SENTENZA N. 425
ANNO 2004
Commento alla decisione di
Matteo Barbero
Golden
rule: "non è tutt’oro quel che luccica”!
(per
gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI ”
- Guido NEPPI MODONA ”
- Piero Alberto CAPOTOSTI ”
- Franco BILE ”
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE
SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 3, commi da
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 28 settembre 2004 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi gli avvocati Giovanni Carapezza Figlia per la Regione Siciliana, Sergio Panunzio per la Regione Sardegna, Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento, Giuseppe F. Ferrari per la Regione Valle d’Aosta, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. – Con distinti ricorsi le Regioni Siciliana (reg. ric. n. 28 del 2004), Sardegna (reg. ric. n. 29 del 2004), Valle d’Aosta (reg. ric. n. 36 del 2004), Campania (reg. ric. n. 37 del 2004), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 33 del 2004), Marche (reg. ric. n. 31 del 2004), Toscana (reg. ric. n. 32 del 2004), Umbria (reg. ric. n. 34 del 2004), e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 35 del 2004) hanno sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale (quanto alle Regioni Emilia-Romagna, Marche e Toscana, unitamente ad altre disposizioni della medesima legge) dell’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2004).
In
particolare, la Regione Siciliana ha impugnato il comma 21 della legge, e, in
quanto ne sia disposta l’applicazione nei confronti delle Regioni a statuto
speciale, dei precedenti commi da
La
Regione Sardegna ha impugnato il medesimo comma
La Provincia autonoma di
Trento ha altresì impugnato il comma 21 predetto, in quanto dispone
l’applicazione agli enti ad autonomia speciale, dei precedenti commi da
La
Regione Valle d’Aosta ha impugnato i commi da
La
Regione Marche ha impugnato i commi 16, 17, 18, 19 e 20, lamentando la lesione
della propria sfera di competenza legislativa, per violazione degli artt. 117,
terzo, quarto e sesto comma, e 119 della Costituzione.
La
Regione Toscana ha a propria volta impugnato i commi 18, 19 e 20, per
violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione.
La
Regione Umbria ha impugnato i commi 17, 18 e 20, lamentando la violazione degli
artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dei principi costituzionali di
legalità sostanziale, uguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione.
La
Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 17, 18 e 20, per violazione degli
artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dei principi costituzionali di
legalità sostanziale, uguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione.
Infine,
la Regione Campania ha impugnato i commi da
2. –
Il comma 16 della disposizione impugnata stabilisce che, ai sensi dell’art.
119, sesto comma, della Costituzione le Regioni a statuto ordinario, gli enti
locali, le aziende e gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e 172, comma 1,
lettera b, del d.lgs. 18 agosto 2000,
n. 267, ad eccezione delle società di capitali costituite per l’esercizio di
servizi pubblici, possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese
di investimento.
Il
comma 17 reca, in relazione a ciò, la specificazione di quali operazioni
costituiscano indebitamento, agli effetti dell’art. 119, sesto comma, della
Costituzione, e prevede che tali "tipologie” possano essere modificate con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’Istat, sulla base
dei criteri definiti in sede europea.
Il
comma 18 provvede, invece, a definire le operazioni che, per i medesimi fini,
costituiscono investimenti.
Il
comma 19 vieta agli enti di cui al comma 16 di ricorrere all’indebitamento per
finanziare i conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende e società
finalizzata al ripiano di perdite.
Il
comma 20 stabilisce che le modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18
sono disposte con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito
l’Istat.
Il
comma 21, infine, estende l’applicabilità dei precedenti commi da
3. – Le ricorrenti ad
autonomia speciale contestano, anzitutto, il comma
4. –
In particolare, la Regione Siciliana, pur considerando vincolante anche per le
autonomie speciali il principio del divieto di indebitamento per spese correnti
posto dal nuovo testo dell’art. 119, comma 6, della Costituzione, che consente
a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni il ricorso "all’indebitamento
solo per finanziare spese di investimento”, ritiene tuttavia illegittima
l’estensione, con legge ordinaria, a Regioni a statuto speciale e Province
autonome, delle disposizioni dei commi da
Qualora,
in ipotesi, questa Corte ritenesse non fondata la questione, prosegue la
ricorrente, le disposizioni recate dai commi da
Il
comma 16 dell’art. 3, anzitutto, estende indebitamente l’ambito dei soggetti
che, secondo l’art. 119 Cost., "possono ricorrere all’indebitamento solo per
finanziare spese di investimento”. Mentre, infatti, la norma costituzionale ha
esclusivo riguardo ai Comuni, alle Città metropolitane ed alle Regioni, la
disposizione censurata comprende, oltre alle Regioni a statuto ordinario, "gli
enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli artt. 2, 29 e 172, comma 1,
lettera b, del testo unico di cui al
d.lgs. 18 agosto 2000, n.
Quanto al comma 17,
attraverso l’arbitraria elencazione degli atti consentiti disegnerebbe una
nozione di "indebitamento” priva di riscontro nei principi del diritto
finanziario. La nozione di indebitamento, infatti, in via generale si
collegherebbe a quelle operazioni suscettibili di creazione di risorse
aggiuntive a copertura di una maggiore capacità di spesa, mentre nel diritto
positivo – e il riferimento è all’art. 6, comma 7, punto 2, della legge 5
agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme in materia di contabilità generale
dello Stato in materia di bilancio), e all’art. 1, comma 13, lettera b, della legge della Regione Siciliana 8
luglio 1977, n. 47 (Norme in materia di bilancio e di contabilità della Regione
Siciliana) – si collegherebbe al "risultato differenziale tra tutte le entrate
e le spese, escluse le operazioni riguardanti le partecipazioni azionarie ed i
conferimenti, nonché la concessione e riscossione di crediti e l’accensione e
rimborso di prestiti («indebitamento o accrescimento netto»)”. Peraltro,
l’elencazione recata dalla norma censurata non apparirebbe esaustiva della
nozione, e sarebbe anzi irragionevole rispetto al principio posto dall’art.
119, comma 6, Cost., da ritenere immediatamente vincolante per gli enti
individuati dalla norma costituzionale, a prescindere dallo strumento prescelto
per l’acquisizione della risorsa finanziaria.
Il
comma 18, poi, nell’elencare le attività che, "ai fini di cui all’art. 119,
sesto comma, Cost., costituiscono investimento”, non comprende tutta una serie
di interventi in conto capitale (quali i trasferimenti alle imprese o i
cofinanziamenti regionali di programmi comunitari concernenti la ricerca o
comunque relativi a beni immateriali) che nella nozione di investimento
rientrerebbero: ciò, oltre che essere frutto di una valutazione arbitraria ed
erronea, limiterebbe illegittimamente l’esercizio delle competenze
amministrative spettanti alla Regione ai sensi dell’art. 20 dello statuto e
dell’art. 118 Cost., in quanto applicabile ex
art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. La disposizione in esame, inoltre,
disattenderebbe la definizione di investimento fornita dal regolamento del
Consiglio dell’Unione europea n. 2223/96 del 25 giugno 1996, relativo al
sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, ed in
particolare quanto sancito nell’allegato A, punto1.19, lettera c), secondo cui
vanno modificati alcuni concetti basilari, "ad esempio ampliando il concetto di
investimento per tenere conto dell’ammontare della spesa sulla ricerca e
sviluppo o della spesa in materia di istruzione”.
Quanto al comma 19,
sarebbe poi paradossale rimettere all’istituto finanziatore – soggetto privato
che esercita imprenditorialmente attività bancaria o di intermediazione
finanziaria – il controllo sull’operato della Regione, dotata di potestà
pubblicistiche finanche in materia creditizia.
Infine,
il potere di modificare le tipologie dell’indebitamento e dell’investimento dei
precedenti commi 17 e 18, ascritto al Ministro dell’economia dal comma 20
sarebbe non tanto di coordinamento, quanto normativo, perché incidendo sulle
nozioni di indebitamento e di investimento come individuate dalle disposizioni
di quei commi, determinerebbe in concreto l’ampiezza degli ambiti operativi
rimessi all’autonomia regionale, sia nel campo dell’acquisizione di risorse che
in materia di spesa. Né un siffatto potere sembrerebbe rispettare i limiti
posti dalla sentenza
n. 376 del 2003 di questa Corte ai poteri amministrativi diretti a
garantire la realizzazione della finalità di coordinamento finanziario, i quali
devono essere configurati in modo consono alle sfere di autonomia
costituzionalmente garantite, senza che l’azione di coordinamento si trasformi
in attività di direzione o in indebito condizionamento degli enti, essendo
infatti escluso "che si attribuisca al Ministero il potere di incidere sulle
scelte autonome degli enti quanto alla provvista o all’impiego” delle risorse,
o, peggio, di adottare determinazioni discrezionali che possano concretarsi in
trattamenti di favore o di disfavore nei confronti di singoli enti.
5. –
A propria volta, la Regione Sardegna ricorda che il divieto costituzionale di
ricorrere all’indebitamento, se non per finanziare spese di investimento, non è
estraneo all’ordinamento contabile e di bilancio delle Regioni, trovando, per
quelle a statuto ordinario, un precedente nell’art. 10 della legge 16 maggio
1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto
ordinario), e, per quelle a statuto speciale, precedenti nell’art. 11 dello
statuto sardo, nell’art. 74 dello statuto del Trentino Alto-Adige e nell’art.
