Sentenza n. 425 del 2004

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SENTENZA N. 425

ANNO 2004

 

Commento alla decisione di

Matteo Barbero

Golden rule: "non è tutt’oro quel che luccica”!

(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Valerio           ONIDA                                                           Presidente

- Carlo              MEZZANOTTE                                                Giudice

- Fernanda        CONTRI                                                               

- Guido             NEPPI MODONA                                                

- Piero Alberto  CAPOTOSTI                                                        

- Franco           BILE                                                                      

- Giovanni Maria FLICK                                                                

- Francesco      AMIRANTE                                                          

- Ugo                DE SIERVO                                                          

- Romano         VACCARELLA                                                    

- Paolo             MADDALENA                                                     

- Alfio               FINOCCHIARO                                                   

- Alfonso          QUARANTA                                                        

- Franco           GALLO                                                                 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi da 16 a 21, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2004), promossi con ricorsi della Regione Siciliana, della Regione Sardegna, della Regione Marche, della Regione Toscana, della Regione Emilia-Romagna, della Regione Umbria, della Provincia autonoma di Trento, della Regione Valle d’Aosta e della Regione Campania, notificati il 24 ed il 26 febbraio 2004, depositati in cancelleria il 3, il 4 ed il 5 marzo successivi ed iscritti ai nn. 28, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 del registro ricorsi 2004.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 settembre 2004 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Giovanni Carapezza Figlia per la Regione Siciliana, Sergio Panunzio per la Regione Sardegna, Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento, Giuseppe F. Ferrari per la Regione Valle d’Aosta, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con distinti ricorsi le Regioni Siciliana (reg. ric. n. 28 del 2004), Sardegna (reg. ric. n. 29 del 2004), Valle d’Aosta (reg. ric. n. 36 del 2004), Campania (reg. ric. n. 37 del 2004), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 33 del 2004), Marche (reg. ric. n. 31 del 2004), Toscana (reg. ric. n. 32 del 2004), Umbria (reg. ric. n. 34 del 2004), e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 35 del 2004) hanno sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale (quanto alle Regioni Emilia-Romagna, Marche e Toscana, unitamente ad altre disposizioni della medesima legge) dell’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2004).

In particolare, la Regione Siciliana ha impugnato il comma 21 della legge, e, in quanto ne sia disposta l’applicazione nei confronti delle Regioni a statuto speciale, dei precedenti commi da 16 a 20, lamentando la violazione degli artt. 14, lettere o e p, 20 e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), nonché degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, e dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

La Regione Sardegna ha impugnato il medesimo comma 21, in relazione ai commi da 16 a 20, lamentando la violazione degli articoli da 3 a 5, 7 e 11 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e delle relative norme di attuazione, fra cui l’art. 3 del decreto legislativo 10 aprile 2001, n. 180 (Norma di attuazione dello Statuto speciale della Regione Sardegna recante delega di funzioni amministrative alla Regione in materia di lavoro e servizi all'impiego), nonché degli artt. 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, anche in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 (recte: legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

La Provincia autonoma di Trento ha altresì impugnato il comma 21 predetto, in quanto dispone l’applicazione agli enti ad autonomia speciale, dei precedenti commi da 16 a 20, nonché dell’art. 3, commi 17, 18 e 20 della medesima legge, lamentando la violazione degli artt. 3, 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, nonché dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), ed in particolare del suo titolo VI, e delle relative norme di attuazione, fra cui gli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché del principio di leale cooperazione.

La Regione Valle d’Aosta ha impugnato i commi da 16 a 21, lamentando la violazione degli artt. 3, 5, 116, 117, 118, 119 e 120 Cost., dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nonché degli artt. 3, 4 e 48-bis della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), e dei principi di sussidiarietà e di leale cooperazione.

La Regione Marche ha impugnato i commi 16, 17, 18, 19 e 20, lamentando la lesione della propria sfera di competenza legislativa, per violazione degli artt. 117, terzo, quarto e sesto comma, e 119 della Costituzione.

La Regione Toscana ha a propria volta impugnato i commi 18, 19 e 20, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione.

La Regione Umbria ha impugnato i commi 17, 18 e 20, lamentando la violazione degli artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dei principi costituzionali di legalità sostanziale, uguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione.

La Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 17, 18 e 20, per violazione degli artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dei principi costituzionali di legalità sostanziale, uguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione.

Infine, la Regione Campania ha impugnato i commi da 16 a 21 per violazione degli artt. 3, 114, 117, 119 e 120 della Costituzione, e del principio di leale cooperazione, nonché del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.

2. – Il comma 16 della disposizione impugnata stabilisce che, ai sensi dell’art. 119, sesto comma, della Costituzione le Regioni a statuto ordinario, gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ad eccezione delle società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici, possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento.

Il comma 17 reca, in relazione a ciò, la specificazione di quali operazioni costituiscano indebitamento, agli effetti dell’art. 119, sesto comma, della Costituzione, e prevede che tali "tipologie” possano essere modificate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’Istat, sulla base dei criteri definiti in sede europea.

Il comma 18 provvede, invece, a definire le operazioni che, per i medesimi fini, costituiscono investimenti.

Il comma 19 vieta agli enti di cui al comma 16 di ricorrere all’indebitamento per finanziare i conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende e società finalizzata al ripiano di perdite.

Il comma 20 stabilisce che le modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18 sono disposte con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’Istat.

Il comma 21, infine, estende l’applicabilità dei precedenti commi da 16 a 20 alle Regioni a statuto speciale, alle Province autonome, nonché agli organismi individuati nel comma 16 siti nei loro territori, ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e nel quadro del coordinamento della finanza pubblica di cui agli artt. 119 e 120 della Costituzione.

3. – Le ricorrenti ad autonomia speciale contestano, anzitutto, il comma 21, in quanto estende loro la disciplina prevista per gli enti ad autonomia ordinaria, e censurano quest’ultima, nell’ipotesi subordinata in cui la doglianza principale venga superata.

4. – In particolare, la Regione Siciliana, pur considerando vincolante anche per le autonomie speciali il principio del divieto di indebitamento per spese correnti posto dal nuovo testo dell’art. 119, comma 6, della Costituzione, che consente a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni il ricorso "all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”, ritiene tuttavia illegittima l’estensione, con legge ordinaria, a Regioni a statuto speciale e Province autonome, delle disposizioni dei commi da 16 a 20 dell’art. 3 della finanziaria 2004, miranti all’attuazione del principio costituzionale, in quanto tale attuazione non potrebbe che essere rimessa alle regole dettate autonomamente ed in concreto da parte di ciascuna Regione a statuto speciale. Il comma 21 impugnato violerebbe, in particolare, gli artt. 14, lettere o e p, e 36 dello statuto, perché in contrasto con la competenza legislativa esclusiva regionale in tema di sistema contabile della Regione medesima e degli enti locali e strumentali della stessa, e perché incidente in senso riduttivo sull’autonomia finanziaria regionale; l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale prevede che, sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni recate dalla stessa legge costituzionale si applicano alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle attribuite”; e il nuovo art. 117 della Costituzione, perché incide sulla finanza regionale e degli enti locali e strumentali riferibili al relativo territorio, materia attribuita alla sfera di competenza legislativa generale-residuale riconosciuta in via esclusiva alle Regioni.

Qualora, in ipotesi, questa Corte ritenesse non fondata la questione, prosegue la ricorrente, le disposizioni recate dai commi da 16 a 20 dell’art. 3 si paleserebbero comunque illegittime.

Il comma 16 dell’art. 3, anzitutto, estende indebitamente l’ambito dei soggetti che, secondo l’art. 119 Cost., "possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”. Mentre, infatti, la norma costituzionale ha esclusivo riguardo ai Comuni, alle Città metropolitane ed alle Regioni, la disposizione censurata comprende, oltre alle Regioni a statuto ordinario, "gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli artt. 2, 29 e 172, comma 1, lettera b, del testo unico di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267” (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) – e cioè Comuni, Province, Città metropolitane, comunità montane, comunità isolane o di arcipelago, unioni di comuni, consorzi cui partecipano enti locali, con esclusione di quelli a rilevanza economica ed imprenditoriale e di quelli per la gestione dei servizi sociali, aziende speciali e istituzioni – "ad eccezione delle società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici”: in tal modo risulterebbe compressa la competenza legislativa regionale, cui è certamente ascrivibile, in relazione agli enti non contemplati dall’art. 119 Cost., la eventuale disciplina diretta ad estendere l’ambito dei destinatari del principio costituzionale.

Quanto al comma 17, attraverso l’arbitraria elencazione degli atti consentiti disegnerebbe una nozione di "indebitamento” priva di riscontro nei principi del diritto finanziario. La nozione di indebitamento, infatti, in via generale si collegherebbe a quelle operazioni suscettibili di creazione di risorse aggiuntive a copertura di una maggiore capacità di spesa, mentre nel diritto positivo – e il riferimento è all’art. 6, comma 7, punto 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme in materia di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio), e all’art. 1, comma 13, lettera b, della legge della Regione Siciliana 8 luglio 1977, n. 47 (Norme in materia di bilancio e di contabilità della Regione Siciliana) – si collegherebbe al "risultato differenziale tra tutte le entrate e le spese, escluse le operazioni riguardanti le partecipazioni azionarie ed i conferimenti, nonché la concessione e riscossione di crediti e l’accensione e rimborso di prestiti («indebitamento o accrescimento netto»)”. Peraltro, l’elencazione recata dalla norma censurata non apparirebbe esaustiva della nozione, e sarebbe anzi irragionevole rispetto al principio posto dall’art. 119, comma 6, Cost., da ritenere immediatamente vincolante per gli enti individuati dalla norma costituzionale, a prescindere dallo strumento prescelto per l’acquisizione della risorsa finanziaria.

