Sentenza n. 155 del 1977
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SENTENZA N. 155

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione Veneto, notificato il 10 giugno 1975, depositato in cancelleria il 24 successivo ed iscritto al n. 23 del registro 1975, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dei telegrammi dei Ministri per il tesoro e per il bilancio e la programmazione economica, ricevuti, rispettivamente, il 14 aprile e il 12 maggio 1975, con i quali si imponeva alla Regione di aprire un conto corrente presso la tesoreria centrale per farvi affluire i versamenti dello Stato a favore della Regione.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi l'avv. Giorgio Berti per la Regione Veneto, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Regione Veneto ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione, con atto notificato il 10 giugno 1975, avverso i telegrammi che le sono pervenuti il 14 aprile ed il 12 maggio 1975, mediante i quali - rispettivamente - il Ministro per il tesoro ed il Ministro per il bilancio e la programmazione economica invitavano la Regione a richiedere l'apertura di un conto corrente fruttifero presso la tesoreria centrale, in cui far affluire i versamenti effettuati dallo Stato a favore della Regione stessa.

Il ricorso assume che tali telegrammi avrebbero leso l'autonomia regionale finanziaria e contabile, manifestando la volontà di sottrarre alla Regione la disponibilità della gestione di cassa (con tanto maggiore evidenza in quanto - nel frattempo - non sarebbero state versate alla Regione le rate del fondo comune, a partire da quella scaduta nel novembre del 1974). A questa pretesa la ricorrente oppone che la legge finanziaria 16 maggio 1970, n. 281, attuativa dell'art. 119 Cost., configurerebbe un sistema di versamenti diretti ed immediati alle Regioni, determinando la necessaria separazione della gestione contabile regionale da quella statale. E non sarebbe nemmeno applicabile alle Regioni l'art. 2 della legge 6 agosto 1966, n. 629, richiamata dal primo dei due telegrammi impugnati: dal momento che esse non potrebbero venire in nessun modo equiparate agli enti che "beneficiano di contributi... assunti a carico del bilancio dello Stato" e che pertanto hanno l'obbligo di tenere le relative disponibilità monetarie in conti correnti con il Tesoro.

Il ricorso aggiunge che la Regione Veneto, in base all'art. 63 del suo Statuto, "si avvale di un proprio servizio di tesoreria", specificamente regolato ed istituito dalla legge regionale 2 marzo 1972, n. 8: il che varrebbe ad escludere - di per se solo - qualsiasi altro servizio di tesoreria gestito dallo Stato (ed assoggettato ai poteri discrezionali del Ministro del tesoro, relativamente alla determinazione dei tassi d'interesse).

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito preliminarmente, sotto un duplice profilo, l'inammissibilità del ricorso.

In primo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile per tardività, dal momento che i due telegrammi impugnati erano stati preceduti - per ammissione della stessa difesa della Regione - da altri telegrammi formulanti un identico tipo di richiesta, ma non impugnati nei termini previsti dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ai quali andrebbe dunque attribuita la pretesa lesione della competenza regionale. In secondo luogo, gli atti che la Regione considera viziati per incompetenza non sarebbero idonei a costituire il tema di un conflitto di attribuzione, essendosi limitati ad auspicare l'instaurazione di un determinato rapporto collaborativo fra lo Stato e la Regione stessa, senza farne derivare alcuna concreta menomazione dell'autonomia finanziaria regionale.

Nel merito, per altro, l'Avvocatura dello Stato ha chiesto che venga comunque dichiarata l'infondatezza del ricorso, adducendo che da parte statale non vi sarebbe stata l'intenzione di esercitare un controllo contabile sulle somme versate alla Regione, né di ritardare i relativi versamenti.

3. - La difesa della Regione ha successivamente depositato una memoria, nella quale si replica - in particolar modo - ad entrambe le eccezioni d'inammissibilità.

Circa l'asserita tardività del ricorso, si osserva infatti che nei conflitti di attribuzione non si potrebbero configurare ipotesi d'inammissibilità per acquiescenza, essendo autonomamente impugnabile ogni atto che in qualunque modo rappresenti la manifestazione del potere di cui si contesta la spettanza, salvi i soli atti meramente esecutivi o strumentali. D'altra parte, circa l'idoneità degli atti impugnati a costituire il tema di un conflitto, si afferma che essa sarebbe dimostrata dal fatto che il versamento delle rate bimestrali del fondo comune, dovute al Veneto per l'anno 1975, non é stato effettuato se non quando la Regione si é vista costretta ad adire - in data 14 ottobre 1976 - alla decisione ministeriale di aprire un apposito conto corrente presso la tesoreria centrale.

Nella pubblica udienza la difesa della Regione ha ribadito le considerazioni già svolte. Per contro l'Avvocatura dello Stato ha sostenuto che la vigente disciplina della finanza regionale non escluderebbe, in alcuna sua parte, che i fondi statali destinati alle Regioni vengano accreditati presso la tesoreria centrale.

Considerato in diritto

1. - Ai fini della risoluzione del presente conflitto, vanno prese anzitutto in esame le questioni di ammissibilità del ricorso regionale, proposte dall'Avvocatura dello Stato.