52 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia. Ma la potestà di dettare norme
applicative della disposizione statutaria in materia, per quel che riguarda la
Regione ricorrente, è sempre stata riconosciuta ad essa Regione (sent. n. 107 del
1970 di questa Corte), la quale l’ha esercitata con l’art. 37 della legge
regionale 5 maggio 1983, n. 11 (modificato a seguito dell’entrata in vigore
della legge cost. n. 1 del 2001), che elenca in modo dettagliato i criteri da
rispettare affinché la Regione possa ricorrere all’autofinanziamento,
stabilendo le tipologie di investimento da finanziare col provento dei mutui e
dei prestiti contratti, ivi compresa "la concessione ad imprese di incentivi
previsti dalla legislazione regionale”, prevedendo i contenuti indefettibili
della legge di autorizzazione del mutuo o del prestito, e fissando l’ammontare
massimo delle rate di ammortamento di tali forme di indebitamento. Nel rispetto
di tali criteri la Regione, anno per anno, ha contratto obbligazioni per
finanziare spese d’investimento rivolte al perseguimento di varie finalità:
progetti per l’occupazione, investimenti in attività produttive, imprenditoria
femminile e giovanile etc.
Nel
disporre l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale delle disposizioni sui
limiti del ricorso all’indebitamento dettate dai commi 17, 18 e 19 dell’art. 3
della legge finanziaria del 2004, il successivo comma 21 violerebbe, in primo
luogo, gli artt. 5, 7 e 11 dello statuto e le relative norme di attuazione, fra
cui l’art. 3 del d.lgs. n. 180 del 2001, nonché gli artt. 116, 117, terzo, quarto
e sesto comma, Cost., anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 1 del
2001.
L’art.
3 impugnato, infatti, dopo aver predeterminato rigidamente al comma 17 le
tipologie di indebitamento, al comma 18 fissa tassativamente le spese che
possono considerarsi "di investimento” ai sensi dell’art. 119 Cost.,
individuandone le fattispecie in modo particolarmente analitico e dettagliato,
ed al comma 19 esclude "il finanziamento di conferimenti rivolti alla
ricapitalizzazione di aziende e società finalizzata al ripiano di perdite”. Ciò
determinerebbe, ad avviso della ricorrente, una gravissima compressione
dell’autonomia della Regione, in quanto una siffatta disciplina fornirebbe
un’interpretazione oltremodo restrittiva delle spese di investimento, escludendo
fattispecie sino ad oggi previste dalla disciplina legislativa regionale sarda
vigente. Inoltre, con riguardo ai mutui autorizzati in base alla legge
regionale ma non contratti prima della fine dell’esercizio, la normativa
impugnata, oltre ad impedire il ricorso allo strumento dell’autofinanziamento
per il futuro, precluderebbe la possibilità del rifinanziamento.
Risulterebbe
così lesa la competenza regionale esclusiva – cui non sono più opponibili i
limiti dei "principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica” e
delle "norme fondamentali di riforma economica della Repubblica” – in materia
di "ordinamento degli uffici”, riconosciuta dall’art. 3, primo comma, lettera a, dello statuto, nella quale è compresa
(sentenza n. 107
del 1970) la disciplina del bilancio e della contabilità regionale, come
pure delle modalità di copertura delle spese previste in bilancio. Ma la
compressione della competenza regionale in materia di contabilità si risolve
anche in una limitazione delle modalità di esercizio delle attività legislative
ed amministrative della Regione in tutte le materie ad essa attribuite dagli
artticoli da
La
limitazione delle ipotesi nelle quali la Regione può ricorrere
all’autofinanziamento, poi, ne comprimerebbe l’autonomia finanziaria al di là
dei limiti direttamente derivanti dagli artt. 7 dello statuto e 119 della
Costituzione su cui essa autonomia si fonda, e ne limiterebbe la potestà
programmatoria relativa all’insieme degli interventi nelle materie di
competenza regionale, che all’autonomia finanziaria dà corpo, atteso il
"rapporto funzionale” che lega questa a quella, ed il "valore strumentale” della
programmazione, possibile solo laddove le Regioni dispongano effettivamente di
risorse, rispetto all’autonomia regionale complessiva (sentenze n. 293 del
1995 e n. 381
del 1996). A titolo di esempio, la ricorrente richiama le funzioni in
materia di politica attiva del lavoro previste dall’art. 3 delle norme di
attuazione recate dal d.lgs. 10 aprile 2001, n. 180, che potrebbero risultare
illegittimamente limitate dalle disposizioni impugnate.
I fini "di tutela
dell’unità della Repubblica” "nel quadro del coordinamento della finanza
pubblica di cui agli artt. 119 e 120 Cost.”, che il comma 21 impugnato pone a
fondamento della normativa, sarebbero del tutto inconsistenti. Nell’art. 120,
secondo comma, Cost., infatti, l’unità economica ha la funzione di dare
fondamento agli interventi sostitutivi, attribuiti al Governo e non al
Parlamento, nei casi di gravi inadempienze commesse da Regioni ed enti locali,
mentre la normativa impugnata non ha ad oggetto le inadempienze delle Regioni
ed il potere sostitutivo, ma stabilisce essa stessa il contenuto di un limite
all’attività delle Regioni. Ma anche a voler ammettere che la disciplina in
esame sia collegata all’esercizio del potere sostitutivo, osserva la
ricorrente, nell’estendere quanto stabilito dai commi da
Quanto
invece al "coordinamento della finanza pubblica” di cui al secondo comma
dell’art. 119 Cost., esso avrebbe come oggetto soltanto le entrate di Regioni
ed enti locali che abbiano natura coattiva, e non riguarderebbe in nessun modo
la materia dell’autofinanziamento di quegli enti e le relative attività. In
ogni caso, in forza del limite fissato dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001, anche l’art. 119, secondo comma, Cost., nel nuovo testo, non sarebbe
applicabile alla Regione Sardegna, dove il coordinamento della finanza pubblica
si fonda sul principio stabilito dall’art. 7 dello statuto.
Censure
analoghe a quelle mosse nei confronti dell’estensione della normativa che
individua in modo riduttivo le spese di investimento (commi 18 e 19) vanno
formulate, prosegue la ricorrente, nei confronti dell’estensione
dell’elencazione analitica e tassativa delle fattispecie di indebitamento
ammissibili contenuta nel comma 17 dell’art. 3.
L’estensione,
compiuta dalla disposizione finale del comma 21 dell’art. 3, dell’applicabilità
della disciplina dei commi da
L’art.
3, comma
6. –
La Provincia autonoma di Trento premette, invece, che la legge n. 350 del 2003
contiene, bensì, all’art. 4, comma 249, una clausola generale di salvaguardia
per le autonomie speciali, secondo la quale le disposizioni della legge "sono
applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di
Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti”.
Tuttavia, alcune disposizioni in materia finanziaria, quelle impugnate, si
pongono in contrasto con la disciplina della materia finanziaria dettata dal
titolo VI dello statuto e, per quel che attiene alla finanza locale, ivi
comprese le modalità di ricorso all’indebitamento, con l’art. 80 dello statuto,
che disciplina la competenza legislativa provinciale, e con l’art. 17 del
d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, recante le norme di attuazione in materia di
finanza regionale e provinciale: ambiti, entrambi, nei quali la Provincia ha
legiferato, con la legge provinciale 14 settembre 1979, n. 7, e segnatamente
con l’art. 31, per quanto riguarda la Provincia stessa, e con la legge
provinciale 15 novembre 1993, n. 36, per quel che riguarda la finanza locale.
Il
comma 21 dell’art. 3 della finanziaria 2004, disponendo l’estensione
dell’applicabilità alle autonomie speciali dei precedenti commi da
In
primo luogo, infatti, in base all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001 non si
applicano alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome gli artt.
119 e 120 Cost., nel nuovo testo, richiamati dal comma 21 impugnato a
fondamento dei precedenti commi da
In
secondo luogo, i commi 17, 18 e 20 dell’art. 3, ad avviso della ricorrente,
sarebbero costituzionalmente illegittimi per motivi specifici.
La
normativa da essi dettata, infatti, restringe le possibilità di azione delle
Regioni, e secondo il comma 21 anche di essa Provincia, rispetto alla regola
costituzionale del divieto di indebitamento se non per investimenti, regola che
è per le Regioni ordinarie direttamente operativa, e non demanda alcun compito
attuativo alla legge statale, la quale, in ogni caso, dovrebbe attenersi al
concetto economico di investimenti, senza restringerlo arbitrariamente ed
irragionevolmente, estendendo il divieto costituzionale ad ambiti che esso non
era destinato a coprire: sarebbe, ad esempio, preclusa dal comma 18, lettere g e h,
la possibilità di ricorrere all’indebitamento per effettuare trasferimenti in
conto capitale a favore di privati anziché in favore di soggetti pubblici.
L’irragionevolezza della norma ed il suo carattere discriminatorio, anche alla
stregua dell’art. 3 Cost., emergerebbero anche all’interno della stessa legge n.
