Sentenza n. 82/98

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SENTENZA N.82

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 73 della legge regionale delle Marche 24 ottobre 1981, n. 31 (Norme per la disciplina della contabilità, la utilizzazione e la gestione del patrimonio delle unità sanitarie locali), promossi con ordinanze emesse il 17 dicembre 1996 (n. 3 ordinanze) e l’11 febbraio 1997 (n. 5 ordinanze) dal Tribunale di Camerino ed il 27 marzo 1997 dal Tribunale di Milano, rispettivamente iscritte ai nn. 224, 225, 226, 310, 311, 312, 313, 314 e 377 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19, 24 e 26, prima serie speciale dell’anno 1997;

  udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di vari procedimenti instaurati nei confronti di unità sanitarie locali della Regione Marche per ottenere il pagamento del corrispettivo di forniture e dei relativi interessi, il Tribunale di Camerino, con otto ordinanze del medesimo tenore, emesse in data 17 dicembre 1996 e 11 febbraio 1997, pervenute a questa Corte il 17 marzo 1997 (R.O. nn. 224, 225, 226 del 1997) e il 12 maggio 1997 (R.O. nn. 310, 311, 312, 313, 314 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 117 della Costituzione, dell’art. 73 della legge regionale delle Marche 24 ottobre 1981, n. 31 (Norme per la disciplina della contabilità, la utilizzazione e la gestione del patrimonio delle unità sanitarie locali).

Il Tribunale, dopo avere accertato il fondamento delle domande e condannato, con sentenze non definitive, le USL al pagamento dei corrispettivi dovuti per le forniture eseguite, quanto agli interessi moratori, che trovano titolo nell’inadempimento delle parti convenute, osserva che la relativa domanda andrebbe accolta nei limiti stabiliti dall’art. 73 della legge regionale delle Marche n. 31 del 1981, a tenore del quale sono dovuti ai fornitori, in caso di ritardo nell’emissione del titolo di spesa, gli interessi moratori nella misura del tasso ufficiale di sconto, e cioé di un tasso diverso da quello legale stabilito dall'art. 1284 del codice civile.

Siffatta disciplina, secondo il remittente, regolerebbe un profilo tipicamente privatistico del diritto delle obbligazioni, in contrasto con l’ambito della potestà legislativa regionale come delimitato dall’art. 117 della Costituzione. L’indicata deroga non potrebbe trovare giustificazione sul terreno degli interessi pubblici sottesi alla normativa regionale di settore, poichè la disciplina della contabilità delle USL in tanto potrebbe rientrare nella materia dell’assistenza sanitaria ed ospedaliera, di competenza regionale, in quanto attenga ai profili pubblicistici, e non anche alla regolamentazione dei rapporti privatistici, nei quali l’ente pubblico agisce jure privatorum.

In materia di determinazione del tasso degli interessi moratori, la generale previsione del codice civile sarebbe bensì derogabile dall’autonomia privata, ovvero per volontà del legislatore nazionale, ma non per opera della legge regionale. Poichè non sarebbe individuabile alcuna ragione che giustifichi una deroga per aree geografiche, ciò consentirebbe di prospettare altresì una violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Il remittente osserva infine che la norma impugnata, benchè abrogata dalla legge regionale 19 novembre 1996, n. 47 (Norme in materia di programmazione, contabilità e controllo delle Aziende sanitarie), continua a regolare i rapporti contrattuali sorti sotto il suo vigore, come quelli sub judice, il che comporta la rilevanza della sollevata questione.

2.— Nel corso di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso a favore di un creditore di una USL marchigiana per fornitura di farmaci, il Tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 27 marzo 1997, pervenuta a questa Corte il 26 maggio 1997 (R.O. n. 377 del 1997), ha a sua volta sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri, del ricordato art. 73 della legge regionale delle Marche n. 31 del 1981, "nella parte in cui prevede che ‘in caso di ritardo spettano al fornitore … gli interessi computati a norma del primo comma’, e, dunque, ‘nella misura del tasso ufficiale di sconto’".

