativa, i controlli quasi per antonomasia, che con la loro presenza, le loro modalità di applicazione e la varia intensità di cui sono di volta in volta dotati, condizionano nel loro complesso le autonomie degli enti territoriali e concorrono a definirne la posizione nell’ordinamento giuridico» cfr. sent. n. 62 del 1973, in questa Rivista, 1973, 778 ss. In termini critici sui controlli previsti dall’art. 130 Cost., A. M. Sandulli,  I controlli sugli enti territoriali nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, I, 575 ss. dove si evidenzia come «il legislatore ordinario si è orientato in materia, con la legge 62 del 1953, secondo gli schemi del controllo preventivo di legittimità finora previsto per le deliberazioni dei comuni e delle province, meritandosi così l’accusa di difetto di penetrazione e fantasia» e M. S. Giannini, Controllo: nozioni e problemi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974, 1263 ss. che auspicava una revisione dell’antiquato modello del disegno costituzionale legato tradizionalmente agli aspetti giuridico-formali e incentrato sul controllo preventivo di legittimità, sottolineando come già in quel periodo si avvertiva «un nuovo tempo di sensibilizzazione sulla materia dei controlli, sia dei giuristi che dell’opinione pubblica» prendendo posizione a favore del controllo di gestione, ritenuto dall’autore con limpida lungimiranza, «la forma più interessante e moderna di procedimento di controllo autonomo». Per una disamina delle disfunzioni del sistema dei controlli, anche in chiave storica, S. Cassese, I moscerini e gli avvoltoi. Sistema dei controlli e riforma della Costituzione, in Il Corriere giuridico, n. 2, 1993, 217 ss. dove l’Autore sottolinea criticamente come «La Costituzione del 1948 non solo non mutò il sistema dei controlli, ma fissò, a livello costituzionale, norme consuetudinarie e miti precedenti, ritenuti immutabili, fornendo ad essi anche una cornice organizzativa omogenea».

[4] La stessa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla privatizzazione del pubblico impiego, evidenzia come «il nuovo modello di organizzazione dell’apparato amministrativo che il legislatore va perseguendo attraverso un processo di riforma avviato già con la legge 8 giugno 1990 n. 142 e 7 agosto 1990 n. 241, nel quale si inseriscono appunto le scelte sottese alla legge delega n. 421 del 1992 nonché al decreto legislativo n. 29 del 1993» configura «un processo di riforma il cui carattere globale - reso esplicito ancor più recentemente con le leggi 15 marzo 1997 n. 59 e 15 maggio 1997 n. 127 - conferma la volontà di attuare interventi diretti ad incidere anche sul quadro strutturale della pubblica amministrazione», cfr. sent. n. 309 del 16 ottobre 1997, in questa Rivista, 1997, 2907 ss.

[5] Facendo seguito ad un ampio dibattito dottrinale, (cfr. U. Allegretti, I controlli sull’amministrazione dal sistema classico all’innovazione, in U. Allegretti (a cura di), I controlli amministrativi, Bologna, 1995, 15 ss.), a partire dalla legge di riforma della Corte dei conti, il sistema dei controlli si affranca dall’angusto ambito della mera verifica giuridica del corretto utilizzo delle risorse, per identificarsi all’idea di un contenuto teso a valutare l’azione della Pubblica amministrazione anche sotto l’aspetto della funzionalità operativa e del suo rendimento.

[6] Sent. 27 gennaio 1995 n. 29, in questa Rivista, 1995, 1, 278 ss., con note di commento di M. V. Lupò Avagliano, Corte dei conti e Regioni: dal vecchio al nuovo, tra efficienza e garantismo, 321 ss. e A. Corpaci, Il controllo della Corte dei conti sulla gestione delle pubbliche amministrazioni nella ricostruzione della Corte costituzionale: un tributo al valore simbolico di una riforma, 326 ss.

[7] Come ribadito nella sentenza in esame, rileva una fisionomia della Corte dei conti ben definita, secondo cui tale organo espressione dello “Stato-Comunità” o, meglio ancora della Repubblica, per la sua neutralità, indipendenza e terzietà è il garante degli equilibri finanziari e della corretta gestione delle risorse collettive, sotto il profilo dell’efficienza, dell’economicità e dell’efficacia dell’agire amministrativo statale, regionale e locale, cfr. considerato in diritto, par. 4. 4.