Il comma 18, poi, nell’elencare le attività che, "ai fini di cui all’art. 119, sesto comma, Cost., costituiscono investimento”, non comprende tutta una serie di interventi in conto capitale (quali i trasferimenti alle imprese o i cofinanziamenti regionali di programmi comunitari concernenti la ricerca o comunque relativi a beni immateriali) che nella nozione di investimento rientrerebbero: ciò, oltre che essere frutto di una valutazione arbitraria ed erronea, limiterebbe illegittimamente l’esercizio delle competenze amministrative spettanti alla Regione ai sensi dell’art. 20 dello statuto e dell’art. 118 Cost., in quanto applicabile ex art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. La disposizione in esame, inoltre, disattenderebbe la definizione di investimento fornita dal regolamento del Consiglio dell’Unione europea n. 2223/96 del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, ed in particolare quanto sancito nell’allegato A, punto1.19, lettera c), secondo cui vanno modificati alcuni concetti basilari, "ad esempio ampliando il concetto di investimento per tenere conto dell’ammontare della spesa sulla ricerca e sviluppo o della spesa in materia di istruzione”.

Quanto al comma 19, sarebbe poi paradossale rimettere all’istituto finanziatore – soggetto privato che esercita imprenditorialmente attività bancaria o di intermediazione finanziaria – il controllo sull’operato della Regione, dotata di potestà pubblicistiche finanche in materia creditizia.

Infine, il potere di modificare le tipologie dell’indebitamento e dell’investimento dei precedenti commi 17 e 18, ascritto al Ministro dell’economia dal comma 20 sarebbe non tanto di coordinamento, quanto normativo, perché incidendo sulle nozioni di indebitamento e di investimento come individuate dalle disposizioni di quei commi, determinerebbe in concreto l’ampiezza degli ambiti operativi rimessi all’autonomia regionale, sia nel campo dell’acquisizione di risorse che in materia di spesa. Né un siffatto potere sembrerebbe rispettare i limiti posti dalla sentenza n. 376 del 2003 di questa Corte ai poteri amministrativi diretti a garantire la realizzazione della finalità di coordinamento finanziario, i quali devono essere configurati in modo consono alle sfere di autonomia costituzionalmente garantite, senza che l’azione di coordinamento si trasformi in attività di direzione o in indebito condizionamento degli enti, essendo infatti escluso "che si attribuisca al Ministero il potere di incidere sulle scelte autonome degli enti quanto alla provvista o all’impiego” delle risorse, o, peggio, di adottare determinazioni discrezionali che possano concretarsi in trattamenti di favore o di disfavore nei confronti di singoli enti.

5. – A propria volta, la Regione Sardegna ricorda che il divieto costituzionale di ricorrere all’indebitamento, se non per finanziare spese di investimento, non è estraneo all’ordinamento contabile e di bilancio delle Regioni, trovando, per quelle a statuto ordinario, un precedente nell’art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario), e, per quelle a statuto speciale, precedenti nell’art. 11 dello statuto sardo, nell’art. 74 dello statuto del Trentino Alto-Adige e nell’art. 52 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia. Ma la potestà di dettare norme applicative della disposizione statutaria in materia, per quel che riguarda la Regione ricorrente, è sempre stata riconosciuta ad essa Regione (sent. n. 107 del 1970 di questa Corte), la quale l’ha esercitata con l’art. 37 della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11 (modificato a seguito dell’entrata in vigore della legge cost. n. 1 del 2001), che elenca in modo dettagliato i criteri da rispettare affinché la Regione possa ricorrere all’autofinanziamento, stabilendo le tipologie di investimento da finanziare col provento dei mutui e dei prestiti contratti, ivi compresa "la concessione ad imprese di incentivi previsti dalla legislazione regionale”, prevedendo i contenuti indefettibili della legge di autorizzazione del mutuo o del prestito, e fissando l’ammontare massimo delle rate di ammortamento di tali forme di indebitamento. Nel rispetto di tali criteri la Regione, anno per anno, ha contratto obbligazioni per finanziare spese d’investimento rivolte al perseguimento di varie finalità: progetti per l’occupazione, investimenti in attività produttive, imprenditoria femminile e giovanile etc.

Nel disporre l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale delle disposizioni sui limiti del ricorso all’indebitamento dettate dai commi 17, 18 e 19 dell’art. 3 della legge finanziaria del 2004, il successivo comma 21 violerebbe, in primo luogo, gli artt. 5, 7 e 11 dello statuto e le relative norme di attuazione, fra cui l’art. 3 del d.lgs. n. 180 del 2001, nonché gli artt. 116, 117, terzo, quarto e sesto comma, Cost., anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 1 del 2001.

L’art. 3 impugnato, infatti, dopo aver predeterminato rigidamente al comma 17 le tipologie di indebitamento, al comma 18 fissa tassativamente le spese che possono considerarsi "di investimento” ai sensi dell’art. 119 Cost., individuandone le fattispecie in modo particolarmente analitico e dettagliato, ed al comma 19 esclude "il finanziamento di conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende e società finalizzata al ripiano di perdite”. Ciò determinerebbe, ad avviso della ricorrente, una gravissima compressione dell’autonomia della Regione, in quanto una siffatta disciplina fornirebbe un’interpretazione oltremodo restrittiva delle spese di investimento, escludendo fattispecie sino ad oggi previste dalla disciplina legislativa regionale sarda vigente. Inoltre, con riguardo ai mutui autorizzati in base alla legge regionale ma non contratti prima della fine dell’esercizio, la normativa impugnata, oltre ad impedire il ricorso allo strumento dell’autofinanziamento per il futuro, precluderebbe la possibilità del rifinanziamento.

Risulterebbe così lesa la competenza regionale esclusiva – cui non sono più opponibili i limiti dei "principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica” e delle "norme fondamentali di riforma economica della Repubblica” – in materia di "ordinamento degli uffici”, riconosciuta dall’art. 3, primo comma, lettera a, dello statuto, nella quale è compresa (sentenza n. 107 del 1970) la disciplina del bilancio e della contabilità regionale, come pure delle modalità di copertura delle spese previste in bilancio. Ma la compressione della competenza regionale in materia di contabilità si risolve anche in una limitazione delle modalità di esercizio delle attività legislative ed amministrative della Regione in tutte le materie ad essa attribuite dagli artticoli da 3 a 6 dello statuto, e quindi delle relative competenze.

La limitazione delle ipotesi nelle quali la Regione può ricorrere all’autofinanziamento, poi, ne comprimerebbe l’autonomia finanziaria al di là dei limiti direttamente derivanti dagli artt. 7 dello statuto e 119 della Costituzione su cui essa autonomia si fonda, e ne limiterebbe la potestà programmatoria relativa all’insieme degli interventi nelle materie di competenza regionale, che all’autonomia finanziaria dà corpo, atteso il "rapporto funzionale” che lega questa a quella, ed il "valore strumentale” della programmazione, possibile solo laddove le Regioni dispongano effettivamente di risorse, rispetto all’autonomia regionale complessiva (sentenze n. 293 del 1995 e n. 381 del 1996). A titolo di esempio, la ricorrente richiama le funzioni in materia di politica attiva del lavoro previste dall’art. 3 delle norme di attuazione recate dal d.lgs. 10 aprile 2001, n. 180, che potrebbero risultare illegittimamente limitate dalle disposizioni impugnate.

I fini "di tutela dell’unità della Repubblica” "nel quadro del coordinamento della finanza pubblica di cui agli artt. 119 e 120 Cost.”, che il comma 21 impugnato pone a fondamento della normativa, sarebbero del tutto inconsistenti. Nell’art. 120, secondo comma, Cost., infatti, l’unità economica ha la funzione di dare fondamento agli interventi sostitutivi, attribuiti al Governo e non al Parlamento, nei casi di gravi inadempienze commesse da Regioni ed enti locali, mentre la normativa impugnata non ha ad oggetto le inadempienze delle Regioni ed il potere sostitutivo, ma stabilisce essa stessa il contenuto di un limite all’attività delle Regioni. Ma anche a voler ammettere che la disciplina in esame sia collegata all’esercizio del potere sostitutivo, osserva la ricorrente, nell’estendere quanto stabilito dai commi da 16 a 20, il successivo comma 21 omette ogni richiamo alla procedura da seguire perché l’intervento possa essere esercitato, come previsto dalla norma costituzionale, "nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale cooperazione” (sentenza n. 43 del 2004). In ogni caso, poi, non prevedendo lo statuto sardo poteri sostitutivi dello Stato, in forza del limite fissato dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, l’art. 120, secondo comma, Cost., nel nuovo testo, non sarebbe applicabile alla Regione Sardegna.

Quanto invece al "coordinamento della finanza pubblica” di cui al secondo comma dell’art. 119 Cost., esso avrebbe come oggetto soltanto le entrate di Regioni ed enti locali che abbiano natura coattiva, e non riguarderebbe in nessun modo la materia dell’autofinanziamento di quegli enti e le relative attività. In ogni caso, in forza del limite fissato dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, anche l’art. 119, secondo comma, Cost., nel nuovo testo, non sarebbe applicabile alla Regione Sardegna, dove il coordinamento della finanza pubblica si fonda sul principio stabilito dall’art. 7 dello statuto.

Censure analoghe a quelle mosse nei confronti dell’estensione della normativa che individua in modo riduttivo le spese di investimento (commi 18 e 19) vanno formulate, prosegue la ricorrente, nei confronti dell’estensione dell’elencazione analitica e tassativa delle fattispecie di indebitamento ammissibili contenuta nel comma 17 dell’art. 3.

