Sentenza n.244 del 1985

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SENTENZA N. 244

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti promossi con ricorsi delle Regioni Toscana ed Umbria, notificati il 21 giugno, il 16 luglio 1984 e il 7 gennaio 1985, depositati in cancelleria il 6, 26 luglio 1984 e il 25 gennaio 1985 ed iscritti ai nn. 24 e 25 del registro 1984 e ai nn. 6 e 7 del registro 1985, per conflitti di attribuzione sorti a seguito dei decreti del Ministro del tesoro in data 24 aprile 1984, 2 giugno 1984 e 5 novembre 1984 relativi alle modalità per il calcolo degli interessi da parte delle aziende di credito, tesorieri o cassieri, sulle disponibilità eccedenti il limite del quattro per cento, nonché di alcune integrazioni e modificazioni alle modalità di funzionamento dei conti aperti presso le tesorerie dello Stato.

Udito nell'udienza pubblica del 25 giugno 1985 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi l'avv. Alberto Predieri per le Regioni Toscana ed Umbria e l'avv. dello Stato Paolo Vittoria per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Ai sensi dell'art. 3 della legge 29 ottobre 1984, n. 720, é stato emesso il decreto del Ministro del tesoro 5 novembre 1984, che determina le "modalità per il pagamento degli interessi da parte delle aziende di credito, tesorieri o cassieri, sulle disponibilità eccedenti il limite del 4 per cento", depositabili presso le aziende medesime; ed inoltre contiene talune "integrazioni e modificazioni alle modalità di funzionamento dei conti aperti presso le tesorerie dello Stato" (inizialmente determinate dai decreti ministeriali 11 aprile e 30 luglio 1981). Il decreto del 5 novembre riproduce a sua volta, con minime variazioni, il contenuto dei precedenti decreti ministeriali del 24 aprile e del 2 giugno 1984, adottati sulla base dell'art. 3 dei decreti legge n. 37 e n. 153 del 1984, entrambi decaduti per mancata conversione.

Il primo di tali atti (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 novembre) é stato impugnato per conflitto di attribuzione, con ricorsi notificati il 7 gennaio 1985, sia dalla Regione Umbria che dalla Regione Toscana; ma questa ha inoltre proposto ricorso, il 21 giugno ed il 12 luglio 1984, anche nei confronti dei detti decreti emessi il 24 aprile ed il 2 giugno del medesimo anno.

2. - Tutti i ricorsi prospettano, con convergenti argomentazioni, censure sostanzialmente identiche.

In primo luogo, si individua una violazione dell'art. 119 Cost. nella previsione dell'art. 5 dei provvedimenti contestati, a tenore della quale gli enti ed organismi elencati nelle tabelle A e B annesse alla legge n. 720 "possono effettuare prelevamenti dalle contabilità speciali..., a reintegro dei limiti consentiti del quattro per cento, due volte al mese". Secondo le ricorrenti, la fissazione di limiti ai prelievi mensili comporterebbe "non solo e non tanto un controllo della dinamica dei flussi verso le Regioni, ma l'attribuzione al Ministro del tesoro del potere di prestabilire il tetto di spesa massima che ciascuna Regione può erogare nell'esercizio finanziario considerato"; e ciò "con gravi conseguenze sul piano economico e finanziario a carico delle singole realtà regionali (aumento dei residui passivi, incremento degli interessi per ritardati pagamenti, rallentamento della capacità di intervento nei settori produttivi, ecc.)", nonché con violazione del canone posto dalla Corte, per cui i conti correnti istituiti presso la Tesoreria centrale non debbono trasformarsi in "anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale". E ne risulterebbe, inoltre, una deroga alla gerarchia delle fonti ed alla riserva imposta dall'art. 119, per cui il coordinamento degli interessi finanziari dello Stato e delle Regioni é affidato alla legge e non ad atti amministrativi: tanto più se fondati - come nella specie - su una norma dichiarata illegittima dalla Corte, quale l'art. 40, ottavo comma, della legge n. 119 del 1981.

Un secondo motivo prospetta, poi, l'ulteriore lesione dell'autonomia regionale derivante dal fatto che, mentre la legge n. 720 distingue tra due categorie di enti ed organismi - per ciascuna prefigurando un diverso sistema - i decreti impugnati avrebbero obliterato questa differenza, unificando le categorie medesime e dando al servizio di tesoreria una disciplina del tutto unitaria.

