SENTENZA N. 154
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Michele FRAGALI, Presidente
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
Avv. Leonetto AMADEI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge regionale siciliana 2 luglio 1969, n. 20 (applicazione in Sicilia della legge nazionale 22 luglio 1966, n. 607, recante norme in materia d’enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), promossI con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 gennaio 1970 dal tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Ippolito Vincenzo e Lima Mancuso Salvatore, iscritta al n. 44 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 dell'11 marzo 1970 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 9 del 21 febbraio 1970;
2) ordinanza emessa il 21 marzo 1970 dal tribunale d’Agrigento nel procedimento civile vertente tra Urso Pasquale e Casa Giuseppe ed altri, iscritta al n. 198 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1970 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 36 del 25 luglio 1970;
3) ordinanza emessa il 5 maggio 1970 dal pretore di Caltanissetta nel procedimento civile vertente tra Tonelli Pietro e Viviano Giuseppe, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 15 luglio 1970 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 36 del 25 luglio 1970;
4) ordinanza emessa il 25 marzo 1970 dal pretore di Lentini nel procedimento civile vertente tra Barchitta Francesco ed altra e Cutore Recupero Pasquale, iscritta al n. 250 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 16 settembre 1970 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 48 del 31 ottobre 1970;
5) ordinanze emesse il 10 aprile 1970 dal tribunale di Palermo in tre procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Pensato Giuseppe e Andrea, Scozzaro Nicolò, Milazzo Giorgio contro Lima Mancuso Salvatore, iscritte ai nn. 273, 274 e 275 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267 del 21 ottobre 1970 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 48 del 31 ottobre 1970;
6) ordinanze emesse il 27 maggio 1970 dal tribunale di Caltanissetta in sette procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Tonelli Pietro contro Viviano Giuseppe, Falzone Arcangelo, Baldacchino Michele, Falzone Carmelo, Falzone Cataldo, Violo Michele e Falzone Michele, iscritte ai nn. 45, 46, 47, 48, 49, 50 e 51 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 16 del 3 aprile 1971;
7) ordinanza emessa il 21 ottobre 1970 dal pretore di Troina nel procedimento civile vertente tra Squillaci Giovan Battista e Bottitta Francesco ed altro, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 14 luglio 1971 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 33 del 3 luglio 1971;
8) ordinanze emesse il 23 dicembre 1970 dal tribunale di Palermo in due procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Bruno Giuseppe ed altri e Parrino Francesco ed altri contro Starrabba Gaetano di Giardinelli, iscritte ai numeri 317 e 318 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 17 novembre 1971 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 48 del 2 ottobre 1971.
Visti gli atti di costituzione di Lima Mancuso Salvatore, Cutore Recupero Pasquale e Tonelli Pietro e l'atto d'intervento del Presidente della Regione siciliana;
udito nell'udienza pubblica del 4 luglio 1972 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;
uditi gli avvocati Rosario Nicolò e Salvatore Sangiorgi, per il Lima Mancuso, l'avv. Elio Vecchio, per il Cutore Recupero, l'avv. Guido Aula, per il Tonelli, e l'avv. Salvatore Villari, per il Presidente della Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento civile fra Salvatore Lima e Vincenzo Ippolito, avente ad oggetto il pagamento di canoni enfiteutici relativi alle annate 1965-1968, il tribunale di Palermo, accogliendo un'eccezione di parte, ha sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale concernenti la legge regionale siciliana 2 luglio 1969, n. 20, sulla "applicazione in Sicilia della legge nazionale 22 luglio 1966, n. 607, recante norme in materia d’enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue"
Nell'ordinanza di rimessione, emessa il 17 gennaio 1970, si assume che due vizi inficiano la legittimità costituzionale della legge regionale: a) l'incompetenza della Regione siciliana a legiferare nella materia dei rapporti intersubiettivi privati in agricoltura e la conseguente violazione dell'art. 14, lett. a), dello Statuto; b) il contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione per quanto riguarda la "limitazione coattivamente imposta al valore dei canoni enfiteutici".
