Mario di Martino[1]
La Corte “disegna” il quadro
ordinamentale del sistema dei controlli.
1. Con la sentenza in esame, n. 267 del 2006,
la Corte Costituzionale torna ad occuparsi delle problematiche connesse
all’autonomia finanziaria delle Regioni, con particolare riguardo al sistema
dei controlli.
Si tratta di una
pronuncia che, dopo aver ricostruito un puntuale quadro del sistema dei
controlli sulla gestione finanziaria delle amministrazioni pubbliche, traccia i
confini tra due diverse forme di controllo (di e sulla gestione).
Motivo di fondo del
contendere è la possibile sovrapposizione delle funzioni e dei compiti esercitati
dall’Autorità di vigilanza istituita dall’impugnata legge della Regione Valle
d’Aosta n. 10 del 2005[2]
rispetto a quelli previsti a favore della Corte dei conti, in violazione dei
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica e del
principio di leale collaborazione.
Nel respingere le
doglianze della difesa erariale, la Consulta dichiara infondata la questione di
legittimità costituzionale con riferimento alla legge della Valle d’Aosta che
disciplina l’istituzione e il funzionamento dell’Autorità di vigilanza sulla
gestione finanziaria avente la finalità di assicurare il controllo sulla
corretta gestione delle risorse collettive da parte della Regione, degli enti
locali e dei loro enti ed aziende strumentali.
Il Giudice costituzionale
sottolinea come l’Autorità di vigilanza agisca nell’interesse esclusivo della
Regione avendo quale scopo precipuo la corretta gestione delle risorse
finanziarie destinate alle esigenze della collettività di riferimento; tale
controllo, limitato alle gestioni di carattere regionale e locale, si inquadra
nell’ambito dei controlli interni, ponendosi su un piano diverso rispetto a
quello esercitato dalla Corte dei conti (e dalle sue sezioni regionali) rivolto
al coordinamento dell’intera finanza pubblica e finalizzato al rispetto dei
vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
2. I principi costituzionali disegnati nella
Costituzione del 1948 in materia di controlli hanno dato origine ad
un’esperienza applicativa fortemente deludente oltre che tardiva[3].
Nell’ambito di un
complesso programma di riforma dell’Amministrazione pubblica, il legislatore ha
progressivamente modificato il quadro normativo, soprattutto a partire dagli
anni novanta, nell’ottica di un graduale superamento dei controlli preventivi
di legittimità sugli atti delle Regioni e degli enti locali[4].
Il modello del controllo
preventivo di legittimità per singoli atti, previsto dagli articoli 125, comma
1, e 130 della Costituzione, lascia il passo gradualmente ad una nuova
tipologia di controlli finalizzati ad una valutazione sul rendimento e
sull’efficacia dell’azione amministrativa, anche in chiave di autocorrezione e
di autotutela degli enti[5].
Come ricordato dalla
Consulta a partire dalla sentenza n. 29 del
1995[6],
in questa fase si consolida il ruolo della Corte dei conti nella sfera del
controllo successivo, funzione che deve atteggiarsi quale attività di referto
agli organi assembleari dello Stato, delle Regioni e degli enti locali con
carattere precipuamente collaborativo ed ausiliario, senza vincolare
l’autonomia degli enti[7].
In questa linea evolutiva
dell’assetto dei controlli pubblici, è intervenuta la riforma del Titolo V
della Parte II della Carta costituzionale con l’abrogazione degli articoli 125,
comma 1, e 130 della Costituzione che fa venir meno l’aggancio costituzionale
con un modello, seppur in stato di irreversibile obsolescenza, di tipo
gerarchico e preventivo[8].
All’indomani dell’entrata
in vigore della novella costituzionale si è sviluppato un confronto dottrinale,
su posizioni divergenti, in merito agli effetti che le abrogazioni delle
disposizioni costituzionali avevano determinato sul sistema dei controlli degli
enti ad autonomia territoriale, così come disciplinati dalla legislazione
ordinaria[9],
posto che la Costituzione riformata contempla espressamente il solo “controllo”
sostitutivo del Governo secondo quanto enunciato nell’articolo 120, comma 2,
Cost.[10].