Ancora - argomentano in terzo luogo i ricorsi - "l'attribuirsi, come fa il decreto impugnato, ogni modalità relativa al funzionamento dei conti comporta una ingerenza del Ministro che si sostanzia nella totale perdita di disponibilità da parte della Regione...., con mera alterazione di tutta l'autonomia finanziaria, a doppio titolo illegittima, per l'invasione delle competenze regionali e... di quelle del Parlamento".

Parimenti lesivi dell'autonomia contabile delle ricorrenti e dei principi di ragionevolezza e di buona amministrazione, di cui all'art. 97 Cost., sarebbero quindi due aspetti della disposizione contenuta nell'art. 1, terzo comma, di tutti i decreti impugnati: con la quale sono inclusi nel calcolo delle disponibilità regionali tanto le somme relative a mandati in corso non ancora pagati quanto le acquisizioni di titoli di Stato e non, compresi i buoni del tesoro ordinari. Per tali somme ed acquisizioni, contestano infatti le Regioni che si abbia una "disponibilità" effettiva, nel senso giuridico ed in quello pratico-operativo.

Da ultimo, in violazioni analoghe incorrerebbe l'art. 6 dei detti decreti, che imporrebbe un termine irragionevolmente breve per il versamento delle eccedenze nei conti presso le tesorerie statali, non tenendo conto delle "oggettive esigenze operative dei tesorieri".

3. - Nei relativi giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza di tutti i motivi d'impugnativa.

In particolare, destituita di fondamento sarebbe anzitutto la censura concernente l'art. 5: sia perché la disposizione regolatrice delle modalità di funzionamento del conto sarebbe esecutiva della norma primaria sull'accreditamento dei fondi in base al preventivo trimestrale di cassa; sia perché essa varrebbe solo a prefigurare "meccanismi volti a regolare un ordinato afflusso delle risorse al tesoriere regionale, non per impedire l'esecuzione di spese che la Regione abbia tuttavia dovuto ordinare".

Analogamente infondato, se non addirittura inammissibile, sarebbe poi il secondo motivo di doglianza; poiché il decreto, da cui in ogni caso trae origine il conflitto, non costituirebbe esercizio del potere preveduto dal secondo comma dell'art. 1, bensì risulterebbe emesso ai sensi dell'ultimo alinea dell'art. 3 della legge n. 720 (e dei precedenti decreti-legge). In vero - sottolinea l'Avvocatura dello Stato - "poiché alla data di emissione del decreto non s'era verificata (né s'é ancora verificata) la condizione prevista dall'ultimo comma dell'art. 1 - cioé la emanazione dei decreti preveduti dal comma 2 anche gli enti ed organismi contemplati nel comma 1 e perciò nella tabella A sono assoggettati al regime configurato dall'art. 40 della l. 30 marzo 1981 n. 119..., cioé al regime operante per le regioni": per modo che "l'unicità della disciplina esecutiva" sarebbe "il riflesso della identità delle norme da attuare".

Superando anche la terza censura - ritenuta inconsistente per la sua assoluta genericità - l'Avvocatura eccepisce quindi, in ordine all'art. 1, terzo comma, dei provvedimenti impugnati: da una parte, che l'inclusione nel calcolo delle disponibilità, concorrenti a formare il limite del 4 per cento, delle "acquisizioni" dei titoli - oltre a non presentare aspetti di novità (per essere stata già disposta dal decreto ministeriale del 30 luglio 1981) - sarebbe comunque pienamente legittima e coerente allo scopo, perseguito dalla legge n. 720, di evitare giacenze che non siano strettamente imposte da esigenze tecniche, correlate all'esplicazione dell'attività di tesoreria; d'altra parte, che l'analoga inclusione delle somme corrispondenti a mandati in corso non ancora pagati sarebbe anch'essa correttamente applicativa della norma primaria, che verrebbe invece violata qualora si considerasse materialmente uscita dalla disponibilità del tesoriere una somma solo contabilmente impegnata.

Infine - conclude l'Avvocatura - il limite di tre giorni, previsto dall'art. 6 dei decreti in questione, "é modalità che non appare contraddittoria agli scopi della norma da attuare né irragionevolmente dimensionata".

4. - In vista della pubblica udienza, le Regioni Toscana ed Umbria hanno depositato due memorie, identiche nei loro contenuti, per replicare ai rilievi dell'Avvocatura dello Stato.

