Sentenza n. 359 del 1991

 

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SENTENZA N. 359

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                             “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, della Provincia autonoma di Trento e della Regione Lombardia, notificati tra il 13 e il 15 marzo 1991, depositati in cancelleria tra il 18 e il 29 marzo successivi, per conflitti di attribuzione sorti a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 gennaio 1991 recante "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica" ed iscritti ai nn. 16, 17, 18, 19, 20, 21 e 22 del registro conflitti 1991;

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 1991 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

Uditi gli avvocati Gaspare Pacia per la Regione Friuli-Venezia Giulia, Sergio Panunzio per la Regione Trentino-Alto Adige, Fausto Cuocolo per la Regione Liguria, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Alberto Predieri per la Regione Toscana, Valerio Onida per la Provincia di Trento e la Regione Lombardia, e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Le Regioni Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia e la Provincia autonoma di Trento hanno presentato distinti ricorsi per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al d.P.C.M. 10 gennaio 1991 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica).

Secondo le ricorrenti, l'atto impugnato, nel suo complesso, lederebbe i principi che presiedono all'esercizio della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. Con vari argomenti e con varie accentuazioni esse lamentano soprattutto la violazione del principio di legalità sostanziale (v. sent. n. 150 del 1982), poiché il suddetto atto si basa su una disposizione di legge - l'art. 5, secondo comma, del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 - che sarebbe assolutamente generica e indeterminata nel suo contenuto, essendo diretta soltanto a richiamare il requisito procedurale della delibera del Consiglio dei ministri. Né, sempre secondo alcune delle ricorrenti, potrebbe rinvenirsi la base di quel potere nell'art. 21, lettera c), del ricordato decreto legislativo n. 322 del 1989, poiché quest'ultimo, come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale (v. sent. n. 139 del 1990), si riferisce alla diversa funzione di indirizzo e coordinamento tecnico.

Le Regioni Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia e la Provincia autonoma di Trento aggiungono che l'atto impugnato lederebbe le competenze ad esse costituzionalmente assegnate e, in particolare, quelle definite dall'art. 12, quinto comma, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo cui spetta alla Conferenza Stato-regioni formulare i "criteri generali" per l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento. Ad avviso delle ricorrenti, nonostante che il preambolo dell'atto impugnato faccia menzione di un'intesa fra Stato e regioni sui contenuti dell'atto stesso, ciò non sarebbe avvenuto in realtà, essendosi limitata la Conferenza ad approvare una "ipotesi di intesa", peraltro quasi totalmente disattesa dall'atto impugnato. In ogni caso, secondo la Regione Emilia-Romagna, anche se l'intesa ci fosse stata, le competenze assegnate alle regioni dovrebbero esser considerate egualmente lese, non essendo esse disponibili neppure da parte delle interessate.

Un'ulteriore censura concernente l'intero atto impugnato è sollevata dalle Regioni Toscana e Lombardia e dalla Provincia autonoma di Trento, le quali adducono la lesione della propria autonomia finanziaria e, in particolare, dei principi stabiliti dall'art. 81 della Costituzione, come attuati dalla legge 19 maggio 1976, n. 335, dal momento che l'atto impugnato pretenderebbe di addossare alle regioni ogni spesa relativa all'adeguamento degli uffici statistici regionali alle prescrizioni contenute dallo stesso atto, senza indicare i mezzi per farvi fronte. A ciò sarebbe collegata, secondo la Regione Toscana, anche la lesione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, garantito dall'art. 97 della Costituzione.

Un ultimo profilo di lesività delle proprie competenze da parte dell'intero atto impugnato è, infine, individuato dalla Regione Trentino-Alto Adige nel carattere eccessivamente analitico e dettagliato delle statuizioni adottate, tale da esorbitare dai limiti connaturati all'esercizio della funzione governativa di indirizzo e coordinamento.

2. - Le stesse ricorrenti formulano censure più particolari, concernenti singoli articoli dell'atto impugnato.