Sulla prima questione il tribunale, richiamando i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, la sentenza n. 123 del 1957 con la quale venne dichiarata costituzionalmente illegittima una legge votata dall'Assemblea regionale siciliana in materia d’enfiteusi, premette che il potere del legislatore regionale di regolare rapporti privati é del tutto eccezionale ed incontra limiti rigorosi, fra i quali acquista un particolare rilievo quello della temporaneità della disciplina: al qual proposito é decisivo osservare che la legge impugnata, ancorché l'art. 8 ne imponga l'applicazione solo fino a quando non venga emanata sulla stessa materia una legge statale, consente, attraverso il meccanismo dell'affranco, il formarsi di situazioni definitive (ablazione del diritto di proprietà del concedente) sulle quali non potrebbe di certo incidere la futura legge nazionale. A ciò é da aggiungere che la legge regionale de qua, sebbene formalmente presentata (art. 1) come adattamento della legge statale 22 luglio 1966, n. 607, alle particolari condizioni dell'isola, ha arbitrariamente dato efficacia nella Regione a quelle norme che erano state dichiarate illegittime da questa Corte con sentenza n. 37 del 1969. A seguito di tale decisione, infatti, i rapporti enfiteutici derivanti da atti posteriori al 28 ottobre 1941 non ricadevano più nella disciplina di quella legge, ma rientravano nel diritto comune: di modo che l'impugnata legge regionale ha innovato la regolamentazione di un istituto di diritto civile, in contrasto con i principi della legislazione statale. Ulteriori motivi della incompetenza della Regione sono ravvisati dal tribunale nella circostanza che la legge de qua interferisce sull'attività di riforma dei patti agrari (la legge statale n. 607 del 1966 avrebbe, infatti, natura di riforma); nella previsione - contenuta nell'art. 6, inapplicabile nel giudizio a quo, ma risolventesi in un vizio che investe tutta la legge, perché sconvolge nella sua interezza un istituto così come, nel suo complesso, disciplinato dal legislatore statale - della decadenza del concedente dai benefici di cui al d.l.P.R. n. 114 del 1948 nel caso di devoluzione del fondo; nella retroattività della disciplina, che in forza del combinato disposto dell'art. 4 della legge regionale e dell'art. 15 della legge statale si applicherebbe, secondo il tribunale, fin dall'annata agraria 1962-63.
Per quanto riguarda la violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost., l'ordinanza, dopo aver ricordato il dispositivo e la motivazione della sentenza n. 37 del 1969 con la quale venne dichiarata l'illegittimità dell'art. 1 della legge n. 607 del 1966 limitatamente ai rapporti enfiteutici stipulati dopo il 28 ottobre 1941, osserva che l'impugnata legge regionale reintroduce, quanto alla determinazione coattiva dei canoni, una disciplina che, al pari di quella statale dichiarata costituzionalmente illegittima, opera una dissociazione profonda ed incolmabile "fra il momento della incidenza sul diritto colpito" ed "il momento cui va riferito il calcolo del valore". A superare questa dissociazione, infatti, non varrebbe né l'aumento del 10 per cento stabilito dalla legge denunziata né la circostanza che l'art. 1 non fa riferimento a quella qualifica catastale del 1939 che era presa in considerazione dalla corrispondente disposizione della legge statale. Ed invera - così prosegue l'ordinanza - l'espresso richiamo alla rivalutazione prevista dal d.l.C.P.S. n. 356 del 1947 significa richiamo ai criteri del d.l. n. 589 del 1939; né la possibilità' offerta dalla legge regionale, di chiedere la revisione del reddito catastale reca un reale beneficio perché contestualmente (art. 3) si stabilisce che i concedenti sono tenuti in tal caso al pagamento delle imposte in relazione al reddito dominicale riveduto o aggiornato, imponendosi così ad essi un costo che può superare in entità monetaria sia l'aumento del reddito dominicale che la maggiorazione del 10 per cento.
2. - Innanzi a questa Corte si é costituito il sig. Salvatore Lima Mancuso ed é intervenuto il Presidente della Giunta regionale siciliana.