350 del 2003, il cui art. 4, intitolato "Finanziamenti agli investimenti”,
contempla invece, sin dal comma 1, contributi a privati. Le disposizioni del
comma 18 dell’art. 3, inoltre, non corrisponderebbero alla disciplina dei
"trasferimenti in conto capitale” del regolamento del Consiglio dell’Unione
europea n. 2223/96 del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti
nazionali e regionali della Comunità, che fra tali trasferimenti comprende i
"contributi agli investimenti”, menzionando quelli alle imprese private ed a
soggetti privati diversi dalle imprese, in violazione, quindi dell’art. 117,
primo comma, Cost. La stessa irragionevole differenziazione della possibilità
di indebitamento delle Regioni da quella dello Stato, per il quale continua a valere
la disciplina comunitaria, si tradurrebbe in lesione dell’autonomia finanziaria
regionale.
Illegittime
sarebbero altresì le norme che prevedono che gli elenchi di cui agli artt. 17 e
18 possano essere modificati con decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze, sentito l’ISTAT, "sulla base dei criteri definiti in sede europea”,
laddove il decreto del Ministro previsto dal comma 20 per modificare le
tipologie di indebitamento e di investimento non richiama più "i criteri
definiti in sede europea”, il che potrebbe essere inteso nel senso che nel
secondo caso sia previsto un regolamento ministeriale "in deroga”,
discrezionalmente adottabile dal ministro.
Entrambe
le norme, comunque, sarebbero illegittime già nei confronti delle Regioni
ordinarie, perché nella materia del "coordinamento della finanza pubblica”, di
competenza concorrente di Stato e Regioni, l’attuazione delle fonti comunitarie
non self-executing è regolata
dall’art. 9 della legge n. 86 del 1989, sicché, in attesa della legge regionale
di recepimento, lo Stato potrebbe attuare la direttiva, ma perlomeno con un
regolamento governativo, e non con un regolamento del Ministro, atteso che la
competenza dell’organo collegiale prevista dalla legge n. 86 del 1989 deve
ritenersi costituzionalmente necessaria in relazione al rango costituzionale
dell’autonomia regionale. Ancor più chiaramente illegittimo sarebbe il comma
20, che non fa riferimento ai criteri europei, in quanto prevede un potere
sostanzialmente regolamentare in materia di competenza concorrente, in
violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.
Qualora
si ritenesse che il decreto previsto dalle due norme non abbia natura
regolamentare, ma sia espressione di una funzione amministrativa attribuita al
Ministro in virtù del principio di sussidiarietà, non verrebbe meno
l’illegittimità, mancando qualsiasi coinvolgimento delle Regioni in contrasto
con il principio di leale cooperazione (sentenza n. 303 del
2003). Per la Provincia autonoma, si tratterebbe anche dell’attribuzione di
funzioni amministrative statali direttamente vietate dall’art. 4 del d.P.R. n.
266 del 1992. Nel riferirsi alle tipologie di cui al comma 18, il comma 20,
infine, sarebbe illegittimo perché conferirebbe al Ministro un "nudo” potere
discrezionale, in violazione del principio di legalità sostanziale e, in quanto
incidente sull’autonomia regionale e provinciale, con lesione della stessa.
7. –
La Regione autonoma Valle d’Aosta osserva, a propria volta, che l’art. 3 dello
statuto riconosce ad essa la potestà di emanare norme legislative di
integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica in una serie di
materie, fra cui "finanze regionali e comunali”, mentre l’art. 4 attribuisce ad
essa la competenza amministrativa in tutte le materie in cui ha competenza
legislativa. La possibilità di assumere mutui ed emettere obbligazioni è stata
riconosciuta alla Regione dalla legge 26 novembre 1981, n. 690, e dalle norme
di attuazione in materia di finanze regionali e comunali dettate con d.lgs. 28
dicembre 1989, n. 431, che, in particolare, all’art.
Le
disposizioni censurate, articolate e di dettaglio, si pongono quindi in netto
contrasto con la disciplina così richiamata, comportando la sostanziale
abrogazione della normativa valdostana, che pure è recata da una fonte che dà
attuazione ad uno statuto speciale, così violando l’art. 3 dello statuto.
Sarebbero
altresì violati l’art. 48-bis dello
statuto, per non essere stato rispettato il procedimento da esso previsto per
la modifica delle norme di attuazione, comprese quelle in materia finanziaria
dettate dal d.lgs. n. 431 del 1989, come stabilito dall’art. 1 del d.lgs. 22
aprile 1994, n. 320 (viene ricordata la sentenza n. 221 del
2003), l’art. 116, comma 1, Cost., che riconosce ad essa Regione
particolari condizioni di autonomia, l’art. 117, comma 1, Cost., e gli artt.
118 Cost. e 4 dello statuto, che riconoscono alla Regione la titolarità di
funzioni amministrative proprie, incidendo le disposizioni impugnate
sull’autonomia organizzativa di essa ricorrente e di tutti gli enti locali
valdostani. Né, in avverso, si potrebbe invocare la potestà dello Stato di
stabilire i principi di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art.
117, terzo comma, Cost. (in proposito, sentenze n. 17
e 36 del 2004),
perché ciò implica la fissazione di obiettivi e paradigmi generali dell’azione,
e non l’adozione di una normativa analitica e dettagliata.
La
Regione denuncia in secondo luogo la violazione dell’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001, non potendosi invocare, come fanno le disposizioni impugnate,
gli artt. 119 e 120 Cost., investiti dalla riforma del titolo V, per ridurre
l’ambito di autonomia già riconosciuto alla Regione, atteso che neppure l’art.
119, ultimo comma, Cost., in forza della clausola dello stesso art.10 della
legge cost. n. 3 del 2001, sarebbe applicabile alle autonomie speciali.
L’impatto
della normativa impugnata sugli equilibri del bilancio regionale, prosegue la
ricorrente, sarebbe dirompente, considerata la disposta limitazione a precise
tipologie delle spese finanziabili mediante indebitamento, con esclusione, ad
esempio, dei trasferimenti in conto capitale a favore dei privati e i
cofinanziamenti regionali di programmi comunitari.
Inconferente
sarebbe poi il richiamo, contenuto nel comma 21, all’art. 120 Cost. in tema di
potere sostitutivo, non solo per la non applicabilità alle Regioni a statuto
speciale di cui si è detto, ma per l’oggettiva insussistenza dei presupposti.
L’approvazione
delle disposizioni censurate senza previa consultazione degli enti interessati,
infine, violerebbe i principi di sussidiarietà e leale cooperazione ribaditi
dallo stesso art. 120 Cost.
8. –
La disciplina legislativa recata dai commi da
La
Regione Marche, anzitutto, dubita che al principio dell’ultimo comma dell’art.
119 Cost. si possa dare attuazione ed integrazione con norme della legge
finanziaria, anziché con norme di coordinamento, e comunque senza l’intervento
o una possibilità di definizione da parte del legislatore regionale. Le norme
impugnate, infatti, nel disciplinare l’indebitamento delle Regioni e degli enti
locali con previsioni di dettaglio non riconducibili ai principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all’art.
119 Cost., violerebbero l’autonomia finanziaria garantita agli enti sub-statali
proprio dall’art. 119 Cost.. Tali principi di coordinamento devono essere
inseriti dal legislatore statale in una disciplina che contestualmente
determini i "principi generali”, come previsto dalla legge finanziaria per il
2003, la legge n. 289 del 2002, con l’istituzione, all’art. 3, dell’Alta commissione,
scelta confermata dalla finanziaria in esame all’art. 2, che ne ha fissato il
termine per la conclusione dei lavori.
Quella
dettata dalle norme impugnate è invece normativa di dettaglio, che elenca
puntualmente investimenti e indebitamenti ammessi, che condizionano in termini
stringenti, e perciò inammissibili, la capacità di esercizio autonomo delle
competenze legislative ed amministrative delle Regioni – rendendo, ad esempio,
illegittimi i trasferimenti in conto capitale a favore di privati, escludendo
così, tra l’altro, i cofinanziamenti regionali di programmi comunitari –,
laddove il sistema costituzionale attribuisce alle Regioni potestà normativa
nel quadro dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale.
Il
comma 17 dell’art. 3, poi, attribuendo al Ministro potestà regolamentare in
materia non riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato,
violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto "deve escludersi la
possibilità per lo Stato di intervenire in tale materia con atti normativi di
rango sublegislativo” (sentenza n. 329 del
2003). Né la competenza ministeriale in parola è assistita da garanzie
procedurali che consentano la partecipazione delle Regioni alla definizione
delle variazioni delle tipologie degli investimenti e degli indebitamenti, con
ulteriore lesione delle competenze regionali.
9. –
La Regione Toscana denuncia il mancato rispetto delle modalità di attuazione
stabilite dall’art. 119 Cost. a garanzia di una corretta ed equilibrata
realizzazione del sistema finanziario regionale e locale, fine per il quale è
stata istituita l’Alta commissione di studio che ultimerà i propri lavori entro
il 30 settembre 2004.
Le
disposizioni, ad avviso della Regione, violano l’art. 117 Cost. in quanto
elencano in modo puntuale ed esaustivo le spese di investimento, fornendone una
disciplina dettagliata e autoapplicativa, mentre la materia del coordinamento
della finanza pubblica è soggetta alla potestà legislativa concorrente e perciò
lo Stato dovrebbe limitarsi a fissare solo i principi fondamentali.