L’estensione, compiuta dalla disposizione finale del comma 21 dell’art. 3, dell’applicabilità della disciplina dei commi da 16 a 20 anche "agli enti e agli organismi individuati nel comma 16 siti nei loro territori”, oltre a violare i parametri già indicati, sarebbe, in particolare, invasiva della competenza legislativa esclusiva della Regione in materia di ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione, e di ordinamento degli enti locali, attribuita dall’art. 3, comma 1, lettere a e b, dello statuto.

L’art. 3, comma 21, in relazione al comma 20, ed all’ultimo periodo del comma 17, violerebbe, poi, in particolare, il riparto delle competenze normative dello Stato e delle Regioni stabilito dall’art. 117, sesto comma, Cost. nell’attribuire al Ministro dell’economia il potere di modificare con decreto le tipologie dell’indebitamento e dell’investimento dei precedenti commi 17 e 18. Si tratterebbe di un potere sostanzialmente regolamentare, atteso il carattere innovativo che la legge attribuisce al decreto, precluso allo Stato nelle materie di competenza regionale già prima della riforma del titolo V della Costituzione, e ora, appunto, dal sesto comma dell’art. 117 (sentenza n. 302 del 2003).

6. – La Provincia autonoma di Trento premette, invece, che la legge n. 350 del 2003 contiene, bensì, all’art. 4, comma 249, una clausola generale di salvaguardia per le autonomie speciali, secondo la quale le disposizioni della legge "sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti”. Tuttavia, alcune disposizioni in materia finanziaria, quelle impugnate, si pongono in contrasto con la disciplina della materia finanziaria dettata dal titolo VI dello statuto e, per quel che attiene alla finanza locale, ivi comprese le modalità di ricorso all’indebitamento, con l’art. 80 dello statuto, che disciplina la competenza legislativa provinciale, e con l’art. 17 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, recante le norme di attuazione in materia di finanza regionale e provinciale: ambiti, entrambi, nei quali la Provincia ha legiferato, con la legge provinciale 14 settembre 1979, n. 7, e segnatamente con l’art. 31, per quanto riguarda la Provincia stessa, e con la legge provinciale 15 novembre 1993, n. 36, per quel che riguarda la finanza locale.

Il comma 21 dell’art. 3 della finanziaria 2004, disponendo l’estensione dell’applicabilità alle autonomie speciali dei precedenti commi da 16 a 21, farebbe venir meno l’operatività della clausola di salvaguardia di cui si è detto, e si sostituirebbe illegittimamente alla disciplina legislativa provinciale nella materia, restringendo l’autonomia finanziaria e la potestà legislativa provinciale.

In primo luogo, infatti, in base all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001 non si applicano alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome gli artt. 119 e 120 Cost., nel nuovo testo, richiamati dal comma 21 impugnato a fondamento dei precedenti commi da 16 a 20 dell’art. 3 della finanziaria 2004, in quanto essi, evidentemente, non recano norme più favorevoli di quanto non disponga il sistema statutario. La pretesa di diretta applicazione alla Provincia delle regole stabilite dai detti commi da 16 a 20 dell’art. 3 violerebbe platealmente l’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, che prevede il ben noto meccanismo in virtù del quale la sopravveniente legislazione statale nelle materie provinciali determina non la diretta applicazione delle norme statali, ma il dovere di adeguamento (nei limiti in cui statutariamente vi sia), della legislazione provinciale. In particolare, per quel che attiene al potere sostitutivo dello Stato, esso è già previsto in due ipotesi, per la Regione e le due Province autonome (dagli artt. 5, comma 1, e 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526), mentre nessuna norma statutaria prevede o consente che la legge statale stabilisca per quale ambito la Provincia possa ricorrere all’indebitamento, o stabilisca che cosa costituisce indebitamento o investimento.

In secondo luogo, i commi 17, 18 e 20 dell’art. 3, ad avviso della ricorrente, sarebbero costituzionalmente illegittimi per motivi specifici.

La normativa da essi dettata, infatti, restringe le possibilità di azione delle Regioni, e secondo il comma 21 anche di essa Provincia, rispetto alla regola costituzionale del divieto di indebitamento se non per investimenti, regola che è per le Regioni ordinarie direttamente operativa, e non demanda alcun compito attuativo alla legge statale, la quale, in ogni caso, dovrebbe attenersi al concetto economico di investimenti, senza restringerlo arbitrariamente ed irragionevolmente, estendendo il divieto costituzionale ad ambiti che esso non era destinato a coprire: sarebbe, ad esempio, preclusa dal comma 18, lettere g e h, la possibilità di ricorrere all’indebitamento per effettuare trasferimenti in conto capitale a favore di privati anziché in favore di soggetti pubblici. L’irragionevolezza della norma ed il suo carattere discriminatorio, anche alla stregua dell’art. 3 Cost., emergerebbero anche all’interno della stessa legge n. 350 del 2003, il cui art. 4, intitolato "Finanziamenti agli investimenti”, contempla invece, sin dal comma 1, contributi a privati. Le disposizioni del comma 18 dell’art. 3, inoltre, non corrisponderebbero alla disciplina dei "trasferimenti in conto capitale” del regolamento del Consiglio dell’Unione europea n. 2223/96 del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, che fra tali trasferimenti comprende i "contributi agli investimenti”, menzionando quelli alle imprese private ed a soggetti privati diversi dalle imprese, in violazione, quindi dell’art. 117, primo comma, Cost. La stessa irragionevole differenziazione della possibilità di indebitamento delle Regioni da quella dello Stato, per il quale continua a valere la disciplina comunitaria, si tradurrebbe in lesione dell’autonomia finanziaria regionale.

Illegittime sarebbero altresì le norme che prevedono che gli elenchi di cui agli artt. 17 e 18 possano essere modificati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT, "sulla base dei criteri definiti in sede europea”, laddove il decreto del Ministro previsto dal comma 20 per modificare le tipologie di indebitamento e di investimento non richiama più "i criteri definiti in sede europea”, il che potrebbe essere inteso nel senso che nel secondo caso sia previsto un regolamento ministeriale "in deroga”, discrezionalmente adottabile dal ministro.

Entrambe le norme, comunque, sarebbero illegittime già nei confronti delle Regioni ordinarie, perché nella materia del "coordinamento della finanza pubblica”, di competenza concorrente di Stato e Regioni, l’attuazione delle fonti comunitarie non self-executing è regolata dall’art. 9 della legge n. 86 del 1989, sicché, in attesa della legge regionale di recepimento, lo Stato potrebbe attuare la direttiva, ma perlomeno con un regolamento governativo, e non con un regolamento del Ministro, atteso che la competenza dell’organo collegiale prevista dalla legge n. 86 del 1989 deve ritenersi costituzionalmente necessaria in relazione al rango costituzionale dell’autonomia regionale. Ancor più chiaramente illegittimo sarebbe il comma 20, che non fa riferimento ai criteri europei, in quanto prevede un potere sostanzialmente regolamentare in materia di competenza concorrente, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.

Qualora si ritenesse che il decreto previsto dalle due norme non abbia natura regolamentare, ma sia espressione di una funzione amministrativa attribuita al Ministro in virtù del principio di sussidiarietà, non verrebbe meno l’illegittimità, mancando qualsiasi coinvolgimento delle Regioni in contrasto con il principio di leale cooperazione (sentenza n. 303 del 2003). Per la Provincia autonoma, si tratterebbe anche dell’attribuzione di funzioni amministrative statali direttamente vietate dall’art. 4 del d.P.R. n. 266 del 1992. Nel riferirsi alle tipologie di cui al comma 18, il comma 20, infine, sarebbe illegittimo perché conferirebbe al Ministro un "nudo” potere discrezionale, in violazione del principio di legalità sostanziale e, in quanto incidente sull’autonomia regionale e provinciale, con lesione della stessa.

7. – La Regione autonoma Valle d’Aosta osserva, a propria volta, che l’art. 3 dello statuto riconosce ad essa la potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica in una serie di materie, fra cui "finanze regionali e comunali”, mentre l’art. 4 attribuisce ad essa la competenza amministrativa in tutte le materie in cui ha competenza legislativa. La possibilità di assumere mutui ed emettere obbligazioni è stata riconosciuta alla Regione dalla legge 26 novembre 1981, n. 690, e dalle norme di attuazione in materia di finanze regionali e comunali dettate con d.lgs. 28 dicembre 1989, n. 431, che, in particolare, all’art. 6 ha stabilito spettare alla Regione emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti degli enti locali della Valle e delle loro aziende. La Regione ha esercitato tali attribuzioni con la legge regionale 16 dicembre 1997, n. 40, che, tra l’altro, demanda la disciplina dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali ad un regolamento. Quest’ultimo, adottato il 3 febbraio 1997, con il n. 1, all’art. 44 dispone che gli enti locali possano far ricorso all’indebitamento solo al fine di realizzare investimenti, con l’unica deroga dei finanziamenti fuori bilancio.

Le disposizioni censurate, articolate e di dettaglio, si pongono quindi in netto contrasto con la disciplina così richiamata, comportando la sostanziale abrogazione della normativa valdostana, che pure è recata da una fonte che dà attuazione ad uno statuto speciale, così violando l’art. 3 dello statuto.