Pur non mancando
interpretazioni da parte della dottrina[11]
secondo cui tale abrogazione avrebbe semplicemente privato di copertura
costituzionale la disciplina ordinaria, senza peraltro determinare la perdita
di efficacia sulla vigenza di quest’ultima, è prevalsa una lettura del diritto
positivo che consideri e bilanci, da un lato, il potenziamento e la
valorizzazione delle autonomie territoriali (secondo i principi contenuti
nell’art. 114 Cost.) e, dall’altro, la modifica di un sistema dei controlli, in
particolare esterni, che trova la sua ratio
in principi costituzionali il cui vigore rimane immutato, a partire da
quelli fondati sugli artt. 97 e 81, fino a giungere alla cornice costituzionale
in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali tracciata dall’art.
119.
In
uno Stato riformato in senso federale si valorizza così, da un lato, un sistema
di controlli interni[12],
attraverso il quale si esplica l’autonomia dell’ente e, dall’altro, si rafforza
un sistema di controlli esterni e successivi, sugli equilibri e la gestione
finanziaria nonché sul funzionamento dei controlli interni, esercitato in chiave collaborativa e ausiliaria
dalla Corte dei conti.
Come emerge dalla
giurisprudenza della Corte Costituzionale, nel ricercare i necessari
riferimenti da porre a fondamento di una funzione di controllo di carattere
finanziario da parte della Corte dei conti, si è convenuto che nella
declinazione della nozione e della materia “coordinamento della finanza
pubblica”[13],
rientrante nella legislazione a competenza concorrente, possa iscriversi un
ruolo proprio di quest’ultima[14].
A conferma di tale
orientamento, la legge n. 131 del 2003, nel definire i profili applicativi
della riforma costituzionale, detta precise regole riguardanti la materia dei
controlli confermando sostanzialmente le competenze della Corte dei conti in
materia di controllo sulla gestione nei confronti degli enti autonomi.
Attraverso l’art. 2 della legge 131/2003, contenente la delega
per l’adeguamento della normativa statale alla Costituzione riformata, si
riconosce la centralità della potestà statuaria degli enti locali e, quindi,
del loro potere normativo, confermando la prevalente linea di tendenza
legislativa che riserva all’autonomia organizzativa e normativa dell’ente
locale la materia dei controlli.
Alla Corte dei conti è assegnato il compito di verificare “in
un’ottica collaborativa”, il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al Patto di
stabilità interno ed ai vincoli di appartenenza all’Unione europea; tale
verifica, avente per oggetto gli andamenti generali del sistema di finanza
territoriale, sfocia in una funzione di referto al Parlamento[15].
Alle sezioni regionali, invece, è assegnato il compito di
verificare il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali o regionali
di principio e di programma, la sana gestione finanziaria nonché il
funzionamento dei controlli interni. Le verifiche sul controllo di gestione
hanno quale esito una relazione
all’organo assembleare dell’ente[16].
Tali funzioni hanno quale
finalità l’attuazione del principio di leale collaborazione, richiamato
espressamente nella legge n. 131 del 2003 e riconosciuto dalla costante
giurisprudenza della Corte Costituzionale[17].
In questo quadro
ordinamentale le funzioni di controllo successivo della Corte dei conti, che
sempre più la legge riconosce quale organo della Repubblica (nella nuova
definizione di cui all’art. 114 Cost.) depurandolo dai caratteri di organo
ausiliario dell’Amministrazione centrale, appare in linea ed in sintonia con il
nuovo assetto costituzionale[18].
Dall’insieme delle
disposizioni richiamate risulta, quindi, definitivamente confermato il
superamento del modello del controllo preventivo esercitato sugli atti degli
enti territoriali. In tale nuova prospettiva, il controllo assegnato alla Corte
dei conti risulta di tipo referente, non comportando alcuna conseguenza in
ordine all’efficacia degli atti emanati dalle autonomie territoriali:
l’eventuale eliminazione o modifica di quest’ultimi è rimessa esclusivamente
alle amministrazioni che li hanno emanati[19].
La finalità è quella di consentire agli enti di
adottare misure idonee per rimuovere le inefficienze e correggere i propri comportamenti
gestionali antieconomici ed inefficienti, dandone comunicazione alla Corte dei
conti.
3.
E’ da sottolineare
come, a seguito delle riforma del Titolo V della Costituzione, parzialmente
attuata con la L. 5 giugno 2003 n. 131, si è significativamente inciso
sull’attività della Corte dei conti confermandone il ruolo unitario nel
controllo esterno degli enti autonomi e ampliandone l’autonomia organizzativa[20].
