Sentenza n.379 del 1994

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SENTENZA N. 379

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge regionale della Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 25 maggio 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Salerno nel procedimento penale a carico di Alfonso Russo, iscritta al n. 470 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993;

2) ordinanza emessa il 12 novembre 1993 dal Pretore di Salerno - sezione distaccata di Cava dei Tirreni - nel procedimento penale a carico di Armando Anastasio ed altro, iscritta al n. 457 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.35, prima serie speciale dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento del Presidente della giunta regionale della Campania;

udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1994 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

uditi gli avvocati Luigi Nerone e Sergio Ferrari per il Presidente della giunta regionale della Campania.

Ritenuto in fatto

 

1. - Il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Salerno, nel corso di un giudizio penale con rito abbreviato - nel quale si procedeva contro l'imputato, tra l'altro, per il reato previsto dall'art. 20, lettera c), della l. 28 febbraio 1985, n. 47, per aver eseguito, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e di inedificabilità ai sensi della legge regionale della Campania 27 giugno 1987, n.35 ed in assenza di concessione edilizia, opere di sopraelevazione di un preesistente fabbricato, con ordinanza emessa il 25 maggio 1993 (R.O. n. 470/1993), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 117, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 5 della legge regionale della Campania 27 giugno 1987, n. 35, nella parte in cui vieta il rilascio di concessioni edilizie per tutti i comuni dell'area sorrentino- amalfitana fino all'approvazione dei piani regolatori generali comunali adeguati al piano urbanistico adottato dalla regione.

Nell'ordinanza si espone che l'imputato aveva eseguito - senza concessione - una costruzione edilizia sul territorio del comune di Cava dei Tirreni, compreso nel piano urbanistico territoriale (P.U.T.) adottato dalla Regione Campania con legge 27 giugno 1987, n. 35 e come tale soggetto a vincolo paesaggistico e, ai sensi dell'art. 5 della ci tata legge regionale, a vincolo di inedificabilità assoluta.

Secondo il giudice a quo, detto piano urbanistico, anche se definito espressamente "piano territoriale di coordinamento" e contenente "norme generali di uso del territorio", all'art. 5, vietando il rilascio di concessioni edilizie in tutti i Comuni compresi nel piano stesso, crea un vincolo generale, assoluto ed immediatamente operante di inedificabilità (salve limitate eccezioni in materia di edilizia pubblica).

E proprio per tale ragione, trattandosi di divieto sine die - in quanto non è previsto un termine perentorio per l'approvazione dei piani regolatori generali comunali - la norma censurata violerebbe l'art. 117 della Costituzione, per inosservanza dei principi fondamentali, stabiliti in materia dalle leggi dello Stato, ed in particolare dall'art. 1 bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, a norma del quale il vincolo paesaggistico può essere imposto solo con riferimento a beni ed aree determinate. Inoltre, introducendo un vincolo d'inedificabilità assoluta e non derogabile, la disposizione de qua si porrebbe in contrasto con la disciplina dettata dall'art. 7 della l. n. 1497 del 1939 e dall'art. 82, comma nono, del d.P.R. n. 616 del 1977 (aggiunto dall'art. 1 della legge n. 431 del 1985), i quali prevedono la derogabilità del vincolo in forza di apposita autorizzazione.

La norma censurata violerebbe, altresì, l'art. 42, secondo comma, della Costituzione, poichè sopprimerebbe a tempo indeterminato lo ius aedificandi - che, alla stregua della legislazione statale, può, invece, essere esercitato previa concessione amministrativa, secondo il regime dettato dall'art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 - ed in tal modo esplicherebbe il potere di determinazione dei modi di godimento della proprietà privata, riservato dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione, esclusivamente alla legge statale.

1.2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente della giunta regionale della Campania, che ha concluso per la infondatezza della questione, sottolineando, in particolare, la efficacia vincolante delle prescrizioni del piano urbanistico territoriale, approvato con la legge regionale impugnata, nei confronti dei comuni, i quali sono obbligati a recepirle nei propri strumenti urbanistici, e la necessità, che è all'origine della norma censurata, di proteggere le prescrizioni di detto piano fino alla introduzione di esse nei piani urbanistici comunali, la cui approvazione è obbligatoria.

Del resto, tale norma di salvaguardia, si osserva nella memoria, introduce un divieto temporaneo ponendo un termine, sia pure incertus quando, alla sua durata, e ciò basterebbe ad escludere la configurabilità di una limitazione di carattere espropriativo costituzionalmente illegittima perchè imposta senza indennizzo.