Sarebbero altresì violati l’art. 48-bis dello statuto, per non essere stato rispettato il procedimento da esso previsto per la modifica delle norme di attuazione, comprese quelle in materia finanziaria dettate dal d.lgs. n. 431 del 1989, come stabilito dall’art. 1 del d.lgs. 22 aprile 1994, n. 320 (viene ricordata la sentenza n. 221 del 2003), l’art. 116, comma 1, Cost., che riconosce ad essa Regione particolari condizioni di autonomia, l’art. 117, comma 1, Cost., e gli artt. 118 Cost. e 4 dello statuto, che riconoscono alla Regione la titolarità di funzioni amministrative proprie, incidendo le disposizioni impugnate sull’autonomia organizzativa di essa ricorrente e di tutti gli enti locali valdostani. Né, in avverso, si potrebbe invocare la potestà dello Stato di stabilire i principi di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (in proposito, sentenze n. 17 e 36 del 2004), perché ciò implica la fissazione di obiettivi e paradigmi generali dell’azione, e non l’adozione di una normativa analitica e dettagliata.

La Regione denuncia in secondo luogo la violazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, non potendosi invocare, come fanno le disposizioni impugnate, gli artt. 119 e 120 Cost., investiti dalla riforma del titolo V, per ridurre l’ambito di autonomia già riconosciuto alla Regione, atteso che neppure l’art. 119, ultimo comma, Cost., in forza della clausola dello stesso art.10 della legge cost. n. 3 del 2001, sarebbe applicabile alle autonomie speciali.

L’impatto della normativa impugnata sugli equilibri del bilancio regionale, prosegue la ricorrente, sarebbe dirompente, considerata la disposta limitazione a precise tipologie delle spese finanziabili mediante indebitamento, con esclusione, ad esempio, dei trasferimenti in conto capitale a favore dei privati e i cofinanziamenti regionali di programmi comunitari.

Inconferente sarebbe poi il richiamo, contenuto nel comma 21, all’art. 120 Cost. in tema di potere sostitutivo, non solo per la non applicabilità alle Regioni a statuto speciale di cui si è detto, ma per l’oggettiva insussistenza dei presupposti.

L’approvazione delle disposizioni censurate senza previa consultazione degli enti interessati, infine, violerebbe i principi di sussidiarietà e leale cooperazione ribaditi dallo stesso art. 120 Cost.

8. – La disciplina legislativa recata dai commi da 16 a 20 è altresì censurata dalle Regioni a statuto ordinario.

La Regione Marche, anzitutto, dubita che al principio dell’ultimo comma dell’art. 119 Cost. si possa dare attuazione ed integrazione con norme della legge finanziaria, anziché con norme di coordinamento, e comunque senza l’intervento o una possibilità di definizione da parte del legislatore regionale. Le norme impugnate, infatti, nel disciplinare l’indebitamento delle Regioni e degli enti locali con previsioni di dettaglio non riconducibili ai principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all’art. 119 Cost., violerebbero l’autonomia finanziaria garantita agli enti sub-statali proprio dall’art. 119 Cost.. Tali principi di coordinamento devono essere inseriti dal legislatore statale in una disciplina che contestualmente determini i "principi generali”, come previsto dalla legge finanziaria per il 2003, la legge n. 289 del 2002, con l’istituzione, all’art. 3, dell’Alta commissione, scelta confermata dalla finanziaria in esame all’art. 2, che ne ha fissato il termine per la conclusione dei lavori.

Quella dettata dalle norme impugnate è invece normativa di dettaglio, che elenca puntualmente investimenti e indebitamenti ammessi, che condizionano in termini stringenti, e perciò inammissibili, la capacità di esercizio autonomo delle competenze legislative ed amministrative delle Regioni – rendendo, ad esempio, illegittimi i trasferimenti in conto capitale a favore di privati, escludendo così, tra l’altro, i cofinanziamenti regionali di programmi comunitari –, laddove il sistema costituzionale attribuisce alle Regioni potestà normativa nel quadro dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale.

Il comma 17 dell’art. 3, poi, attribuendo al Ministro potestà regolamentare in materia non riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto "deve escludersi la possibilità per lo Stato di intervenire in tale materia con atti normativi di rango sublegislativo” (sentenza n. 329 del 2003). Né la competenza ministeriale in parola è assistita da garanzie procedurali che consentano la partecipazione delle Regioni alla definizione delle variazioni delle tipologie degli investimenti e degli indebitamenti, con ulteriore lesione delle competenze regionali.

9. – La Regione Toscana denuncia il mancato rispetto delle modalità di attuazione stabilite dall’art. 119 Cost. a garanzia di una corretta ed equilibrata realizzazione del sistema finanziario regionale e locale, fine per il quale è stata istituita l’Alta commissione di studio che ultimerà i propri lavori entro il 30 settembre 2004.

Le disposizioni, ad avviso della Regione, violano l’art. 117 Cost. in quanto elencano in modo puntuale ed esaustivo le spese di investimento, fornendone una disciplina dettagliata e autoapplicativa, mentre la materia del coordinamento della finanza pubblica è soggetta alla potestà legislativa concorrente e perciò lo Stato dovrebbe limitarsi a fissare solo i principi fondamentali.

Il comma 20, poi, nel prevedere che le modifiche alle tipologie indicate nei commi 17 e 18 saranno in futuro disposte con decreto del Ministro dell’economia, violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., consentendo ad un decreto ministeriale di disciplinare aspetti interferenti con una materia soggetta a potestà legislativa concorrente.

10. – Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con ricorsi di identico tenore, rilevano che la normativa dettata dai commi 17, 18 e 20 dell’art. 3 restringerebbe le possibilità di azione delle Regioni rispetto alla regola costituzionale del divieto di indebitamento se non per investimenti, regola che è per le Regioni ordinarie direttamente operativa, e non demanda alcun compito attuativo alla legge statale, la quale, in ogni caso, dovrebbe attenersi al concetto economico di investimenti, senza restringerlo arbitrariamente ed irragionevolmente, estendendo il divieto costituzionale ad ambiti che esso non era destinato a coprire: sarebbe, ad esempio, preclusa dal comma 18, lettere g e h, la possibilità di ricorrere all’indebitamento per effettuare trasferimenti in conto capitale a favore di privati anziché in favore di soggetti pubblici. L’irragionevolezza della norma ed il suo carattere discriminatorio, anche alla stregua dell’art. 3 Cost., emergerebbero anche all’interno della stessa legge n. 350 del 2003, il cui art. 4, intitolato Finanziamenti agli investimenti, contempla invece, sin dal comma 1, contributi a privati.

Le disposizioni del comma 18 dell’art. 3, inoltre, non corrisponderebbero alla disciplina dei ”trasferimenti in conto capitale” del regolamento del Consiglio dell’Unione europea n. 2223/96 del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, che fra tali trasferimenti comprende i "contributi agli investimenti”, menzionando quelli alle imprese private ed a soggetti privati diversi dalle imprese, in violazione, quindi dell’art. 117, primo comma, Cost. La stessa irragionevole differenziazione della possibilità di indebitamento delle Regioni da quelle dello Stato, per il quale continua a valere la disciplina comunitaria, si tradurrebbe in lesione dell’autonomia finanziaria regionale.

Illegittime sarebbero altresì le norme che prevedono che gli elenchi di cui agli artt. 17 e 18 possano essere modificati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT, "sulla base dei criteri definiti in sede europea”, laddove il decreto del Ministro previsto dal comma 20 per modificare le tipologie di indebitamento e di investimento non richiama più "i criteri definiti in sede europea”, il che potrebbe essere inteso nel senso che nel secondo caso sia previsto un regolamento ministeriale "in deroga”, discrezionalmente adottabile dal ministro.

Entrambe le norme, comunque, sarebbero illegittime, perché nella materia del "coordinamento della finanza pubblica”, di competenza concorrente di Stato e Regioni, l’attuazione delle fonti comunitarie non self-executing è regolata dall’art. 9 della legge n. 86 del 1989, sicché, in attesa della legge regionale di recepimento, lo Stato potrebbe attuare la direttiva, ma perlomeno con un regolamento governativo, e non con un regolamento del Ministro, atteso che la competenza dell’organo collegiale prevista dalla legge n. 86 del 1989 deve ritenersi costituzionalmente necessaria in relazione al rango costituzionale dell’autonomia regionale. Ancor più chiaramente illegittimo sarebbe il comma 20, che non fa riferimento ai criteri europei, in quanto prevede un potere sostanzialmente regolamentare in materia di competenza concorrente, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.

Qualora si ritenesse che il decreto previsto dalle due norme non abbia natura regolamentare, ma sia espressione di una funzione amministrativa attribuita al Ministro in virtù del principio di sussidiarietà, non verrebbe meno l’illegittimità, mancando qualsiasi coinvolgimento delle Regioni in contrasto con il principio di leale cooperazione (sentenza n. 303 del 2003). Nel riferirsi alle tipologie di cui al comma 18, il comma 20, infine, sarebbe illegittimo perché conferirebbe al Ministro un "nudo” potere discrezionale, in violazione del principio di legalità sostanziale e, in quanto incidente sull’autonomia regionale, con lesione della stessa.

11. – Infine, la Regione Campania lamenta che le disposizioni impugnate, muovendosi al di fuori dell’impostazione data alle autonomie, e segnatamente al sistema finanziario regionale, dalla riforma del titolo V, attribuendo una portata limitativa, e per di più mutevole – in quanto affidata alla discrezionalità del Ministro dell’economia –, all’art. 119, sesto comma, Cost., non abbiano dato ad esso attuazione, ma con esso si siano, anzi, poste in contrasto. Infatti, nella fase di passaggio al nuovo modello finanziario, in attesa di una disciplina statale, sarebbe irragionevole e illegittimo sottrarre alle Regioni i mezzi di gestione della spesa che attualmente consentono la governabilità del sistema finanziario e di spesa regionale (sentenze n. 13 e 37 del 2004, nonché, circa il parallelismo fra responsabilità di disciplina della materia e responsabilità finanziaria, sentenza n. 17 del 2004).