Le ricorrenti osservano, anzitutto, che "se il decreto non costituisce esercizio del potere preveduto dal terzo comma dell'art. 1 l. 720, relativo alle condizioni dei conti...", esso "si riferisce ai livelli di disponibilità, e cioé all'ottavo comma": il quale é stato dichiarato illegittimo dalla Corte, con la detta sentenza n. 162 del 1982. All'ulteriore argomento della difesa dello Stato, per cui certe modalità di calcolo delle giacenze erano già state introdotte dal d. min. 30 luglio 1981, oppongono le ricorrenti che ciò non osterebbe alla proponibilità degli attuali conflitti, essendovi "sempre la possibilità di far valere... un vizio di un atto che nell'attuare una nuova diversa legge usa formule dispositive coincidenti nella loro espressione verbale con quelle impiegate in altri atti regolamentari". E quanto, infine, agli altri rilievi difensivi, essi non varrebbero a giustificare una disciplina della cassa e della tesoreria basata su parametri astratti, che prescindano dalla concreta velocità di spesa e non tengano conto della "realtà contabile giuridica".

Considerato in diritto

 

1. - I quattro giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza, in quanto hanno tutti per tema le disposizioni attuative del cosiddetto "sistema di tesoreria unica" rispettivamente dettate da tre consecutivi decreti del Ministro del tesoro, in data 24 aprile, 2 giugno e 5 novembre 1984. E non osta alla riunione la circostanza che i due primi provvedimenti si riferiscano ai decaduti decreti-legge 24 marzo 1984, n. 37, e 24 maggio 1984, n. 153, dal momento che la sopravvenuta legge 29 ottobre 1984, n. 720, ha fatto salvi - fra l'altro gli atti adottati sulla base dei decreti medesimi.

2. - Il primo e centrale motivo di tutti i ricorsi concerne l'art. 5 dei predetti decreti ministeriali, nella parte in cui si condizionava, o si condiziona tuttora, l'esercizio del diritto di "effettuare prelevamenti dalle contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, a reintegro dei limiti consentiti, del quattro per cento": esercizio che il comma iniziale dell'art. 5 non permette alle Regioni - secondo il concorde disposto di tutti gli impugnati decreti ministeriali - se non "due volte al mese".

Ora, é ben vero che limitazioni del genere non si risolvono - di per sé sole - "in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale"; sicché non può dirsi pertinente il richiamo delle sentenze n. 155 del 1977 e n. 94 del 1981, sul quale vorrebbero far leva i ricorsi di discussione. Ma ciò non toglie che i detti motivi debbano comunque essere accolti, là dove le ricorrenti argomentano che il previsto congegno di reintegrazione delle disponibilità regionali depositabili presso aziende di credito é tale da potersi ripercuotere in danno dell'autonomia regionale di spesa. Dato il regime introdotto dall'art. 40, primo comma, della legge n. 119 del 1981 e mantenuto in vigore dall'art. 2, primo comma, della legge n. 720 del 1984, le operazioni di pagamento interessanti le Regioni non possono effettuarsi direttamente sulle contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato (come é invece previsto dall'art. 1, primo comma, della legge n. 720, quanto agli enti ed organismi inseriti nell'annessa tabella A); ma debbono gravare sulle disponibilità regionali depositate presso le aziende di credito tesorieri o cassieri delle Regioni medesime. In questi termini statuiva già l'art. 4 del decreto ministeriale 11 aprile 1981, che non consentiva - di regola - agli enti pubblici di cui agli artt. 25 e 31 della legge n. 468 del 1978, se non "prelevamenti mensili dai conti aperti presso la tesoreria centrale dello Stato per il reintegro delle disponibilità" comunque contenute entro "il limite massimo del 12 per cento dell'ammontare delle entrate del bilancio di competenza". E nello stesso senso dispone attualmente l'impugnato art. 5 dei decreti predetti, salvo che i provvedimenti sono divenuti quindicinali, mentre la quota da reintegrare é stata indubbiamente ridotta - malgrado le contrarie deduzioni dell'Avvocatura dello Stato - dal 12 al 4 per cento.