Alla stessa stregua, e in
ragione della maggiore autonomia dei diversi enti territoriali[21],
si è inteso da parte del legislatore rafforzare il controllo collaborativo
secondo modalità che, nell’ambito dell’autonomia finanziaria sancita dal nuovo
art. 119 della Costituzione, «lascia comunque agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»[22].
Il Giudice delle Leggi
nell’intento di «salvaguardare l’equilibrio complessivo della finanza pubblica» [23]
richiama il controllo affidato alle sezioni regionali della Corte dei conti
che, sulla base di predeterminati programmi e criteri, verifica la regolarità
delle gestioni e il funzionamento dei controlli interni al fine di accertare la
rispondenza dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge,
valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione
amministrativa[24].
Ma la natura
collaborativa del controllo, così come emerge dalla l. 131 del 2003, pur
consentendo alle Regioni a statuto speciale la possibilità di adottare scelte
autonome ed innovative per la verifica del regolare esercizio contabile e
finanziario, non può prescindere dalla precipua finalità del controllo sulla
gestione delle risorse collettive rivolte a tutte le amministrazioni pubbliche
con imputazione soggettiva alla Corte dei conti, in considerazione del ruolo
che l’Istituto è venuto assumendo nel tempo come organo posto al servizio della
Repubblica, garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario
dell’intero settore pubblico[25].
La Corte ascrivendo il
controllo sulla gestione esterna nel novero dei principi fondamentali di
coordinamento di finanza pubblica, di cui agli artt. 117, comma 3, e 119, comma
2, coinvolge anche le Regioni a statuto speciale[26].
Delineato il sistema
attuale dei controlli nel nuovo quadro costituzionale, al Giudice delle leggi
non rimane che invitare lo Stato e la Regione Valle d’Aosta all’istituzione
della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, secondo la
particolare procedura prevista dall’art. 48-bis dello Statuto valdostano[27].
4.
Dopo aver definito l’assetto del sistema
nel nuovo quadro costituzionale, la Corte coglie l’occasione per ribadire «la
persistente legittimità dei controlli interni»[28]
ricomprendendovi l’attività svolta dall’Autorità di vigilanza istituita dalla
legge n. 10 del 2005 della Valle d’Aosta.
Come emerge dalla normativa regionale
impugnata, l’Autorità è destinata a svolgere un’attività che si limita alla
verifica della gestione nell’ambito regionale (e locale), avendo quale
prospettiva quella limitata del corretto utilizzo delle risorse finanziarie
della propria collettività e, quindi, differenziandosi rispetto al controllo
esercitato dalle Sezioni regionali della Corte dei conti, finalizzata al
rispetto del «coordinamento dell’intera finanza pubblica anche con riguardo al
rispetto dei vincoli comunitari»[29].
La
stessa modalità di nomina dei tre componenti l’Autorità, privi delle garanzie
costituzionali d’imparzialità proprie dei membri della Corte dei conti[30],
conferma che si tratta di un istituto di diretta espressione dell’ordinamento
regionale nell’ambito dell’autonomia prevista dallo Statuto della Regione Valle
d’Aosta, segnatamente artt. 2, comma 1, lett. a) e b) e 3, comma 1, lett. f),
non in contrasto con i parametri costituzionali invocati né, tanto meno, con il principio di leale
collaborazione[31].
La
Corte ritiene, quindi, che l’istituzione dell’Autorità di vigilanza, alla quale
viene riconosciuto il potere di vigilare sulla corretta gestione
economico-finanziaria della Regione,
degli enti locali e dei loro enti ed aziende strumentali, non
sostituisce ed esclude il controllo assegnato dalla Costituzione e dalla legge
n. 20/1994 alla Corte dei conti, ma si allinea a quest’ultima nel pieno spirito
collaborativo espressamente indicato dall’art. 7, comma 7, della legge n. 131
del 2003 e richiamato a più riprese dallo stesso Giudice delle leggi.
5.
Il Giudice costituzionale con la sentenza in commento non si limita ad
assolvere la legge regionale impugnata, ma pone ulteriori punti fermi che vanno
ben oltre la vicenda contingente.