La disciplina impugnata violerebbe l’art. 117 Cost. in quanto, seppur rientrante nella materia "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, non presenterebbe le caratteristiche di principi fondamentali alla cui fissazione si deve limitare la legge statale nelle ipotesi di competenza concorrente.

Anche qualora si volesse qualificare la disciplina impugnata come attuazione parziale dell’art. 119 Cost., sarebbero illegittime le modalità seguite, non solo per la irragionevole selezione di alcuni contenuti di specifiche qualificazioni presenti nella previsione costituzionale – perché non è dato di cogliere il criterio adottato, e per la mutevolezza ed integrabilità, con decreto del Ministro, di tali contenuti –, ma per l’esclusione di qualsiasi intesa fra lo Stato e la Regione tanto nella fase normativa di predisposizione della stessa disciplina, che nelle fasi successive, di modifica, con decreto ministeriale, delle tipologie di cui ai commi 17 e 18, in violazione del principio di leale cooperazione.

Infine, la previsione di modifica di cui ai commi 17 e 20, con decreto ministeriale, delle ipotesi legislativamente fissate violerebbe gli artt. 119 e 117, sesto comma, Cost., che consente allo Stato di esercitare la potestà regolamentare solo in materie di competenza esclusiva. Nel caso di specie, l’intervento normativo è di rango inferiore al regolamento governativo, essendo attribuito al Ministro, ma potrà incidere sulle disposizioni legislative, modificandole in noncuranza di qualsiasi limite di principio da parte della legge, in assenza di qualsiasi garanzia procedimentale che coinvolga le Regioni.

12. – Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la reiezione dei ricorsi.

In ordine alle censure dirette dagli enti ad autonomia speciale avverso il comma 21, l’Avvocatura osserva in via generale che l’art. 119, ultimo comma, Cost. non contrasta con gli statuti speciali, e perciò opera sull’intero territorio nazionale, e che i commi da 16 a 21 dell’art. 3 della finanziaria censurati costituiscono normativa di attuazione del precetto costituzionale, prodotta nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato, e non nell’ambito della competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, comma terzo, Cost.

All’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, poi, non potrebbe attribuirsi, oltre al palese significato "estensivo” delle più ampie forme di autonomia, un significato "ostativo” di non applicazione dei nuovi precetti costituzionali nei territori ad autonomia speciale sino all’adeguamento degli statuti, erigendo confini all’interno del territorio nazionale all’operare di fondamentali parametri costituzionali.

Nello specifico, con riguardo alle doglianze della Provincia autonoma di Trento, lo Stato osserva che il "postulato” dell’asserita attribuzione anteriore di forme di autonomia più ampia, dal quale muove la Provincia, sarebbe indimostrato, in quanto l’art. 74 dello statuto porrebbe ad essa limiti assai più severi di quelli ora stabiliti dall’art. 119, ultimo comma, Cost., come il divieto di prestiti non "interni” ed il "tetto” quantitativo. Inoltre, nella materia della finanza locale l’art. 80 dello statuto attribuirebbe alla Provincia solo una competenza legislativa concorrente.

Il fatto, poi, che nessuna norma statutaria preveda che la legge statale possa regolare, per la Provincia, il ricorso all’indebitamento, o stabilisca che cosa costituisca indebitamento o investimento, varrebbe come riconoscimento dell’inesistenza di limiti statutari alla produzione legislativa dello Stato in argomento.

Quanto al richiamo al meccanismo dell’art. 2 del d.lgs. n. 256 del 1992, la Provincia non avrebbe indicato le proprie disposizioni abbisognevoli di "adeguamento”: la norma, d’altra parte, si riferisce solo alle leggi statali costituenti "limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto”, e sarebbe quindi inapplicabile alle disposizioni censurate, che si connettono ed integrano l’art. 119, ultimo comma, Cost., il quale, non incontrando ostacoli nello statuto, è operante anche all’interno della Regione Trentino-Alto Adige. In ordine agli enti locali, la legge provinciale n. 36 del 1993 non definirebbe gli "investimenti”, e porrebbe limiti essenzialmente quantitativi.

La Provincia, conclude quindi l’Avvocatura, potrebbe entro giugno 2004 provvedere autonomamente allo "adeguamento” della propria legislazione, purché con fedele recepimento delle regole poste dai commi impugnati dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003.

Quanto, poi, al ricorso della Valle d’Aosta, l’Avvocatura contesta che la normativa impugnata sia in contrasto con l’art. 11 della legge n. 860 del 1981 e con le norme di attuazione richiamate – le quali peraltro, siccome nella specie anteriori all’introduzione dell’art. 48-bis nello statuto, non sarebbero soggette al particolare procedimento per la modifica da esso regolato –, nonché con la legge regionale, che nulla disporrebbe sullo specifico tema; né l’art. 44 del regolamento del 1999 fornirebbe una nozione o una casistica di investimenti, sicché non potrebbe sostenersi che le disposizioni della finanziaria abbiano inciso su materia "già compiutamente disciplinata”.

Neppure sarebbe violato l’art. 48-bis dello statuto, articolo che deve ricevere un’interpretazione "stretta”, perché le disposizioni impugnate non recano norme di attuazione dello statuto.

Venendo poi a contestare la fondatezza delle censure mosse ai commi da 16 a 20, l’Avvocatura osserva che la doglianza che investe il comma 17, secondo cui la nozione di indebitamento fornita dalla legge impugnata non coinciderebbe con quella di saldo netto da finanziare (alias fabbisogno) o con quella di indebitamento netto (art. 6, settimo comma, della legge n. 47 del 1977), sarebbe inconsistente, in quanto per la normativa in esame rileverebbe il solo indebitamento per finanziare spese di investimento, e non qualsiasi altro indebitamento.

La censura mossa al comma 18, che non qualifica come investimenti anche i trasferimenti "a fondo perduto” a favore di generici operatori privati, è del pari infondata, perché la distinzione operata dal legislatore è conforme al parametro costituzionale attuato, in quanto il danaro proveniente dalle casse pubbliche che concorra a formare assets privati può talvolta risultare utilmente speso ma non costituisce investimento del soggetto pubblico erogatore. La doglianza, dunque, mirerebbe ad una pronuncia additiva, che introduca ulteriori tipologie di trasferimenti in conto capitale, e sarebbe pertanto inammissibile. Essa sarebbe anche infondata, in quanto dalla contiguità, nell’art. 119, ultimo comma, del secondo periodo, attuato con la normativa impugnata, con il primo periodo, ove si parla di "patrimonio” delle Regioni e degli enti locali, si intenderebbe che "investimento” è la destinazione di risorse finanziarie all’accrescimento del patrimonio del soggetto che "investe”, e non di altro soggetto, per di più privato.

Quanto alla segnalazione del regolamento del Consiglio dell’Unione europea n. 2223/96 del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, essa è non pertinente, perché l’atto si limiterebbe a stabilire una metodologia contabile statistica comune, senza porre alcuna norma che imponga agli Stati membri dell’Unione di considerare investimenti anche i contributi pubblici a fondo perduto all’imprenditoria privata.

In ordine al comma 19, la prevista istruttoria dell’istituto finanziatore costituirebbe un principio di persino ovvia ragionevolezza, ove si rispettasse il precetto del "buon andamento”.

Il limite all’indebitamento delle Regioni, degli enti locali e di altri soggetti pubblici, poi, sarebbe argomento non riconducibile alla competenza primaria in materia di "ordinamento degli uffici”, in quanto le risorse finanziarie per il funzionamento degli uffici sono, per definizione, spese correnti, mentre gli investimenti sono risorse finanziarie destinate all’accrescimento del patrimonio del soggetto che investe, sicché si è nell’ambito della competenza esclusiva statale a produrre norme generali, e non solo locali, per l’attuazione dell’art. 119, ultimo comma, Cost., concorrendo i livelli di indebitamento dei soggetti pubblici, ancorché dotati di autonomia costituzionalmente garantita – e cioè del settore pubblico allargato – a determinare la stabilità economico finanziaria del "sistema Italia” nella sua ineludibile unitarietà.

Non pertinente sarebbe l’attribuzione ai commi 17, 18 e 19 della natura di normativa di dettaglio, in quanto l’attuazione dell’art. 119, ultimo comma, Cost., non sarebbe incasellabile in una logica da competenza concorrente, mentre scarso pregio avrebbe il ricorso all’immagine di una potestà programmatoria della Regione, non potendosi per questa configurare una materia a sé stante, né potendo costituire la programmazione dello sviluppo economico un passe partout utile ad aprire qualsiasi accesso ai flussi finanziari.

In ordine agli enti infraregionali, l’Avvocatura osserva che la disciplina generale degli indebitamenti attiene al governo dell’economia nazionale, e non all’ordinamento dei singoli enti locali e delle singole aziende sanitarie.

Quanto poi alla violazione della procedura per l’introduzione delle norme di coordinamento, ed all’istituzione dell’Alta commissione, osserva l’Avvocatura che il Parlamento, all’esito dei lavori di quest’ultima, potrebbe integrare o modificare il comma 18.

Le Regioni non potrebbero, inoltre, invocare quale parametro l’art. 3 della Costituzione.

Infine, in relazione alle censure mosse al potere ministeriale di variare con decreto le tipologie di indebitamento e investimento (commi 17 e 20) l’Avvocatura rileva che l’argomento relativo all’assenza di criteri idonei a guidare l’esercizio del potere del Ministro sarebbe inconsistente, essendo i criteri agevolmente desumibili dall’intero contesto dei commi da 16 a 21.

13. – In prossimità dell’udienza pubblica tutte le ricorrenti hanno depositato memorie illustrative, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già formulate.