Il
comma 20, poi, nel prevedere che le modifiche alle tipologie indicate nei commi
17 e 18 saranno in futuro disposte con decreto del Ministro dell’economia,
violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., consentendo ad un decreto
ministeriale di disciplinare aspetti interferenti con una materia soggetta a
potestà legislativa concorrente.
10. –
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con ricorsi di identico tenore, rilevano
che la normativa dettata dai commi 17, 18 e 20 dell’art. 3 restringerebbe le
possibilità di azione delle Regioni rispetto alla regola costituzionale del
divieto di indebitamento se non per investimenti, regola che è per le Regioni
ordinarie direttamente operativa, e non demanda alcun compito attuativo alla
legge statale, la quale, in ogni caso, dovrebbe attenersi al concetto economico
di investimenti, senza restringerlo arbitrariamente ed irragionevolmente,
estendendo il divieto costituzionale ad ambiti che esso non era destinato a
coprire: sarebbe, ad esempio, preclusa dal comma 18, lettere g e h,
la possibilità di ricorrere all’indebitamento per effettuare trasferimenti in
conto capitale a favore di privati anziché in favore di soggetti pubblici.
L’irragionevolezza della norma ed il suo carattere discriminatorio, anche alla
stregua dell’art. 3 Cost., emergerebbero anche all’interno della stessa legge
n. 350 del 2003, il cui art. 4, intitolato Finanziamenti
agli investimenti, contempla invece, sin dal comma 1, contributi a privati.
Le disposizioni del comma 18 dell’art. 3, inoltre, non corrisponderebbero alla disciplina dei ”trasferimenti in conto capitale” del regolamento del Consiglio dell’Unione europea n. 2223/96 del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, che fra tali trasferimenti comprende i "contributi agli investimenti”, menzionando quelli alle imprese private ed a soggetti privati diversi dalle imprese, in violazione, quindi dell’art. 117, primo comma, Cost. La stessa irragionevole differenziazione della possibilità di indebitamento delle Regioni da quelle dello Stato, per il quale continua a valere la disciplina comunitaria, si tradurrebbe in lesione dell’autonomia finanziaria regionale.
Illegittime
sarebbero altresì le norme che prevedono che gli elenchi di cui agli artt. 17 e
18 possano essere modificati con decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze, sentito l’ISTAT, "sulla base dei criteri definiti in sede europea”,
laddove il decreto del Ministro previsto dal comma 20 per modificare le
tipologie di indebitamento e di investimento non richiama più "i criteri
definiti in sede europea”, il che potrebbe essere inteso nel senso che nel
secondo caso sia previsto un regolamento ministeriale "in deroga”,
discrezionalmente adottabile dal ministro.
Entrambe
le norme, comunque, sarebbero illegittime, perché nella materia del
"coordinamento della finanza pubblica”, di competenza concorrente di Stato e
Regioni, l’attuazione delle fonti comunitarie non self-executing è regolata dall’art. 9 della legge n. 86 del 1989,
sicché, in attesa della legge regionale di recepimento, lo Stato potrebbe
attuare la direttiva, ma perlomeno con un regolamento governativo, e non con un
regolamento del Ministro, atteso che la competenza dell’organo collegiale
prevista dalla legge n. 86 del 1989 deve ritenersi costituzionalmente necessaria
in relazione al rango costituzionale dell’autonomia regionale. Ancor più
chiaramente illegittimo sarebbe il comma 20, che non fa riferimento ai criteri
europei, in quanto prevede un potere sostanzialmente regolamentare in materia
di competenza concorrente, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.
Qualora
si ritenesse che il decreto previsto dalle due norme non abbia natura
regolamentare, ma sia espressione di una funzione amministrativa attribuita al
Ministro in virtù del principio di sussidiarietà, non verrebbe meno
l’illegittimità, mancando qualsiasi coinvolgimento delle Regioni in contrasto
con il principio di leale cooperazione (sentenza n. 303 del
2003). Nel riferirsi alle tipologie di cui al comma 18, il comma 20,
infine, sarebbe illegittimo perché conferirebbe al Ministro un "nudo” potere
discrezionale, in violazione del principio di legalità sostanziale e, in quanto
incidente sull’autonomia regionale, con lesione della stessa.
11. –
Infine, la Regione Campania lamenta che le disposizioni impugnate, muovendosi
al di fuori dell’impostazione data alle autonomie, e segnatamente al sistema
finanziario regionale, dalla riforma del titolo V, attribuendo una portata
limitativa, e per di più mutevole – in quanto affidata alla discrezionalità del
Ministro dell’economia –, all’art. 119, sesto comma, Cost., non abbiano dato ad
esso attuazione, ma con esso si siano, anzi, poste in contrasto. Infatti, nella
fase di passaggio al nuovo modello finanziario, in attesa di una disciplina
statale, sarebbe irragionevole e illegittimo sottrarre alle Regioni i mezzi di
gestione della spesa che attualmente consentono la governabilità del sistema
finanziario e di spesa regionale (sentenze n. 13
e 37 del 2004,
nonché, circa il parallelismo fra responsabilità di disciplina della materia e
responsabilità finanziaria, sentenza n. 17 del
2004).
La
disciplina impugnata violerebbe l’art. 117 Cost. in quanto, seppur rientrante
nella materia "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario”, non presenterebbe le
caratteristiche di principi fondamentali alla cui fissazione si deve limitare
la legge statale nelle ipotesi di competenza concorrente.
Anche
qualora si volesse qualificare la disciplina impugnata come attuazione parziale
dell’art. 119 Cost., sarebbero illegittime le modalità seguite, non solo per la
irragionevole selezione di alcuni contenuti di specifiche qualificazioni
presenti nella previsione costituzionale – perché non è dato di cogliere il
criterio adottato, e per la mutevolezza ed integrabilità, con decreto del
Ministro, di tali contenuti –, ma per l’esclusione di qualsiasi intesa fra lo
Stato e la Regione tanto nella fase normativa di predisposizione della stessa
disciplina, che nelle fasi successive, di modifica, con decreto ministeriale,
delle tipologie di cui ai commi 17 e
Infine,
la previsione di modifica di cui ai commi 17 e 20, con decreto ministeriale,
delle ipotesi legislativamente fissate violerebbe gli artt. 119 e 117, sesto
comma, Cost., che consente allo Stato di esercitare la potestà regolamentare
solo in materie di competenza esclusiva. Nel caso di specie, l’intervento
normativo è di rango inferiore al regolamento governativo, essendo attribuito
al Ministro, ma potrà incidere sulle disposizioni legislative, modificandole in
noncuranza di qualsiasi limite di principio da parte della legge, in assenza di
qualsiasi garanzia procedimentale che coinvolga le Regioni.
12. –
Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per la reiezione dei ricorsi.
In
ordine alle censure dirette dagli enti ad autonomia speciale avverso il comma
21, l’Avvocatura osserva in via generale che l’art. 119, ultimo comma, Cost.
non contrasta con gli statuti speciali, e perciò opera sull’intero territorio
nazionale, e che i commi da
All’art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001, poi, non potrebbe attribuirsi, oltre al
palese significato "estensivo” delle più ampie forme di autonomia, un
significato "ostativo” di non applicazione dei nuovi precetti costituzionali
nei territori ad autonomia speciale sino all’adeguamento degli statuti,
erigendo confini all’interno del territorio nazionale all’operare di
fondamentali parametri costituzionali.
Nello
specifico, con riguardo alle doglianze della Provincia autonoma di Trento, lo
Stato osserva che il "postulato” dell’asserita attribuzione anteriore di forme
di autonomia più ampia, dal quale muove la Provincia, sarebbe indimostrato, in
quanto l’art. 74 dello statuto porrebbe ad essa limiti assai più severi di
quelli ora stabiliti dall’art. 119, ultimo comma, Cost., come il divieto di
prestiti non "interni” ed il "tetto” quantitativo. Inoltre, nella materia della
finanza locale l’art. 80 dello statuto attribuirebbe alla Provincia solo una
competenza legislativa concorrente.
Il
fatto, poi, che nessuna norma statutaria preveda che la legge statale possa
regolare, per la Provincia, il ricorso all’indebitamento, o stabilisca che cosa
costituisca indebitamento o investimento, varrebbe come riconoscimento
dell’inesistenza di limiti statutari alla produzione legislativa dello Stato in
argomento.
Quanto
al richiamo al meccanismo dell’art. 2 del d.lgs. n. 256 del 1992, la Provincia
non avrebbe indicato le proprie disposizioni abbisognevoli di "adeguamento”: la
norma, d’altra parte, si riferisce solo alle leggi statali costituenti "limiti
indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto”, e sarebbe quindi inapplicabile alle
disposizioni censurate, che si connettono ed integrano l’art. 119, ultimo
comma, Cost., il quale, non incontrando ostacoli nello statuto, è operante
anche all’interno della Regione Trentino-Alto Adige. In ordine agli enti
locali, la legge provinciale n. 36 del 1993 non definirebbe gli "investimenti”,
e porrebbe limiti essenzialmente quantitativi.
La
Provincia, conclude quindi l’Avvocatura, potrebbe entro giugno 2004 provvedere
autonomamente allo "adeguamento” della propria legislazione, purché con fedele
recepimento delle regole poste dai commi impugnati dell’art. 3 della legge n.
350 del 2003.
