SENTENZA N. 295
ANNO 2009
Commento alla decisione di
Rocco Cifarelli
Brevi
note sulla pianta organica delle farmacie alla luce di una recente decisione
della Consulta
(per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
articoli 8, 14 e 17 della legge della Regione Puglia 2 luglio 2008, n. 19
(Disposizioni regionali urgenti), promossi dal Presidente
del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 6-11, ed il 25 agosto
2008, depositati in cancelleria il 12 ed il 29 agosto 2008 ed iscritti ai nn. 45 e 53 del registro ricorsi 2008.
Visti l’atto di costituzione della
Regione Puglia, nonché l’atto di intervento della Federfarma – Federazione nazionale unitaria dei titolari di
farmacia italiani e Federfarma Puglia, Unione
regionale delle associazioni sindacali dei titolari di farmacia della Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 20
ottobre 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l’avvocato dello Stato Sergio
Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Valeria
Pellegrino per
Ritenuto in
fatto
1.
– Con ricorso notificato l’11 agosto 2008 e depositato il successivo giorno 12
dello stesso mese (reg. ric. n. 45 del 2008), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
sollevato, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettere e) e l),
e terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli
artt. 8, 14 e 17 della legge della Regione Puglia 2 luglio 2008, n. 19
(Disposizioni regionali urgenti), pubblicata nel Bollettino Ufficiale regionale n. 107 del 2 luglio 2008.
1.2.
– Il ricorrente denuncia l’incostituzionalità dell’art.
Ai
sensi dell’impugnata disposizione, «al di fuori degli accordi tra servizio
sanitario regionale e sistema produttivo e distributivo dei farmaci non è
consentito modificare, ancorché mediante intesa tra le parti, le quote di
spettanza, previste per legge, alle componenti aziende, grossisti e farmacisti
per l’erogazione dei farmaci di fascia "A”, trattandosi di potere non
rientrante nella disponibilità delle parti, rientrante nei divieti e sanzioni
disposti dagli articoli 170, come modificato dall’art. 16 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, e 172 del regio decreto 2 luglio 1934, n.
1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), ed esercitabile solo
in funzione di un beneficio del sistema pubblico e non di una distribuzione
interna tra produttori, grossisti e farmacisti».
Per
il ricorrente la previsione in oggetto esorbiterebbe «manifestamente» dalla
competenza legislativa concorrente attribuita alla Regione, in materia di
«tutela della salute», dall’art. 117, terzo comma, Cost. e dalla competenza
legislativa residuale ad essa riconosciuta in materia di «commercio» dall’art.
117, quarto comma, Cost.
La
difesa erariale, al riguardo, nota come l’art. 1, comma 40, della legge 23
dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che
prevede le quote di spettanza, non fissi alcun divieto di modificare tali
quote.
Ricorda
l’Avvocatura dello Stato che la fornitura dei farmaci in questione avviene su
presentazione da parte dell’assistito di ricetta del medico curante. Sicché, il
farmacista non ha il potere di discostarsi dalle prescrizioni della ricetta
medica e non può, quindi, versare in una condizione di conflitto di interessi
qualora dalla vendita di alcuni medicinali riceva una maggiore quota in
conseguenza della riduzione di quella del produttore o del grossista.
Lungi
dal soddisfare ragioni di tutela della salute, l’art. 8 oggetto di impugnativa
inciderebbe sull’autonomia contrattuale dei privati e sull’assetto
concorrenziale del commercio di prodotti farmaceutici. Per un verso, l’art. 8
avrebbe fissato una regola di immodificabilità
contraria alla libera determinazione del contenuto dei contratti sancito
dall’art. 1322 cod. civ., al quale è riconosciuta dignità costituzionale dagli
artt. 2 e 41 della Costituzione. D’altro canto, l’impugnata disposizione
determinerebbe una ingiustificata distorsione della concorrenza tra gli
operatori pugliesi, i cui accordi incorrerebbero nei divieti imposti dalla
legge regionale, e quelli delle altre Regioni, le cui intese sono consentite in
base alla legge nazionale.
Infine,
comminando sanzioni non contemplate per la modifica delle quote di spettanza,
l’art. 8 finirebbe col delineare una nuova fattispecie di illecito penale.
1.3.
– Il ricorrente censura, poi, l’art.
