Sentenza n. 141 del 1992

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SENTENZA N. 141

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 bis, primo e secondo comma, aggiunto al decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901 (Proroga della vigenza di taluni termini in materia di lavori pubblici), dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42, promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1990 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel ricorso proposto da Paolo Stramacci ed altra contro il Comune di Roma iscritta al n. 633 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di costituzione di Paolo Stramacci ed altra, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 febbraio 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

udito l'avvocato Giuseppe Lavitola e l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza 22 novembre 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 42, secondo e terzo comma, della Costituzione dell'art. 1 bis, aggiunto al d.l.22 dicembre 1984, n. 901, dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n.42. Il primo comma di tale articolo dispone che "l'attuazione dei piani di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 e successive modifiche e integrazioni, i quali scadono entro il 31 dicembre 1987, può essere portata a compimento qualora entro sei mesi dalla data di scadenza siano adottati gli atti o iniziati i procedimenti comunque preordinati all'acquisizione delle aree o all'attuazione degl'interventi"; il secondo comma stabilisce che, per i piani scaduti prima della data di entrata in vigore della legge n.42 del 1985, il termine di sei mesi decorre da tale data e sono fatti salvi gli atti e i procedimenti precedentemente adottati o iniziati.

Nell'ordinanza si premette che il giudizio a quo aveva ad oggetto l'impugnativa di una deliberazione della giunta del Comune di Roma, in data 7 agosto 1985, con la quale si era avviato il procedimento di espropriazione per pubblica utilità delle aree occorrenti per la realizzazione di un piano di zona destinato ad edilizia economica e popolare, con l'autorizzazione del deposito presso la segreteria comunale dell'elenco dei proprietari interessati, nonchè della planimetria catastale del piano regolatore generale e della mappa catastale, sulla quale sono indicate le aree da espropriare. Il piano suddetto era stato approvato l'11 agosto 1964; la sua efficacia temporale, - pari a diciotto anni in base all'art. 51 L. 5 agosto 1978, n. 457, con l'aggiunta di ulteriori due anni per effetto del decreto del presidente della Giunta regionale del Lazio n. 1383 dell'8 luglio 1982 -, era scaduta l'11 agosto 1984.

Secondo il giudice a quo, mentre non è sindacabile la scelta legislativa di ritenere idoneo alla reviviscenza o al protrarsi dei vincoli preordinati all'espropriazione, un qualunque atto relativo all'acquisizione delle aree o all'attuazione degl'interventi, viola l'art. 42 Cost. la mancata previsione di termini entro i quali concludere la procedura espropriativa, a pena di decadenza dei vincoli costituiti sulle proprietà interessate.

Inoltre, secondo il giudice remittente, anche se la diversa finalità che possono avere i vincoli non consente di ritenere violato, in linea di principio, l'art. 3 Cost. per la differente durata della loro validità (cinque anni per i vincoli derivanti dai piani regolatori; dieci per i vincoli derivanti dai piani particolareggiati; diciotto anni, fino alla legge n. 42 del 1985, per i vincoli derivanti dai piani di edilizia economica e popolare), tuttavia l'art. 1 bis impugnato, violerebbe anche l'art. 3 Cost., in quanto attribuisce ai vincoli derivanti dai piani di edilizia economica e popolare una durata così notevolmente differenziata rispetto al piano particolareggiato, cui è pure legislativamente equiparato.

Davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo in via pregiudiziale l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza. Nel merito ne ha dedotto la non fondatezza, osservando che, a norma dell'art. 1 bis del d.l. n. 901 del 1984, poichè il procedimento di espropriazione è composto da atti tipici, soltanto questi atti sono in grado di restituire efficacia ai piani di edilizia economica e popolare, e sono i tempi della loro sequenza procedimentale ad assicurare la tutela della proprietà.