Quanto,
poi, al ricorso della Valle d’Aosta, l’Avvocatura contesta che la normativa
impugnata sia in contrasto con l’art. 11 della legge n. 860 del 1981 e con le
norme di attuazione richiamate – le quali peraltro, siccome nella specie
anteriori all’introduzione dell’art. 48-bis
nello statuto, non sarebbero soggette al particolare procedimento per la
modifica da esso regolato –, nonché con la legge regionale, che nulla
disporrebbe sullo specifico tema; né l’art. 44 del regolamento del 1999
fornirebbe una nozione o una casistica di investimenti, sicché non potrebbe
sostenersi che le disposizioni della finanziaria abbiano inciso su materia "già
compiutamente disciplinata”.
Neppure
sarebbe violato l’art. 48-bis dello
statuto, articolo che deve ricevere un’interpretazione "stretta”, perché le
disposizioni impugnate non recano norme di attuazione dello statuto.
Venendo
poi a contestare la fondatezza delle censure mosse ai commi da
La
censura mossa al comma 18, che non qualifica come investimenti anche i
trasferimenti "a fondo perduto” a favore di generici operatori privati, è del
pari infondata, perché la distinzione operata dal legislatore è conforme al
parametro costituzionale attuato, in quanto il danaro proveniente dalle casse
pubbliche che concorra a formare assets
privati può talvolta risultare utilmente speso ma non costituisce investimento
del soggetto pubblico erogatore. La doglianza, dunque, mirerebbe ad una
pronuncia additiva, che introduca ulteriori tipologie di trasferimenti in conto
capitale, e sarebbe pertanto inammissibile. Essa sarebbe anche infondata, in
quanto dalla contiguità, nell’art. 119, ultimo comma, del secondo periodo,
attuato con la normativa impugnata, con il primo periodo, ove si parla di
"patrimonio” delle Regioni e degli enti locali, si intenderebbe che
"investimento” è la destinazione di risorse finanziarie all’accrescimento del
patrimonio del soggetto che "investe”, e non di altro soggetto, per di più
privato.
Quanto
alla segnalazione del regolamento del Consiglio dell’Unione europea n. 2223/96
del 25 giugno 1996, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali
della Comunità, essa è non pertinente, perché l’atto si limiterebbe a stabilire
una metodologia contabile statistica comune, senza porre alcuna norma che
imponga agli Stati membri dell’Unione di considerare investimenti anche i
contributi pubblici a fondo perduto all’imprenditoria privata.
In
ordine al comma 19, la prevista istruttoria dell’istituto finanziatore
costituirebbe un principio di persino ovvia ragionevolezza, ove si rispettasse
il precetto del "buon andamento”.
Il
limite all’indebitamento delle Regioni, degli enti locali e di altri soggetti
pubblici, poi, sarebbe argomento non riconducibile alla competenza primaria in
materia di "ordinamento degli uffici”, in quanto le risorse finanziarie per il
funzionamento degli uffici sono, per definizione, spese correnti, mentre gli
investimenti sono risorse finanziarie destinate all’accrescimento del
patrimonio del soggetto che investe, sicché si è nell’ambito della competenza
esclusiva statale a produrre norme generali, e non solo locali, per
l’attuazione dell’art. 119, ultimo comma, Cost., concorrendo i livelli di indebitamento
dei soggetti pubblici, ancorché dotati di autonomia costituzionalmente
garantita – e cioè del settore pubblico allargato – a determinare la stabilità
economico finanziaria del "sistema Italia” nella sua ineludibile unitarietà.
Non
pertinente sarebbe l’attribuzione ai commi 17, 18 e 19 della natura di
normativa di dettaglio, in quanto l’attuazione dell’art. 119, ultimo comma,
Cost., non sarebbe incasellabile in una logica da competenza concorrente,
mentre scarso pregio avrebbe il ricorso all’immagine di una potestà
programmatoria della Regione, non potendosi per questa configurare una materia
a sé stante, né potendo costituire la programmazione dello sviluppo economico
un passe partout utile ad aprire
qualsiasi accesso ai flussi finanziari.
In ordine agli enti infraregionali, l’Avvocatura osserva che la disciplina generale degli indebitamenti attiene al governo dell’economia nazionale, e non all’ordinamento dei singoli enti locali e delle singole aziende sanitarie.
Quanto
poi alla violazione della procedura per l’introduzione delle norme di
coordinamento, ed all’istituzione dell’Alta commissione, osserva l’Avvocatura
che il Parlamento, all’esito dei lavori di quest’ultima, potrebbe integrare o
modificare il comma 18.
Le Regioni
non potrebbero, inoltre, invocare quale parametro l’art. 3 della Costituzione.
Infine,
in relazione alle censure mosse al potere ministeriale di variare con decreto
le tipologie di indebitamento e investimento (commi 17 e 20) l’Avvocatura
rileva che l’argomento relativo all’assenza di criteri idonei a guidare
l’esercizio del potere del Ministro sarebbe inconsistente, essendo i criteri
agevolmente desumibili dall’intero contesto dei commi da
13. –
In prossimità dell’udienza pubblica tutte le ricorrenti hanno depositato
memorie illustrative, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già
formulate.
In
particolare, la Regione Siciliana ha anzitutto precisato di aver affermato la
vincolatività, nei confronti di essa Regione, del principio di indebitamento
per le spese correnti sancito dall’art. 119, sesto comma, Cost. sull’implicito
presupposto della sussistenza, ben prima della riforma costituzionale del 2001,
di un principio sostanzialmente analogo – codificato da svariate fonti, come l’art.
10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, per le Regioni a statuto ordinario, o
l’art. 52 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, e, per la Regione
Siciliana, dall’art. 18, primo comma, della legge regionale 8 luglio 1977, n.
47 –, discendente dall’ossequio a criteri di buon andamento e di sana
amministrazione immanenti nell’ordinamento, e correlato al limite
all’autofinanziamento noto a livello comunitario. La posizione del principio in
sede di riforma costituzionale non sarebbe, quindi, che una esplicitazione di
un vincolo contabile già cogente, la cui concreta attuazione non potrebbe che
essere rimessa, in ossequio all’autonomia finanziaria attribuita alla Regione
Siciliana, alla responsabilità, ed alla legislazione, della stessa. Sarebbe pertanto
corretta l’individuazione dei parametri negli artt. 14, lettere o e p,
e 16 dello statuto, che attribuiscono alla Regione la potestà di dettare norme
concernenti l’ordinamento contabile proprio nonché degli enti locali e di tutte
le realtà istituzionali ricomprese nel settore pubblico regionale, ed attinenti
all’autonomia finanziaria, mentre l’art. 20 dello statuto sarebbe stato
invocato per l’illegittima compressione della potestà amministrativa regionale,
quantomeno sotto il profilo dell’ampiezza e dell’operatività del relativo
espletamento.
Ritenere, poi, la
normativa censurata compresa nelle materie di competenza legislativa esclusiva
dello Stato costituirebbe assunto indimostrato, alla luce dell’inversione della
tecnica di riparto delle potestà legislative e dell’enumerazione tassativa
delle competenze dello Stato risultanti dal novellato art. 117 Cost., che
consentono deroghe all’ordinario assetto delle competenze solo sulla base di
quel meccanismo dinamico, individuato nella sent. n. 303 del
2003, in presenza di un preciso "iter in cui assumano il dovuto risalto le
attività concertative e di coordinamento orizzontale”, non riscontrabile nella
specie. Né, considerato il loro livello di assoluto dettaglio, le disposizioni
censurate possono ritenersi espressione della competenza concorrente spettante
allo Stato ex art. 117, terzo comma, Cost., in materia di "armonizzazione dei
bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario”.
Dopo aver contestato che
quella invocata con il ricorso sia una pronuncia additiva, come affermato dalla
difesa erariale, essendo, invece, richiesta una sentenza che accerti
l’invasione della sfera di competenza costituzionalmente garantita alla
Regione, la ricorrente conclude, in replica alla battuta polemica
dell’Avvocatura sulla sorte degli istituti di credito siciliani, precisando che
ogni funzione di vigilanza in materia creditizia è preclusa alla Regione,
essendo di esclusiva pertinenza della Banca d’Italia.
La Regione Sardegna in
primo luogo ribadisce l’inapplicabilità delle disposizioni censurate ad essa
Regione perché dotata, in forza delle disposizioni dello statuto, di forme di
autonomia più ampie di quelle previste dall’art. 119 Cost., soffermandosi
sull’interpretazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e
richiamando, in proposito, anche la sentenza n. 103 del
2003
Qualora le disposizioni
censurate fossero invece ritenute ad essa applicabili, sarebbero tuttavia
incostituzionali perché lesive delle competenze legislative regionali, per la
natura strumentale della competenza in materia di bilancio e contabilità, cui
va ricondotta la disciplina dell’indebitamento, in quanto la Regione verrebbe
limitata nella potestà programmatoria degli interventi pubblici nella varie
materie.
La ricorrente contesta
poi che la disciplina impugnata possa essere considerata esercizio di una
competenza esclusiva statale per l’attuazione dell’art. 119, ultimo comma,
Cost., in quanto il principio, posto dalla norma costituzionale, del limite
all’indebitamento non richiede norme di dettaglio e/o di attuazione che
puntualizzino o restringano il concetto economico di investimento, come
insegnerebbe la storia dell’applicazione dell’art. 10 della legge n. 281 del
1970 – di cui l’art. 119, sesto comma, rappresenterebbe il "precipitato”
costituzionale –, che in trent’anni non ha conosciuto attuazione, essendo stata
interpretata la nozione di "spese di investimento” esclusivamente alla luce del
suo significato economico, il che rende manifesto il carattere di dettaglio
delle disposizioni censurate.