Si rileva, altresì, che i beni aventi valore paesistico costituiscono una categoria originariamente di interesse pubblico, rispetto alla quale la giurisprudenza costituzionale ha escluso la equiparazione dei vincoli imposti con provvedimenti amministrativi e delle espropriazioni soggette all'obbligo della corresponsione di un indennizzo.

Quanto al rilievo secondo cui il vincolo paesaggistico può essere imposto solo con riferimento a beni ed aree determinati, si osserva nella memoria che, essendo il P.U.T. un piano territoriale di coordinamento, ben potrebbe comprendere nel proprio perimetro una porzione del territorio regionale più ampia di quella soggetta a tutela paesaggistica dall'art. 1 della legge n. 431 del 1985. Se non si ammettesse tale possibilità, dovrebbe ritenersi priva di senso la distinzione tra P.U.T. e piano paesistico.

2. - Una questione sostanzialmente identica è stata sollevata, in riferimento agli artt. 117, primo comma, e 42, secondo comma, nonchè, come si evince dalla parte motiva della ordinanza, terzo comma, della Costituzione, con ordinanza emessa il 12 novembre 1993 (R.O. n.457 del 1994), dal Pretore di Salerno - sezione distaccata di Cava dei Tirreni -. Questi, nel richiamare la predetta ordinanza del g.i.p. presso la pretura di Salerno, osserva, in particolare, che il piano urbanistico territoriale, la cui finalità, all'art. 3 della legge impugnata, è espressamente indicata nella "considerazione dei valori paesistici ed ambientali", esorbiterebbe da tale programmatica premessa, ricomprendendo nei vincoli previsti l'intero territorio di 34 comuni, e quindi involgendo più direttamente la tutela di interessi di tipo urbanistico-edilizio, ed operando una inammissibile commistione tra le due discipline, quella paesaggistica e quel la urbanistica. In tal modo il diritto di proprietà verrebbe sottoposto ad un vincolo esorbitante dai limiti posti dall'art. 1 della legge n. 10 del 1977 e dall'art. 42 della Costituzione, con compressione del diritto stesso indefinita nel termine finale, determinata non dalla legge nè da un atto amministrativo, ma solo dall'inerzia dell'amministrazione, e non correlata ad un indennizzo.

Quanto meno, secondo il remittente, la norma censurata avrebbe dovuto stabilire una differente regolamentazione delle zone sottoposte a vincolo paesistico e di quelle vincolate dal punto di vista urbanistico.

2.1. - Anche nel secondo giudizio è intervenuto il Presidente della giunta regionale della Campania, sostenendo la infondatezza della questione. Al riguardo, premesso il rilievo sulla nozione unitaria di ambiente, al di là della distinzione degli ambiti ambientale ed urbanistico, entrambi caratterizzati dalla esigenza primaria di tutelare la qualità della vita nelle sue molteplici manifestazioni, nella memoria si osserva che la disposizione regionale, attuativa della legge generale sull'ambiente, opera su un piano di tutela di interessi pubblici prevalente su quello al quale afferiscono interessi urbanistici, e che un regime di salvaguardia risulta imprescindibile ove si voglia conservare alla legge n. 431 del 1985 la capacità effettiva di incidere sulle attività umane dotate di "naturale aggressività" verso l'ambiente. Tale regime è, comunque, transitorio in quanto rigorosamente circoscritto al periodo di tempo intercorrente tra l'entrata in vigore del piano urbanistico territoriale e l'approvazione dei piani regolatori generali dei comuni ricadenti nel territorio protetto. Del resto, si conclude, l'adozione dei piani regolatori generali, con tutto ciò che vi è connesso anche relativamente all'esercizio di poteri sostitutivi in caso di inerzia da parte dei comuni, resta regolata dalla legge n. 10 del 1977.

2.2. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica l'Avvocatura della Regione Campania ha depositato, in relazione alla questione sollevata con ordinanza n. 457 del 1994, una memoria con la quale ha eccepito la inammissibilità per difetto di rilevanza della questione stessa, della quale ha comunque ribadito la infondatezza.

Sotto il primo profilo, si osserva che una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale della norma impugnata non avrebbe l'effetto, come ritenuto dal giudice a quo, di modificare l'imputazione da quella di cui alla lett.c) in quella di cui alla lett. b) dell'art. 20 della legge n.47 del 1985.