[8] Per un approfondimento sul tema dei controlli sugli atti della Regione e degli enti locali, L. Vandelli, Controlli sugli atti della Regione, della Provincia e del Comune, in Dig. disc. pubbl., vol. IV, ad vocem. Una ricostruzione generale dei controlli dopo la riforma del Titolo V è offerta da, P. Bianchi, Il sistema dei controlli amministrativi, in G. F. Ferrari e G. Parodi (a cura di), La revisione costituzionale del Titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo. Problemi applicativi e linee evolutive, Padova, Cedam, 2003, 277 ss.

[9] La dottrina si è divisa tra coloro che ritengono “prive di copertura costituzionale, decostituzionalizzata” la materia dei controlli amministrativi ammettendo da un lato l’intervento del legislatore senza dover tener conto dei limite precedenti (cfr. P. Bianchi, op. cit., 284 ss.) e chi, di contro, ritiene la tassatività delle tipologie di controllo da riconoscere solo se, e nei limiti in cui, la stessa Costituzione ne operi un esplicito richiamo (in tal senso, M. Cammelli, Principio di sussidiarietà e sistema delle amministrazioni pubbliche, in Le Regioni tra riforma amministrativa e revisione costituzionale, in Le Regioni tra riforma amministrativa e revisione costituzionale, Atti dell’VIII Convegno Nazionale di studi regionali, Consiglio Regionale della Giunta, 25-26 gennaio, Rimini, 2002, 93 ss.). Alle due posizioni estreme, si preferisce quella intermedia che sostiene come l’abrogazione delle disposizioni costituzionali in materia di controllo abbia significato il divieto di riproposizione dei vecchi controlli ammettendo, però, forme di controllo ultronee rispetto a quelle testualmente previste dalla Costituzione purché “sia rintracciabile in Costituzione un adeguato fondamento normativo o un sicuro ancoraggio a interessi costituzionalmente tutelati”, cfr. A. Corpaci, Revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione e sistema amministrativo, in Le Regioni, 2001, 6, 1322 ss.

[10] Sui poteri sostitutivi dello Stato quali attività di controllo atipico, C. Mainardis, I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte) ombre, in Le Regioni, 2001, 1357 ss. Sul tema, sent. 13 aprile 1989 n. 229, in questa Rivista, 1989, 977 ss. dove la Corte, in merito al potere d’annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi, sottolinea come «il potere in esame non potrà non essere ricondotto alla disciplina del controllo di legittimità sugli atti amministrativi delle Regioni posto dall’art. 125 Cost.». In merito al potere sostitutivo, descritto nei termini contenuti nell’art. 120, comma 2, Cost. e nell’art. 8, l. 131 del 2003, appare evidente lo sforzo della Corte Costituzionale di bilanciare, nella corretta definizione del potere, l’autonomia degli enti territoriali e l’unità dell’ordinamento. In tal senso, cfr. sent. n. 43 del 20 gennaio 2004, in questa Rivista, 2004, 594. Sul tema del potere sostitutivo, cfr. R. Dickmann, Osservazioni in tema di sussidiarietà e poteri sostitutivi dopo la legge costituzionale n. 3 del 2001 e legislazione d’attuazione, in questa Rivista, I, 2003, pp. 485 ss.

[11] Per una esauriente esposizione delle diverse posizioni, L. Buffoni, L’abolizione dei controlli sugli atti amministrativi delle Regioni e degli enti locali, in Alla ricerca dell’Italia federale, G. Volpe (a cura di), Pisa, 2003, 289 ss.

[12] Per una lineare ricostruzione del quadro normativo sui controlli interni, E. Barusso, I controlli interni degli enti locali, Maggioli, 2000, Rimini e, più in generale, F. Petronio, I controlli interni nelle amministrazioni locali, in Il sistema dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni,  (a cura di) E. F. Schlitzer, Milano, 2002, 135 ss.

[13] Sull’argomento, L. Mercanti, Il coordinamento della finanza pubblica: la pervasività di una funzione, in Giornale di Diritto amministrativo, n. 6/2005, 547 ss.

[14] Come evidenziato dal Giudice delle leggi «non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati da obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» sent. n. 36 del 2004, in questa Rivista, 497 ss., da ultimo richiamata dalla stessa Corte nella sent. n. 417 del 2005, in Foro it., 2005, I, 3249 ss.