La Regione Veneto ha sostenuto di essere stata menomata nella propria autonomia finanziaria e contabile, per effetto di due richieste avanzate dal Ministro per il tesoro e dal Ministro per il bilancio, allo scopo di far affluire le somme che le sono dovute dallo Stato in un conto corrente fruttifero presso la tesoreria centrale. Ma l'Avvocatura dello Stato ha per prima cosa contestato la tempestività del ricorso. Ed effettivamente entrambe le parti hanno riconosciuto in modo esplicito che i telegrammi ministeriali impugnati, rispettivamente pervenuti alla Regione Veneto il 14 aprile ed il 12 maggio 1975, sono stati preceduti da varie altre richieste del medesimo genere: quali il telegramma 13 novembre 1974 del Ministro per il tesoro, testualmente riprodotto nell'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero la lettera inviata il 30 novembre 1973 dal Ministro per il bilancio ed il telegramma pervenuto il 28 dicembre 1973 dal Ministro per il tesoro, cui fa riferimento il ricorso regionale.

Tuttavia, l'eccezione di tardività presuppone che gli atti di cui questa serie si compone fossero tutti astrattamente idonei ad invadere o ledere l'autonomia finanziaria regionale; sicché la Regione non potrebbe più denunziare l'invasione o la lesione stessa, non avendo tempestivamente impugnato il primo atto della serie, dalla data del quale sarebbe già decorso il termine per ricorrere (secondo il criterio che la Corte ha seguito nella sentenza n. 87 del 1973). Viceversa, non é a questa stregua che va ricostruita la vicenda; e ciò, precisamente, perché nessuno degli atti in esame ha comportato una menomazione, concreta ed attuale, della competenza o dell'autonomia delle quali la Regione rivendica l'appartenenza.

In altre parole, il ricorso regionale non é inammissibile in quanto tardivo, bensì per il prevalente motivo che il tenore degli atti impugnati, da cui la decisione della Corte non potrebbe prescindere, é tale da esprimere - di per se stesso - un invito piuttosto che un'imposizione. Imperniati come sono sulle formule di stile "pregasi voler provvedere" o "pregasi voler richiedere", i telegrammi in questione non fanno che rivolgere - sia pure con molta insistenza - una domanda di collaborazione: rappresentando il frutto della funzione governativa di coordinamento, esercitata in una forma non autoritaria, con il dichiarato intento di concordare un controllo sull'andamento generale dei flussi finanziari e monetari. E la circostanza che, nel corso della serie delle istanze miranti all'apertura di un conto corrente presso la tesoreria centrale dello Stato, si siano registrati - a quanto rileva la difesa della Regione - vistosi ritardi nei versamenti dovuti all'amministrazione regionale, non sta a significare che gli atti impugnati possano considerarsi come la causa dei ritardi stessi, così da concretare un'effettiva lesione dell'autonomia finanziaria garantita dall'art. 119 della Costituzione.

2. - Del resto, il fatto stesso che da parte statale si sia ritenuto necessario influire sui comportamenti regionali per mezzo di direttive non vincolanti, anziché disporre in via diretta ed imperativa l'istituzione di un conto corrente per ciascuna Regione, fornisce la riprova che lo Stato non ha inteso esercitare alcun potere puntualmente determinato dall'ordinamento giuridico, di cui questa Corte sia competente ad accertare la spettanza nella sede di un conflitto di attribuzione.

In realtà, sono rimaste per ora isolate le disposizioni sul tipo di quelle contenute nelle leggi 16 ottobre 1975, n. 492 e n. 493 (di conversione dei decreti-legge 13 agosto 1975, n. 376 e n. 377), in cui si prevede che le somme destinate alle singole Regioni per il rilancio dell'economia "saranno versate dal Ministero del tesoro in appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria centrale". Né, d'altra parte, potrebbero venire riferite alle amministrazioni regionali le "Norme circa la tenuta dei conti correnti con il Tesoro", dettate dalla legge 6 agosto 1966, n. 629: sia perché i relativi lavori preparatori concordano nel senso che le istituzioni autonome territoriali non rientrino fra "gli enti che sotto qualsiasi forma beneficiano di contributi assunti a carico del bilancio dello Stato", considerati dall'art. 2 primo comma della legge medesima; sia perché la finanza delle Regioni ordinarie - sebbene essenzialmente derivata da quella dello Stato - non é basata di norma sull'assegnazione di veri e propri contributi statali, bensì sul riparto di fondi alimentati attraverso la soppressione o la riduzione di un complesso di stanziamenti già iscritti negli stati di previsione della spesa dei vari ministeri interessati; sia - soprattutto - perché le Regioni non "hanno l'obbligo di tenere le disponibilità liquide in conti correnti con il Tesoro" (come invece dispone l'art. 1 della legge n. 629), in quanto una serie di norme regionali e statali che si riassumono nella previsione dell'art. 33 della legge 19 maggio 1976, n. 335, le facoltizza ad istituire propri servizi di tesoreria.

Anche per queste ragioni, però, non é pensabile che i conti correnti fruttiferi presso la tesoreria centrale, nei quali attualmente affluiscono i fondi statali destinati alla Regione Veneto come pure ad altre Regioni ordinarie, possano legittimamente trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale: che si presti a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibilità delle somme occorrenti alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 Cost. E se, viceversa, si verificasse in tal senso una reale menomazione dell'autonomia finanziaria regionale, alle Regioni non mancherebbero i mezzi per invocarne ed ottenerne la tutela.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione, proposto dalla Regione Veneto in relazione ai telegrammi ministeriali indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1977.