Nell'atto di costituzione si afferma al riguardo che non esiste un principio costituzionale che imponga di delimitare temporalmente i procedimenti espropriativi e - anche se esistesse - "l'ordinanza del tribunale amministrativo regionale risulterebbe viziata da un errore di prospettiva, perchè l'illegittimità riguarderebbe non la norma censurata, ma la normativa di rinvio che concerne l'esecuzione dei procedimenti espropriativi". Nè sarebbe fondata l'eccezione di costituzionalità basata sull'art. 3 Cost., poichè la diversa natura e la diversa finalità dei vari vincoli giustificano una diversa durata degli stessi, secondo valutazioni rimesse alla discrezionalità del legislatore.

Si sono costituiti dinanzi a questa Corte i proprietari dei suoli inseriti nei piani di edilizia economica e popolare, ricorrenti nel giudizio a quo, concludendo per la declaratoria d'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.

Nell'atto di costituzione si sottolinea che la questione è certamente rilevante nel giudizio a quo; essa, poi non sarebbe manifestamente infondata, sulla base della giurisprudenza di questa Corte che ha sancito, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, l'illegittimità di una mancata delimitazione nel tempo dei vincoli preordinati all'espropriazione.

Se ne sostiene, altresì, l'illegittimità costituzionale in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo che non sarebbe ragionevole la indefinita durata del piano per l'edilizia economica e popolare rispetto agli altri piani di edilizia, considerata anche la sua equiparazione al piano particolareggiato.

Considerato in diritto

Questa Corte è chiamata a decidere se l'art. 1 bis, aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901, dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n.42 - disponendo che l'attuazione dei piani di cui alla l. 18 aprile 1962, n.167 e successive modifiche e integrazioni, i quali scadono entro il 31 dicembre 1987, può essere portata a compimento qualora entro sei mesi dalla data di scadenza siano adottati gli atti o iniziati i procedimenti comunque preordinati all'acquisizione delle aree o all'attuazione degl'interventi e che, per i piani scaduti prima dell'entrata in vigore di essa legge n. 42 del 1985, il termine di sei mesi decorre da tale data - contrasti:

a) con l'art. 42 Cost., avendo disposto il protrarsi o la reviviscenza dei vincoli preordinati all'espropriazione, in connessione al compimento di un qualunque atto preordinato all'acquisizione delle aree e all'attuazione degl'interventi, senza la previsione di alcun termine per la conclusione della procedura espropriativa, a pena di decadenza dei vincoli costituiti sulle proprietà interessate;

b) con l'art. 3 Cost., in quanto attribuisce ai vincoli derivanti dai piani di edilizia economica e popolare una durata così notevolmente differenziata, rispetto a quelli derivanti dagli altri piani di zona, da apparire priva di ragionevolezza.

2. In via preliminare va respinta l'eccezione d'inammissibilità della questione, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato sotto il profilo del difetto di motivazione circa la rilevanza, per non avere il giudice remittente tenuto conto dell'eccezione, proposta nel giudizio a quo, d'inammissibilità del ricorso, in quanto promosso contro un atto preparatorio, inidoneo a produrre una lesione attuale dell'interesse dedotto in giudizio.

Invero, ogni valutazione in proposito è riservata al giudice remittente che, affermando l'idoneità degli atti impugnati a determinare la "reviviscenza" del piano, sul quale si controverte nel giudizio a quo, ha implicitamente rigettato l'eccezione suddetta.

Sotto tale profilo appare esauriente l'apprezzamento circa l'attitudine a produrre tale effetto della deliberazione della giunta municipale di Roma in data 7 agosto 1985, relativa alla espropriazione delle aree occorrenti per la realizzazione del piano di zona n. 18, e dell'avviso di espropriazione ex art. 10 della l. 22 ottobre 1971, n. 865.

In relazione all'impugnazione di essi il giudice remittente ha adeguatamente motivato la rilevanza della questione, deducendo che il piano in questione è scaduto l'11 agosto 1984 e la previsione della sua "reviviscenza" rientra nell'ambito e negli effetti della norma impugnata, in correlazione con gli atti suddetti.