[15] L’art. 7, commi 7 – 9, della legge 131 del 2003, relativo ai controlli della Corte dei conti su regioni e enti locali è commentato da C. Cittadino in, AA.VV., Legge “La Loggia”. Commento alla L. 5 giugno 2003 n. 131 di attuazione del Titolo V della Costituzione, Rimini, 2003, 154 ss. Sul tema cfr. P. Bianchi, cit., 298 ss.

[16] Per una disamina dell’attività delle Sezioni regionali della Corte dei conti, S. Greco, Attività di controllo e funzioni consultive della Corte dei conti nel sistema delle autonomie locali, in Nuova Rassegna, I, 2005, 41 ss.

[17] Sul principio di collaborazione si rimanda a T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2005, 101 ss., dove si sottolinea come la giurisprudenza costituzionale «ha ripetutamente e decisamente fatto leva soprattutto sul cd. principio di «leale cooperazione» al fine di armonizzare e coordinare gli interventi di Stato e Regione, orientandoli tuttavia…al perseguimento di obiettivi in modo largamente dominante e talora persino assorbente prefissati dagli organi di indirizzo statale (e, segnatamente, dal Governo)».

[18] La «applicazione tendenzialmente uniforme a tutte le pubbliche amministrazioni…del controllo sulla gestione…con imputazione soggettiva alla Corte dei Conti, in considerazione del ruolo che detto istituto è venuto assumendo nel tempo, come organo posto al servizio dello Stato-comunità, quale garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico» è evidenziata dalla Corte Costituzionale nella sent. 470 del 30 dicembre 1997, in questa Rivista, II, 1997, 4099 ss. Come espresso dalla stessa Corte, così facendo la funzione svolta dalla Corte dei conti si atteggia alla stessa stregua «di quanto stabilito dall’art. 248 Trattato CE in ordine al controllo negli Stati membri della Corte dei conti europea, da effettuarsi in collaborazione con le istituzioni nazionali di controllo. », considerato in diritto, par. 4. 6.

[19] L’intento di realizzare un rapporto di stretta collaborazione con le autonomie locali anche sotto il profilo organizzativo, emerge da quanto previsto dall’art. 7, comma 9, della legge n. 131 del 2003 che permette l’integrazione delle Sezioni regionali con due componenti designati rispettivamente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali. Sull’insufficienza di tali regole per definire la Corte dei conti e le sue sezioni regionali quale organo della Repubblica, si rimanda a F. Merloni, Vecchie e nuove forme di controllo, in Le Regioni, n. 1-2, 2005, 137 ss.

[20] Sulle problematiche inerenti l’organizzazione della Corte dei conti sul territorio, F. Battini, Dove va la Corte dei conti?, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, n. 8, 785 ss.

[21] Non va sottaciuto come la posizione costituzionale di pari dignità riconosciuta dalla riforma del 2001 a favore degli enti locali, non sempre ha riscontro nella disciplina organizzativa e funzionale delle Regioni, cfr. sent. 112 del 6 aprile 2004, in questa Rivista, 1160 ss.

[22] Cfr, sent. 36 del 2004, cit., con commento di C. Pinelli, Patto di stabilità interna e finanza regionale, ibidem, 502 ss. che sottolinea criticamente come «Mentre il tenore letterale dell’art 119 prefigura un “costituzionalismo multilivello”, i processi decisionali sulla finanza pubblica sono rimasti grosso modo accentrati e talora irrazionali come un tempo».

[23] Considerato in diritto, punto 4. 7.

[24] All’indomani dell’approvazione della cd. “Legge La Loggia”, la Corte dei conti a Sezioni riunite con la deliberazione del 3 luglio 2003, reperibile sul sito in www.corteconti.it, ha provveduto a istituire a livello centrale una apposita Sezione di controllo, la “Sezione delle autonomie” che svolge un’attività di indirizzo e coordinamento nei confronti delle sezioni regionali di controllo. In tal modo, si intravede il rischio che un rapporto troppo stretto tra la Sezioni delle autonomie e le sezioni regionali consenta una limitazione dell’autonomia di quest’ultima condizionando, a sua volta, il rapporto con le autonomie locali. Per un approfondimento, F. Balsamo, I controlli della Corte dei conti sulle gestioni delle autonomie: dalla sezione enti locali alla sezione delle autonomie, in Riv. Corte conti, 2003, 298 ss. 