Nel merito, la difesa della Regione, nel rinviare a quanto sostenuto nella precedente memoria, rileva una tautologia nell'iter argomentativo del remittente, secondo il quale, posta, in modo assiomatico, la natura urbanistica del vincolo in questione, il suo regime dovrebbe essere quello tipico del piano regolatore, e cioé di un atto a contenuto generale che, imponendo limitazioni alla proprietà, prevede altresì deroghe ad essa mediante atti singolari.

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi introdotti con le ordinanze di cui in epigrafe presentano sostanziale identità di questioni, e possono, pertanto, essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2.- I remittenti dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35, con la quale è stato approvato il piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana, nella parte in cui detta norma vieta il rilascio di concessioni edilizie per tutti i comuni dell'area interessata fino all'approvazione dei piani regolatori generali comunali adeguati al citato piano regionale.

Tale disposizione violerebbe l'art. 117, primo comma, della Costituzione, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, che operano quale limite alla potestà legislativa regionale, ed in particolare:

a) con l'art. 1 bis della legge statale 8 agosto 1985, n. 431 (rectius, art. 1 bis del d.l. 27 giugno 1985, n.312, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n.431), a norma del quale il vincolo paesaggistico può essere imposto solo con riferimento a beni ed aree determinate, e non, indiscriminatamente, sull'intera area presa in considerazione dalla legge regionale impugnata;

b) con gli artt. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e 82, comma nono, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 - aggiunto dall'art. 1 del citato d.l. n. 312 del 1985, come sostituito dalla legge di conversione n. 431 del 1985 -, i quali prevedono la derogabilità del vincolo in forza di apposita autorizzazione.

I remittenti deducono, altresì, la lesione dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione, sotto il profilo della compressione sine die del diritto di proprietà, e, quindi, della sostanziale abrogazione dello ius aedificandi, che, invece, secondo la legislazione statale, alla stregua dell'art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, può essere esercitato previa concessione amministrativa.

A tali rilievi, nella ordinanza R.O. n. 457 del 1994, emessa dal Pretore di Salerno - sezione distaccata di Cava dei Tirreni - si aggiunge il sospetto di incostituzionalità della disposizione in questione per la mancata correlazione della compressione della proprietà ad un indennizzo. Deve, pertanto, pur in assenza di espressa menzione nel dispositivo, ritenersi estesa la censura anche al terzo comma dell'art. 42 della Costituzione.

3. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza sollevata dalla Regione Campania con riferimento alla ordinanza R.O. n. 457 del 1994, secondo la quale la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata non avrebbe influenza nel giudizio a quo, poichè non comporterebbe, contrariamente a quanto ritenuto dal remittente, la modificazione della originaria imputazione.

L'eccezione è infondata.

La norma censurata introduce un regime di inedificabilità in zone precedentemente non sottoposte a vincolo in base alla legislazione statale. Pertanto, la sua applicazione costituisce, nel giudizio a quo, il presupposto del contestato reato di cui all'art. 20, lett.c), consistente nella realizzazione, in assenza di concessione, di interventi edilizi in zona vincolata. Ne deriva la rilevanza della questione, poichè la eventuale sopravvenuta illegittimità del vincolo disposto dalla norma di cui si tratta si rifletterebbe sulla fattispecie sottoposta all'esame del remittente, che potrebbe degradare nella più lieve ipotesi contravvenzionale di esecuzione di lavori in assenza di concessione, di cui all'art. 20, lett. b), della citata legge n. 47 del 1985.

4. - Nel merito le questioni non sono fondate.

L'art. 5 della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 dispone, al primo comma, che "dalla data di entrata in vigore del piano urbanistico territoriale e sino all'approvazione dei piani regolatori generali comunali (ivi incluse le obbligatorie varianti generali di adeguamento ai piani regolatori generali eventualmente vigenti), per tutti i comuni dell'area è vietato il rilascio di concessioni ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Sono escluse da tale divieto le concessioni relative a opere di edilizia pubblica (residenziale, scolastica, sanitaria, ecc.) che comunque dovranno essere conformi alla normativa urbanistica all'atto vigente, e munite del parere di conformità della giunta regionale".

Siffatto vincolo di inedificabilità, esteso all'intero territorio compreso nel piano, secondo i remittenti, sarebbe imposto dalla Regione in violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in quanto esorbitante dai limiti derivanti dai principi fondamentali della legislazione statale nella materia.