Il carattere analitico e puntuale delle disposizioni è addotto in tutti i ricorsi come motivo d'illegittimità particolarmente pertinente all'art. 3, il quale, nel regolare minutamente l'organizzazione degli uffici di statistica regionali e provinciali, lederebbe le competenze, peraltro già esercitate, assegnate alle ricorrenti in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 4, n. 1, Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia; art. 4, n. 1, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, contenente Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; artt. 117 e 118 della Costituzione).

Le medesime competenze ora indicate sono ritenute lese dall'art. 4, primo comma, del decreto impugnato nella prospettazione assunta dalla Regione Lombardia e dalla Provincia di Trento, per la quale il suddetto articolo determinerebbe i compiti e le responsabilità del funzionario preposto all'ufficio regionale (o provinciale) di statistica.

Le Regioni Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Lombardia e la Provincia di Trento lamentano l'invasività dell'art. 5, il quale, nel disciplinare le rilevazioni statistiche d'interesse regionale, si occuperebbe di attività assegnate alle competenze regionali, ponendo, per di più, il responsabile dell'ufficio regionale di statistica al di sopra del Presidente regionale, con ulteriore violazione delle attribuzioni regionali sulla organizzazione dei propri uffici.

Le attribuzioni degli organi di governo regionale, e in particolare quelle del Consiglio regionale, sarebbero poi lese, ad avviso delle Regioni Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, dall'art. 1, primo comma, laddove si qualifica l'ufficio regionale di statistica come "l'unico interlocutore del Sistema statistico nazionale per quanto di pertinenza delle rispettive regioni". Lesione analoga si riscontrerebbe, ad avviso delle Regioni Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Lombardia, nell'art. 2, terzo comma, nella parte in cui si impone al Consiglio regionale di adottare "ogni anno, entro il 31 marzo" il programma delle rilevazioni statistiche d'interesse regionale.

Un ulteriore gruppo di censure concerne la lesione della titolarità regionale dei poteri concernenti l'informazione statistica (v. sent. n. 242 del 1989), dal momento che alcuni articoli assimilerebbero illegittimamente le statistiche regionali a quelle nazionali. Sotto questo profilo, le Regioni Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna impugnano l'art. 1, secondo comma, nella parte in cui vi si prevede che l'Istat possa avvalersi degli uffici di statistica delle regioni "per rilevazioni statistiche interessanti le materie di attribuzione regionale". Per gli stessi motivi le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Lombardia impugnano anche l'art. 2, secondo comma, nella parte in cui impone alla regione di trasmettere all'Istat "il programma delle rilevazioni statistiche di suo interesse, affinché possa essere preso in considerazione per l'inserimento nel programma statistico nazionale". L'intero art. 2 è, poi, impugnato dalla Regione Trentino-Alto Adige sotto il generale profilo che inserirebbe le rilevazioni statistiche d'interesse esclusivamente regionale nel programma statistico nazionale.

Infine, oggetto di impugnazione è l'art. 6. La Regione Emilia-Romagna ne contesta il terzo comma, ritenendolo lesivo del "diritto all'autodeterminazione informativa" delle regioni, nella parte in cui tale disposizione assegna all'Istat il potere di disporre l'acquisizione di dati rilevati dalle regioni stesse; la Regione Lombardia e la Provincia di Trento ne contestano, invece, il quarto comma, il quale contrasterebbe con l'art. 24, lettera e), della legge n. 400 del 1988, laddove esclude l'accesso diretto delle regioni al Servizio statistico nazionale.

3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in tutti i giudizi per chiedere che le richieste formulate dalle ricorrenti siano respinte.

In via generale, l'Avvocatura generale dello Stato nega che l'atto impugnato sia privo di fondamento legale, poiché quest'ultimo andrebbe ravvisato nell'art. 5, secondo comma, del decreto legislativo n. 322 del 1989, che questa Corte ha riconosciuto come non contrario a Costituzione, sia pure dandone un'interpretazione restrittiva di cui la stessa Avvocatura auspica un ripensamento. Sul punto del difetto dell'intesa, oltre a contestare in linea di fatto la circostanza che l'intesa non vi sia stata e a esprimere dubbi sulla visione "contrattualistica" dei rapporti fra Stato e regioni presupposta da alcune ricorrenti, l'Avvocatura dello Stato nega, comunque, che l'art. 12, quinto comma, lettera b), della legge n. 400 del 1988, preveda che occorra un parere obbligatorio sull'articolato di ciascun atto di indirizzo e di coordinamento.