La
denunciata disposizione prevede, al comma 1, che «nella Regione Puglia per i
comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti il numero delle autorizzazioni
per le istituzioni di farmacie col criterio demografico è ricalcolato in modo
che ci sia una farmacia ogni 3.500 abitanti». I successivi commi recano la
conseguente disciplina di dettaglio.
La
difesa erariale premette la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la
«materia» dell’organizzazione del servizio farmaceutico va ricondotta alla
competenza concorrente della tutela della salute (sentenze n. 87 del
2006 e n. 68
del 1961).
Al
fine di assicurare l’omogenea distribuzione delle farmacie su tutto il
territorio nazionale, la dislocazione degli esercizi farmaceutici viene
effettuata, in base all’art. 1 della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme
concernenti il servizio farmaceutico) ed all’art. 104 del regio decreto n. 1265
del 1934, tenendo conto del criterio numerico della popolazione e di quello
della distanza rispetto agli altri esercizi farmaceutici. Ai sensi dell’art. 1
della legge n. 475 del 1968, nei comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti
le autorizzazioni sono rilasciate in modo che vi sia una farmacia ogni 5.000
abitanti. L’art. 104 del regio decreto n. 1265 del 1934 fissa la distanza di
almeno
La
proporzione tra il numero delle farmacie e il numero degli abitanti
costituirebbe, dunque, un principio fondamentale in quanto «indirizzo generale»
della materia, come riconosciuto da questa Corte (in tal senso le sentenze n. 76 del 2008,
n. 275 e n. 27 del 2003,
n. 4 del 1996,
n. 446 e n. 177 del 1988
e n. 579 del
1987).
L’impugnata
disposizione altererebbe tali criteri, prevedendo un rapporto farmacie/abitanti
diverso da quello stabilito dalla legislazione statale.
1.4.
– Infine, l’art. 17 della legge regionale in oggetto è stato impugnato in
riferimento all’art.117, terzo comma, della Costituzione, per asserita
violazione dei principi fondamentali nella materia, di legislazione
concorrente, della «tutela della salute».
L’art.
17 dispone che «i direttori amministrativi e direttori sanitari delle aziende
sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e i direttori amministrativi e
direttori sanitari degli IRCCS che abbiano raggiunto il limite di età previsto
rispettivamente dall’art. 3, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1
della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e successive modificazioni e dall’art. 11,
comma 3, del decreto legislativo 16 ottobre 2003 n. 288 (Riordino della
disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma
dell’art. 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3), nel corso del loro
mandato, restano in carica fino alla naturale scadenza che consenta il
completamento dello stesso».
Per
il ricorrente, la censurata disposizione contrasterebbe con il principio
fondamentale desumibile dal combinato disposto degli artt. 3, comma 7, del
decreto legislativo n. 502 del 1992 e 11, comma 3, del decreto legislativo n.
288 del
2.
– Con atto depositato il 4 settembre 2008 si è costituita in giudizio
3.
– Con memoria depositata il 22 settembre 2008
3.1.
– In merito alla censura avente per oggetto l’art. 8, la parte resistente
obietta che l’impugnata disposizione non imporrebbe alcun divieto di immodificabilità delle quote di spettanza. I produttori, i
grossisti ed i farmacisti sono legittimati a derogarvi sulla base di un accordo
con il servizio sanitario regionale allorché esso comporti un beneficio per il
servizio pubblico e per l’utenza. Al di fuori di queste ipotesi, qualsiasi
accordo potrebbe generare un’illecita concorrenza e danneggiare il diritto alla
salute.
Si
rendono, quindi, necessarie, anche in ambito regionale, limitazioni volte ad
evitare che l’abuso di poteri forti possa incidere negativamente sul diritto
alla salute. Se è vero che la legge statale non pone esplicitamente il divieto
di modificare le percentuali stabilite di ripartizione del prezzo dei farmaci
di fascia "A”, alla Regione resistente appare sicuramente prevalente il
generale interesse a sottrarre alla libera iniziativa dei privati il controllo
e la vigilanza sulla tutela della salute pubblica.
Per
la difesa regionale, in relazione alle condotte vietate dall’art. 8, il
legislatore regionale, «forse pleonasticamente ma sicuramente con rilevante
utilità», si limiterebbe a «ricordare» che
esse ricadono sotto l’applicazione della normativa di cui agli artt. 170 e 172
del regio decreto n. 1265 del 1934. Ne consegue che il censurato art. 8 si
limiterebbe ad operare un mero rinvio a sanzioni penali comminate dal
legislatore statale.