Per non intralciare il ritmo delle spese regionali, compromettendo l'indispensabile velocità di erogazione e costringendo le Regioni a far ricorso - in via alternativa - ad indebitamenti sia pure di breve periodo, occorre però che la reintegrazione delle quote dei proventi regionali depositabili presso le aziende di credito sia resa possibile continuamente e nei modi più solleciti, affinché si possa fare fronte ai pagamenti imprevisti senza intaccare gravemente od esaurire del tutto le disponibilità in questione. Viceversa, le citate prescrizioni ministeriali non tengono adeguato conto di simili necessità, né offrono rimedi sufficienti pur quando permettono, "nel corso del mese, un ulteriore prelevamento"; tanto più che tale operazione veniva consentita nel solo "caso di esaurimento di tutte le disponibilità comunque detenute" (cfr. l'art. 5, terzo comma, dei d. min. 24 aprile e 2 giugno 1984) e non é ammessa tuttora al di fuori del "caso in cui ricorrano indifferibili esigenze di spesa" (cfr. l'art. 5, terzo comma, del d. min. 5 novembre 1984), giudici delle quali finiscono per essere lo stesso Ministro del tesoro oppure la Banca d'Italia.

Le disposizioni impugnate violano pertanto, nel medesimo tempo, l'autonomia finanziaria regionale considerata sul versante delle uscite ed il principio informatore dell'intera legge n. 720 - già messo in evidenza dalla decisione n. 243 del presente anno - per cui la piena ed immediata disponibilità delle somme di loro spettanza, giacenti nelle relative contabilità speciali, dev'esser garantita anche agli enti ed organismi inclusi nell'annessa tabella B, quali sono appunto le Regioni a Statuto ordinario e speciale. Vanno dunque annullati il primo e il terzo comma dell'art. 5 dei decreti ministeriali in esame, dopo aver dichiarato che spetta alle Regioni ricorrenti effettuare prelievi dalle rispettive contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ogni qualvolta ciò sia necessario per reintegrare il previsto limite del 4 per cento.

3. - a) É invece infondata l'impugnativa dell'intero decreto ministeriale del 5 novembre 1984, promossa dalle Regioni Toscana ed Umbria in base al rilievo che le premesse di tale atto fanno richiamo - fra l'altro - ad una norma ormai dichiarata illegittima da questa Corte: quale l'art. 40, ottavo comma, della legge n. 119 del 1981, annullato mediante la sentenza n. 162 del 1982.

Preliminarmente, va ricordato che l'ottavo comma dell'art. 40 non é stato annullato del tutto; al contrario, la Corte lo ha reso inefficace nella sola parte in cui esso attribuiva al Ministro del tesoro "la facoltà di variare con proprio decreto la percentuale o il livello massimo delle disponibilità delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano che le aziende di credito, incaricate del servizio di tesoreria, possono tenere presso di sé" (senza affatto riguardare, dunque, il regime di tutti gli altri enti già considerati dagli artt. 25 e 31 della legge n. 468 del 1978 e senza coinvolgere, quanto alle stesse Regioni, le "modalità di riafflusso delle disponibilità di cui al sesto comma" del predetto articolo). É fuori dubbio, del resto, che il decreto ministeriale del 5 novembre 1984, malgrado le censurate premesse, non ha inteso variare né la percentuale né il livello massimo delle disponibilità regionali depositabili presso aziende di credito; ma si é limitato a regolare - ferma restando la quota del 4 per cento fissata dall'art. 3 della legge n. 720 - i criteri di determinazione della quota medesima, le condizioni e le modalità di funzionamento dei conti da aprire presso la tesoreria statale, le forme ed i tempi dei prelevamenti effettuabili da tali contabilità, il riafflusso delle disponibilità eccedenti il 4 per cento, i relativi interessi posti a carico delle aziende inadempienti. L'unico appunto da muovere alle premesse dell'atto impugnato sta quindi in ciò, che sarebbe stato preferibile richiamare non solo e non tanto l'ottavo, quanto il settimo comma del citato art. 40, specificatamente relativo alla disciplina dei "conti aperti presso le tesorerie dello Stato", attraverso appositi decreti del Ministro del tesoro. Ma la circostanza che quest'ultimo riferimento sia testualmente mancato non basta di certo a viziare l'intero decreto in esame; tanto più che la Corte ha già ritenuto illegittimi i soli disposti suscettibili di pregiudicare il reintegro delle disponibilità regionali depositate presso le aziende di credito, vale a dire il primo e il terzo comma dell'art. 5 del decreto stesso.