Nell'atto di costituzione del 26 marzo 1970 ed in una successiva memoria depositata il 27 ottobre 1971 la difesa del Lima Mancuso sostiene l'illegittimità della legge denunziata, per tuffi i motivi e sotto tutti i profili messi in evidenza nell'ordinanza di rimessione. In particolare la difesa, richiamando la giurisprudenza di questa Corte e, più specificamente, la sentenza n. 123 del 1957, osserva che le affermazioni contenute in quest'ultima decisione, con la quale fu dichiarata l'illegittimità di un progetto di legge in tema d’enfiteusi approvato dall'Assemblea siciliana, sono pienamente idonee a risolvere anche l'attuale questione di legittimità costituzionale. La legge in esame, infatti, non si mantiene in quei limiti rigorosi che possono giustificare una deroga al principio secondo il quale solo allo Stato é consentito di legiferare in materia di diritto privato: a) a parte la sussistenza di "particolari condizioni ambientali economico-sociali" - sulla quale peraltro non é certo preclusa una possibilità d’indagine da parte di questa Corte -, é certo che una legge la quale incide sul capitale di affranco attraverso la riduzione dei canoni e del coefficiente di capitalizzazione non introduce una disciplina temporanea, ma regola in maniera irreversibile effetti giuridici definitivi, con l'esclusione della possibilità che ad essi, cessata la regolamentazione temporanea, possa poi applicarsi la legislazione statale; b) la legge, entrata in vigore il 5 luglio 1969, si applica quanto meno ai canoni a partire dall'annata agraria 1965-66 se non addirittura a partire dall'annata 62-63, con una retroattività illegittima - così come analogamente si riconobbe nella sentenza n. 123 del 1957 - perché alla Regione é preclusa la regolamentazione di situazioni che trovano nella legislazione statale la loro disciplina (nella specie, contenuta nel codice civile); c) i concedenti vengono privati del beneficio previsto dall'art. 11 d.l.P.R. 114 del 1948, che é da intendersi non solo come riferito alle disposizioni limitatrici della proprietà fondiaria, ma anche come garanzia della conservazione d’efficacia delle enfiteusi rispetto a limitazioni del potere di disposizione dei privati; garanzia che illegittimamente viene meno quando si opera uno svuotamento del contenuto dell'enfiteusi.
La difesa del Lima Mancuso si sofferma poi ampiamente nella dimostrazione della violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. A tal proposito si mette in evidenza che il calcolo del canone in riferimento al classamento esistente al tempo del contratto od al classamento aggiornato su richiesta del concedente non é certamente idoneo a colmare quella dissociazione fra valore e canone che venne riconosciuta da questa Corte come illegittima in occasione del controllo di costituzionalità della legge statale n. 607 del 1966 (sent. n. 37 del 1969), giacché nella legge regionale resta ben fermo, attraverso il richiamo al d.l.C.P.S. n. 356 del 1947, che la determinazione della rendita avviene sempre in rapporto ai valori del 1939: di fronte alla qual constatazione il risibile aumento del 10 per cento appare del tutto insufficiente a superare lo scarto di un quarto di secolo fra il periodo di riferimento della valutazione e quello della sua operatività.
La difesa, infine, porta la sua attenzione sulla circostanza che nelle more del giudizio é entrata in vigore la nuova legge nazionale 18 dicembre 1970, n. 1138, recante "nuove norme in materia di enfiteusi", ma esclude che sia venuta meno la rilevanza dell'attuale questione, giacché la sopravvenuta disciplina statale si applica solo dal 30 gennaio 1971 con la conseguenza che in Sicilia per le annate agrarie anteriori a tale data deve pur sempre trovare applicazione l'impugnata legge regionale.
In una memoria aggiunta dell'8 marzo 1972 la difesa del Lima Mancuso ha ulteriormente illustrato le proprie tesi, mettendo soprattutto in evidenza: a) che la questione di legittimità costituzionale, nonostante la sopravvenienza della legge statale n. 1138 del 1970, conserva la sua rilevanza, giacché la denunziata legge regionale trova applicazione per i canoni enfiteutici, relativi alle annate agrarie anteriori al 1971 e, in forza dell'art. 6, per la decadenza dei benefici concessi dal d.l. 24 febbraio 1948, n. 114; b) che la questione é certamente fondata, giacché la dissociazione fra la determinazione dei canoni (e specialmente fra la determinazione del capitale di affranco) ed il riferimento ai criteri di determinazione dei redditi dominicali non é certo eliminata dalle irrisorie conseguenze della rilevanza del classamento all'epoca della stipula del contratto: sicché ricorrono nella specie le ragioni che la sentenza n. 37 del 1969 di questa Corte pose a fondamento della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge statale n. 607 del 1966.
