Sentenza n. 384 del 1992

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SENTENZA N.384

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Dott. Renato GRANATA

 

-          Prof. Giuliano VASSALLI

 

-          Prof. Francesco GUIZZI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 20 marzo 1992, depositato in cancelleria il 30 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri sulla gestione del bilancio dello Stato e degli enti del settore pubblico allargato per il 1992, ai sensi dell'art. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ed iscritto al n. 7 del registro conflitti 1992.

 

Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

 

udito l'avvocato Valerio Onida per la Regione Lombardia.

 

Ritenuto in fatto

 

l. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri sulla gestione dei bilancio dello Stato e degli enti del settore pubblico allargato per il 1992, adottata ai sensi dell'art. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 1992, nella parte concernente gli enti dei settore pubblico allargato "dotati di particolare autonomia", con specifico riguardo alle regioni.

 

Talune prescrizioni contenute nell'atto impugnato riguardano, invero, procedure di pertinenza di organi dello Stato. Altre possono invece influire sulla gestione del bilancio regionale: l'ultimo capoverso della direttiva la qualifica come "indirizzo volto al conseguimento di obiettivi di interesse nazionale", e fa carico alle amministrazioni interessate di adottare "atti coerenti" entro trenta giorni dalla data di pubblicazione della direttiva stessa.

 

La direttiva invoca a suo fondamento l'art. 5 della legge n. 400 del 1988, che definisce i poteri e le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri: nessuna di tali attribuzioni, però, osserva la ricorrente, autorizza il Presidente del Consiglio ad adottare indirizzi vincolanti nei confronti delle regioni per l'esercizio di loro competenze. Gli atti di indirizzo e di coordinamento dell'attività amministrativa regionale debbono essere deliberati dal Consiglio dei ministri, sulla base di specifiche disposizioni legislative, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 2, comma 3, lett. d) della legge n. 400 del 1988. l'atto impugnato, d'altra parte, é privo di fondamento legislativo ed é quindi illegittimo, per violazione dei principio di legalità sostanziale.

 

Sarebbero comunque lesive dell'autonomia regionale le seguenti prescrizioni, ove siano riferibili, come "indirizzi", alle regioni: la lettera a), che per il primo semestre dell'anno pone il limite del 25 per cento all'assunzione degli impegni per le spese discrezionali finalizzate all'acquisto di beni e servizi, in violazione dell'art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 65 del 1989, convertito nella legge n. 155 del 1989, che stabilisce una percentuale più elevata, pari al 50 per cento (disposizione, quest'ultima, che in ogni caso risulterebbe incostituzionale per quanto riguarda le regioni, alle quali va assicurata piena autonomia nell'impiego delle risorse); illegittime sarebbero altresì la lettera b), che fissa un limite agli impegni sugli esercizi futuri per le spese del conto capitale previste da leggi pluriennali, ai sensi dell'art. 2, comma 8, della legge finanziaria n. 415 del 1991; la lettera c), che limita le spese per trasferimento; la lettera e), che richiede l'utilizzazione dei residui come condizione per l'assunzione degli impegni di competenza; la lettera h), che limita i prelievi dai conti di tesoreria nel primo semestre all'importo dello stesso periodo dell'anno precedente.

 

La Corte costituzionale, pur giudicando legittima la disciplina legislativa della tesoreria unica e dei trasferimenti alle regioni, ha osservato che le procedure contemplate non debbono tradursi in limiti alla "piena e immediata disponibilità" da parte delle regioni delle somme di loro pertinenza (sentenze n. 162 del 1982, n. 307 del 1983, n. 243 e 244 del 1985): le prescrizioni della direttiva impugnata - conclude la ricorrente - limitano proprio la facoltà delle regioni di disporre, in conformità alle proprie leggi e ai propri indirizzi, delle risorse stanziate in bilancio.

 

2.- Non si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

l. - La Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri adottata ai sensi dell'art.5 della legge 23 agosto 1988, n. 400, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.15 del 20 gennaio 1992, nella parte in cui pone indirizzi sulla gestione del bilancio delle regioni (e degli altri enti del settore pubblico allargato dotati di autonomia), per il conseguimento di obiettivi di interesse nazionale.

 

Osserva la ricorrente come l'art. 5 della legge n. 400 del 1988, che definisce le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, non autorizza quest'ultimo a vincolare, con propri atti, le regioni nell'esercizio di loro competenze: più volte la Corte costituzionale ha precisato che gli atti di indirizzo e di coordinamento dell'attività amministrativa regionale debbono essere deliberati dal Consiglio dei ministri sulla base di specifiche disposizioni legislative, in osservanza del principio di legalità sostanziale. La direttiva impugnata non è assistita da deliberazione del Consiglio dei ministri, nè da alcuna norma sostanziale che le dia il necessario fondamento legislativo.