Nella prima parte della
decisione che si commenta, attraverso una ricostruzione sistematica della
normativa sui controlli sulla pubblica amministrazione e rispondendo ad
un’avvertita (e quanto mai attuale) esigenza di ricondurre ad unità la materia,
la Corte sembra porre un punto fermo nell’individuare nella Corte dei conti la
forma istituzionale di controllo, verifica e raccordo tra tutti i livelli di
governo, quale «garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del
settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive»[32].
Il progressivo
trasferimento di funzioni e di poteri decisionali dal centro alla periferia ha
posto le basi per un crescente policentrismo istituzionale che per operare
necessita, inevitabilmente, di dati contabili certi e garantiti da un soggetto
terzo ed imparziale, quale la Corte dei conti e le sue sezioni regionali.
Nel quadro prospettato,
il Giudice delle leggi conferma l’attribuzione alla Corte dei conti della
verifica complessiva dell’equilibrio economico finanziario del settore pubblico
attraverso i due livelli centrale e regionale, fornendo ai decisori
istituzionali gli strumenti conoscitivi necessari per una corretta valutazione
dell’azione amministrativa e finanziaria[33].
Del resto, non va
dimenticato che dal corretto esercizio della finanza pubblica nel suo complesso
dipende non solo l’adempimento degli obblighi di finanza pubblica derivanti
«dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» ma anche l’osservanza di
principi costituzionali quali quello dell’equilibrio dei bilanci pubblici, del
buon andamento dell’azione amministrativa, del concorso di tutti i cittadini
alla spesa pubblica secondo la rispettiva capacità fiscale[34].
Per altro verso, lo
spazio di autonomia individuato a favore dei controlli interni, pur nell’ambito
di una potestà legislativa esclusiva riconosciuta alla Regione Valle d’Aosta in
forza del suo Statuto, rimarca l’esigenza di trovare un necessario punto di
equilibrio tra la nuova posizione delle Regioni e degli enti locali dopo la
riforma del Titolo V della Costituzione e la necessaria verifica dei vincoli di
finanza pubblica[35].
La Corte sembra
orientarsi a favore del pieno riconoscimento di un sistema di verifica interna
all’amministrazione regionale e locale che allontani, quindi, i timori di una
interpretazione del proprio ruolo da parte della Corte dei conti (con le sue
sezioni regionali) che risulti invasiva dell’Autonomie locali[36].
Seguendo questa
interpretazione viene fugato il dubbio che attraverso uno stretto nesso
funzionale tra controllo esterno ed interno, sia pur nell’ambito del principio
di collaborazione, si metta in crisi la stessa concezione e natura del
controllo interno, soffocando l’autonomia organizzativa dell’ente con evidenti
profili d’incostituzionalità[37].
L’illustrazione fin qui
tratteggiata rende evidente come la Corte costituzionale abbia tentato di
conciliare due interessi: da una parte il rispetto degli obblighi comunitari
derivanti dalla risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam sul “patto di
stabilità e crescita” direttamente richiamato dal Giudice costituzionale[38];
dall’altra, in ossequio ai nuovi principi costituzionali, la garanzia
dell’autonomia sancita dalla riforma del Titolo V a favore di Regioni ed enti
territoriali.
La compatibilità di un controllo esterno collaborativo con
l’autonomia degli enti soggetti alla verifica necessita di una Corte dei conti
che tenga primariamente ben distinte le funzioni di controllo da quelle
giurisdizionali, evitando che il controllo esterno si trasformi da
collaborativo a fase istruttoria anche prodromica all’avvio di un giudizio di
responsabilità[39].
Nello stesso tempo, un
efficiente sistema dei controlli interni richiede un ruolo attivo da parte
delle Regioni nella disciplina della materia per istituire apposite strutture
da mettere a disposizione degli enti locali[40].
In conclusione, con la pari dignità riconosciuta ora dall’art.
114 della Costituzione a tutti gli enti territoriali che insieme compongono la
Repubblica e in attesa della concreta attuazione dei meccanismi di
finanziamento previsti dall’art. 119 Cost., si rende necessario un collegamento
diretto tra il controllo successivo sulla gestione e quello interno di gestione
per garantire, in termini pienamente collaborativi, la realizzazione di
un’azione amministrativa aderente ai principi di efficacia, efficienza ed
economicità[41].