5. - Il primo dei principi violati sarebbe quello desumibile dall'art. 1 bis del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431.

Detta norma consentirebbe, infatti, l'intervento delle regioni soltanto con riferimento ai beni ed alle aree elencate dal quinto comma dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 come integrato dall'art. 1 della legge n. 431 del 1985, che non potrebbero coincidere con l'intera superficie dei trentaquattro comuni costituenti l'area investita dal piano in questione.

5.1. - Al riguardo, appare opportuna una premessa sulle finalità di detta legge, ripetutamente poste in luce dalla giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 67 del 1992, ord. n.431 del 1991, sent. n. 151 del 1986).

Allo scopo di apprestare una più efficace protezione dei beni ambientali, la ora ricordata legge n. 431 ha seguito un criterio che si discosta nettamente da quello che aveva ispirato disciplina e tutela delle bellezze naturali nella legge 23 giugno 1939, n. 1497. Invece di limitarsi ad interventi diretti alla preservazione di cose e di località di particolare pregio singolarmente considerate, essa ha previsto vincoli paesaggistici generalizzati, in ordine a vaste porzioni e numerosi elementi del territorio individuati secondo tipologie paesistiche, ubicazionali o morfologiche, indicate all'art. 1, che integra l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977; con una scelta la cui ratio sta nella introduzione di una tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità.

5.2. - Il concetto tradizionale di paesaggio ha subito, quindi, una trasformazione, evolvendo verso un allargamento dell'area della tutela riferibile al complesso dei valori inerenti al territorio, con il conseguente intrinseco collegamento di paesaggio e di strutture urbane (edilizie, sociali, produttive) e allargamento della disciplina urbanistica, cui già l'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuiva una funzione di protezione ambientale accanto a quella originaria di assetto e di sviluppo edilizio dei centri abitati.

Le due funzioni, quella di pianificazione paesistica e quella di pianificazione urbanistica, restano pur sempre ontologicamente distinte, avendo obiettivi, in linea di principio, diversi, da ricollegare, sostanzialmente, per la prima, alla tutela dei valori estetico-culturali, per la seconda alla gestione del territorio a fini economico-sociali.

La riferita concezione "dinamica" del paesaggio, e la più ampia apertura del concetto di urbanistica, hanno avuto per risultato una sorta di mutualità integrativa, per effetto della quale la tutela dei valori paesaggistico-ambientali si realizza anche attraverso la pianificazione urbanistica. É propriamente in questo ambito e in questa funzione che si colloca ed opera la legge n. 431 del 1985, quando, con l'aggiunta dell'art. 1 bis al d.l. n. 312 del 1985, dispone che "le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico- territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali....". Si è, in tal modo, riconosciuta la possibilità che il perseguimento della tutela paesaggistica avvenga attraverso l'impiego di piani paesistici ovvero di piani urbanistici a valenza paesaggistica.

Sulla diversa natura, e tuttavia sulla integrabilità del fine protettivo dei valori ambientali, ricorrente in entrambi i menzionati piani, questa Corte si è già in altra occasione soffermata (sent n. 327 del 1990), osservando che il piano urbanistico territoriale è comunque uno strumento di pianificazione urbanistica, che trova il proprio nucleo iniziale di disciplina nei "piani territoriali di coordinamento" previsti dall'art. 5 della legge n. 1150 del 1942, mentre il fondamento normativo dei piani paesistici si rinviene nell'art. 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, relativa alla protezione delle bellezze naturali, e nell'art.23 del regio-decreto 3 giugno 1940, n. 1357.

5.3. - Tale premessa rende ragione della non fondatezza della questione sollevata, con riferimento alla pretesa esorbitanza dai limiti posti dall'art. 1 bis del d.l. n. 312 del 1985 dell'imposizione con legge regionale di un generalizzato vincolo di inedificabilità. Se è vero, infatti, che tale disposizione riferisce il piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali - al pari del piano paesistico - ai "beni ed alle aree elencati nel quinto comma dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", è pur vero, come già rilevato nella citata sentenza n. 327 del 1990, che la limitazione della disciplina alle sole predette zone risulta estranea agli strumenti di pianificazione urbanistica, la cui efficacia è "normalmente orientata verso l'assetto dell'intero territorio di spettanza dell'ente investito del potere di pianificazione". Pertanto, il riferimento del citato art. 1 bis alle categorie di beni sottoposti a specifica tutela paesaggistica non può essere correttamente inteso come "limitativo delle ordinarie competenze regionali in materia urbanistica".