b) Tutti i decreti ministeriali in discussione sono inoltre censurati dalle ricorrenti, nel loro intero complesso, per avere unificato il trattamento degli enti rispettivamente inclusi nelle tabelle A e B, annesse alla legge n. 720 del 1984 (e, prima ancora, ai decreti-legge nn. 37 e 153 del medesimo anno); così da porre "sullo stesso piano soggetti dotati di autonomia costituzionalmente garantita come sono... le Regioni... e soggetti... che invece sono" - si afferma - "enti strumentali, organi statali, o figure di difficile collocazione"; e da violare comunque gli atti legislativi di base, che non prevederebbero nessun decreto ministeriale per l'attuazione delle norme da essi dettate relativamente alla tabella B.

Senonché i ricorsi trascurano di considerare, in primo luogo, che i decreti impugnati si fondano, per ciò che riguarda gli enti e gli organismi di cui alla tabella A, sulla normativa transitoria stabilita dall'art. 1, ultimo comma, della legge n. 720: ai sensi del quale, fino alla data di emanazione degli ulteriori decreti ministeriali destinati a fissare il tasso d'interesse per le contabilità speciali fruttifere ed a regolare i rapporti fra i tesorieri degli enti predetti e le corrispondenti sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, anche a tali soggetti vanno applicati i disposti dell'art. 40 della legge n. 119 del 1981 e successive modificazioni (non diversamente, dunque, da quanto si verifica in via permanente per gli enti e gli organismi inclusi nella tabella B). In secondo luogo, non é nemmeno esatto che, relativamente a quest'ultima tabella, la legislazione statale in vigore non consenta l'emanazione di alcun decreto attuativo, ad opera del Ministro del tesoro. Da un lato, al contrario, l'Avvocatura dello Stato ribatte giustamente che la stessa legge n. 720 (come pure i precedenti decreti-legge nn. 37 e 153 del 1984) demanda ad un decreto ministeriale la determinazione delle modalità di versamento dell'interesse posto a carico delle aziende che persistano nel tenere eccedenze rispetto alla prevista quota del 4 per cento: come in effetti dispone l'art. 6 di tutti i decreti impugnati. D'altro lato, vige tuttora il settimo comma dell'art. 40 della citata legge n. 119 (per non dire dell'ottavo comma del medesimo articolo) per cui "con decreti del Ministro del tesoro sono stabilite tutte le condizioni e le modalità di funzionamento dei conti aperti presso le tesorerie dello Stato": con questo fondamento é stato infatti emanato il d. min. 11 aprile 1981, cui si sono quindi sovrapposti ed agganciati i decreti in esame, come risulta espressamente dal loro finale disposto, che appunto rimanda, in quanto compatibili, alle norme dettate da quel primo atto.

Indipendentemente dai dubbi sull'ammissibilità del motivo in questione, cui si accenna negli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, la censura dev'essere quindi respinta in tutti i suoi aspetti, poiché non sussistono né la pretesa lesione dell'autonomia regionale, né l'asserito contrasto fra i decreti impugnati e le norme legislative statali di coordinamento finanziario che ne formano la base.

4. - In modo più specifico, le Regioni ricorrenti impugnano ancora l'art. 1, terzo comma, dei detti decreti ministeriali, che impone di computare "nel calcolo delle disponibilità che concorrono a formare il... limite del quattro per cento..., tutte le somme a qualunque titolo depositate, comprese... quelle relative a mandati in corso non ancora pagati, nonché le acquisizioni di titoli, di Stato e non, compresi i buoni ordinari del Tesoro". Quanto ai "mandati in corso", essi varrebbero infatti a rendere "definitivo il debito" e dunque indisponibili le relative somme; e, quanto ai titoli, essi non potrebbero - per definizione - "essere considerati somme e trattati come tali".

In realtà, le previsioni così censurate si pongono in diretto collegamento con l'art. 40, primo comma, della legge n. 119 del 1981, là dove si coinvolgono le disponibilità giacenti "a qualunque titolo" presso le aziende di credito. Ed anzi, per ciò che riguarda i buoni del tesoro e gli altri titoli, di Stato e non, la disposizione in esame non fa che riprodurre l'art. 2, secondo comma, del d. min. 30 luglio 1981, integrativo del predetto decreto emesso l'11 aprile del medesimo anno; sicché l'impugnativa, riguardata sotto questo aspetto, deve dirsi inammissibile prima che infondata.