Richiamando l'affermazione contenuta nella sentenza n. 139 del 1990 di questa Corte circa la "piena giustificazione nell'interesse nazionale" dell'istituzione d'un sistema statistico integrato e interconnesso su base nazionale, l'Avvocatura dello Stato collega a tale principio tutti i vincoli imposti dall'atto impugnato alle regioni, i quali sarebbero diretti a garantire l'affidabilità del prodotto statistico e l'autonomia dei tecnici dai politici. Su tale base il resistente, oltre a respingere le censure relative a una pretesa eccessiva analiticità, sottolinea, innanzitutto, che l'appartenenza a un sistema statistico del tipo suddetto comporta rapporti di scambio dei prodotti statistici, non già flussi a senso unico; e, in secondo luogo, che le regioni non possono vantare un "diritto di accesso" ai dati individuali, ma solo beneficiare della trasmissione periodica da parte dell'Istat dei dati elaborati.

4. - In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie le Regioni Liguria, Toscana, Lombardia e la Provincia autonoma di Trento. Mentre le prime due insistono in particolare sulla violazione del principio di legalità sostanziale e sul fatto che l'indirizzo e coordinamento in questione non potrebbe esser qualificato di natura tecnica, le altre, invece, sottolineano come nessun accordo tra le parti possa rendere legittimo un atto di indirizzo e coordinamento privo dei requisiti richiesti dalle leggi.

5. - Nel corso della pubblica udienza, mentre le ricorrenti hanno insistito in particolare sulla pretesa violazione del principio di legalità sostanziale, l'Avvocatura dello Stato, invece, dopo aver ribadito le repliche formulate sullo stesso punto nell'atto d'intervento, ha lamentato una certa mancanza di chiarezza circa i contenuti del principio di legalità in relazione all'esercizio della funzione governativa di indirizzo e coordinamento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le Regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, la Provincia autonoma di Trento e le Regioni a statuto ordinario Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia hanno presentato distinti ricorsi per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al d.P.C.M. 10 gennaio 1991 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica). Secondo le ricorrenti tale decreto sarebbe lesivo delle competenze ad esse costituzionalmente assegnate (in relazione agli artt. 4, 5, 34, 42, 46 Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia; agli artt. 4, 5, 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, contenente Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; agli artt. 5, 97, 117, 118 della Costituzione), sia perché l'intero atto costituirebbe esercizio per vari aspetti illegittimo della funzione governativa di indirizzo e coordinamento, sia perché numerose sue singole disposizioni violerebbero principi costituzionali o invaderebbero competenze o funzioni di spettanza regionale (o provinciale).

Poiché i ricorsi hanno ad oggetto il medesimo atto e sollevano profili identici o strettamente connessi, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2. - I ricorsi vanno accolti, poiché l'atto governativo di indirizzo e coordinamento che ha dato luogo ai conflitti di attribuzione in esame è privo di un'adeguata base legislativa.