La difesa della Regione, nell'atto di costituzione del 13 marzo 1970 ed in una successiva memoria del 21 ottobre 1971, contesta i motivi addotti nell'ordinanza di rimessione e sostiene che la denunziata legge 2 luglio 1969, n. 20, rispetta i limiti di competenza del legislatore regionale: emanata in presenza di peculiari e non contestate situazioni locali, drammaticamente messe in evidenza nei lavori preparatori, essa circoscrive la sua efficacia sia in relazione ai fatti disciplinati sia in relazione al tempo. Su quest'ultimo punto é certamente erroneo, ad avviso della difesa, il presupposto dal quale muovono le censure di incostituzionalità, che, cioé, alla Regione sarebbe consentito di disciplinare solo rapporti di durata che si svolgono nel tempo senza esaurirsi in situazioni definitive: ed infatti non solo non ha senso differenziare gli effetti di una legge secondo che questa incida su un rapporto ovvero rispetto ad una situazione definitiva, ma occorre anche rilevare che se quel presupposto fosse esatto si dovrebbe arrivare all'assurdo di ritenere che gli effetti prodotti medio tempore da una legge regionale dovrebbero sempre poter essere caducati dalla successiva legge statale. Quanto alla tesi che con la legge impugnata si sarebbe ridata efficacia in Sicilia ad una normativa già ritenuta illegittima dalla Corte, la difesa osserva che con la legge regionale n. 20 del 1969 si sono introdotte rilevanti modifiche alla legge statale n. 607 del 1966, con una disciplina che é ben diversa da quella colpita dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale e che, appunto per tale diversità, non incorre nella violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost.: la delimitazione massima dei canoni é fatta non sulla base del reddito dominicale riferito alla qualifica catastale del 1939, sibbene sulla base di tale reddito secondo la consistenza catastale al momento della stipula dell'atto, aumentata e rivalutata. Né fondate, ad avviso della Regione, sono le altre censure rivote alla legge: non si determina alcun contrasto con le norme statali a favore della proprietà contadina, perché se il concedente ottiene la devoluzione del fondo o ne viene in possesso a seguito della rinuncia dell'enfiteuta non vi é alcuna ragione di mantenere il privilegio che, ai fini della limitazione dello scorporo, é previsto dall'art. 11 del d.l.P.R. n. 114 del 1948 per una superficie pari a quella dei terreni ceduti in enfiteusi; né si può parlare di illegittima retroattività della legge, perché non é vero che le leggi regionali debbano disporre solo per l'avvenire. Ad ogni modo - così conclude la difesa - quest'ultimo preteso motivo di illegittimità svuota di contenuto l'eccezione generale di competenza, non essendo da solo idoneo a provocare la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'intera legge.
Anche la difesa della Regione svolge alcune considerazioni in ordine alla sopravvenuta legge statale 18 dicembre 1970, n. 1138, che, integrando l'art. 1 della legge n. 607 del 1966, ha determinato la misura dei canoni, per le enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre 1941, secondo la qualifica e la classe del fondo al momento della costituzione del rapporto. A suo avviso la nuova legge toglie ogni dubbio sulla infondatezza delle attuali questioni e, inserendosi nella legge n. 607 del 1966 ed eliminando con ciò la reviviscenza della preesistente normativa di diritto comune, concorre a creare una completa disciplina della materia, nell'ambito della quale la legge regionale realizza un adattamento alle particolari condizioni locali compatibile con la legislazione statale e perciò non soggetta a limite temporale.
3. - Con altre cinque ordinanze (nn. 273, 274 e 275 del 1970, nn. 317 e 318 del 1971) il tribunale di Palermo, in termini analoghi a quelli esposti nell'ordinanza emessa nel procedimento Lima Mancuso-Ippolito, ha proposto le stesse questioni di legittimità costituzionale. Innanzi alla Corte nessuna delle parti si é costituita.
4. - La legge regionale 2 luglio 1969, n. 20, é stata impugnata, specificamente con riguardo agli artt. 1, 2 e 7, anche da sette ordinanze del tribunale di Caltanissetta (ord. nn. 45-51 del 1970), pronunciate nel corso di altrettante controversie aventi ad oggetto la determinazione delle quote di indennità di esproprio, promosse dal sig. Pietro Tonelli contro suoi enfiteuti. La relativa questione di legittimità costituzionale é stata sollevata solo in riferimento all'art. 14 dello Statuto, a proposito del quale il tribunale, richiamata particolarmente la sentenza n. 109 del 1957, osserva che, se é vero che la legge de qua é stata emanata in vista di particolari situazioni contingenti e con una vigenza temporanea, ciò non basta a far ritenere rispettata la competenza statutaria: la Regione, infatti, ha dettato norme in sostituzione di quelle della legge statale n. 607 del 1966 dichiarate dalla Corte costituzionale illegittime, e la valutazione delle particolari circostanze giustificative del provvedimento e della sua temporaneità deve essere demandata al giudice costituzionale.