In particolare, la Regione Siciliana ha anzitutto precisato di aver affermato la vincolatività, nei confronti di essa Regione, del principio di indebitamento per le spese correnti sancito dall’art. 119, sesto comma, Cost. sull’implicito presupposto della sussistenza, ben prima della riforma costituzionale del 2001, di un principio sostanzialmente analogo – codificato da svariate fonti, come l’art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, per le Regioni a statuto ordinario, o l’art. 52 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, e, per la Regione Siciliana, dall’art. 18, primo comma, della legge regionale 8 luglio 1977, n. 47 –, discendente dall’ossequio a criteri di buon andamento e di sana amministrazione immanenti nell’ordinamento, e correlato al limite all’autofinanziamento noto a livello comunitario. La posizione del principio in sede di riforma costituzionale non sarebbe, quindi, che una esplicitazione di un vincolo contabile già cogente, la cui concreta attuazione non potrebbe che essere rimessa, in ossequio all’autonomia finanziaria attribuita alla Regione Siciliana, alla responsabilità, ed alla legislazione, della stessa. Sarebbe pertanto corretta l’individuazione dei parametri negli artt. 14, lettere o e p, e 16 dello statuto, che attribuiscono alla Regione la potestà di dettare norme concernenti l’ordinamento contabile proprio nonché degli enti locali e di tutte le realtà istituzionali ricomprese nel settore pubblico regionale, ed attinenti all’autonomia finanziaria, mentre l’art. 20 dello statuto sarebbe stato invocato per l’illegittima compressione della potestà amministrativa regionale, quantomeno sotto il profilo dell’ampiezza e dell’operatività del relativo espletamento.

Ritenere, poi, la normativa censurata compresa nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato costituirebbe assunto indimostrato, alla luce dell’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e dell’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato risultanti dal novellato art. 117 Cost., che consentono deroghe all’ordinario assetto delle competenze solo sulla base di quel meccanismo dinamico, individuato nella sent. n. 303 del 2003, in presenza di un preciso "iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale”, non riscontrabile nella specie. Né, considerato il loro livello di assoluto dettaglio, le disposizioni censurate possono ritenersi espressione della competenza concorrente spettante allo Stato ex art. 117, terzo comma, Cost., in materia di "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.

Dopo aver contestato che quella invocata con il ricorso sia una pronuncia additiva, come affermato dalla difesa erariale, essendo, invece, richiesta una sentenza che accerti l’invasione della sfera di competenza costituzionalmente garantita alla Regione, la ricorrente conclude, in replica alla battuta polemica dell’Avvocatura sulla sorte degli istituti di credito siciliani, precisando che ogni funzione di vigilanza in materia creditizia è preclusa alla Regione, essendo di esclusiva pertinenza della Banca d’Italia.

La Regione Sardegna in primo luogo ribadisce l’inapplicabilità delle disposizioni censurate ad essa Regione perché dotata, in forza delle disposizioni dello statuto, di forme di autonomia più ampie di quelle previste dall’art. 119 Cost., soffermandosi sull’interpretazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e richiamando, in proposito, anche la sentenza n. 103 del 2003

Qualora le disposizioni censurate fossero invece ritenute ad essa applicabili, sarebbero tuttavia incostituzionali perché lesive delle competenze legislative regionali, per la natura strumentale della competenza in materia di bilancio e contabilità, cui va ricondotta la disciplina dell’indebitamento, in quanto la Regione verrebbe limitata nella potestà programmatoria degli interventi pubblici nella varie materie.

La ricorrente contesta poi che la disciplina impugnata possa essere considerata esercizio di una competenza esclusiva statale per l’attuazione dell’art. 119, ultimo comma, Cost., in quanto il principio, posto dalla norma costituzionale, del limite all’indebitamento non richiede norme di dettaglio e/o di attuazione che puntualizzino o restringano il concetto economico di investimento, come insegnerebbe la storia dell’applicazione dell’art. 10 della legge n. 281 del 1970 – di cui l’art. 119, sesto comma, rappresenterebbe il "precipitato” costituzionale –, che in trent’anni non ha conosciuto attuazione, essendo stata interpretata la nozione di "spese di investimento” esclusivamente alla luce del suo significato economico, il che rende manifesto il carattere di dettaglio delle disposizioni censurate.

La Provincia autonoma di Trento ricorda invece come rientri nella propria competenza legislativa la contabilità propria e, segnatamente, la disciplina della modalità di ricorso all’indebitamento degli enti locali (art. 17, comma 3, della legge n. 268 del 1992, ricostruisce brevemente la storia normativa dell’indebitamento delle Regioni sino all’illegittimo restringimento della nozione di investimento operata dalle disposizioni censurate, ed osserva come la tesi della difesa erariale secondo la quale l’esclusione dei finanziamenti di investimenti privati sarebbe conforme al parametro costituzionale avrebbe trovato smentita in quanto disposto, per gli anni 2003 e 2004, per gli enti ad autonomia speciale dal sopravvenuto art. 3, comma 1, del d.l. 12 luglio 2004, n. 168, introduttivo del comma 21-bis nella normativa impugnata.

La Regione Valle d’Aosta richiama a proprio favore, in particolare, in tema di disciplina dell’indebitamento degli enti locali, la sentenza n. 376 del 2003 di questa Corte.

La Regione Marche si sofferma in particolare su natura e portata del coordinamento della finanza pubblica, compreso tra le materie di legislazione concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost., osservando, con numerosi richiami alla dottrina, come nel sistema dell’art. 119 Cost. il coordinamento statale intervenga su una potestà legislativa regionale già preesistente, e debba essere limitato alla determinazione dei principi fondamentali, laddove la normativa impugnata fornisce un elenco puntuale degli investimenti e degli indebitamenti ammessi (viene in proposito richiamata l’audizione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome presso la Commissione bilancio del 18 marzo 2004).

La Regione Toscana aggiunge che la normativa impugnata si porrebbe altresì in contrasto con il regolamento comunitario n. 2223/96.

Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna osservano che la prima disciplina delle possibilità di investimento delle Regioni ordinarie risale all’art. 10 della l. 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario), e, anche a seguito delle successive modifiche legislative (art. 22 della legge n. 335 del 1976, recante "Princìpi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni”, e art. 23 del d.lgs. n. 76 del 2000, recante "Princìpi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni”, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della l. 25 giugno 1999, n. 208), si limitava ad escludere l’indebitamento per finanziare la spesa corrente.

Secondo le ricorrenti, la ratio dell’art. 119 della Costituzione è di "costituzionalizzare il divieto di indebitamento, da parte delle Regioni, per finanziare la spesa corrente già risultante dalle leggi statali ordinarie”, sicché, posto che tale divieto non si sarebbe esteso al finanziamento degli investimenti privati, sarebbe illegittimo introdurlo mediante la norma impugnata: essi infatti "producono utilità per il futuro nel territorio” e pertanto "devono rientrare nel concetto costituzionale di investimento”.

In tal senso militerebbe la stessa formulazione letterale dell’art. 119 Cost. ("finanziare spese di investimento”), nonché la deroga al divieto concernente il ricorso all’indebitamento per finanziare contributi agli investimenti di privati, introdotta dal d.l. 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito nella l. 30 luglio 2004, n. 191.

Inoltre, le ricorrenti ribadiscono che la nozione di "contributo agli investimenti” vigente in Italia non può che essere conforme alla definizione adottata a livello comunitario, tramite il regolamento n. 2223/96.

Infine, la Regione Campania insiste sul proprio interesse alla decisione, pur dopo l’emanazione del d.l. n. 168 del 2004, che dichiara di avere impugnato in separato ricorso (di cui chiede la riunione con il presente).

Nel merito, la ricorrente insiste sui profili di censura già svolti, osservando che i "contenuti dell’autonomia” regionale in punto di ricorso all’indebitamento sono direttamente posti dall’art. 119 Cost. e si ricollegano inscindibilmente alla piena attuazione della norma costituzionale, sicché "sarebbe davvero paradossale assumere ed imporre soltanto la vigenza attuale dei limiti, in assenza del ‘sistema’ cui gli stessi si riferiscono”, in altre parole fino a quando non si realizzi "la completa ed effettiva attuazione dell’autonomia finanziaria” regionale.

14. – Ha altresì depositato memorie illustrative, nei ricorsi promossi dalle Regioni Siciliana, Campania, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Umbria, l’Avvocatura dello Stato, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già formulate.

Lo Stato sottolinea come l’art. 119, sesto comma, Cost. si applichi indifferenziatamente a tutte le Regioni, dovendo qualsiasi deroga essere esplicita e consacrata in una norma costituzionale, atteso che la finanza pubblica è configurata unitariamente dalla Costituzione e che i mercati finanziari non sarebbero disposti a considerare il "rischio-regione” come separato dal "rischio-Paese” ed a credere nella insensibilità dello Stato ad eventuali insolvenze di singole autonomie, ordinarie o speciali che siano. A ben vedere, dunque, il censurato comma 21 recherebbe una norma superflua, volta solo a prevenire equivoci attraverso un’interpretazione autentica "di chiarimento”. Quanto, infine, al confine della "espansione” dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, richiamando la sentenza n. 274 del 2003 l’Avvocatura osserva come esso riguardi l’art. 117, comma quarto, e non i principi e le regole posti dall’art. 119 Cost.

Inoltre, l’introduzione dei commi 21-bis e 21-ter nel testo della norma impugnata viene incontro a richieste avanzate dalle autonomie, sicché "non può escludersi che sia venuto meno l’interesse” all’esame delle censure dirette avverso il comma 18.

Lo Stato, in ogni caso, si sarebbe limitato a porre principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica: peraltro, "una competenza di coordinamento deve necessariamente essere esercitata mediante atti statali ‘autosufficienti’ e non può richiedere, per la completezza della sua effettività, atti legislativi posti in essere dalle regioni ‘coordinate’”.