La Provincia autonoma di
Trento ricorda invece come rientri nella propria competenza legislativa la
contabilità propria e, segnatamente, la disciplina della modalità di ricorso
all’indebitamento degli enti locali (art. 17, comma 3, della legge n. 268 del
1992, ricostruisce brevemente la storia normativa dell’indebitamento delle
Regioni sino all’illegittimo restringimento della nozione di investimento
operata dalle disposizioni censurate, ed osserva come la tesi della difesa
erariale secondo la quale l’esclusione dei finanziamenti di investimenti
privati sarebbe conforme al parametro costituzionale avrebbe trovato smentita
in quanto disposto, per gli anni 2003 e 2004, per gli enti ad autonomia
speciale dal sopravvenuto art. 3, comma 1, del d.l. 12 luglio 2004, n. 168,
introduttivo del comma 21-bis nella normativa impugnata.
La Regione Valle d’Aosta
richiama a proprio favore, in particolare, in tema di disciplina
dell’indebitamento degli enti locali, la sentenza n. 376 del
2003 di questa Corte.
La Regione Marche si
sofferma in particolare su natura e portata del coordinamento della finanza
pubblica, compreso tra le materie di legislazione concorrente dall’art. 117,
terzo comma, Cost., osservando, con numerosi richiami alla dottrina, come nel
sistema dell’art. 119 Cost. il coordinamento statale intervenga su una potestà
legislativa regionale già preesistente, e debba essere limitato alla
determinazione dei principi fondamentali, laddove la normativa impugnata
fornisce un elenco puntuale degli investimenti e degli indebitamenti ammessi
(viene in proposito richiamata l’audizione della Conferenza dei Presidenti
delle Regioni e delle Province autonome presso la Commissione bilancio del 18
marzo 2004).
La Regione Toscana
aggiunge che la normativa impugnata si porrebbe altresì in contrasto con il
regolamento comunitario n. 2223/96.
Le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna osservano che la prima disciplina delle possibilità di
investimento delle Regioni ordinarie risale all’art. 10 della l. 16 maggio
1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto
ordinario), e, anche a seguito delle successive modifiche legislative (art. 22
della legge n. 335 del 1976, recante "Princìpi fondamentali e norme di
coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni”, e art. 23
del d.lgs. n. 76 del 2000, recante "Princìpi fondamentali e norme di
coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni”, in
attuazione dell'articolo 1, comma 4, della l. 25 giugno 1999, n. 208), si
limitava ad escludere l’indebitamento per finanziare la spesa corrente.
Secondo le ricorrenti, la
ratio dell’art. 119 della Costituzione è di "costituzionalizzare il divieto di
indebitamento, da parte delle Regioni, per finanziare la spesa corrente già
risultante dalle leggi statali ordinarie”, sicché, posto che tale divieto non
si sarebbe esteso al finanziamento degli investimenti privati, sarebbe
illegittimo introdurlo mediante la norma impugnata: essi infatti "producono
utilità per il futuro nel territorio” e pertanto "devono rientrare nel concetto
costituzionale di investimento”.
In tal senso militerebbe
la stessa formulazione letterale dell’art. 119 Cost. ("finanziare spese di
investimento”), nonché la deroga al divieto concernente il ricorso
all’indebitamento per finanziare contributi agli investimenti di privati,
introdotta dal d.l. 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il
contenimento della spesa pubblica), convertito nella l. 30 luglio 2004, n. 191.
Inoltre, le ricorrenti
ribadiscono che la nozione di "contributo agli investimenti” vigente in Italia
non può che essere conforme alla definizione adottata a livello comunitario,
tramite il regolamento n. 2223/96.
Infine, la Regione
Campania insiste sul proprio interesse alla decisione, pur dopo l’emanazione
del d.l. n. 168 del 2004, che dichiara di avere impugnato in separato ricorso
(di cui chiede la riunione con il presente).
Nel merito, la ricorrente
insiste sui profili di censura già svolti, osservando che i "contenuti
dell’autonomia” regionale in punto di ricorso all’indebitamento sono
direttamente posti dall’art. 119 Cost. e si ricollegano inscindibilmente alla
piena attuazione della norma costituzionale, sicché "sarebbe davvero
paradossale assumere ed imporre soltanto la vigenza attuale dei limiti, in
assenza del ‘sistema’ cui gli stessi si riferiscono”, in altre parole fino a
quando non si realizzi "la completa ed effettiva attuazione dell’autonomia
finanziaria” regionale.
14. – Ha altresì
depositato memorie illustrative, nei ricorsi promossi dalle Regioni Siciliana,
Campania, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Umbria, l’Avvocatura dello Stato,
insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già formulate.
Lo Stato sottolinea come
l’art. 119, sesto comma, Cost. si applichi indifferenziatamente a tutte le
Regioni, dovendo qualsiasi deroga essere esplicita e consacrata in una norma
costituzionale, atteso che la finanza pubblica è configurata unitariamente
dalla Costituzione e che i mercati finanziari non sarebbero disposti a
considerare il "rischio-regione” come separato dal "rischio-Paese” ed a credere
nella insensibilità dello Stato ad eventuali insolvenze di singole autonomie,
ordinarie o speciali che siano. A ben vedere, dunque, il censurato comma 21
recherebbe una norma superflua, volta solo a prevenire equivoci attraverso
un’interpretazione autentica "di chiarimento”. Quanto, infine, al confine della
"espansione” dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, richiamando la sentenza n. 274 del
2003 l’Avvocatura osserva come esso riguardi l’art. 117, comma quarto, e
non i principi e le regole posti dall’art. 119 Cost.
Inoltre, l’introduzione
dei commi 21-bis e 21-ter nel testo della norma impugnata viene incontro a
richieste avanzate dalle autonomie, sicché "non può escludersi che sia venuto
meno l’interesse” all’esame delle censure dirette avverso il comma 18.
Lo Stato, in ogni caso,
si sarebbe limitato a porre principi fondamentali in materia di coordinamento
della finanza pubblica: peraltro, "una competenza di coordinamento deve
necessariamente essere esercitata mediante atti statali ‘autosufficienti’ e non
può richiedere, per la completezza della sua effettività, atti legislativi
posti in essere dalle regioni ‘coordinate’”.
Viene altresì contestato
che il diritto comunitario recepisca una nozione di investimento comprensiva
dei finanziamenti ai privati, posto che i "contributi agli investimenti”
previsti dal regolamento n. 2223/96 (punto D.92) costituirebbero "trasferimenti
in conto capitale” distinti dagli "investimenti fissi” (punto P.51).
L’investimento
richiederebbe, per essere tale, "un accrescimento del proprio patrimonio”, che
non consegue invece ai trasferimenti in conto capitale ai privati, cosicché
sarebbe "irrazionale” e in contrasto con la lettera dell’art. 119 della
Costituzione recepirne a livello legislativo una nozione così allargata.
Infine, quanto al potere
ministeriale di incidere sulle tipologie di indebitamento e di investimento
previste dalla legge, l’Avvocatura osserva che, in ordine alle prime (comma
17), il decreto ministeriale avrebbe carattere meramente integrativo e che, in
ordine alle seconde (comma 18), il decreto "può soltanto precisare ed
interpretare le "tipologie” elencate (…) senza ambizione di apportare modifiche
sostanziali”.
L’Avvocatura ritiene poi
ammissibile che all’attuazione dell’art. 119 Cost. si proceda mediante
"interventi parziali”, di cui la norma impugnata sarebbe un esempio.
Essa si limiterebbe a
porre, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, "principi cui le
singole leggi regionali di spesa nei vari settori d’intervento devono
attenersi”.
Inoltre, "una competenza
di coordinamento deve necessariamente essere esercitata mediante atti statali
‘autosufficienti’ e non può richiedere, per la completezza della sua
effettività, atti legislativi posti in essere dalle Regioni ‘coordinate’”.
15. – All’udienza del 28
settembre 2004 le parti hanno discusso i ricorsi, insistendo sulle conclusioni
già rassegnate.
Considerato in diritto
1.– L’art. 119, sesto
comma, della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3, stabilisce, nel suo secondo periodo, che i Comuni, le
Province, le Città metropolitane e le Regioni "possono ricorrere all’indebitamento
solo per finanziare spese di investimento”; e aggiunge, nel terzo periodo, che
"è esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti”.
L’art. 3 della legge 24
dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), al comma 16 stabilisce che
"Ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, le regioni a
statuto ordinario, gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli
articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b, del testo unico di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ad eccezione delle società di capitali
costituite per l’esercizio di servizi pubblici [vale a dire, oltre a Comuni,
Province e Città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane o di
arcipelago, le unioni di Comuni, i consorzi cui partecipano gli enti locali,
con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica e
imprenditoriale, e, ove previsto dallo statuto, i consorzi per la gestione dei
servizi sociali, nonché le aziende speciali e le istituzioni] possono ricorrere
all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”(primo periodo); e
che "Le regioni a statuto ordinario possono, con propria legge, disciplinare
l’indebitamento delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere e degli enti e
organismi di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76
[vale a dire degli enti e organismi, in qualunque forma costituiti, dipendenti
dalla Regione], solo per finanziare spese di investimento” (secondo periodo).