Innanzi a questa Corte si é costituito, nel solo procedimento contro Arcangelo Falzone, il sig. Pietro Tonelli, il quale chiede che venga dichiarata l'illegittimità delle disposizioni denunziate, sia in riferimento all'art. 14 dello Statuto reg.sic. sia in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
Nell'atto di costituzione del 14 settembre 1970 la difesa del Tonelli, dopo essersi doluta che l'ordinanza non abbia denunziato anche il vizio di legittimità costituzionale derivante dalla violazione dell'art. 42 Cost., richiama i principi affermati nella giurisprudenza costituzionale ed osserva che l'art. 1 della legge de qua, che nell'intenzione del legislatore regionale avrebbe dovuto apprestare una giustificazione del suo intervento, contiene soltanto una dichiarazione programmatica priva di effettivo contenuto. La generica affermazione di particolari condizioni ambientali non vale a legittimare un'invasione della competenza legislativa dello Stato, né potrebbe dirsi che la Regione si sia limitata a recepire, sia pure con aggiunte e modifiche, la legge n.607 del 1966, giacché questa era stata annullata con la sentenza n. 37 del 1969. Quanto al limite apposto dall'art. 8 in previsione di una futura legge statale, la difesa osserva che una disciplina statale certamente già esisteva ed era quella del codice civile. La difesa si sofferma poi ampiamente nella dimostrazione concernente la violazione dell'articolo 42, terzo comma, della Costituzione.
5. - Anche il pretore di Lentini - ord. 25 marzo 1970, emessa in un procedimento per affrancazione promosso dagli enfiteuti Francesco Barchitta e Liberata Granata contro il concedente Pasquale Cutore Recupero - denunzia l'intera legge regionale n. 20 del 1969 per incompetenza della Regione a legiferare in materia di enfiteusi con una disciplina dalla quale possono scaturire effetti definitivi (eventualmente in contrasto con quelli che potrebbero scaturire dall'applicazione della legislazione statale e, quindi, in violazione anche dell'art. 3 Cost.) e con norme che, ridando efficacia ad una regolamentazione annullata dalla Corte costituzionale, interferiscono con quelle statali e contrastano con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
Innanzi a questa Corte si é costituito il sig. Cutore Recupero il quale (atto di deduzioni del 18 maggio 1970 e memoria del 23 ottobre 1971), premesso che la questione é rilevante nonostante la sopravvenuta legge statale n. 1138 del 1970 che non ha effetto retroattivo, illustra ampiamente, con numerosi richiami alla giurisprudenza costituzionale, i vizi di illegittimità dell'impugnata legge regionale. In particolare la difesa del Cutore osserva che la disciplina introdotta dal legislatore siciliano non é neppure coerente con le ragioni addotte a giustificazione dell'intervento, giacché se l'esigenza da soddisfare era quella di non gravare gli enfiteuti con annualità arretrate la soluzione non doveva essere quella di consentire, a prezzo irrisorio, l'affrancazione, che costituisce fatto estintivo ed irreversibile; osserva, ancora, che le modalità di determinazione autoritaria del canone, col riferimento ai valori medi del 1939 con la sola rivalutazione del 1947, determinano, nonostante l'irrisorio aumento del 10 per cento, una sicura violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost.; conclude, infine, richiamando il principio secondo il quale alla Regione é inibito di regolare retroattivamente situazioni già disciplinate da una legge statale e, nella specie, già consolidate a favore dei concedenti. In una ulteriore memoria, depositata il 6 giugno 1972, la difesa del Cutore Recupero svolge ulteriori considerazioni, riferite anche alla legge statale, a sostegno delle proprie tesi.