3.2.
– Quanto alla lamentata incostituzionalità dell’art. 14, la difesa regionale
sostiene, innanzitutto, che la recente legislazione nazionale avrebbe favorito
le liberalizzazioni anche nel settore della distribuzione dei farmaci, come si
evince dall’art. 5 del c.d. «decreto Bersani», ossia il decreto-legge 4 luglio
2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il
contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in
materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
La
censurata disposizione si muoverebbe lungo il percorso tracciato da queste
innovazioni legislative giacché il contingentamento delle farmacie appare volto
ad assicurare agli utenti la continuità territoriale e temporale del servizio
ed agli esercenti un bacino di utenza. Per la difesa regionale un maggior
numero di farmacie renderebbe più agevole e meno oneroso l’approvvigionamento
dei farmaci da parte del cittadino.
3.3.
– Quanto alla doglianza avente per oggetto l’art. 17, la resistente sostiene
che il direttore generale di una A.s.l., nominando il
direttore sanitario ed il direttore amministrativo, dà vita ad una squadra che
si propone di realizzare un programma politico-economico sanitario nell’arco
temporale del mandato affidatogli. Se nel corso dello svolgimento del mandato
viene a mancare uno di tali elementi, il raggiungimento degli obiettivi e la
realizzazione del programma rischiano di essere pregiudicati. Il diritto alla
salute è garantito anche dalla realizzazione di questi programmi. Il contestato
art. 17 mirerebbe, perciò, a garantire la funzionalità delle strutture
sanitarie «per meglio salvaguardare il diritto alla salute dell’utente e, non
certo, quello di rendere un beneficio agli interessati da questa legge».
4.
– Con atto depositato il 14 ottobre 2008, hanno spiegato intervento nel
presente giudizio di legittimità costituzionale
Esse
chiedono una dichiarazione di ammissibilità dei rispettivi interventi. Nel
merito, esse chiedono che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale degli
artt. 8 e 14 della legge regionale in oggetto.
5.
– Con ricorso notificato il 25 agosto 2008 e depositato il successivo giorno 29
dello stesso mese (reg. ric. n. 53 del 2008), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
sollevato, nei confronti degli artt. 8, 14 e 17 della legge della Regione
Puglia n. 19 del 2008, questioni testualmente identiche a quelle già
prospettate nel ricorso n. 45 del 2008 e basate sulla medesima delibera del
Consiglio dei ministri del 1° agosto 2008.
6.
–
6.1.
– In relazione alla asserita incostituzionalità dell’art. 8, la parte
resistente sostiene che il divieto di modifica unilaterale delle quote di
spettanza «costituisce già principio immanente nell’ordinamento statale».
La
difesa regionale ricorda che il prezzo dei farmaci di fascia "A” è il frutto di
una contrattazione tra l’azienda produttrice e l’amministrazione.
Con
l’art. 1, comma 40, della legge n. 662 del 1996, il riparto delle quote di
spettanza è stato fissato in via legislativa, non potendo essere modificato
dalle parti private. Diversamente opinando, risulterebbe oscura la ragione
sottesa alla fissazione di percentuali «se queste ultime avessero potuto essere
autonomamente ed insindacabilmente modificate sulla scorta di meri accordi tra
le parti private».
Sicché,
per
Questa
conclusione troverebbe riscontro, secondo la resistente, nel corretto
inquadramento materiale della disciplina in parola: non già «ordinamento civile
e penale» e «tutela della concorrenza», bensì «coordinamento della finanza
pubblica» e «tutela della salute».
Per
un verso, non poche disposizioni hanno previsto – e talora imposto – sconti sul
prezzo di vendita al pubblico dei farmaci ad alcuni soggetti della filiera
(produttori, farmacisti).
Quanto,
poi, alla materia concorrente della «tutela della salute», la difesa regionale
ascrive alla contestata disposizione il fine di «scongiurare in maniera ferma e
decisa, che tra i farmaci di fascia "A” vi possa essere un qualsiasi tipo di
"interesse” da parte del singolo farmacista, alla vendita di un farmaco
piuttosto che di un altro». Contrariamente a quanto sostenuto dalla
controparte, l’art. 7, comma 1 (recte: comma 3), del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347
(Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, attribuisce al farmacista
il potere di modificare i farmaci prescritti.