[1] Dottorando di ricerca in diritto pubblico
nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia.
[2] La normativa
oggetto del giudizio è la legge della Regione Valle d’Aosta n. 10 del 19 maggio
2005 (Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria e
istituzione della relativa Autorità di vigilanza), con riferimento agli artt.
1, 2, e 10.
[3] Sin
dall’istituzione delle Regioni ordinarie, la Consulta aveva avuto modo di
riconoscere come i controlli generali e tipici, in precedenza esercitati dai
prefetti e dalle giunte provinciali amministrative, fossero stati sostanzialmente estesi, attraverso la legge n. 62 del 1953,
al sistema previsto dagli artt. 125, comma 1, e 130 della Costituzione del
1948, senza modificare di fatto il sistema previgente (se si esclude la
costituzione dei comitati di controllo sugli atti dei comuni e delle province).
A partire dalle prime pronunce sul tema (cfr. sent. 17 del
[4] La stessa
Corte, chiamata a pronunciarsi sulla privatizzazione del pubblico impiego,
evidenzia come «il nuovo modello di organizzazione dell’apparato amministrativo
che il legislatore va perseguendo attraverso un processo di riforma avviato già
con la legge 8 giugno 1990 n. 142 e 7 agosto 1990 n. 241, nel quale si
inseriscono appunto le scelte sottese alla legge delega n. 421 del 1992 nonché
al decreto legislativo n. 29 del 1993» configura «un processo di riforma il cui
carattere globale - reso esplicito ancor più recentemente con le leggi 15 marzo
1997 n. 59 e 15 maggio 1997 n. 127 - conferma la volontà di attuare interventi
diretti ad incidere anche sul quadro strutturale della pubblica
amministrazione», cfr. sent. n. 309 del 16 ottobre
[5] Facendo
seguito ad un ampio dibattito dottrinale, (cfr. U. Allegretti, I controlli sull’amministrazione dal sistema
classico all’innovazione, in U. Allegretti (a cura di), I controlli amministrativi, Bologna,
1995, 15 ss.), a partire dalla legge di riforma della Corte dei conti, il
sistema dei controlli si affranca dall’angusto ambito della mera verifica
giuridica del corretto utilizzo delle risorse, per identificarsi all’idea di un
contenuto teso a valutare l’azione della Pubblica amministrazione anche sotto
l’aspetto della funzionalità operativa e del suo rendimento.
[6] Sent. 27
gennaio 1995 n.
[7] Come
ribadito nella sentenza in esame, rileva una fisionomia della Corte dei conti
ben definita, secondo cui tale organo espressione dello “Stato-Comunità” o,
meglio ancora della Repubblica, per la sua neutralità, indipendenza e terzietà
è il garante degli equilibri finanziari e della corretta gestione delle risorse
collettive, sotto il profilo dell’efficienza, dell’economicità e dell’efficacia
dell’agire amministrativo statale, regionale e locale, cfr. considerato in diritto, par. 4. 4.
[8] Per un
approfondimento sul tema dei controlli sugli atti della Regione e degli enti
locali, L. Vandelli, Controlli sugli atti
della Regione, della Provincia e del Comune, in Dig. disc. pubbl., vol. IV, ad
vocem. Una ricostruzione generale dei controlli dopo la riforma del Titolo
V è offerta da, P. Bianchi, Il sistema
dei controlli amministrativi, in G. F. Ferrari e G. Parodi (a cura di), La revisione costituzionale del Titolo V tra
nuovo regionalismo e federalismo. Problemi applicativi e linee evolutive,
Padova, Cedam, 2003, 277 ss.
[9] La dottrina
si è divisa tra coloro che ritengono “prive di copertura costituzionale,
decostituzionalizzata” la materia dei controlli amministrativi ammettendo da un
lato l’intervento del legislatore senza dover tener conto dei limite precedenti
(cfr. P. Bianchi, op. cit., 284 ss.)