6. - Altre denuncie di incostituzionalità della stessa legge regionale sono state proposte dal tribunale di Agrigento (ordinanza n. 198 del 1970) in un procedimento avente ad oggetto la devoluzione di un fondo enfiteutico e dal pretore di Caltanissetta (ord. n. 205 del 1970) in un procedimento avente ad oggetto il pagamento di canoni enfiteutici. In entrambe le ordinanze si prospettano i due vizi di legittimità costituzionale derivanti dall'incompetenza della Regione e dalla violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost. in termini pressoché analoghi a quelli prospettati nelle altre ordinanze. Va tuttavia rilevato che il tribunale di Agrigento aggiunge la considerazione che l'enfiteusi presenta un aspetto unitario su tutto il territorio nazionale, sicché non può obiettivamente ritenersi che in Sicilia esistessero situazioni particolari idonee a giustificare l'intervento del legislatore regionale; e denunzia altresì, sempre "in relazione all'inadeguatezza del canone", un'ulteriore violazione del diritto del concedente discendente dall'assoggettamento dell'azione, secondo quanto dispone l'art. 5, ad una condizione di proponibilità costituita dalla preliminare devoluzione a commissioni comunali della cognizione della materia al fine di un tentativo di conciliazione.
Ad avviso del pretore di Troina (ord. n. 212 del 1970), infine, il legislatore regionale ha rispettato i limiti della sua competenza giacché la legge in esame é stata emanata per far fronte a particolari condizioni ambientali della Sicilia, ha dettato una disciplina sicuramente temporanea e, per quanto riguarda la determinazione della misura del canone ha introdotto delle innovazioni idonee ad evitare quel vizio di costituzionalità che la Corte ebbe a riscontrare nella legge statale del 1966. Non appare infondata, invece, la questione che investe il solo art. 4 per l'efficacia retroattiva che questo conferisce a norme regolatrici di situazioni già disciplinate dalla legislazione statale.
7. - Nell'udienza pubblica le parti costituite hanno ampiamente illustrato le rispettive tesi e conclusioni. In particolare la difesa della Regione ha preliminarmente insistito sulle conseguenze che in ordine alle questioni di legittimità costituzionale concernenti la denunziata legge regionale sono da riconnettersi alla sopravvenuta legge statale 18 dicembre 1970, n. 1138, mentre la difesa del sig. Tonelli ha eccepito l'inammissibilità della questione sollevata dal tribunale di Caltanissetta, sostenendo che, dato l'oggetto del giudizio a quo, sarebbero inapplicabili le norme impugnate.
Considerato in diritto
1. - Tutte le questioni proposte dalle ordinanze indicate in epigrafe hanno ad oggetto la legge della Regione siciliana 2 luglio 1969, n. 20, concernente l'"applicazione in Sicilia della legge nazionale 22 luglio 1966, n. 607, recante norme in materia di enfitensi e prestazioni fondiarie perpetue". I relativi giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza pubblica, possono essere pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Dai provvedimenti di rimessione, valutati nel loro complesso, risulta che l'indicata legge regionale é stata denunziata, nella sua totalità o in singole disposizioni, in riferimento all'art. 14 lett. a dello Statuto della Regione siciliana (1. cost. 26 febbraio 1948, n. 2): essa, infatti, disciplinando in un certo modo i rapporti intersubiettivi privati considerati dalla legge nazionale n. 607 del 1966 e costituiti dopo il 28 ottobre 1941 (rapporti ai quali l'art. 1 di tale legge non era più applicabile dopo la sentenza n. 37 del 1969 di questa Corte), sarebbe incorsa in un eccesso rispetto alla competenza in materia di agricoltura attribuita alla Regione dalla norma costituzionale di raffronto. Altre censure, invece, riguardano specifiche disposizioni della legge relative alla determinazione dell'ammontare massimo dei canoni, delle prestazioni annuali e del capitale di affranco e vengono proposte in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
3. - Prima di affrontare il merito delle questioni occorre valutare - secondo quanto esplicitamente richiede la difesa della Regione - se la sopravvenuta legge statale 18 dicembre 1970, n. 1138, che ha disciplinato la stessa materia, possa esplicare un qualche effetto sul presente giudizio. La Corte - pur dovendo riconoscere, come é ovvio, che ai giudici che hanno proposto le attuali questioni spetterà di decidere in ordine all'individuazione delle norme applicabili alle controversie al loro esame - ritiene che sia sufficiente, ai fini del controllo sulla rilevanza delle questioni, la constatazione che da nessuna delle disposizioni della nuova legge statale risulta che le norme da essa dettate per la determinazione dei canoni siano applicabili anche a quelli già scaduti prima della sua entrata in vigore: né, d'altra parte, dall'art. 9 dell'impugnata legge regionale, in forza del quale questa si sarebbe applicata fino all'emanazione di una legge statale sulla stessa materia, si può dedurre che, sopravvenuta quest'ultima, la normativa regionale si sia caducata ex tunc.