[25] Su questa posizione, F. Battini, I controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale, relazione tenutasi al 52° Convegno di studi amministrativi, I controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale, Varenna, 21-23 settembre 2006, consultabile su www.astrid-online.it.

[26] Si legge nella sent. 425 del 2004, in questa Rivista, 4523 ss. che «La finanza delle Regioni a Statuto speciale è infatti parte della “finanza pubblica allargata” nei cui confronti lo Stato aveva e conserva poteri di disciplina generale e di coordinamento, nell’esercizio dei quali poteva e può chiamare le autonomie speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica, connessi anche ai vincoli europei, come quelli relativi al patto di stabilità». Sulla legittimità dei vincoli alle finanze delle Regioni e degli Enti locali  derivanti dal “Patto di stabilità interno”, volto a garantire l’attuazione in sede nazionale del “Patto di stabilità e crescita” adottato nell’ambito dell’Unione Europea nel 1997, cfr. la sent. 376 del 2003, in questa Rivista, 3848 ss. dove la Corte evidenzia come «Il carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento esige che al livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì, i poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento – che di per sé eccede inevitabilmente, in parte, la possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali - possa essere concretamente realizzata» , la sent. 4 del 2004 in questa Rivista,  56 ss. con nota di G. della Cananea, Il coordinamento della finanza pubblica alla luce dell’Unione economica e monetaria, la sent. 36 del 2004, cit., con nota di C. Pinelli, cit., e, da ultimo, la sent. 35 del 2005, in questa Rivista, 267 ss. Sul processo di modifica del patto nell’ambito dell’Unione Europea, R. Perez, Il nuovo patto di stabilità e crescita, in Giornale di diritto amministrativo, n. 7 del 2005, 777 ss. mentre, nella prospettiva di  riforma del “Patto di stabilità interno”, introdotto dalla legge finanziaria 23 dicembre 1998 n. 448 e (a dispetto del nome) modificato a più riprese, si segnala M. Barbero, Il patto che verrà, consultabile sul sito www.federalismi.it.

[27] Con l’art. 3 della legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2 è stato inserito nello Statuto speciale della Valle d’Aosta l’art. 48-bis con il quale si prevede la delega a favore del Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti disposizioni d’attuazione dello Statuto e l’armonizzazione della legislazione nazionale con quella dell’ordinamento della Regione, tenuto conto delle particolari condizioni di autonomia. Gli schemi dei decreti di cui sopra, soggetti al parere del Consiglio, sono elaborati da una Commissione paritetica composta da membri designati dal Governo e dallo stesso Consiglio regionale.

[28] Si veda sent. 64 del 2005, in questa Rivista, 2005, 612 ss.

[29] Considerato in diritto, par. 5. 3.

[30] Sulla garanzia di indipendenza della Corte dei conti, G. Carbone, Art. 100, in Commentario alla Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994, 128 ss.

[31] Dal nuovo Titolo V della Costituzione emerge un’architettura delle fonti che riconosce al legislatore regionale in via residuale la competenza a definire i controlli interni anche in riferimento al funzionamento degli apparati degli enti locali, pur tenendo conto dell’autonomia organizzativa ad essi riconosciuta dalla Costituzione. Per un approfondimento sul tema, S. Civitarese Matteucci, L’autonomia istituzionale e normativa degli Enti locali dopo la revisione del Titolo V, parte II della Costituzione. Il caso dei controlli, in Le Regioni, n. 2/3, 2002, 445 ss. che, spingendosi oltre, individua nella materia dei controlli una delle funzioni fondamentali degli enti locali.

[32] Considerato in diritto, punto 4. 4.

[33] Il controllo sulla gestione è, quindi, finalizzato a consentire ai cittadini e ai suoi rappresentanti di essere adeguatamente informati sull’attività e i risultati gestionali dell’ente, permettendo agli amministratori di conoscerne i punti di forza e criticità. Attraverso tale modalità, si facilita un meccanismo di autocorrezione in caso di mancata “sana gestione finanziaria” in piena sintonia con il rispetto dell’autonomia delle amministrazioni controllate. Sull’argomento, G. D’Auria, I Controlli, in Trattato di diritto amministrativo, (a cura di) S. Cassese, Milano. 2003, II, 1343 ss.