Il successivo comma 17
stabilisce che "Per gli enti di cui al comma 16 costituiscono indebitamento,
agli effetti dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione” una serie di
operazioni dettagliatamente elencate nel primo e nel secondo periodo del comma.
Il terzo periodo aggiunge che "Non costituiscono indebitamento, agli effetti
del citato articolo 119, le operazioni che non comportano risorse aggiuntive,
ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa
statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per
le quali è già prevista idonea copertura di bilancio”. Ai sensi del successivo
quarto periodo, "Modifiche alle predette tipologie di indebitamento sono
disposte con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito
l’ISTAT, sulla base dei criteri definiti in sede europea”.
Il comma 18, a sua volta,
elenca, nelle lettere da a a i, le operazioni che "ai fini di cui all’articolo
119, sesto comma, della Costituzione, costituiscono investimenti”.
Il comma 19 aggiunge che
"gli enti e gli organismi di cui al comma 16 non possono ricorrere
all’indebitamento per il finanziamento di conferimenti rivolti alla
capitalizzazione di aziende o società finalizzata al ripiano di perdite. A tale
fine l’istituto finanziatore, in sede istruttoria, è tenuto ad acquisire
dall’ente l’esplicazione specifica sull’investimento da finanziare e
l’indicazione che il bilancio dell’azienda o della società partecipata, per la
quale si effettua l’operazione, relativo all’esercizio finanziario precedente
l’operazione di conferimento di capitale, non presenta una perdita di
esercizio”.
Il comma 20 stabilisce
che "Le modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18 sono disposte con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT”.
Infine, il comma 21
recita: "Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e nel
quadro del coordinamento della finanza pubblica di cui agli articoli 119 e 120
della Costituzione, le disposizioni di cui ai commi da 16 a 20 si applicano
alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di
Bolzano, nonché agli enti e agli organismi individuati nel comma 16 siti nei
loro territori”.
Tali disposizioni sono impugnate,
con distinti ricorsi, dalle Regioni Sicilia (tutti i predetti commi), Sardegna
(il comma 21, in relazione ai commi da 16 a 20), Valle d’Aosta (tutti i commi),
dalla Provincia autonoma di Trento (i commi 17, 18, 20 e 21), e dalle Regioni
Campania (tutti i commi), Emilia-Romagna (i commi 17, 18 e 20), Marche (i commi
da 16 a 20), Toscana (i commi 18, 19 e 20) e Umbria (i commi 17, 18 e 20).
2.– Le censure mosse
dalle ricorrenti possono suddividersi in tre gruppi. In primo luogo, il comma
21 è impugnato dalle Regioni a statuto speciale e dalla Provincia autonoma di
Trento (nonché dalla Regione Campania, che non sviluppa però su di esso
autonome censure, né è riguardata dalle disposizioni di detto comma, onde la
relativa censura risulta inammissibile), le quali lamentano che sia disposta
nei loro confronti e nei confronti degli enti in esse siti l’applicazione delle
disposizioni dei precedenti commi, sostenendo in sostanza che ad esse
l’articolo 119, sesto comma, della Costituzione non potrebbe applicarsi se non
nelle parti in cui comporti forme di autonomia più ampie rispetto a quelle loro
già attribuite, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001,
il che non si potrebbe dire o si potrebbe dire solo per qualche aspetto, al
quale dovrebbe limitarsi detta applicabilità; e che in ogni caso (secondo la
Regione Siciliana) la individuazione delle nozioni di indebitamento e di
investimento, ai fini dell’applicazione dell’art. 119, sesto comma, spetterebbe
alla Regione.
Il secondo gruppo di censure
riguarda i commi da 16 a 20. Esse accomunano le ricorrenti Regioni ordinarie e
le ricorrenti Regioni speciali, le quali, in subordine rispetto alla questione
che investe il comma 21, o in correlazione con questa, lamentano anch’esse,
sostanzialmente, l’estensione dell’applicazione delle norme a enti diversi da
quelli espressamente indicati nell’art. 119, sesto comma, e le restrizioni, che
si affermano illegittime e lesive dell’autonomia finanziaria regionale e
provinciale, che i commi in esame apportano alle nozioni di indebitamento e in
ispecie di investimento.
In particolare, sarebbe illegittimo
il comma 18 là dove esclude dal novero delle spese di investimento, per le
quali è ammesso il ricorso all’indebitamento, i contributi erogati a favore di
soggetti privati e molti co-finanziamenti regionali di programmi comunitari.
Infine, i commi 17 e 20 sono
censurati, sia dalle Regioni ordinarie che da quelle speciali (ad eccezione
della Valle d’Aosta), in quanto attribuiscono al Ministro dell’economia e delle
finanze il potere, sostanzialmente regolamentare, di modificare con proprio
decreto le tipologie di operazioni costituenti indebitamento e investimento.
3.– La presente decisione riguarda
solo le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti
dell’art. 3, commi da 16 a 21, della legge n. 350 del 2003, restando riservata
a separate pronunzie la decisione delle altre questioni sollevate in alcuni dei
ricorsi.
Con riguardo alle disposizioni
indicate, i relativi giudizi devono essere riuniti, per la coincidenza
dell’oggetto, ed essere decisi con unica pronunzia.
4.– Le questioni sollevate con il
ricorso della Regione Toscana devono essere dichiarate inammissibili, in quanto
la delibera della Giunta regionale n. 66 in data 9 febbraio 2004, che ha deciso
l’impugnazione di disposizioni della legge n. 350 del 2003, non reca, nella
motivazione, alcun riferimento all’art. 3, commi da 16 a 20 (ancorché indichi a
titolo di "esempio” alcune altre disposizioni ritenute lesive), mentre la
generica autorizzazione a sollevare questione di legittimità costituzionale
della legge n. 350 – avente contenuti molteplici e assai vari – non può, per la
sua genericità, dare ingresso all’impugnazione di disposizioni non individuate
(cfr. sentenza
n. 43 del 2004).
Parimenti inammissibile, come si è
accennato, è l’impugnazione del comma 21 proposta, senza motivazione alcuna,
dalla Regione Campania in relazione ad un comma, che riguarda le sole Regioni ad
autonomia speciale.
5.– Le questioni, sollevate dalle
Regioni a statuto speciale e dalla Provincia autonoma di Trento, nei confronti
del comma 21, sono infondate.
L’articolo 119, sesto comma, della
Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, non
introduce nuove restrizioni all’autonomia regionale, ma enuncia espressamente
un vincolo – quello a ricorrere all’indebitamento solo per spese di
investimento – che già nel previgente regime costituzionale e statutario il
legislatore statale ben poteva imporre anche alle Regioni a statuto speciale,
in attuazione del principio unitario (art. 5 della Costituzione) e dei poteri
di coordinamento della finanza pubblica, nonché del potere di dettare norme di
riforma economico-sociale vincolanti anche nei confronti della potestà
legislativa primaria delle Regioni ad autonomia differenziata. E se
quest’ultimo vincolo può non trovare più applicazione, in forza della clausola
di salvaguardia dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, negli
ambiti nei quali le Regioni ordinarie abbiano acquisito potestà più ampie, ciò
non può dirsi in ambiti, come quello dei principi di coordinamento finanziario
(cfr. art. 117, terzo comma), in cui l’autonomia delle Regioni ordinarie
incontra tuttora gli stessi o più rigorosi limiti (cfr. sentenza n. 536 del
2002).
La finanza delle Regioni a statuto
speciale è infatti parte della "finanza pubblica allargata” nei cui riguardi lo
Stato aveva e conserva poteri di disciplina generale e di coordinamento,
nell’esercizio dei quali poteva e può chiamare pure le autonomie speciali a
concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica,
connessi anche ai vincoli europei (cfr. sentenze n. 416 del
1995; n. 421
del 1998), come quelli relativi al cosiddetto patto di stabilità interno
(cfr. sentenza
n. 36 del 2004).
Il nuovo sesto comma dell’art. 119
della Costituzione trova dunque applicazione nei confronti di tutte le
autonomie, ordinarie e speciali, senza che sia necessario all’uopo ricorrere a
meccanismi concertati di attuazione statutaria: e di conseguenza non è
illegittima l’estensione che la legge statale ha disposto, nei confronti di
tutte le Regioni, della normativa attuativa.
Né si potrebbero rinvenire ragioni giustificatrici
di una così radicale differenziazione fra i due tipi di autonomia regionale, in
relazione ad un aspetto – quello della soggezione a vincoli generali di
equilibrio finanziario e dei bilanci – che non può non accomunare tutti gli
enti operanti nell’ambito del sistema della finanza pubblica allargata.
6.– Anche le censure del secondo
gruppo, mosse nei confronti dei commi da 16 a 20 nei ricorsi sia delle Regioni
ordinarie, sia di quelle speciali, sono infondate.
Il quesito che si pone è il seguente:
se e in che misura la legge dello Stato possa porre regole specifiche che
concretizzano e attuano il vincolo di cui all’art. 119, sesto comma, della
Costituzione, in particolare definendo ciò che si intende, a questi fini, per
"indebitamento” e per "spese di investimento”.