4. - Dev'essere altresì respinta l'eccezione di irrilevanza proposta dalla difesa di Pietro Tonelli sotto il profilo che, controvertendosi nel giudizio a quo intorno alla determinazione delle quote di ripartizione dell'indennità di esproprio del fondo, non sarebbero nella specie applicabili le disposizioni contenute nella legge denunziata. In verità l'ordinanza di rimessione, partendo dall'esplicito presupposto che fra le parti si controverte in ordine all'applicabilità delle norme del codice civile ovvero della legge regionale sul calcolo del capitale di affranco come base per il riparto della predetta indennità, offre una sufficiente e coerente motivazione della rilevanza della proposta questione di legittimità costituzionale.
5. - Secondo l'ordine logico nel quale le attuali questioni vanno collocate, occorre anzitutto decidere se la competenza della Regione siciliana in materia di agricoltura (art. 14, lett. a St.) giustifichi una legge, quale é quella in esame, che in quasi tutte le sue disposizioni disciplina rapporti intersoggettivi di indubbia natura privatistica.
La Corte ricorda che la sua costante giurisprudenza ha affermato, in via di principio, che la regolamentazione di siffatti rapporti appartiene alla competenza istituzionale dello Stato, giacché ad essa sottostanno esigenze di unità e di eguaglianza che possono essere salvaguardate solo se esclusivamente all'ente esponenziale dell'intera collettività nazionale é riconosciuto il potere di emanare norme in proposito: e tale affermazione é stata fatta e ribadita anche in riferimento allo Statuto siciliano, ancorché questo soltanto in tema di industria e commercio (art. 14, lett. d) esplicitamente escluda la disciplina dei rapporti privati.
Vero é, peraltro, che con numerose pronunzie, pur ribadendosi la piena validità di quel principio, era stato in passato riconosciuto che le Regioni, in presenza di eccezionali situazioni locali ed in vista della soddisfazione di pubblici interessi inerenti alle materie di loro competenza, potessero legiferare in tema di diritto privato purché con norme temporanee ed in armonia con i criteri informatori della legislazione statale. La Corte ritiene ora di dover riesaminare il problema del fondamento costituzionale di siffatta competenza, eccezionale e derogatoria rispetto al principio generale innanzi ricordato, e ciò anche alla luce dell'intervenuta realizzazione dell'intero ordinamento regionale, della nuova e più vasta problematica alla quale questo ha dato vita e della avvertita esigenza di una demarcazione quanto più possibile chiara ed inequivoca fra competenze statali e competenze regionali.
In quest'ordine d'idee é da rilevare anzitutto che per il tema qui in esame non sussistono motivi che possano consentire una discriminazione fra Regioni a statuto speciale e Regioni ordinarie (salvo, per le prime, il caso - quale quello esaminato e deciso con la sent. n. 35 del 1972 - dell'esistenza di puntuali norme statutarie, attributive di specifiche competenze): sicché occorrerebbe ammettere che tutte le Regioni, nelle materie ad esse assegnate, abbiano potestà di legiferare, in presenza di situazioni eccezionali e sia pur nei limiti innanzi ricordati, su rapporti privatistici. Ma di fronte aI generalizzarsi di questo tipo di competenza, all'indubbia difficoltà di esercizio del sindacato giurisdizionale sulla effettiva sussistenza di eccezionali situazioni locali, all'estrema elasticità del limite della temporaneità, con l'inevitabile conseguenza che ciascuna Regione potrebbe dettare un regime differenziato (giacché la diversità dei fatti sociali regionalmente localizzati sarebbe, ad un tempo, giustificazione della potestà legislativa e della varietà delle singole discipline), di fronte a tutto ciò é lecito immaginare che la competenza dello Stato a legiferare in tema di diritto privato inevitabilmente finirebbe col trasformarsi in competenza a porre solo principi fondamentali, mentre per converso la competenza regionale, da eccezionale e temporaneamente derogatoria, tenderebbe ad istituzionalizzarsi in un tipo di competenza concorrente. E con ciò si rinnegherebbe il principio secondo il quale allo Stato e solo ad esso spetta la legislazione privatistica; principio che tradotto in termini diversi significa, e non può non significare che il diritto privato costituisce una materia a sé stante e non compresa, quindi, nelle varie materie che Statuti e Costituzione in vari gradi e con vari limiti attribuiscono alle potestà regionali.