Questa Corte, nella sentenza n. 150 del 1982, ha enunciato il principio che l'esercizio in via amministrativa del potere statale di indirizzo e coordinamento è sottoposto alla condizione di validità dell'osservanza del principio di legalità, nel senso che quel potere "è giustificato solo se trova un legittimo e apposito supporto nella legislazione statale". E, con specifico riferimento all'allora interessato art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382 (il quale, come è noto, dispone che "la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle regioni a statuto ordinario attiene ad esigenze di carattere unitario, anche in riferimento agli obiettivi della programmazione economica nazionale e agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari (.. .. ..) e viene esercitata, fuori dei casi in cui si provveda con legge o con atto avente forza di legge, mediante deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con il Ministro o i Ministri competenti"), la Corte ha concluso che una siffatta disposizione normativa non costituiva idonea base giustificativa degli impugnati atti di indirizzo e coordinamento, dal momento che "non riguarda(va), né delimita(va) per alcun verso il possibile contenuto sostanziale degli atti di questo tipo". Infatti, come la stessa Corte ha precisato a definitivo chiarimento della sua decisione, "perché il principio di legalità sia salvaguardato nella sede che qui interessa, occorre (.. .. ..) un'ulteriore disposizione legislativa, la quale, in apposita considerazione della materia, che volta a volta esige l'intervento degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta del Governo, prima che questo possa, dal canto suo, indirizzare e coordinare lo svolgimento di poteri di autonomia".

Nelle decisioni successive la Corte si è sempre attenuta a tale orientamento (v., da ultimo, sentt. nn. 338 del 1989, 37 e 49 del 1991), per il semplice fatto che il requisito dell'osservanza del principio di legalità sostanziale è strettamente connesso al fondamento e alla natura della funzione governativa di indirizzo e coordinamento nei confronti delle autonomie regionali (o provinciali).

Più precisamente, questa Corte ha costantemente affermato che la predetta funzione non costituisce un limite "ulteriore" rispetto a quelli già previsti dalle norme costituzionali sulle attribuzioni regionali, ma rappresenta piuttosto il risvolto in termini positivi o di articolazione programmatica dell'operare in concreto degli interessi unitari sottostanti a quei medesimi limiti nei confronti delle funzioni regionali (v., ad esempio, sentt. nn. 150 del 1982, 340 del 1983, 177 del 1986, 242 del 1989). Inoltre, la stessa Corte, in stretto collegamento con la precedente affermazione, ha in più occasioni precisato che la funzione governativa di indirizzo e coordinamento non implica il riconoscimento di una nuova fonte normativa di rango sub-legislativo, diretta a vincolare o a condizionare l'esercizio di potestà legislative regionali, ma rimanda piuttosto a un particolare potere di direttiva, consistente nella posizione di fini, di obiettivi, di criteri o di standards, volto a conferire unità di indirizzo, nella prospettiva di infrazionabili interessi nazionali, al tessuto pluralistico delle amministrazioni regionali (v. sentt. nn. 560 e 744 del 1988, 345 del 1990 e 49 del 1991).

Ebbene, all'una e all'altra enunciazione consegue che, in relazione alle specifiche materie sulle quali sono adottati atti governativi di indirizzo e coordinamento, allorché questi ultimi comportano condizionamenti o limiti nei confronti del legislatore regionale, la legge dello Stato debba previamente determinare la disciplina o, quantomeno, i principi di tale disciplina, che dovranno fungere da base normativa sufficientemente precisa e chiara da poter orientare e delimitare la discrezionalità del Governo nella determinazione degli indirizzi e delle misure di coordinamento. Solo a tale condizione, infatti, può ritenersi rispettato l'ordine complessivo delle fonti normative, poiché in mancanza di un principio di disciplina sostanziale contenuto in una previa legge statale, si avrebbe che scelte affatto discrezionali contenute in un atto (statale) sub-legislativo pretenderebbero illegittimamente di vincolare e di condizionare decisioni da assumere con atti legislativi (leggi regionali o provinciali).

3. - A questi medesimi principi si è strettamente attenuta la Corte nella sentenza n. 139 del 1990, allorché ha respinto la richiesta della Regione Emilia-Romagna di dichiarare l'illegittimità costituzionale, per violazione del principio di legalità sostanziale, dell'art. 5, secondo comma, del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, articolo che è stato assunto come base legislativa dell'atto di indirizzo e coordinamento oggetto degli attuali conflitti di attribuzione.