Viene altresì contestato che il diritto comunitario recepisca una nozione di investimento comprensiva dei finanziamenti ai privati, posto che i "contributi agli investimenti” previsti dal regolamento n. 2223/96 (punto D.92) costituirebbero "trasferimenti in conto capitale” distinti dagli "investimenti fissi” (punto P.51).

L’investimento richiederebbe, per essere tale, "un accrescimento del proprio patrimonio”, che non consegue invece ai trasferimenti in conto capitale ai privati, cosicché sarebbe "irrazionale” e in contrasto con la lettera dell’art. 119 della Costituzione recepirne a livello legislativo una nozione così allargata.

Infine, quanto al potere ministeriale di incidere sulle tipologie di indebitamento e di investimento previste dalla legge, l’Avvocatura osserva che, in ordine alle prime (comma 17), il decreto ministeriale avrebbe carattere meramente integrativo e che, in ordine alle seconde (comma 18), il decreto "può soltanto precisare ed interpretare le "tipologie” elencate (…) senza ambizione di apportare modifiche sostanziali”.

L’Avvocatura ritiene poi ammissibile che all’attuazione dell’art. 119 Cost. si proceda mediante "interventi parziali”, di cui la norma impugnata sarebbe un esempio.

Essa si limiterebbe a porre, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, "principi cui le singole leggi regionali di spesa nei vari settori d’intervento devono attenersi”.

Inoltre, "una competenza di coordinamento deve necessariamente essere esercitata mediante atti statali ‘autosufficienti’ e non può richiedere, per la completezza della sua effettività, atti legislativi posti in essere dalle Regioni ‘coordinate’”.

15. – All’udienza del 28 settembre 2004 le parti hanno discusso i ricorsi, insistendo sulle conclusioni già rassegnate.

Considerato in diritto

1.– L’art. 119, sesto comma, della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, stabilisce, nel suo secondo periodo, che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni "possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”; e aggiunge, nel terzo periodo, che "è esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti”.

L’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), al comma 16 stabilisce che "Ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, le regioni a statuto ordinario, gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ad eccezione delle società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici [vale a dire, oltre a Comuni, Province e Città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane o di arcipelago, le unioni di Comuni, i consorzi cui partecipano gli enti locali, con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica e imprenditoriale, e, ove previsto dallo statuto, i consorzi per la gestione dei servizi sociali, nonché le aziende speciali e le istituzioni] possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”(primo periodo); e che "Le regioni a statuto ordinario possono, con propria legge, disciplinare l’indebitamento delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere e degli enti e organismi di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 [vale a dire degli enti e organismi, in qualunque forma costituiti, dipendenti dalla Regione], solo per finanziare spese di investimento” (secondo periodo).

Il successivo comma 17 stabilisce che "Per gli enti di cui al comma 16 costituiscono indebitamento, agli effetti dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione” una serie di operazioni dettagliatamente elencate nel primo e nel secondo periodo del comma. Il terzo periodo aggiunge che "Non costituiscono indebitamento, agli effetti del citato articolo 119, le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio”. Ai sensi del successivo quarto periodo, "Modifiche alle predette tipologie di indebitamento sono disposte con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT, sulla base dei criteri definiti in sede europea”.

Il comma 18, a sua volta, elenca, nelle lettere da a a i, le operazioni che "ai fini di cui all’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, costituiscono investimenti”.

Il comma 19 aggiunge che "gli enti e gli organismi di cui al comma 16 non possono ricorrere all’indebitamento per il finanziamento di conferimenti rivolti alla capitalizzazione di aziende o società finalizzata al ripiano di perdite. A tale fine l’istituto finanziatore, in sede istruttoria, è tenuto ad acquisire dall’ente l’esplicazione specifica sull’investimento da finanziare e l’indicazione che il bilancio dell’azienda o della società partecipata, per la quale si effettua l’operazione, relativo all’esercizio finanziario precedente l’operazione di conferimento di capitale, non presenta una perdita di esercizio”.

Il comma 20 stabilisce che "Le modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18 sono disposte con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT”.

Infine, il comma 21 recita: "Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e nel quadro del coordinamento della finanza pubblica di cui agli articoli 119 e 120 della Costituzione, le disposizioni di cui ai commi da 16 a 20 si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché agli enti e agli organismi individuati nel comma 16 siti nei loro territori”.

Tali disposizioni sono impugnate, con distinti ricorsi, dalle Regioni Sicilia (tutti i predetti commi), Sardegna (il comma 21, in relazione ai commi da 16 a 20), Valle d’Aosta (tutti i commi), dalla Provincia autonoma di Trento (i commi 17, 18, 20 e 21), e dalle Regioni Campania (tutti i commi), Emilia-Romagna (i commi 17, 18 e 20), Marche (i commi da 16 a 20), Toscana (i commi 18, 19 e 20) e Umbria (i commi 17, 18 e 20).

2.– Le censure mosse dalle ricorrenti possono suddividersi in tre gruppi. In primo luogo, il comma 21 è impugnato dalle Regioni a statuto speciale e dalla Provincia autonoma di Trento (nonché dalla Regione Campania, che non sviluppa però su di esso autonome censure, né è riguardata dalle disposizioni di detto comma, onde la relativa censura risulta inammissibile), le quali lamentano che sia disposta nei loro confronti e nei confronti degli enti in esse siti l’applicazione delle disposizioni dei precedenti commi, sostenendo in sostanza che ad esse l’articolo 119, sesto comma, della Costituzione non potrebbe applicarsi se non nelle parti in cui comporti forme di autonomia più ampie rispetto a quelle loro già attribuite, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il che non si potrebbe dire o si potrebbe dire solo per qualche aspetto, al quale dovrebbe limitarsi detta applicabilità; e che in ogni caso (secondo la Regione Siciliana) la individuazione delle nozioni di indebitamento e di investimento, ai fini dell’applicazione dell’art. 119, sesto comma, spetterebbe alla Regione.

Il secondo gruppo di censure riguarda i commi da 16 a 20. Esse accomunano le ricorrenti Regioni ordinarie e le ricorrenti Regioni speciali, le quali, in subordine rispetto alla questione che investe il comma 21, o in correlazione con questa, lamentano anch’esse, sostanzialmente, l’estensione dell’applicazione delle norme a enti diversi da quelli espressamente indicati nell’art. 119, sesto comma, e le restrizioni, che si affermano illegittime e lesive dell’autonomia finanziaria regionale e provinciale, che i commi in esame apportano alle nozioni di indebitamento e in ispecie di investimento.

In particolare, sarebbe illegittimo il comma 18 là dove esclude dal novero delle spese di investimento, per le quali è ammesso il ricorso all’indebitamento, i contributi erogati a favore di soggetti privati e molti co-finanziamenti regionali di programmi comunitari.

Infine, i commi 17 e 20 sono censurati, sia dalle Regioni ordinarie che da quelle speciali (ad eccezione della Valle d’Aosta), in quanto attribuiscono al Ministro dell’economia e delle finanze il potere, sostanzialmente regolamentare, di modificare con proprio decreto le tipologie di operazioni costituenti indebitamento e investimento.

3.– La presente decisione riguarda solo le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti dell’art. 3, commi da 16 a 21, della legge n. 350 del 2003, restando riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni sollevate in alcuni dei ricorsi.

Con riguardo alle disposizioni indicate, i relativi giudizi devono essere riuniti, per la coincidenza dell’oggetto, ed essere decisi con unica pronunzia.

4.– Le questioni sollevate con il ricorso della Regione Toscana devono essere dichiarate inammissibili, in quanto la delibera della Giunta regionale n. 66 in data 9 febbraio 2004, che ha deciso l’impugnazione di disposizioni della legge n. 350 del 2003, non reca, nella motivazione, alcun riferimento all’art. 3, commi da 16 a 20 (ancorché indichi a titolo di "esempio” alcune altre disposizioni ritenute lesive), mentre la generica autorizzazione a sollevare questione di legittimità costituzionale della legge n. 350 – avente contenuti molteplici e assai vari – non può, per la sua genericità, dare ingresso all’impugnazione di disposizioni non individuate (cfr. sentenza n. 43 del 2004).

Parimenti inammissibile, come si è accennato, è l’impugnazione del comma 21 proposta, senza motivazione alcuna, dalla Regione Campania in relazione ad un comma, che riguarda le sole Regioni ad autonomia speciale.

5.– Le questioni, sollevate dalle Regioni a statuto speciale e dalla Provincia autonoma di Trento, nei confronti del comma 21, sono infondate.

L’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, non introduce nuove restrizioni all’autonomia regionale, ma enuncia espressamente un vincolo – quello a ricorrere all’indebitamento solo per spese di investimento – che già nel previgente regime costituzionale e statutario il legislatore statale ben poteva imporre anche alle Regioni a statuto speciale, in attuazione del principio unitario (art. 5 della Costituzione) e dei poteri di coordinamento della finanza pubblica, nonché del potere di dettare norme di riforma economico-sociale vincolanti anche nei confronti della potestà legislativa primaria delle Regioni ad autonomia differenziata. E se quest’ultimo vincolo può non trovare più applicazione, in forza della clausola di salvaguardia dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, negli ambiti nei quali le Regioni ordinarie abbiano acquisito potestà più ampie, ciò non può dirsi in ambiti, come quello dei principi di coordinamento finanziario (cfr. art. 117, terzo comma), in cui l’autonomia delle Regioni ordinarie incontra tuttora gli stessi o più rigorosi limiti (cfr. sentenza n. 536 del 2002).