 

2.-É utile ricordare che, anteriormente all'adozione della direttiva impugnata, sono state emanati altri atti di indirizzo sulla gestione del bilancio degli enti appartenenti al c.d. settore pubblico allargato: la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri dell'll gennaio 1990, non pubblicata in Gazzetta Ufficiale; la circolare del ministero del tesoro del 10 febbraio 1990, che concerne specificamente il sistema della tesoreria unica; la direttiva del Presidente del Consiglio pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 1° febbraio 1991.

 

Nessuno di tali atti è stato impugnato innanzi a questa Corte.

 

Successivamente alla proposizione del ricorso in esame, il Presidente del Consiglio ha emanato una nuova direttiva-pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 maggio 1992-che sospende fino al 30 settembre 1992 la facoltà di impegnare le spese per tutte le amministrazioni dello Stato e le aziende autonome. Per gli aspetti diversi dell'assunzione degli impegni di spesa, tale nuova direttiva proroga fino al 30 settembre 1992 le disposizioni della direttiva del gennaio 1992.

 

3. - Il ricorso è fondato.

 

L'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni è soggetto-secondo quanto più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte - all'osservanza di precisi requisiti di forma e di sostanza.

 

Di forma, perchè l'atto di indirizzo e di coordinamento deve essere approvato, con delibera, dal Consiglio dei ministri (v. le sentenze nn. 338 e 242 del 1989 e, in termini espressi, anche l'art. 2, comma 3, lett. d) della legge n. 400 del 1988). Delibera che in questo caso non è stata adottata, trattandosi, per l'appunto, di una direttiva emanata, come atto < proprio>, dal Presidente del Consiglio.

 

Di sostanza, perchè occorre una < idonea base legislativa> per salvaguardare il principio di legalità sostanziale: occorre, cioè, che siano preventivamente emanate disposizioni legislative statali contenenti principi e criteri normativi idonei a vincolare e dirigere la scelta del Governo (v., da ultimo, le sentenze nn.359, 204 e 37 del 1991). Base legislativa che, nella fattispecie, non è data. Perchè non può, certo, ritenersi tale l'art. 5 della legge n. 400 del 1988 che definisce i rapporti tra Presidente del Consiglio e i ministri e che, oggettivamente, non tocca i rapporti fra Stato apparato ed enti ad autonomia costituzionalmente garantita.

 

Questa Corte, con riguardo ad altra disposizione della legge n.400 concernente il potere di indirizzo e di coordinamento (il già citato art. 2, comma 3, lett. d), ha sottolineato che il legislatore, nel 1988, non ha affatto regolato ex novo la funzione statale di indirizzo e coordinamento. La legge n. 400 ha lasciato intatta la disciplina preesistente e non ha eliminato le previsioni normative vigenti al momento della sua entrata in vigore relative alle modalità di esercizio della funzione (principio di legalità sostanziale, possibilità di delega, etc.: v. la sentenza n. 242 del 1989, n. 5 del Considerato in diritto).

 

D'altra parte, non si può sostenere che la direttiva impugnata abbia carattere tecnico, tanto da sfuggire alle prescrizioni procedurali poste all'esercizio della funzione di indirizzo e di coordinamento politico-amministrativo. Non si tratta, infatti, di introdurre criteri volti a omogeneizzare metodologie (ad es. in tema di statistica, la sentenza n.139 del 1990), nè di coordinare servizi tecnici provinciali (sentenza n. 85 del 1990), nè di meri obblighi di informazione che rispondono ad esigenze di raccordo tra la sfera della programmazione nazionale e quella della programmazione regionale (sentenza n. 924 del 1988).

 

Le prescrizioni introdotte dalla direttiva impugnata, ove riferite alle regioni, si configurano, invece, come strumento di controllo della gestione finanziaria regionale: esse finiscono per precludere o ostacolare la disponibilità delle somme occorrenti alle regioni per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, compromettendo in tal modo l'autonomia finanziaria garantita alle regioni stesse dall'articolo 119 della Costituzione (v., in parti colare, le sentenze n. 307 del 1983 e n. 155 del 1977).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che non spetta allo Stato porre vincoli all'attività amministrativa regionale di gestione del bilancio mediante direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri adottata ai sensi dell'art. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

 

conseguentemente, annulla la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, del 20 gennaio 1992, n. 15, nella parte in cui pone in tale materia un indirizzo alle regioni per il conseguimento di obiettivi di interesse nazionale.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/07/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 29/07/92.