[34] La problematica del «limite delle risorse disponibili» e la correlata esigenza di salvaguardia dell’equilibrio di bilancio è presente nella giurisprudenza della Corte a partire dalla sent. 99 del 1995, in questa Rivista, 1995, I, 816 ss. Sulla strumentalità dell’attività di controllo ai fini del monitoraggio sulla gestione del bilancio pubblico, M. V. Lupò Avagliano, Corte dei conti e regioni: dal vecchio al nuovo, tra efficienza e garantismo, cit., 321 ss.

[35] In argomento, F. Merloni, Vecchie e nuove forme di controllo sull’attività degli enti locali, cit., 137 ss. dove l’Autore auspica un ruolo di maggior protagonismo legislativo delle Regioni nella «nuova frontiera dei controlli sugli atti degli enti locali nel sistema regionale locale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione».

[36] Sull’argomento, F. Pizzetti, Il controllo collaborativo ed i rapporti con i controlli interni, relazione tenutasi al 52° Convegno di studi amministrativi, I controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale, Varenna, 21-23 settembre 2006, consultabile su www.astrid-online.it.

[37] Un segnale preoccupante in questa direzione proveniva dalla 2^ bozza del 16 dicembre 2005 di schema di decreto legislativo attuativo della delega contenuta nell’art. 2 della legge 131 del 2003, con particolare riferimento al Titolo VI-bis, intitolato ‘Sistema integrato delle garanzie” che all’art. 148-ter “Principi generali del controllo interno”, prevedeva l’obbligo per gli enti locali di operare tenendo conto dei parametri e degli indirizzi metodologici formulati dalla Corte dei conti. Fortemente critico nei confronti del naufragato schema di riforma del Testo unico degli Enti locali e, in generale sullo strumento del Testo unico come  «espressione di una normazione accentrata e autoritaria» suffragando l’ipotesi di una legge fondamentale di principi «che fissa i binari sui quali deve svolgersi l’autonomia degli Enti locali», A. Piraino, in occasione del Convegno di studi “Nodi problematici e prospettive di riforma del Testo unico degli Enti locali”, Napoli 6 e 7 luglio 2005, consultabile in rete sul sito www.federalismi.it. A conferma di una linea di politica legislativa volta a costruire vincoli e rapporti sempre più stretti fra le sezioni regionali e gli organi di controllo interno degli enti, si veda la disciplina normativa contenuta all’art. 1, commi da 166 a 168, della legge finanziaria n. 266 del 2006, che stabilisce, tra l’altro, l’obbligo da parte del collegio dei revisori di trasmettere alla sezione regionale una relazione annuale secondo linee e criteri guida indicati da quest’ultima, dovendo dar conto «di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione».

[38] Considerato in diritto, par. 4. 5.

[39] Sul tema, F. Staderini, La Corte dei Conti e gli Enti locali, in Quad. Reg., I, 2006, 5 ss., dove l’Autore ritiene che vada “…assolutamente rimosso il timore, avanzato in qualche sede, che la Corte possa interferire nei rapporti interni e riservati tra gli organi di governo locale e quelli di gestione”. In senso contrario, F. Merloni, op. cit, che pur tenendo conto dell’istituzione delle sezioni regionali e della loro integrazione con membri designati dagli enti autonomi ritiene tali misure «una tardiva apertura, che non sana il rapporto privilegiato con lo Stato».

[40] Non c’è dubbio che l’organizzazione di un sistema integrato di controlli rende opportuno l’esercizio associato da parte dei piccoli comuni, non in grado da soli di sostenere un tale sforzo in termini organizzativi e funzionali. Su tale posizione, G. Sciullo, Il nuovo modello dei controlli, in C. Bottari (a cura di), La riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, Rimini, 2003, 206 ss.

[41] In quest’ottica si profila la preannunciata presentazione di due disegni di legge di iniziativa governativa, uno sul federalismo fiscale in attuazione dell’art. 119 Cost. e l’altro per il varo del Codice dell’Autonomie in sostituzione dell’attuale e inadeguato TUEL, attraverso i quali sembra si sia intrapresa la strada per costruire un sistema più efficiente, anche dal punto di vista economico.