Messa di fronte a una disposizione che, in modo del tutto analogo a quanto stabilito nell'art. 3 della legge n. 382 del 1975, prevede che "il Consiglio dei ministri adotta atti di indirizzo e di coordinamento ai sensi dell'art. 2, comma terzo, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, per assicurare unicità di indirizzo dell'attività statistica di competenza delle regioni e delle province autonome", la Corte ha allora affermato che la norma contestata "si limita a ribadire il requisito procedurale della deliberazione del Consiglio dei ministri e le finalità generali che ogni atto di indirizzo e coordinamento non può non avere (e, cioè, l'uniformità e l'omogeneità dell'indirizzo politico-amministrativo generale)".

Su tale base, la Corte ha respinto i dubbi di costituzionalità allora sollevati, dal momento che non si può ravvisare alcuna violazione dei requisiti di validità dell'esercizio della funzione governativa di indirizzo e coordinamento, e in particolare del principio di legalità sostanziale, in una disposizione che ha il limitato scopo di ribadire nel campo della disciplina delle attività statistiche regionali i principi ispiratori più generali e gli aspetti procedurali più rilevanti della funzione governativa di indirizzo e coordinamento, senza pretendere di istituire un potere di tal natura in ipotesi svincolato dall'osservanza del principio di legalità sostanziale.

4. - Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al quale sono stati sollevati i conflitti di attribuzione in esame contiene un atto di indirizzo e coordinamento che prevede direttive e statuizioni incidenti su numerosi aspetti dell'organizzazione e dell'attività amministrativa delle regioni (e delle province autonome). Come è messo in rilievo dal suo stesso titolo, si tratta, pertanto, di un atto cui non può riconoscersi carattere tecnico, poiché concerne la posizione degli uffici di statistica regionali nell'ambito del sistema nazionale, la collocazione e la struttura degli anzidetti uffici, le rilevazioni statistiche d'interesse regionale e la circolazione dei dati statistici. È, dunque, un atto di indirizzo e coordinamento amministrativo, la cui validità, come questa Corte ha precisato a partire dalla sentenza n. 150 del 1982, è condizionata, fra l'altro, dal rispetto del principio di legalità sostanziale.

Tale condizione, tuttavia, non può dirsi soddisfatta, dal momento che l'unica disposizione presente nell'ordinamento legislativo che ha attinenza con il potere di indirizzo e coordinamento esercitato dal Governo con l'atto impugnato è il ricordato art. 5, secondo comma, del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 (Norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell'Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell'art. 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400). Ma, come è stato precedentemente mostrato, tale articolo appresta semplicemente il fondamento formale del potere di indirizzo e coordinamento in contestazione, considerato che ne determina le principali fasi procedimentali attraverso il rinvio alla legge n. 400 del 1988 e ne ribadisce la funzionalità a interessi unitari. In altri termini, come questa Corte ha affermato a proposito dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975 (sent. n. 150 del 1982), anche in tal caso manca quella "ulteriore disposizione legislativa", diretta a determinare preventivamente, in relazione alla specifica materia sulla quale il Governo dovrà adottare atti di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali, i principi e i criteri normativi idonei a orientare e a delimitare la discrezionalità del Governo nella definizione degli indirizzi e delle misure di coordinamento di politica amministrativa di cui consta la funzione in esame.

L'assoluta carenza di una base legislativa di tale genere, dalla quale non si può mai prescindere nelle ipotesi di svolgimento della funzione governativa di indirizzo e coordinamento nei confronti delle amministrazioni regionali, concreta un esercizio illegittimo del relativo potere statale, comportante la menomazione delle competenze costituzionalmente spettanti alle regioni (e alle province autonome) sulla organizzazione dei propri uffici e sulle attività statistiche d'interesse regionale (o provinciale). Conseguentemente, deve essere annullato in toto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 gennaio 1991 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica).

Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità sollevato dalle ricorrenti.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara che non spetta allo Stato adottare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri un atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica senza che siano preventivamente emanate sulla medesima materia disposizioni legislative statali contenenti principi e criteri normativi idonei a vincolare e dirigere le scelte del Governo nell'esercizio del relativo potere; e, conseguentemente, annulla il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 gennaio 1991 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1991.