e chi, di contro, ritiene la tassatività delle tipologie di controllo da
riconoscere solo se, e nei limiti in cui, la stessa Costituzione ne operi un
esplicito richiamo (in tal senso, M. Cammelli, Principio di sussidiarietà e sistema delle amministrazioni pubbliche,
in Le Regioni tra riforma amministrativa
e revisione costituzionale, in Le
Regioni tra riforma amministrativa e revisione costituzionale, Atti
dell’VIII Convegno Nazionale di studi regionali, Consiglio Regionale della
Giunta, 25-26 gennaio, Rimini, 2002, 93 ss.). Alle due posizioni estreme, si
preferisce quella intermedia che sostiene come l’abrogazione delle disposizioni
costituzionali in materia di controllo abbia significato il divieto di
riproposizione dei vecchi controlli ammettendo, però, forme di controllo
ultronee rispetto a quelle testualmente previste dalla Costituzione purché “sia
rintracciabile in Costituzione un adeguato fondamento normativo o un sicuro
ancoraggio a interessi costituzionalmente tutelati”, cfr. A. Corpaci, Revisione del Titolo V della Parte seconda
della Costituzione e sistema amministrativo, in Le Regioni, 2001, 6, 1322 ss.
[10] Sui poteri
sostitutivi dello Stato quali attività di controllo atipico, C. Mainardis, I poteri sostitutivi statali: una riforma
costituzionale con (poche) luci e (molte) ombre, in Le Regioni, 2001, 1357 ss. Sul tema, sent. 13 aprile 1989 n. 229,
in questa Rivista, 1989, 977 ss. dove
la Corte, in merito al potere d’annullamento straordinario degli atti
amministrativi illegittimi, sottolinea come «il potere in esame non potrà non
essere ricondotto alla disciplina del controllo di legittimità sugli atti
amministrativi delle Regioni posto dall’art. 125 Cost.». In merito al potere
sostitutivo, descritto nei termini contenuti nell’art. 120, comma 2, Cost. e
nell’art.
[11] Per una
esauriente esposizione delle diverse posizioni, L. Buffoni, L’abolizione dei controlli sugli atti
amministrativi delle Regioni e degli enti locali, in Alla ricerca dell’Italia federale, G. Volpe (a cura di), Pisa,
2003, 289 ss.
[12] Per una
lineare ricostruzione del quadro normativo sui controlli interni, E. Barusso, I controlli interni degli enti locali,
Maggioli, 2000, Rimini e, più in generale, F. Petronio, I controlli interni nelle amministrazioni locali, in Il sistema dei controlli interni nelle
pubbliche amministrazioni, (a cura
di) E. F. Schlitzer, Milano, 2002, 135 ss.
[13]
Sull’argomento, L. Mercanti, Il
coordinamento della finanza pubblica: la pervasività di una funzione, in Giornale di Diritto amministrativo, n.
6/2005, 547 ss.
[14] Come
evidenziato dal Giudice delle leggi «non è contestabile il potere del
legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento
finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati da obblighi
comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono,
inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti»
sent. n. 36 del
[15] L’art. 7,
commi 7 – 9, della legge 131 del 2003, relativo ai controlli della Corte dei
conti su regioni e enti locali è commentato
da C. Cittadino in, AA.VV., Legge “La
Loggia”. Commento alla L. 5 giugno 2003 n. 131 di attuazione del Titolo V della
Costituzione, Rimini, 2003, 154 ss. Sul tema cfr. P. Bianchi, cit., 298 ss.
[16] Per una
disamina dell’attività delle Sezioni regionali della Corte dei conti, S. Greco,
Attività di controllo e funzioni consultive
della Corte dei conti nel sistema delle autonomie locali, in Nuova Rassegna, I, 2005, 41 ss.
[17] Sul
principio di collaborazione si rimanda a T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale,
Milano, 2005, 101 ss., dove si sottolinea come la giurisprudenza costituzionale
«ha ripetutamente e decisamente fatto leva soprattutto sul cd. principio di
«leale cooperazione» al fine di armonizzare e coordinare gli interventi di
Stato e Regione, orientandoli tuttavia…al perseguimento di obiettivi in modo
largamente dominante e talora persino assorbente prefissati dagli organi di
indirizzo statale (e, segnatamente, dal Governo)».