La questione, sollevata su istanza della USL opponente, sarebbe rilevante perchè dovrebbe farsi applicazione degli interessi di mora nella misura fissata dalla citata disposizione di legge regionale, e non nella diversa misura legale fissata dall’art. 1224 del codice civile. Non rileverebbe, in proposito, che il tasso di interesse stabilito dalla legge regionale – come ha fatto osservare la convenuta opposta, la quale ha sostenuto per questo l’irrilevanza della questione – sia stato in concreto, per quasi tutto il periodo considerato, inferiore al tasso legale, e quindi più favorevole proprio alla parte che ha sollevato l’eccezione: la rilevanza della questione prescinde infatti, secondo quanto osserva il remittente, dalle convenienze delle parti e attiene unicamente alla necessità della applicazione della norma sospettata di illegittimità costituzionale.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ricorda la giurisprudenza di questa Corte sul limite del diritto privato che incontrano le Regioni nell’esercizio della propria competenza legislativa, limite basato sull’esigenza di garantire in tutto il territorio nazionale uniformità di disciplina e di trattamento ai rapporti fra soggetti privati. A suo avviso la normativa in questione sembrerebbe porre una deroga alla disciplina di cui all’art. 1224 del codice civile, stabilendo che per una determinata categoria di contraenti, pur sempre privati, la mora nelle obbligazioni pecuniarie dia luogo al pagamento di interessi non nella misura legale, ma in misura diversa. Tale statuizione apparirebbe dunque in contrasto, da un lato, con il generale principio di eguaglianza, ponendo una determinata categoria di cittadini, vale a dire i fornitori delle USL della Regione Marche, in posizione diversa – non importa se migliore o peggiore – rispetto a tutti gli altri per ciò che attiene alla disciplina dei loro rapporti contrattuali; dall’altro lato con l’art. 117 della Costituzione, rappresentando il risultato di un’attività legislativa posta in essere in violazione dei limiti e in deroga alle materie previste dalla Costituzione.

Considerato in diritto

1.— Le nove ordinanze sollevano sostanzialmente la medesima questione, onde i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.

2.— La questione sollevata investe l’art. 73 della legge regionale delle Marche 24 ottobre 1981, n. 31 (Norme per la disciplina della contabilità, la utilizzazione e la gestione del patrimonio delle unità sanitarie locali). Più precisamente, essa riguarda i commi primo e terzo dell’art. 73, ove si stabilisce che, qualora l’emissione del titolo di spesa a favore del privato contraente, nei contratti di fornitura di beni e servizi alle USL, ritardi oltre il termine di novanta giorni dal ricevimento della fattura o del documento equipollente, o dalla data di approvazione del collaudo (primo comma, in relazione all’art. 72, quinto comma), o, rispettivamente, oltre il termine di trenta giorni dalla emanazione dell’atto con cui é avvenuto il riconoscimento, in sede amministrativa, delle somme contestate (terzo comma), "spettano al fornitore" gli "interessi moratori nella misura del tasso ufficiale di sconto".

Ad avviso dei giudici remittenti, la disposizione in questione, disciplinando il rapporto privatistico fra la USL e il terzo fornitore, travalicherebbe il limite costituzionalmente apposto alla competenza legislativa concorrente della Regione, consistente nel non poter incidere sui rapporti di diritto privato, e violerebbe perciò l’art. 117 della Costituzione, oltre che il principio di eguaglianza di cui all’art. 3, alla cui salvaguardia é inteso detto limite.

3.— La questione é fondata.

Le disposizioni contenute nell'art. 72, quinto comma, e nell'art. 73 della legge regionale delle Marche in esame – oggi abrogata dall'art. 25, comma 1, della legge regionale 19 novembre 1996, n. 47 –, come quelle analoghe contenute in coeve leggi di altre Regioni, tendevano a dare effettività e garanzia di applicazione al principio sancito, in tema di utilizzazione del patrimonio e di contabilità delle unità sanitarie locali, dall'art. 50, primo comma, numero 8, della legge 30 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), secondo cui "i contratti di fornitura non possono essere stipulati con dilazioni di pagamento superiori a 90 giorni": previsione a sua volta presumibilmente ispirata all'intento di evitare la formazione di debiti occulti delle USL, attraverso prassi di pagamenti dilazionati o rinviati nel tempo.