Al contrario, se la regione non può prescindere, nei propri strumenti programmatici, dalla tutela dei valori paesistico-ambientali, essa ben può, nell'esercizio delle sue competenze urbanistiche, prendere in considerazione tali valori, con automatico ampliamento dell'efficacia dello strumento ad aree non comprese nella disciplina della legge n. 431. Al riguardo, la Corte ha già avuto modo di sottolineare come la protezione preordinata da tale legge sia pur sempre "minimale" e non escluda nè precluda "normative regionali di maggiore o pari efficienza" (sentt. nn. 327 del 1990, 151 del 1986), in una visione organica del territorio e dei valori sottostanti alla disciplina dell'uso dello stesso.

6. - Nemmeno è fondata la censura che lamenta l'inosservanza dei principi affermati dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939 e 82, nono comma (introdotto dall'art. 1 del d.l. n. 312 del 1985, come sostituito dalla legge di conversione n. 431 del 1985), del d.P.R. n.616 del 1977, che consentono la derogabilità del vincolo paesaggistico in forza di apposita autorizzazione, mentre analoga possibilità non è contemplata dall'art. 5 della legge regionale della Campania n. 35 del 1987.

Il divieto di rilascio di concessioni edilizie nell'area compresa nel piano urbanistico territoriale della Campania, disposto dalla norma impugnata - che, come si vedrà più avanti, non ha carattere assoluto nè temporalmente illimitato - è una misura di salvaguardia, prodromica all'approvazione dei piani regolatori generali comunali ovvero all'adeguamento di quelli eventualmente vigenti alle prescrizioni del piano urbanistico territoriale, a tutela dei valori ambientali, dei quali si vuole evitare una menomazione che pregiudichi in via definitiva l'efficacia del procedimento di pianificazione in corso. Si tratta di un vincolo che discende dalla stessa facoltà, riconosciuta alla regione, di apprestare una più penetrante tutela ambientale, e la cui temporanea inderogabilità costituisce il corollario di detta facoltà.

7. - Infondate sono, infine, le censure sollevate con riferimento all'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.

Quanto al secondo comma, le ordinanze, rilevato che tale norma riconosce e garantisce la proprietà privata, riservando alla legge statale di determinarne i modi di godimento, osservano che la legge 28 gennaio 1977, n. 10, pur sostituendo il regime di autorizzazione con quello di concessione dello ius aedificandi, ha espressamente riconosciuto il diritto del proprietario di edificare sul proprio terreno, purchè questo venga esercitato nel rispetto dei valori territoriali e con la partecipazione agli oneri relativi all'attività edilizia che si intende intraprendere (art. 1 legge n. 10 del 1977). La legge statale ha, quindi, previsto una dettagliata procedura per il rilascio della concessione edilizia. Viceversa, la legge della regione Campania n.35 del 1987, all'art. 5, renderebbe praticamente irrealizzabile lo ius aedificandi in tutto il territorio dei trentaquattro comuni interessati al piano urbanistico territoriale, precludendo ai rispettivi sindaci l'esercizio del potere-dovere di esaminare le richieste di concessioni edilizie; in tal modo di fatto si abrogherebbe la citata legge statale n. 10 del 1977, esercitandosi dalla regione quel potere di determinare i modi di godimento della proprietà privata, riservato dalla Costituzione esclusivamente alla legge statale.

Il Pretore di Salerno aggiunge - in tal modo implicitamente invocando il parametro di cui all'art. 42, terzo comma, della Costituzione - l'ulteriore rilievo che il vincolo imposto dalla norma censurata sottopone la proprietà ad una compressione indefinita nel termine finale, che, come tale, dovrebbe essere correlata ad un indennizzo; compressione non determinata da una legge, nè da un atto amministrativo, ma soltanto dall'inerzia dell'amministrazione, sotto la specie della mancata adozione - o del mancato adeguamento - dei piani regolatori generali. Il che determinerebbe un pro crastinarsi infinito del vincolo in questione.