[18] La
«applicazione tendenzialmente uniforme a tutte le pubbliche amministrazioni…del
controllo sulla gestione…con imputazione soggettiva alla Corte dei Conti, in
considerazione del ruolo che detto istituto è venuto assumendo nel tempo, come
organo posto al servizio dello Stato-comunità, quale garante imparziale
dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico» è evidenziata dalla
Corte Costituzionale nella sent. 470 del 30 dicembre
[19] L’intento
di realizzare un rapporto di stretta collaborazione con le autonomie locali
anche sotto il profilo organizzativo, emerge da quanto previsto dall’art. 7,
comma 9, della legge n. 131 del 2003 che permette l’integrazione delle Sezioni
regionali con due componenti designati rispettivamente dal Consiglio regionale
e dal Consiglio delle autonomie locali. Sull’insufficienza di tali regole per
definire la Corte dei conti e le sue sezioni regionali quale organo della
Repubblica, si rimanda a F. Merloni, Vecchie
e nuove forme di controllo, in Le
Regioni, n. 1-2, 2005, 137 ss.
[20] Sulle
problematiche inerenti l’organizzazione della Corte dei conti sul territorio,
F. Battini, Dove va la Corte dei conti?,
in Giornale di diritto amministrativo,
2003, n. 8, 785 ss.
[21] Non va sottaciuto
come la posizione costituzionale di pari dignità riconosciuta dalla riforma del
[22] Cfr, sent.
36 del 2004, cit., con commento di C.
Pinelli, Patto di stabilità interna e
finanza regionale, ibidem, 502
ss. che sottolinea criticamente come «Mentre il tenore letterale dell’art 119
prefigura un “costituzionalismo multilivello”, i processi decisionali sulla
finanza pubblica sono rimasti grosso modo accentrati e talora irrazionali come
un tempo».
[23] Considerato in diritto, punto 4. 7.
[24]
All’indomani dell’approvazione della cd. “Legge La Loggia”, la Corte dei conti
a Sezioni riunite con la deliberazione del 3 luglio 2003, reperibile sul sito
in www.corteconti.it, ha provveduto a
istituire a livello centrale una apposita Sezione di controllo, la “Sezione delle
autonomie” che svolge un’attività di indirizzo e coordinamento nei confronti
delle sezioni regionali di controllo. In tal modo, si intravede il rischio che
un rapporto troppo stretto tra la Sezioni delle autonomie e le sezioni
regionali consenta una limitazione dell’autonomia di quest’ultima
condizionando, a sua volta, il rapporto con le autonomie locali. Per un
approfondimento, F. Balsamo, I controlli
della Corte dei conti sulle gestioni delle autonomie: dalla sezione enti locali
alla sezione delle autonomie, in Riv.
Corte conti, 2003, 298 ss.
[25] Su questa
posizione, F. Battini, I controlli sulle
autonomie nel nuovo quadro istituzionale, relazione tenutasi al 52°
Convegno di studi amministrativi, I
controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale, Varenna, 21-23
settembre 2006, consultabile su www.astrid-online.it.
[26] Si legge
nella sent. 425 del
[27] Con l’art.
3 della legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2 è stato inserito nello
Statuto speciale della Valle d’Aosta l’art. 48-bis con il quale si prevede la
delega a favore del Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti
disposizioni d’attuazione dello Statuto e l’armonizzazione della legislazione
nazionale con quella dell’ordinamento della Regione, tenuto conto delle
particolari condizioni di autonomia. Gli schemi dei decreti di cui sopra,
soggetti al parere del Consiglio, sono elaborati da una Commissione paritetica
composta da membri designati dal Governo e dallo stesso Consiglio regionale.
[28] Si veda
sent. 64 del
[29] Considerato in diritto, par. 5. 3.
[30] Sulla
garanzia di indipendenza della Corte dei conti, G. Carbone, Art.
[31] Dal nuovo
Titolo V della Costituzione emerge un’architettura delle fonti che riconosce al
legislatore regionale in via residuale la competenza a definire i controlli
interni anche in riferimento al funzionamento degli apparati degli enti locali,
pur tenendo conto dell’autonomia organizzativa ad essi riconosciuta dalla
Costituzione. Per un approfondimento sul tema, S. Civitarese Matteucci, L’autonomia istituzionale e normativa degli
Enti locali dopo la revisione del Titolo V, parte II della Costituzione. Il
caso dei controlli, in Le Regioni,
n. 2/3, 2002, 445 ss. che, spingendosi oltre, individua nella materia dei
controlli una delle funzioni fondamentali degli enti locali.
[32] Considerato in diritto, punto 4. 4.