In questo quadro, la legge regionale in questione, dopo aver disposto, conformemente a quanto previsto dal citato art. 50, primo comma, numero 8, della legge n. 833 del 1978, che "i contratti per la fornitura di beni e servizi devono prevedere la clausola del pagamento entro novanta giorni dal ricevimento della fattura o del documento equipollente e comunque dalla data di approvazione del collaudo", o da quella entro la quale il collaudo stesso doveva essere effettuato a norma di contratto (art. 72, quinto comma), prevedeva che qualora in detti contratti l'emissione del titolo di spesa a favore del privato contraente tardasse oltre il termine di cui sopra, ovvero oltre il termine di trenta giorni dal riconoscimento in sede amministrativa delle somme contestate, spettavano al fornitore, per il solo fatto del ritardo, gli "interessi moratori nella misura del tasso ufficiale di sconto", vale a dire in una misura che, all'epoca dell'emanazione della legge, e per molto tempo in seguito, era alquanto superiore al saggio legale, fissato nel cinque per cento dall'art. 1284 del codice civile, nel testo allora vigente. Si tendeva cioé ad assicurare ai fornitori, in caso di ritardo nei pagamenti oltre il termine di dilazione fissato, un ristoro correlato al costo del denaro (analogamente a quanto tuttora dispongono, per i pagamenti relativi agli appalti di opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori pubblici, gli artt. 35 e 36 del capitolato generale d'appalto approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063). Solo quando, da un lato, la legge 26 novembre 1990, n. 353, novellando l'art. 1284 del codice civile, portò il saggio legale degli interessi al dieci per cento (fino a che l'art. 1, comma 185, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, l'ha riportato nuovamente al cinque per cento), e, dall'altro lato, a partire dal 1993, il tasso ufficiale di sconto, a seguito del calo dell'inflazione, si ridusse a una misura inferiore al saggio legale allora in vigore, la norma in questione venne a perdere il suo originario significato di garanzia di un ristoro più consistente per i fornitori, e di ulteriore sollecitazione delle amministrazioni delle USL a non ritardare i pagamenti dovuti.

Ciò può spiegare perchè solo di recente si é posto il problema della costituzionalità delle disposizioni di legge regionale come quella di cui é giudizio. Peraltro la questione di costituzionalità proposta non può che risolversi, al di là degli apprezzamenti circa la funzione pratica cui la norma tendeva o che essa può avere svolto, in base ai principi concernenti i limiti costituzionali alla potestà legislativa regionale.

4.— La giurisprudenza di questa Corte é costante nell'affermare che tale potestà legislativa incontra il limite cosiddetto del diritto privato, fondato sull'esigenza, connessa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati (cfr., fra le molte, le sentenze nn. 462 del 1995; 35 del 1992; 391 del 1989; 154 del 1972).

Non é necessario, per risolvere la presente questione, definire più precisamente l'ambito e la portata, non del tutto pacifici, di detto limite, bastando osservare che esso comporta l'inderogabilità, da parte del legislatore regionale, delle norme dettate dal codice civile per regolare l'esercizio dell'autonomia negoziale privata, sia che si tratti di norme imperative, sia che si tratti di norme destinate a regolare direttamente i rapporti tra soggetti in assenza di diversa volontà negoziale delle parti.

Nella specie, la norma impugnata appare precisamente diretta a fissare la misura degli interessi dovuti nel caso di ritardo nel pagamento dei debiti delle USL verso i propri fornitori, a prescindere da qualsiasi volontà negoziale. Essa non può infatti intendersi come rivolta semplicemente a prefigurare il contenuto di una clausola contrattuale concernente la fissazione, ai sensi dell'art. 1224, secondo comma, del codice civile, della misura degli interessi moratori, e destinata ad operare solo in forza della sua inclusione nel contratto, accettata dalle due parti. La disposizione in questione – a differenza di quelle di cui all'art. 72 della stessa legge regionale, che mirano a disciplinare "condizioni e clausole del contratto", e tendono perciò ad operare attraverso la mediazione della volontà negoziale delle parti – stabilisce direttamente che in caso di ritardo "spettano al fornitore gli interessi moratori nella misura del tasso ufficiale di sconto": la sua formulazione lascia chiaramente intendere che la misura degli interessi é imposta indipendentemente da qualsiasi pattuizione contrattuale.

In altri termini, la legge regionale tende a dettare una disciplina legale della misura del saggio di interesse, destinata a regolare direttamente il rapporto fra la USL e il fornitore, quanto meno con la forza di una statuizione che spiega efficacia in assenza di contraria pattuizione: una disciplina legale che si sostituisce, derogandovi per tutti i contratti soggetti alla predetta legge regionale, a quella derivante dagli artt. 1224 e 1284 del codice civile.

Ma ciò é appunto precluso al legislatore regionale, in quanto va ad incidere sulle regole civilistiche relative all'adempimento delle obbligazioni pecuniarie e alle conseguenze dell'inadempimento delle stesse, regole che ben possono essere derogate dalla volontà negoziale dei contraenti, ma non, in via autoritativa, da una fonte regionale (cfr. sentenza n. 506 del 1991).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, primo e terzo comma, della legge della Regione Marche 24 ottobre 1981, n. 31 (Norme per la disciplina della contabilità, la utilizzazione e la gestione del patrimonio delle unità sanitarie locali).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 1° aprile 1998.