Questa
Corte, con la sentenza
n. 279 del 2006, ha precisato che il comparto dei farmaci di fascia "A”
«non costituisce un mercato concorrenziale», in quanto «si tratta di prodotti
che non danno luogo a confronto competitivo», essendo in realtà un mercato
«ancorato alla quota di utile spettante al produttore ai sensi dell’art. 1,
comma 40, della legge n. 662 del 1996». Nella stessa pronuncia, questa Corte ha
ricordato che la sfera di autonomia privata «non riceve dall’ordinamento una
protezione assoluta, sicché la sua lamentata violazione non è
costituzionalmente illegittima quando si riveli preordinata a consentire il
soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente
rilevanti».
La
difesa regionale conclude sostenendo che la disposizione censurata, nel
richiamare sanzioni legislativamente previste, assolve ad una funzione
meramente ricognitiva di previsioni statali già vigenti.
6.2.
– Per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 14, la parte resistente
ribadisce che l’aumento del numero delle farmacie sul territorio regionale non
può che sortire effetti positivi sia per la tutela della salute sia per
l’accesso alla professione di farmacista.
6.3.
– Riguardo alla doglianza afferente all’art. 17, premesso che detta previsione
sarebbe riconducibile alla materia residuale della «organizzazione
amministrativa regionale», la parte resistente sostiene che la normativa
statale circoscrive la cessazione della carica al compimento del
sessantacinquesimo anno d’età ai soli direttori generali degli IRCCS,
escludendo dunque i direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle
aziende ospedaliere. Per questi ultimi, l’art. 7, comma 3, del decreto
legislativo n. 502 del 2002 non contempla la cessazione automatica dalle
relative funzioni, limitandosi a stabilire che all’atto della nomina il
dirigente non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età.
Peraltro
– prosegue la difesa regionale – con specifico riferimento agli IRCCS l’art.
11, comma 3, del decreto legislativo n. 288 del 2003 prevede la facoltà per i
dirigenti apicali di rimanere in servizio per un ulteriore periodo di un
biennio oltre i limiti di età. Posto che la durata delle cariche dirigenziali
negli enti sanitari è legislativamente fissata in un periodo compreso tra i tre
ed i cinque anni, alla difesa regionale non è chiaro il motivo per cui la
censurata disposizione «possa minare il diritto alla salute una volta che non
prevede la possibilità di rimanere "ad oltranza” ma soltanto sino alla fine
della naturale scadenza del mandato».
7.
– Con memoria depositata il 6 ottobre 2009,
Per
la difesa delle intervenienti, la presenza delle organizzazioni rappresentative
di interessi organizzati in questo ambito processuale consente di cogliere
l’impatto reale della disciplina oggetto di sindacato, «temperando gli eccessi
di astrattezza del giudizio principale».
7.1.
– Quanto alla impugnazione dell’art. 8 della legge regionale in parola, le
intervenienti contestano, innanzitutto, l’esercizio illegittimo del potere
legislativo di interpretazione autentica da parte della Regione Puglia. Il
legislatore regionale, invero, avrebbe preteso di definire il senso normativo
di disposizioni legislative statali.
Posto
che l’art. 1, comma 40, della legge n. 662 del 1996 andrebbe inteso nel senso
di consentire la derogabilità delle quote di spettanza ivi previste,
l’impugnato art. 8 inciderebbe sull’autonomia contrattuale di soggetti privati.
Quanto
alla asserita violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di
«ordinamento penale», la difesa delle intervenienti osserva che l’art. 8
avrebbe ricondotto al reato di "comparaggio” gli accordi derogatori delle quote
di spettanza dei vari soggetti della filiera, «con ciò solo usurpando poteri
riservati al legislatore statale e – anzi – al giudice».
7.2.
– Anche in relazione alla questione di costituzionalità avente per oggetto
l’art. 14, le intervenienti Federazioni indugiano su molteplici profili di
illegittimità.
Ricondotta
l’assistenza farmaceutica nella materia concorrente della «tutela della
salute», la difesa delle intervenienti ritiene, alla luce della giurisprudenza
costituzionale all’uopo allegata, che la proporzione fissata a livello
nazionale sia espressione di un principio fondamentale dettato dal legislatore
statale.