[33] Il
controllo sulla gestione è, quindi, finalizzato a consentire ai cittadini e ai
suoi rappresentanti di essere adeguatamente informati sull’attività e i
risultati gestionali dell’ente, permettendo agli amministratori di conoscerne i
punti di forza e criticità. Attraverso tale modalità, si facilita un meccanismo
di autocorrezione in caso di mancata “sana gestione finanziaria” in piena sintonia
con il rispetto dell’autonomia delle amministrazioni controllate.
Sull’argomento, G. D’Auria, I Controlli,
in Trattato di diritto amministrativo,
(a cura di) S. Cassese, Milano. 2003, II, 1343 ss.
[34] La
problematica del «limite delle risorse disponibili» e la correlata esigenza di
salvaguardia dell’equilibrio di bilancio è presente nella giurisprudenza della
Corte a partire dalla sent. 99 del
[35] In
argomento, F. Merloni, Vecchie e nuove
forme di controllo sull’attività degli enti locali, cit., 137 ss. dove l’Autore auspica un ruolo di maggior
protagonismo legislativo delle Regioni nella «nuova frontiera dei controlli
sugli atti degli enti locali nel sistema regionale locale dopo la riforma del
Titolo V della Costituzione».
[36]
Sull’argomento, F. Pizzetti, Il controllo
collaborativo ed i rapporti con i controlli interni, relazione tenutasi al
52° Convegno di studi amministrativi, I
controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale, Varenna, 21-23
settembre 2006, consultabile su www.astrid-online.it.
[37] Un segnale
preoccupante in questa direzione proveniva dalla 2^ bozza del 16 dicembre 2005
di schema di decreto legislativo attuativo della delega contenuta nell’art. 2
della legge 131 del 2003, con particolare riferimento al Titolo VI-bis, intitolato
‘Sistema integrato delle garanzie” che all’art. 148-ter “Principi generali del
controllo interno”, prevedeva l’obbligo per gli enti locali di operare tenendo conto dei parametri e
degli indirizzi metodologici formulati dalla Corte dei conti. Fortemente
critico nei confronti del naufragato schema di riforma del Testo unico degli
Enti locali e, in generale sullo strumento del Testo unico come «espressione di una normazione accentrata e
autoritaria» suffragando l’ipotesi di una legge fondamentale di principi «che
fissa i binari sui quali deve svolgersi l’autonomia degli Enti locali», A.
Piraino, in occasione del Convegno di studi “Nodi problematici e prospettive di
riforma del Testo unico degli Enti locali”, Napoli 6 e 7 luglio 2005,
consultabile in rete sul sito www.federalismi.it.
A conferma di una linea di politica legislativa volta a costruire vincoli e
rapporti sempre più stretti fra le sezioni regionali e gli organi di controllo
interno degli enti, si veda la disciplina normativa contenuta all’art. 1, commi
da
[38] Considerato in diritto, par. 4. 5.
[39] Sul tema,
F. Staderini, La Corte dei Conti e gli
Enti locali, in Quad. Reg., I,
2006, 5 ss., dove l’Autore ritiene che vada “…assolutamente rimosso il timore,
avanzato in qualche sede, che la Corte possa interferire nei rapporti interni e
riservati tra gli organi di governo locale e quelli di gestione”. In senso
contrario, F. Merloni, op. cit, che
pur tenendo conto dell’istituzione delle sezioni regionali e della loro
integrazione con membri designati dagli enti autonomi ritiene tali misure «una
tardiva apertura, che non sana il rapporto privilegiato con lo Stato».
[40] Non c’è
dubbio che l’organizzazione di un sistema integrato di controlli rende
opportuno l’esercizio associato da parte dei piccoli comuni, non in grado da
soli di sostenere un tale sforzo in termini organizzativi e funzionali. Su tale
posizione, G. Sciullo, Il nuovo modello
dei controlli, in C. Bottari (a cura di), La riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, Rimini, 2003,
206 ss.
[41] In
quest’ottica si profila la preannunciata presentazione di due disegni di legge
di iniziativa governativa, uno sul federalismo fiscale in attuazione dell’art.
119 Cost. e l’altro per il varo del Codice dell’Autonomie in sostituzione
dell’attuale e inadeguato TUEL, attraverso i quali sembra si sia intrapresa la
strada per costruire un sistema più efficiente, anche dal punto di vista
economico.