Va invece respinto il motivo concernente i "mandati in corso non ancora pagati", visto che agli effetti del "sistema di tesoreria unica" é determinante la materiale detenzione della somma, con la conseguente percezione dei rispettivi interessi (come già si é rilevato nella sentenza n. 243 del presente anno). Da questo lato, perciò, i decreti impugnati non contrastano di certo con la legge n. 720, né sono dunque lesivi della riserva di legge stabilita dal primo comma dell'art. 119 Cost., in tema di coordinamento finanziario.

5. - La Toscana e l'Umbria denunciano, infine, l'art. 6 dei tre decreti ministeriali in discussione, nella parte attinente al termine di tre giorni lavorativi, entro il quale gli istituti ed aziende di credito "sono tenuti ad effettuare il versamento delle eccedenze nei conti presso le tesorerie dello Stato"; senza di che vien posto a loro carico un interesse calcolato "sul numero dei giorni nei quali si sia riscontrata tale eccedenza, con esclusione dei tre giorni di tolleranza" (cfr. il primo ed il terzo comma del citato articolo).

I ricorsi lamentano, in proposito, che "l'imposizione di un termine irragionevolmente breve invade la sfera regionale, poiché non tiene conto delle effettive esigenze operative dei tesorieri, soggetti a ben precise procedure e modalità di estinzione dei titoli di spesa richiamate dalle leggi regionali e dalle convenzioni di tesoreria vigenti...". Ma, per escludere la pretesa invasione, basta ricordare che l'impugnato art. 6 rappresenta la diretta e necessaria conseguenza di quanto disposto dall'art. 3 della legge n. 720: il quale sanziona senz'altro il superamento del limite del quattro per cento, da parte delle aziende di credito tesorieri o cassieri, e dunque presuppone - in via alternativa - che entro un breve e perentorio termine le eccedenze vengano versate alle corrispondenti sezioni di tesoreria provinciale dello Stato (anche perché, diversamente, si fornirebbe alle aziende ed agli enti interessati un troppo comodo espediente per eludere gli scopi legittimamente perseguiti dalla legge stessa).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione (nn. 24 e 25 registro ricorsi 1984, 6 e 7 registro ricorsi 1985), rispettivamente proposti dalle Regioni Toscana ed Umbria in relazione ai decreti del Ministro del tesoro 24 aprile, 2 giugno e 5 novembre 1984, nella parte concernente il computo dei "titoli, di Stato e non, compresi i buoni ordinari del Tesoro", ai fini del calcolo del prescritto limite del 4 per cento, di cui all'art. 1, terzo comma, dei decreti stessi;

2) dichiara che spetta alle Regioni Toscana ed Umbria la piena ed immediata disponibilità, in ogni momento, delle somme di loro spettanza giacenti presso le rispettive sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai fini del reintegro, nel limite consentito del 4 per cento, delle disponibilità depositabili, presso le aziende di credito tesorieri o cassieri; e, di conseguenza, annulla l'art. 5, primo e terzo comma, dei predetti decreti ministeriali (nn. 24 e 25 registro ricorsi 1984, 6 e 7 registro ricorsi 1985);

3) dichiara che spetta allo Stato stabilire, con decreti del Ministro del tesoro, le modalità per il pagamento degli interessi, da parte delle aziende di credito, tesorieri o cassieri, sulle disponibilità eccedenti il limite del 4 per cento, nonché determinare le modalità di funzionamento dei conti aperti dalle Regioni Toscana ed Umbria presso le tesorerie dello Stato (nn. 24 e 25 registro ricorsi 1984, 6 e 7 registro ricorsi 1985);

4) dichiara che spetta allo Stato computare i "mandati in corso non ancora pagati", ai fini del calcolo del prescritto limite del 4 per cento, di cui all'art. 1, terzo comma, dei predetti decreti ministeriali (nn. 24 e 25 registro ricorsi 1984, 6 e 7 registro ricorsi 1985);

5) dichiara che spetta allo Stato d'imporre, entro il termine di tre giorni lavorativi, il versamento delle disponibilità eccedenti il limite del 4 per cento nei conti aperti dalle Regioni Toscana ed Umbria presso le tesorerie dello Stato (nn. 24 e 25 registro ricorsi 1984, 6 e 7 registro ricorsi 1985).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Livio PALADIN

Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1985.