Considerato
in diritto
1.
– Con due distinti ricorsi di identico contenuto, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha sollevato, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettere e) e l),
e terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli
artt. 8, 14 e 17 della legge della Regione Puglia 2 luglio 2008, n. 19
(Disposizioni regionali urgenti).
Attesa
la testuale identità dei due ricorsi, va disposta la riunione dei giudizi
perché gli stessi siano decisi con unica sentenza.
1.1.
– L’art. 8 è impugnato per asserita violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettere e) e l), della Costituzione.
Determinando
un effetto distorsivo nel settore della distribuzione
dei farmaci, il divieto di modificare le quote di spettanza sul prezzo dei
farmaci di fascia "A” lederebbe la competenza esclusiva del legislatore statale
in tema di «tutela della concorrenza».
Il
contestato divieto, incidendo sull’autonomia contrattuale dei privati,
violerebbe anche la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di
«ordinamento civile»; al tempo stesso, il denunciato art. 8, sanzionando
penalmente l’inosservanza del suddetto divieto in forza dei richiamati artt.
170 e 172 del regio decreto n. 1265 del 1934, avrebbe invaso la materia
dell’«ordinamento penale», di competenza esclusiva del legislatore statale.
1.2.
– L’art. 14 è impugnato per asserita violazione dell’art. 117, terzo comma,
della Costituzione. La diversa proporzione tra il numero delle farmacie ed il
numero degli abitanti da esso introdotta, rispetto a quanto sancito a livello
nazionale, sarebbe infatti in contrasto con i princìpi fondamentali in materia
di «tutela della salute» di cui all’art. 1 della legge n. 475 del 1968 e di cui
all’art. 104 del regio decreto n. 1265 del 1934.
1.3.
– L’art. 17 è impugnato per asserita violazione dell’art. 117, terzo comma,
della Costituzione, in quanto ritenuto dal ricorrente incompatibile con il
principio fondamentale, desumibile dal combinato disposto degli artt. 3, comma
7, del d.lgs. n. 502 del 1992, e 11, comma 3, del d.lgs. n. 288 del
2.
– In via preliminare, devono essere dichiarati inammissibili gli interventi
spiegati nel presente giudizio dalla Federfarma –
Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani e dalla Federfarma Puglia – Unione regionale delle associazioni
sindacali dei titolari di farmacia della Puglia.
Secondo
la consolidata giurisprudenza della Corte, infatti, il giudizio di legittimità
costituzionale in via principale si svolge esclusivamente fra soggetti titolari
di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i
mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di
fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a
questa Corte in via incidentale (tra le più recenti v. le sentenze n. 254,
n. 250, n. 249, n. 247 e n. 246 del 2009).
3.
– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, prospettata con
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, è fondata.
3.1.
– La materia del prezzo dei farmaci è stata oggetto
di una lunga evoluzione normativa, ispirata dalla volontà di «contemperare
l’esigenza di assicurare l’assistenza farmaceutica nella misura più ampia
possibile con quella di non sacrificare in maniera eccessiva l’iniziativa delle
aziende farmaceutiche» (sentenza n. 279 del
2006).
L’art.
8, comma 10, della legge 24 dicembre
1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ha distinto i medicinali commercializzati in Italia nella
fascia "A” (comprensiva dei farmaci essenziali e per le malattie croniche,
rimborsati dal servizio sanitario nazionale) da quelli inclusi nelle fasce "B”
e "C”.
Per
i farmaci di fascia "A”, l’art. 1, comma 41, della legge n. 662 del 1996, e l’art.
36, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la
stabilizzazione della finanza pubblica), hanno introdotto il sistema del prezzo
contrattato, il quale è definito sulla base di
molteplici fattori.
L’art.
1, comma 40, della legge n. 662 del
In
relazione a questo profilo, l’art. 48, comma 5, lettera f), del decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 novembre 2003, n.
Successivamente,
l’art. 1 del decreto-legge 24 giugno
2004, n. 156 (Interventi urgenti per il ripiano della spesa farmaceutica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2004, n.
L’art.