Le considerazioni fin qui esposte inducono la Corte a portare alle sue logiche e coerenti conseguenze la premessa dell'esclusiva appartenenza allo Stato della potestà legislativa di diritto privato ed a riconoscere che risulta con essa inconciliabile una sia pur settoriale ed eccezionale competenza regionale. Tale inconciliabilità deriva dai principi che presiedono alla distinzione fra la sfera di attribuzioni statali e la sfera di attribuzioni regionali e dalla inderogabilità delle competenze costituzionali. Sul primo punto giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato - e di recente ha sostanzialmente ribadito nelle pronunce concernenti alcuni decreti delegati di trasferimento di funzioni alle Regioni ordinarie - che, una volta individuato con criteri obiettivi il contenuto delle singole materie assegnate alle Regioni, la connessione teleologica con la cura degli interessi pubblicistici ad esse inerenti non giustifica un ampliamento della competenza fino a comprendervi materie o settori obiettivamente diversi: ed il diritto privato, come si é detto, é materia ben definita e non già coacervo di materie che possano essere distinte secondo la varia natura dei rapporti disciplinati e, eventualmente, dei fini che di volta in volta la disciplina legislativa vuol mediatamente soddisfare. Sul secondo punto, una attenta considerazione del vigente sistema costituzionale induce alla sicura conclusione che, in difetto di puntuali disposizioni costituzionali che lo consentano (quale é quella dell'art. 76, secondo comma, Cost.), l'eccezionalità delle situazioni non giustifica il radicarsi di competenze extra ordinem o il trasferimento di competenze da un soggetto ad altro soggetto: il che, se é vero a proposito di ripartizione di attribuzioni fra organi dello stesso ente (come la Corte affermò con sent. n. 50 del 1959), a fortiori vale quando le sfere di competenza costituzionalmente definite facciano capo ad enti diversi, quali sono lo Stato e le Regioni.
É ovvio che pervenendosi a queste conclusioni - imposte, giova ripeterlo, dal rispetto di fondamentali principi - non si preclude la possibilità di far fronte ad eccezionali situazioni locali. Se a questo scopo non sono sufficienti interventi di tipo pubblicistico (per i quali le Regioni, nelle materie ad esse assegnate, dispongono di adeguati poteri) e se sono necessarie misure legislative che incidano su rapporti intersoggettivi privati, sarà lo Stato ad adottarle nell'esercizio della sua competenza, giacché solo allo Stato spetta di valutare, pur nel quadro della fondamentale unità della disciplina privatistica, la sussistenza di situazioni locali che giustifichino un regime razionalmente diversificato. Né le Regioni sono costrette ad un ruolo meramente passivo, disponendo esse di un rilevante potere di iniziativa legislativa (cfr. art. 121, secondo comma, Cost. e, per quanto specificamente riguarda la Sicilia, art. 18 St.) e, quindi, di uno strumento idoneo a promuovere l'intervento del Parlamento nazionale.
6. - Risultando, per gli esposti motivi, che la Regione siciliana non ha potestà legislativa sui rapporti contemplati e regolati dalla legge 2 luglio 1969, n. 20, questa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 14, lett. a, dello Statuto. Si deve eccettuare il solo art. 6 che, nel comminare in alcune ipotesi la decadenza del concedente dai benefici previsti dal d.l.P.R. 24 febbraio 1948, n. 114, assume a presupposto di tale decadenza l'estinzione del rapporto enfiteutico, ma non regola affatto le vicende di questo e contiene, invece, una disposizione chiaramente attinente a materia di diritto pubblico.
7. - La dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7 ed 8 della legge denunziata rende superfluo accertare se le disposizioni concernenti la determinazione della misura dei canoni incorrano nella violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost. per aver ridotto il corrispettivo ad un limite massimo che si assume essere del tutto irrisorio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7 ed 8 della legge regionale siciliana 2 luglio 1969, n. 20, relativa alla " applicazione in Sicilia della legge nazionale 22 luglio 1966, n. 607, recante norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1972.
Giuseppe CHIARELLI – Francesco Paolo BONIFACIO
Depositata in cancelleria il 27 luglio 1972.