3. Nell'esame del merito appaiono superabili i dubbi di violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione.

É stato rilevato che l'art. 1-bis del d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 (dal quale trarrebbe base la illimitata estensione temporale dell'efficacia dei piani per l'edilizia economica e popolare) connette la prosecuzione dell'efficacia di tali piani all'adozione di atti o all'inizio di procedimenti qualificati, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge impugnata. Così disponendo, la norma "impone l'osservanza di limiti cronologici ben determinati entro i quali debbono esplicarsi gli adempimenti dell'autorità amministrativa, intesi a mantenere in vita la procedura di attuazione"; quindi "il timore di un vincolo della proprietà privata protratto indefinitamente nel tempo non ha ragione di essere" (Cass.15 maggio 1990, n. 4177).

É da aggiungere che ai nuovi adempimenti previsti dalla legge si collegano atti e procedimenti successivi e conseguenti idonei a garantire la tutela delle posizioni soggettive interessate. L'Avvocatura generale dello stato ha segnalato questa situazione, riferendosi, nel suo intervento, ad atti tipici, che caratterizzano il procedimento di espropriazione, con i tempi della loro sequenza procedimentale, idonei a tutelare la proprietà.

Tra tali atti è da richiamare quello di fissazione dei termini per l'inizio e l'ultimazione delle espropriazioni e dei lavori, connaturale ad ogni procedimento espropriativo secondo una regola rimasta ferma anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 865 del 1971 (cfr. Corte costituzionale sent. 21 dicembre 1985, n. 355).

L'esigenza di delimitare nel tempo l'esercizio della potestà di espropriazione si pone con particolare vigore nell'ipotesi che la dichiarazione di pubblica utilità sia contenuta direttamente nella legge o si riferisca a determinate categorie di opere, quando manchi, cioè, uno specifico atto amministrativo che dichiari la pubblica utilità.

In tali casi, secondo un fondato indirizzo giurisprudenziale, la fissazione dei termini è legittimamente contenuta in un atto il più possibile coevo all'inizio dell'attività amministrativa con finalità ablatorie.

Non sfugge a questa Corte il diffuso orientamento della giurisprudenza (richiamato anche nell'ordinanza di rimessione) circa la non applicabilità del principio della fissazione dei termini nei procedimenti inerenti ai piani per l'edilizia economica e popolare.

É da rilevare in contrario che, in questo settore, l'osservanza della determinazione cronologica non è esclusa da alcuna espressa norma; nè una tale esclusione si può dedurre da quella - o da quelle norme - che stabiliscono la durata globale del piano, dato che così si provvede non già a regolare fasi del procedimento espropriativo, ma a determinare effetti concernenti programmi di intervento nei confronti di tutti gli eventuali interessati. La fissazione del termine iniziale e finale si deve, invece, esplicare necessariamente nella fase di concreta realizzazione del piano (che, com'è noto, è di lunga proiezione temporale), nella sua funzione di elemento intrinseco alle modalità attuative, a fini di garanzia specifica dei soggetti individuati e in concreto implicati.

L'"emergenza abitativa" ha dato luogo, con l'adozione dei piani di edilizia, dei quali è questione, ad una previsione programmata ed estesa di interventi, con obiettivi qualitativi e quantitativi talora non compiutamente definiti, anche in riferimento ai modi e ai mezzi della loro realizzazione, sì che nella fase attuativa occorre garantire il rispetto delle regole di tutela delle posizioni soggettive fondamentali.

Poichè dal sistema sono deducibili regole per tale garanzia, può concludersi per la non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, delle censure di illegittimità costituzionale prospettate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, relative agli artt. 3 e 42 della Costituzione, connesse alla affermazione della durata indefinita del piano per quanto concerne l'acquisizione delle aree e l'attuazione degli interventi di edilizia economica e popolare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 bis, primo e secondo comma, aggiunto al decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901 (Proroga della vigenza di taluni termini in materia di lavori pubblici) dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/03/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 30 marzo del 1992.