1, comma 796, della legge 27 dicembre
2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – Legge finanziaria 2007), ha riconosciuto alle aziende
farmaceutiche la facoltà di chiedere all’Agenzia italiana del farmaco la
sospensione della misura della ulteriore riduzione del cinque per cento dei
prezzi. In coerenza con questa disposizione, la predetta Agenzia è stata
abilitata a rideterminare, in via temporanea, le quote di spettanza dovute al
farmacista e al grossista per i farmaci oggetto delle predette misure, in modo
tale da assicurare, attraverso la riduzione delle quote e il corrispondente
incremento della percentuale di sconto a favore del servizio sanitario
nazionale, una minore spesa dello stesso servizio.
Con
la decisione dell’Agenzia italiana del farmaco del 9 febbraio 2007, sono state,
quindi, rideterminate temporaneamente, per i prodotti rimborsabili, le quote di
spettanza dovute al farmacista (26,19 per cento) ed al grossista (6,52 per
cento), mentre è rimasta ferma la quota spettante all’azienda farmaceutica.
Di
recente, l’art. 13, comma 1, lettera b),
del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 (Interventi urgenti in favore delle
popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di
aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile), convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n.
3.2.
– Le quote di spettanza sono fissate direttamente dal legislatore nazionale.
Una
eventuale modifica delle stesse è implicitamente rimessa all’autonomia
contrattuale dei soggetti del ciclo produttivo e distributivo attraverso
convergenti manifestazioni di volontà.
L’impugnata
disposizione ha palesemente oltrepassato i confini che presidiano la competenza
esclusiva del legislatore statale in materia di «ordinamento civile», avendo
prescritto che «al di fuori degli accordi tra sistema sanitario regionale e
sistema produttivo e distributivo dei farmaci» non sarebbe consentito
«modificare, ancorché mediante intesa fra le parti, le quote di spettanza,
previste per legge, alle componenti aziende, grossisti e farmacisti per
l’erogazione di farmaci di fascia A».
L’art.
117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione ha codificato il limite del «diritto privato» consolidatosi nella
giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (v., tra le
molte, le sentenze
n. 190 del 2001; n. 379 del 1994;
n. 35 del 1992;
n. 51 del 1990;
n. 691 del 1988;
n. 38 del 1977;
n. 108 del 1975
e n. 7 del 1956).
Questa Corte ha più volte affermato che
«l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione
regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale
di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della
disciplina dettata per i rapporti fra privati. Esso, quindi, identifica un’area
riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i
rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione» (sentenza n. 352 del
2001).
Questa
Corte ha precisato che detto limite consente comunque un qualche adattamento in
ambito regionale, «ove questo risulti in stretta connessione con la materia di
competenza regionale e risponda al criterio di ragionevolezza, che vale a
soddisfare il rispetto del richiamato principio di eguaglianza» (sentenza n. 352 del
2001). Peraltro, sin dalle prime pronunce, questa Corte ha avuto modo di
decidere che «la disciplina dei rapporti contrattuali (…) va riservata alla
legislazione statale» (sentenza n. 6 del
1958; cfr. anche le sentenze n. 82 del
1998 e n. 60
del 1968).
Applicando
il novellato art. 117 della Costituzione, questa Corte ha ascritto al limite
dell’«ordinamento civile» le disposizioni relative alla nullità del contratto (sentenza n. 29 del
2006) ed all’obbligo di contrarre (sentenza n. 411 del
2006). Relativamente a quest’ultimo profilo,
L’impugnato
art. 8, disciplinando e limitando la capacità dei predetti soggetti di
modificare pattiziamente le quote di loro spettanza, ha
illegittimamente inciso sull’autonomia negoziale dei privati, di cui all’art.
1322 cod. civ., la disciplina delle quali spetta in via esclusiva al
legislatore statale.
3.3.
– La violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, è fondata anche in relazione alla
competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento penale».
Questa
Corte ha riconosciuto come la riforma costituzionale
del 2001 abbia confermato l’inderogabilità del limite del «diritto penale» già
invalso nella pregressa giurisprudenza (v. le sentenze n. 168 del
2009; n. 183
del 2006; n.
185 del 2004; n.
438 del 2002).