7.1. - Al riguardo, la Corte rileva anzitutto che, se è vero che le regioni non hanno competenza a legiferare in materia di diritto privato, tale preclusione concerne i rapporti intersoggettivi da cui i diritti stessi derivano, mentre, per quanto attiene alla normazione conformativa del contenuto dei diritti di proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale, la riserva di legge stabilita dall'art.42 della Costituzione può trovare attuazione anche in leggi regionali nell'ambito delle materie indicate dall'art. 117 della Costituzione (cfr. sent. n. 391 del 1989).

Del resto, nella specie, è una legge statale, la legge n.431 del 1985, ed, in particolare, una norma in essa contenuta - quella che aggiunge l'art. 1 bis al d.l. n. 312 del 1985, che, per ammissione degli stessi remittenti, costituisce principio fondamentale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione - a stabilire il potere, ed anzi il dovere, per le regioni, di redazione di piani urbanistico-territoriali; piani che, avendo per oggetto la disciplina del territorio, comportano limiti al diritto di proprietà. Tali limiti rientrano tra quelli previsti dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione, non potendosi dubitare del collegamento di essi con la funzione sociale della proprietà.

7.2. - Illegittima sarebbe l'imposizione dei predetti vincoli alla utilizzazione edilizia dei suoli se, comportando la assoluta inedificabilità - in via definitiva, o anche in via temporanea ma senza alcuna prefissione del termine finale di durata - non prevedesse la corresponsione di un in dennizzo.

Ma, come già accennato, la censurata restrizione del diritto di proprietà derivante dall'art. 5 della legge della regione Campania n. 35 del 1987 cede rispetto a qualificate categorie di opere e a costruzioni perseguenti anche finalità pubbliche, e non è indefinita nel tempo.

Sotto il primo profilo, va osservato che la norma, sin dall'origine, ha escluso dal divieto di rilascio di concessioni quelle relative ad opere di edilizia pubblica (residenziale, scolastica, sanitaria, ecc.). Nella formulazione conseguente alle modifiche apportate con legge regionale 1° luglio 1993, n. 22, la esclusione si estende alle "concessioni relative agli interventi costruttivi delle cooperative edilizie dotate di finanziamento...", a quelle relative agli interventi in aree agricole ed insediamenti residenziali e produttivi, nonchè agli interventi a rete (illuminazioni, acquedotti, fognature).

7.3. - Nè può affermarsi, infine, che il divieto di rilascio di concessioni disposto dalla norma sia temporalmente illimitato.

Secondo quanto affermato da questa Corte (sentt. nn. 186 del 1993; 141 del 1992; 1164 del 1988), i vincoli che comportino l'inedificabilità delle aree assumono carattere sostanzialmente espropriativo se non sono adeguatamente delimitati nel tempo: pertanto, le norme che li prevedono, ove non ne dispongano l'indennizzabilità, debbono circoscriverne la durata entro limiti ragionevoli.

Nella specie, la temporaneità dei vincoli risulta dalla congiunta operatività della legislazione regionale e di quella statale, che prevedono una serie di misure, dall'obbligatorio adempimento di attività amministrative sino ai poteri sostitutivi nei confronti degli enti inadempienti, idonee ad assicurare che comunque, entro un ragionevole limite temporale, il termine di validità della norma di salvaguardia si compia con la realizzazione degli strumenti urbanistici richiesti.

L'art. 35 della stessa legge regionale della Campania n. 35 del 1987 obbliga, infatti, i comuni, i cui territori ricadono in tutto o in parte nell'ambito del piano urbanistico territoriale, ad adeguare alle prescrizioni in esso contenute, entro centottanta giorni dalla pubblicazione della legge, i piani regolatori generali vigenti, prevedendo, in caso di inadempimento, un potere sostitutivo "dell'ente delegato competente" (e cioé, a norma dell'art. 23 della legge regionale n. 54 del 1980, le comunità montane, e, per i comuni non compresi in esse, le province).

Per il caso di mancata adozione del piano regolatore generale comunale, la legislazione statale prevedeva forme e modalità di esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti dei comuni inadempienti, indicando, all'art. 8 della legge n.1150 del 1942, nel prefetto l'organo competente alla nomina di un commissario. L'adozione di tali misure è stata, poi, trasferita alle regioni con l'art. 1 del d.P.R. n. 8 del 1972.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana), sollevate, in riferimento agli artt. 117, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Salerno, e in riferimento agli artt. 117, primo comma, e 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, dal Pretore di Salerno - sezione distaccata di Cava dei Tirreni - con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/10/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Gabriele Pescatore, Redattore

Depositata in cancelleria il 07 Novembre 1994.