Non si tratta di nozioni il cui
contenuto possa determinarsi a priori, in modo assolutamente univoco, sulla
base della sola disposizione costituzionale, di cui questa Corte sia in grado
di offrire una interpretazione esaustiva e vincolante per tutti, una volta per
sempre. Si tratta di nozioni che si fondano su principi della scienza
economica, ma che non possono non dare spazio a regole di concretizzazione
connotate da una qualche discrezionalità politica.
Ciò risulta del resto evidente, se si
tiene conto che proprio le definizioni che il legislatore statale ha offerto
nelle disposizioni qui impugnate (art. 3, commi 17, 18 e 19, della legge n. 350
del 2003) derivano da scelte di politica economica e finanziaria effettuate in
stretta correlazione con i vincoli di carattere sovranazionale cui anche
l’Italia è assoggettata in forza dei Trattati europei, e dei criteri
politico-economici e tecnici adottati dagli organi dell’Unione europea nel
controllare l’osservanza di tali vincoli.
La nozione di spese di investimento
adottata appare anzi estensiva rispetto ad un significato strettamente
contabile, che faccia riferimento solo ad erogazioni di denaro pubblico cui
faccia riscontro l’acquisizione di un nuovo corrispondente valore al patrimonio
dell’ente che effettua la spesa: comprende infatti ad esempio i trasferimenti
in conto capitale destinati alla realizzazione degli investimenti di altri enti
pubblici (comma 18, lettera g), o gli interventi contenuti in programmi
generali relativi a piani urbanistici dichiarati di preminente interesse
regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del
territorio (comma 18, lettera i).
Parimenti, la nozione di
"indebitamento” è ispirata ai criteri adottati in sede europea ai fini del
controllo dei disavanzi pubblici; si tratta, in definitiva, di tutte le entrate
che non possono essere portate a scomputo del disavanzo calcolato ai fini del
rispetto dei parametri comunitari.
Ciò posto, è chiaro come non si possa
ammettere che ogni ente, e così ogni Regione, faccia in proprio le scelte di
concretizzazione delle nozioni di indebitamento e di investimento ai fini
predetti. Trattandosi di far valere un vincolo di carattere generale, che deve
valere in modo uniforme per tutti gli enti, solo lo Stato può legittimamente
provvedere a tali scelte.
7.– Sono pertanto infondate le
censure sollevate in relazione ai commi 17 e 18 dell’art. 3 in esame sul
presupposto che spetti alla Regione, e non allo Stato, il potere di definire le
nozioni di indebitamento e di investimento ai fini dell’attuazione del vincolo
espresso nell’art. 119, sesto comma, della Costituzione. Resta naturalmente
fermo che qualora, in concreto, lo Stato effettuasse scelte irragionevoli, le
Regioni ben potrebbero contestarle nelle sedi appropriate.
Questo non si verifica però nella
specie. Le scelte espresse nei commi 17 e 18 dell’impugnato art. 3 non possono
dirsi irragionevoli. Non può dirsi tale, in particolare, la scelta di escludere
dalla nozione di spese di investimento le erogazioni a favore di privati, sia
pure effettuate per favorirne gli investimenti.
Queste infatti, ancorché possano
indubbiamente concorrere a promuovere (con effetti che occorrerebbe peraltro
definire e misurare caso per caso) lo sviluppo del sistema economico nazionale,
non concorrono ad accrescere il patrimonio pubblico nel suo complesso: criterio
negativo, questo, che non irragionevolmente appare aver guidato il legislatore
statale in dette scelte. Lo stesso è a dirsi per le forme di co-finanziamento regionale
di programmi comunitari, che di per sé possono attenere a tipologie di spese
assai diverse fra di loro, non necessariamente definibili come investimenti
secondo il criterio predetto.
8.– Sono invece fondate le censure
del terzo gruppo, che investono i commi 17, ultimo periodo, e 20, là dove
attribuiscono al Ministro dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT, il
potere di disporre con proprio decreto modifiche alle tipologie di
"indebitamento” e di "investimenti” stabilite in detti commi ai fini di cui
all’art. 119, sesto comma, della Costituzione.
Tali disposizioni (di cui l’una,
quella del comma 20, in parte ripete la previsione del comma 17 quanto alle
tipologie di indebitamento, ed estende lo stesso meccanismo alle tipologie
degli investimenti) conferiscono al Ministro una potestà il cui esercizio può
comportare una ulteriore restrizione della facoltà per gli enti autonomi di
ricorrere all’indebitamento per finanziare le proprie spese, e si traducono
sostanzialmente in una delegificazione delle statuizioni contenute nei predetti
commi, che definiscono le nozioni di indebitamento e di investimento ai fini
dell’applicazione alle Regioni e agli enti locali del vincolo di cui all’art.
119, sesto comma, della Costituzione.
Ma una siffatta previsione
presupporrebbe il rispetto del principio di legalità sostanziale, in forza del
quale l’esercizio di un potere politico-amministrativo incidente sull’autonomia
regionale (nonché sull’autonomia locale) può essere ammesso solo sulla base di
previsioni legislative che predeterminino in via generale il contenuto delle
statuizioni dell’esecutivo, delimitandone la discrezionalità (cfr. sentenze n. 150 del
1982, n. 384
del 1992, n. 301
del 2003).
Né può valere a soddisfare tale
requisito la generica previsione del comma 17, ultimo periodo (non ripetuta,
peraltro, dal comma 20, e quindi non applicabile alle modifiche delle tipologie
di investimento di cui al comma 18), secondo cui il Ministro dovrebbe disporre
le eventuali modifiche alle tipologie di indebitamento "sulla base dei criteri
definiti in sede europea”. Infatti, ove non si tratti di norme europee
suscettibili di diretta applicazione (nel qual caso, peraltro, non occorrerebbe
la mediazione di norme nazionali), tale previsione non basta ad integrare una
sufficiente determinazione legislativa dei presupposti e del contenuto degli
atti ministeriali.
PER QUESTI
MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunzie la
decisione delle altre questioni sollevate con i ricorsi in epigrafe;
riuniti i giudizi limitatamente alle
questioni relative all’art. 3, commi da 16 a 21, della legge impugnata,
a) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 17, quarto periodo, della legge 24 dicembre
2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2004);
b) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 20, della predetta legge n. 350 del 2003;
c) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 18, 19 e 20, della predetta
legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 119 della
Costituzione, dalla Regione Toscana (reg. ric. n. 32 del 2004) con il ricorso
in epigrafe;
d) dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 21, della predetta
legge n. 350 del 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 114, 117, 119 e
120 della Costituzione, dalla Regione Campania (reg. ric. n.37 del 2004) con il
ricorso in epigrafe;
e) dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 21, della predetta legge n.
350 del 2003, sollevate dalla Regione Siciliana (reg. ric. n. 28 del 2004) in
riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, agli artt. 14,
lettere o e p, e 36 dello statuto speciale per la Regione Siciliana di cui al
r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, e all’art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3; dalla Regione Sardegna (reg. ric. n. 29 del 2004) in
riferimento agli artt. 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, agli artt. 3, 4,
5, 7, 11 dello statuto speciale per la Sardegna di cui alla legge cost. 26
febbraio 1948, n. 3, all’art. 3 del d.lgs. 10 aprile 2001, n. 180, e all’art.
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dalla Provincia autonoma
di Trento (reg. ric. n. 35 del 2004) in riferimento agli artt. 116, 117, 119 e
120 della Costituzione, al titolo VI dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, all’art. 10 della
legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e agli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992,
n. 266; dalla Regione Valle d’Aosta (reg. ric. n.36 del 2004) in riferimento
agli artt. 3, 5, 117, 119 e 120 della Costituzione, all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nonché ai principi di sussidiarietà e di
leale collaborazione, con i ricorsi in epigrafe;
f) dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto
al capo a), 18 e 19 della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento
agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e all’art. 20 dello statuto
speciale per la Regione Siciliana di cui al r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455,
dalla Regione Siciliana con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 28 del 2004);
g) dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto
al capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in
riferimento agli artt. 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, agli artt. 3, 4,
5, 7 e 11 dello statuto speciale per la Sardegna di cui alla legge cost. 26
febbraio 1948, n. 3, e all’art. 3 del d.lgs. 10 aprile 2001, n. 180, dalla
Regione Sardegna con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 29 del 2004);
h) dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 17 (salvo quanto disposto al
capo a), e 18, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento
agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, dalla Provincia autonoma di Trento
con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 35 del 2004);
i) dichiara non fondate le questioni
di legittimità dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto al capo a), 18
e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli
artt. 3, 5, 116, 117 e 118 della Costituzione, agli artt. 3, 4 e 48-bis dello
statuto speciale per la Valle d’Aosta di cui alla legge cost. 26 febbraio 1948,
n. 4, dalla Regione Valle d’Aosta con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 36
del 2004);
l) dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto
al capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in
riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche (reg.
ric. n. 31 del 2004) con il ricorso in epigrafe;
m) dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 17 (salvo quanto disposto al
capo a), e 18, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento
agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna (reg.
ric. n. 33 del 2004) e Umbria (reg. ric. n. 34 del 2004) con i ricorsi in
epigrafe;
n) dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto
al capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 114, 117, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione
Campania (reg. ric. n.37 del 2004) con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente e Redattore
Depositata in Cancelleria il 29
dicembre 2004.