Per
ciò che rileva nel presente giudizio, questa Corte ha riconosciuto la
legittimità di previsioni legislative regionali recanti solo «un mero rinvio
alla legge statale», mentre resta preclusa al legislatore regionale «una
specifica ed autonoma determinazione delle fattispecie cui sono collegate le
pene previste» dalla legislazione statale (sentenza n. 387 del
2008; cfr. pure le sentenze n. 210 del 1972 e n. 104 del 1957).
L’impugnato
art. 8 non si limita ad operare un mero rinvio a norme penali di matrice
statale. Il legislatore regionale ha sanzionato penalmente una condotta – la
trasgressione del divieto di modificare le quote di spettanza – che non
necessariamente concorre ad integrare gli estremi del reato di comparaggio di
cui agli artt. 170 e 172 del regio decreto n. 1265 del 1934.
3.4.
– Resta assorbita la censura prospettata in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera e), della
Costituzione.
4.
– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, prospettata con
riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, è fondata.
4.1.
– Per i comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti, la proporzione «una
farmacia ogni 3.500 abitanti» disposta dal legislatore pugliese si discosta
palesemente dalla proporzione «una farmacia ogni 5.000 abitanti» fissata
dall’art. 1, comma 2, della legge n. 475 del 1968.
La
proporzione prescelta dal legislatore statale è espressiva di un principio
fondamentale non derogabile dal legislatore regionale.
Senza
soluzione di continuità rispetto all’interpretazione dell’originario art. 117
della Costituzione (cfr. la sentenza n. 68 del
1961), la disciplina dell’organizzazione del servizio farmaceutico è stata
da questa Corte ascritta alla materia concorrente della «tutela della salute»
(così la sentenza
n. 87 del 2006).
In
tema di distribuzione territoriale delle farmacie, il legislatore statale ha
optato per il criterio del contingentamento.
Questa
Corte ha riconosciuto che «la ratio della
programmazione e della revisione delle piante organiche degli esercizi
commerciali delle farmacie, più che diretta ad evitare la proliferazione delle
stesse (o – come ritiene la difesa erariale – a salvaguardare le condizioni
economiche dell’esercizio commerciale), risiede nella diversa esigenza di
assicurare l’ordinata copertura di tutto il territorio nazionale al fine di
agevolare la maggiore tutela della salute ai cittadini» (sentenza n. 4 del
1996).
La
disciplina posta dal legislatore riposa, dunque, sul «fine di salvaguardare
l’interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio farmaceutico ed in
ultima analisi alla salvaguardia del bene salute» (sentenza n. 275 del
2003; si vedano, altresì, le sentenze n. 448 del
2006; n. 352
del 1992 e n.
446 del 1988). La finalità sottesa a tale opzione normativa è quella di
«assicurare ai cittadini la continuità territoriale e temporale del servizio ed
agli esercenti un determinato bacino d’utenza» (sentenza n. 27 del
2003). La sintesi tra siffatte esigenze è stata demandata a scelte non
irragionevoli del legislatore, «in modo che siano garantiti sia un adeguato
ambito di operatività alle farmacie in attività, sia la piena efficienza a favore
degli utenti del servizio farmaceutico» (sentenza n. 76 del
2008).
Il
legislatore statale, disciplinando la distribuzione territoriale delle
farmacie, ha operato una scelta informata ad una precisa logica: la "densità”
delle farmacie deve essere più alta nei comuni con un maggior numero di
abitanti. Per i comuni con popolazione superiore a 12.500 abitanti vige,
invero, la proporzione di «una farmacia ogni 4.000 abitanti», e non una ogni
5.000, come previsto per i comuni con popolazione inferiore a quella soglia.
Nella
Regione Puglia, questa opzione di fondo è stata rovesciata a favore di un
indirizzo diverso ed incompatibile con quello seguito dal legislatore statale,
quale espresso nel principio fondamentale di cui all’art. 1 della legge n. 475
del 1968.
5.
– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, prospettata con
riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, è fondata.
5.1.
– L’impugnata disposizione consente ai direttori amministrativi e direttori
sanitari delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, nonché ai
direttori amministrativi e direttori sanitari degli IRCCS di procrastinare la
durata del rapporto di lavoro anche oltre il raggiungimento del limite di età
stabilito dalla vigente legislazione statale e, dunque, fino alla naturale
scadenza che consenta il completamento del mandato.