La finanza delle Regioni a statuto speciale è infatti parte della "finanza pubblica allargata” nei cui riguardi lo Stato aveva e conserva poteri di disciplina generale e di coordinamento, nell’esercizio dei quali poteva e può chiamare pure le autonomie speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica, connessi anche ai vincoli europei (cfr. sentenze n. 416 del 1995; n. 421 del 1998), come quelli relativi al cosiddetto patto di stabilità interno (cfr. sentenza n. 36 del 2004).

Il nuovo sesto comma dell’art. 119 della Costituzione trova dunque applicazione nei confronti di tutte le autonomie, ordinarie e speciali, senza che sia necessario all’uopo ricorrere a meccanismi concertati di attuazione statutaria: e di conseguenza non è illegittima l’estensione che la legge statale ha disposto, nei confronti di tutte le Regioni, della normativa attuativa.

Né si potrebbero rinvenire ragioni giustificatrici di una così radicale differenziazione fra i due tipi di autonomia regionale, in relazione ad un aspetto – quello della soggezione a vincoli generali di equilibrio finanziario e dei bilanci – che non può non accomunare tutti gli enti operanti nell’ambito del sistema della finanza pubblica allargata.

6.– Anche le censure del secondo gruppo, mosse nei confronti dei commi da 16 a 20 nei ricorsi sia delle Regioni ordinarie, sia di quelle speciali, sono infondate.

Il quesito che si pone è il seguente: se e in che misura la legge dello Stato possa porre regole specifiche che concretizzano e attuano il vincolo di cui all’art. 119, sesto comma, della Costituzione, in particolare definendo ciò che si intende, a questi fini, per "indebitamento” e per "spese di investimento”.

Non si tratta di nozioni il cui contenuto possa determinarsi a priori, in modo assolutamente univoco, sulla base della sola disposizione costituzionale, di cui questa Corte sia in grado di offrire una interpretazione esaustiva e vincolante per tutti, una volta per sempre. Si tratta di nozioni che si fondano su principi della scienza economica, ma che non possono non dare spazio a regole di concretizzazione connotate da una qualche discrezionalità politica.

Ciò risulta del resto evidente, se si tiene conto che proprio le definizioni che il legislatore statale ha offerto nelle disposizioni qui impugnate (art. 3, commi 17, 18 e 19, della legge n. 350 del 2003) derivano da scelte di politica economica e finanziaria effettuate in stretta correlazione con i vincoli di carattere sovranazionale cui anche l’Italia è assoggettata in forza dei Trattati europei, e dei criteri politico-economici e tecnici adottati dagli organi dell’Unione europea nel controllare l’osservanza di tali vincoli.

La nozione di spese di investimento adottata appare anzi estensiva rispetto ad un significato strettamente contabile, che faccia riferimento solo ad erogazioni di denaro pubblico cui faccia riscontro l’acquisizione di un nuovo corrispondente valore al patrimonio dell’ente che effettua la spesa: comprende infatti ad esempio i trasferimenti in conto capitale destinati alla realizzazione degli investimenti di altri enti pubblici (comma 18, lettera g), o gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio (comma 18, lettera i).

Parimenti, la nozione di "indebitamento” è ispirata ai criteri adottati in sede europea ai fini del controllo dei disavanzi pubblici; si tratta, in definitiva, di tutte le entrate che non possono essere portate a scomputo del disavanzo calcolato ai fini del rispetto dei parametri comunitari.

Ciò posto, è chiaro come non si possa ammettere che ogni ente, e così ogni Regione, faccia in proprio le scelte di concretizzazione delle nozioni di indebitamento e di investimento ai fini predetti. Trattandosi di far valere un vincolo di carattere generale, che deve valere in modo uniforme per tutti gli enti, solo lo Stato può legittimamente provvedere a tali scelte.

7.– Sono pertanto infondate le censure sollevate in relazione ai commi 17 e 18 dell’art. 3 in esame sul presupposto che spetti alla Regione, e non allo Stato, il potere di definire le nozioni di indebitamento e di investimento ai fini dell’attuazione del vincolo espresso nell’art. 119, sesto comma, della Costituzione. Resta naturalmente fermo che qualora, in concreto, lo Stato effettuasse scelte irragionevoli, le Regioni ben potrebbero contestarle nelle sedi appropriate.

Questo non si verifica però nella specie. Le scelte espresse nei commi 17 e 18 dell’impugnato art. 3 non possono dirsi irragionevoli. Non può dirsi tale, in particolare, la scelta di escludere dalla nozione di spese di investimento le erogazioni a favore di privati, sia pure effettuate per favorirne gli investimenti.

Queste infatti, ancorché possano indubbiamente concorrere a promuovere (con effetti che occorrerebbe peraltro definire e misurare caso per caso) lo sviluppo del sistema economico nazionale, non concorrono ad accrescere il patrimonio pubblico nel suo complesso: criterio negativo, questo, che non irragionevolmente appare aver guidato il legislatore statale in dette scelte. Lo stesso è a dirsi per le forme di co-finanziamento regionale di programmi comunitari, che di per sé possono attenere a tipologie di spese assai diverse fra di loro, non necessariamente definibili come investimenti secondo il criterio predetto.

8.– Sono invece fondate le censure del terzo gruppo, che investono i commi 17, ultimo periodo, e 20, là dove attribuiscono al Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT, il potere di disporre con proprio decreto modifiche alle tipologie di "indebitamento” e di "investimenti” stabilite in detti commi ai fini di cui all’art. 119, sesto comma, della Costituzione.

Tali disposizioni (di cui l’una, quella del comma 20, in parte ripete la previsione del comma 17 quanto alle tipologie di indebitamento, ed estende lo stesso meccanismo alle tipologie degli investimenti) conferiscono al Ministro una potestà il cui esercizio può comportare una ulteriore restrizione della facoltà per gli enti autonomi di ricorrere all’indebitamento per finanziare le proprie spese, e si traducono sostanzialmente in una delegificazione delle statuizioni contenute nei predetti commi, che definiscono le nozioni di indebitamento e di investimento ai fini dell’applicazione alle Regioni e agli enti locali del vincolo di cui all’art. 119, sesto comma, della Costituzione.

Ma una siffatta previsione presupporrebbe il rispetto del principio di legalità sostanziale, in forza del quale l’esercizio di un potere politico-amministrativo incidente sull’autonomia regionale (nonché sull’autonomia locale) può essere ammesso solo sulla base di previsioni legislative che predeterminino in via generale il contenuto delle statuizioni dell’esecutivo, delimitandone la discrezionalità (cfr. sentenze n. 150 del 1982, n. 384 del 1992, n. 301 del 2003).

Né può valere a soddisfare tale requisito la generica previsione del comma 17, ultimo periodo (non ripetuta, peraltro, dal comma 20, e quindi non applicabile alle modifiche delle tipologie di investimento di cui al comma 18), secondo cui il Ministro dovrebbe disporre le eventuali modifiche alle tipologie di indebitamento "sulla base dei criteri definiti in sede europea”. Infatti, ove non si tratti di norme europee suscettibili di diretta applicazione (nel qual caso, peraltro, non occorrerebbe la mediazione di norme nazionali), tale previsione non basta ad integrare una sufficiente determinazione legislativa dei presupposti e del contenuto degli atti ministeriali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni sollevate con i ricorsi in epigrafe;

riuniti i giudizi limitatamente alle questioni relative all’art. 3, commi da 16 a 21, della legge impugnata,

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 17, quarto periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004);

b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 20, della predetta legge n. 350 del 2003;

c) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 18, 19 e 20, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana (reg. ric. n. 32 del 2004) con il ricorso in epigrafe;

d) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 21, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 114, 117, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Campania (reg. ric. n.37 del 2004) con il ricorso in epigrafe;

e) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 21, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate dalla Regione Siciliana (reg. ric. n. 28 del 2004) in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, agli artt. 14, lettere o e p, e 36 dello statuto speciale per la Regione Siciliana di cui al r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, e all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dalla Regione Sardegna (reg. ric. n. 29 del 2004) in riferimento agli artt. 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, agli artt. 3, 4, 5, 7, 11 dello statuto speciale per la Sardegna di cui alla legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3, all’art. 3 del d.lgs. 10 aprile 2001, n. 180, e all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dalla Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 35 del 2004) in riferimento agli artt. 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, al titolo VI dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, all’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e agli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; dalla Regione Valle d’Aosta (reg. ric. n.36 del 2004) in riferimento agli artt. 3, 5, 117, 119 e 120 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nonché ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, con i ricorsi in epigrafe;

f) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto al capo a), 18 e 19 della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e all’art. 20 dello statuto speciale per la Regione Siciliana di cui al r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, dalla Regione Siciliana con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 28 del 2004);

g) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto al capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, agli artt. 3, 4, 5, 7 e 11 dello statuto speciale per la Sardegna di cui alla legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3, e all’art. 3 del d.lgs. 10 aprile 2001, n. 180, dalla Regione Sardegna con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 29 del 2004);

h) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 17 (salvo quanto disposto al capo a), e 18, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 35 del 2004);

i) dichiara non fondate le questioni di legittimità dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto al capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 116, 117 e 118 della Costituzione, agli artt. 3, 4 e 48-bis dello statuto speciale per la Valle d’Aosta di cui alla legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4, dalla Regione Valle d’Aosta con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 36 del 2004);

l) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto al capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche (reg. ric. n. 31 del 2004) con il ricorso in epigrafe;

m) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 17 (salvo quanto disposto al capo a), e 18, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna (reg. ric. n. 33 del 2004) e Umbria (reg. ric. n. 34 del 2004) con i ricorsi in epigrafe;

n) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto al capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 114, 117, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Campania (reg. ric. n.37 del 2004) con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente e Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2004.