Si
rivela, innanzitutto, improprio il rilievo difensivo della parte resistente
volto a ricondurre la disciplina in oggetto alla materia residuale della
«organizzazione amministrativa regionale». Non ricorrono, infatti, gli elementi
e le condizioni che hanno permesso alla Corte di riconoscere la fondatezza
della collocazione materiale così prospettata (cfr. sentenze n. 188 del
2007; n. 233
del 2006; n.
380 e n. 2
del 2004).
L’impugnata
disposizione, afferendo alla delimitazione temporale dei rapporti di lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni sanitarie, strumentale alla prestazione del
servizio, è, invece, espressione della potestà legislativa regionale nella
materia concorrente della «tutela della salute» di cui all’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, come già riconosciuto da questa Corte (così,
infatti, la sentenza
n. 422 del 2006).
In
questo ambito, il legislatore regionale è tenuto a rispettare i princìpi
fondamentali sanciti a livello statale.
Con
la citata sentenza
n. 422 del 2006, questa Corte ha riconosciuto la natura di principio
fondamentale all’art. 11, comma 3, del decreto legislativo n. 288 del
La
motivazione allora addotta – secondo cui il carattere apicale della posizione
ricoperta dai predetti direttori rivela «l’incidenza che la disciplina relativa
alle modalità di cessazione da tali incarichi, per sopraggiunti limiti di età,
esercita sull’organizzazione e la gestione di servizi sanitari e, di riflesso,
anche sull’efficienza degli stessi» – ben si attaglia anche alle omologhe
figure dei direttori amministrativi e sanitari delle aziende sanitarie locali e
delle aziende ospedaliere, per i quali l’art. 3, comma 7, del decreto
legislativo n. 502 del 1992, fissa il medesimo limite di età.
La
deroga introdotta dalla impugnata disposizione regionale contraddice il
principio fondamentale enunciato, in questo ambito, dal legislatore statale,
così violando l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Questa
Corte ha, in passato, riconosciuto la legittimità di previsioni legislative
regionali che hanno innalzato il limite massimo dell’età pensionabile stabilito
a livello statale, ammettendo che «il legislatore
regionale non è tenuto a conformarsi pedissequamente alle singole disposizioni
statali relative al pubblico impiego» (sentenza n. 227 del
1997; dello stesso tenore le sentenze n. 162 del 1997;
n. 186 del 1990
e n. 238 del
1988).
Tuttavia,
questa facoltà è stata riconosciuta solo
per il conseguimento di finalità assicurative e previdenziali (sentenza n. 227 del
1997), trattandosi di «un’esigenza che va ricondotta, in via generale, a un
interesse tutelato dalla Costituzione come diritto del lavoratore in quanto
tale (art. 38, comma secondo)» (sentenza n. 238 del
1988). Questo orientamento giurisprudenziale ha ispirato le pronunce rese
da questa Corte in ordine al personale sanitario (v. le sentenze n. 90 del
1992; n. 490
e n. 440 del
1991; nonché l’ordinanza n. 380
del 1994), con particolare riferimento alla dirigenza (cfr. sentenza n. 374 del
1992).
D’altro
canto, la legittimità di siffatte disposizioni legislative è stata da questa
Corte subordinata al rispetto di due condizioni: che si trattasse di deroghe
rigorosamente circoscritte nel tempo (così le sentenze n. 186 del
1990 e n.
238 del 1988) e che residuasse in capo all’amministrazione il potere
di decidere sulla domanda dell’interessato (sentenza n. 162 del
1997).
Il
denunciato art. 17 non soddisfa queste condizioni. Non è circoscritta, entro un
lasso temporale ragionevolmente delimitato, la deroga al limite massimo di
sessantacinque anni. Il prolungamento del rapporto di lavoro è, inoltre,
disposto in modo automatico, senza alcuna istanza dell’interessato e,
soprattutto, senza alcuna valutazione da parte della struttura di appartenenza.
per questi motivi
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili gli interventi spiegati nel presente
giudizio dalla Federfarma – Federazione nazionale
unitaria dei titolari di farmacia italiani e dalla Federfarma
Puglia – Unione regionale delle associazioni sindacali dei titolari di farmacia
della Puglia;
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 8, 14 e 17 della legge della Regione
Puglia 2 luglio 2008, n. 19 (Disposizioni regionali urgenti).
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2009.
F.to:
Francesco
AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO,
Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 13 novembre 2009.