SENTENZA N. 35
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici), promosso con ricorso del Presidente della Giunta regionale del Trentino-Alto Adige, notificato il 24 marzo 1971, depositato in cancelleria il 1 aprile successivo ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 1971.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1971 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per la Regione Trentino-Alto Adige, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri in data 24 marzo 1971, il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige ha impugnato in via principale la legge statale 11 febbraio 1971, n. 11, avente per oggetto "nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici".
1. - La Regione propone, innanzi tutto, un’impugnativa d’ordine generale contro l'intera legge - che, nel silenzio delle sue norme, ritiene applicabile anche nel suo territorio - sostenendo che essa sarebbe lesiva della sua sfera d’attribuzioni, in quanto dà disposizioni nella materia dell'agricoltura che l'art. 4, n. 9, dello Statuto speciale riserva alla sua competenza legislativa esclusiva.
In riferimento a tale impugnativa, la Regione, che non ha emanato alcuna norma sullo specifico tema degli affitti dei fondi rustici, afferma tuttavia che essa non può dirsi carente di una propria disciplina in materia, per tale dovendosi considerare quella da lei ricevuta dallo Stato, all'atto del passaggio dei poteri, in forza dell'art. 92 dello Statuto speciale; e sostiene che su questa normativa, divenuta in tal modo regionale, lo Stato non potrebbe più apportare modifiche valide nei suoi confronti.
2. - Deduce poi la Regione che la legge impugnata, nella sua globalità, lederebbe la particolare disciplina dei masi chiusi, la cui regolamentazione, per l'art. 11, n. 9, dello Statuto speciale, spetta in esclusiva alla Provincia di Bolzano, mentre specifiche norme della stessa legge statale, per essere in contrasto con quelle d’altre norme contenute in leggi regionali emanate in materie ad essa egualmente riservate, invaderebbero parimenti la sua competenza.
Si avrebbe così che
- gli artt. 2, 11 e 14 della legge impugnata, che assegnano funzioni e compiti agli uffici dell'Ispettorato agrario provinciale, violerebbero le norme dei numeri 1 e 9 dell'art. 4 dello Statuto speciale perché di quegli uffici, trasferiti alla Regione col relativo personale, ed il tutto riorganizzato con leggi regionali, lo Stato non potrebbe più disporre;
- l'art. 6 della legge impugnata, che attribuisce alla Commissione centrale per l'equo canone nell'affitto dei fondi rustici il potere di provvedere in ordine alla determinazione dei canoni, quando non sia utilizzabile a tal fine il dato catastale, violerebbe gli artt. 4, n. 9, e 13 dello Statuto speciale, perché inciderebbe in attività amministrativa in materia riservata alla Regione;
- l'art. 13 della legge impugnata, che dispone l'assegnazione diretta all'affittuario, il quale abbia eseguito miglioramenti, degli eventuali contributi non solo statali, ma anche di quelli regionali, violerebbe l'art. 4, n. 9, dello Statuto speciale, perché inciderebbe sull'attività legislativa della Regione in materia ad essa riservata;
- l'art. 23 della legge impugnata, che dichiara invalide, nel quadro dell'art. 2113 del codice civile, le rinunzie e le transazioni in ordine a diritti che all'affittuario possano essere riconosciuti da leggi, non solo statali, ma anche regionali, violerebbe, e per gli stessi motivi, la competenza regionale.
L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha sostenuto l’infondatezza di tutti i motivi proposti dalla Regione, eccependo preliminarmente l'impossibilità stessa di un contrasto tra la legge impugnata e le norme dello Statuto speciale perché quella legge non verterebbe in materia d’agricoltura, bensì in quella della "disciplina di rapporti privati in agricoltura", sottratta alla competenza regionale.
Sostiene poi l'Avvocatura che non esiste preclusione all'intervento legislativo dello Stato su concreti e specifici interessi in materia riservata alla Regione fin quando questa non abbia emesso proprie leggi volte a dare una sua regolamentazione a quegli stessi interessi e, sul tema delle dedotte invasioni di competenza, osserva che la legge denunziata non interferisce sulla disciplina dei masi chiusi, perché non la tocca, non dispone del personale divenuto regionale, perché esercita in rapporto ad esso il suo potere di delega di funzioni amministrative alla Regione, non lede la competenza regionale, riservando compiti alla Commissione centrale, perché tutti i compiti ad essa affidati hanno carattere unitario e super regionale, ed infine non viola la detta competenza quando indica nell'affttuario che ha eseguito miglioramenti la persona legittimata a ricevere i contributi regionali o dichiara dall'affittuario non rinunciabili né transigibili i diritti che possano a lui attribuire leggi della Regione, perché lascia margine ad una regolamentazione regionale in materia, o applica principi generali non derogabili.
Considerato in diritto
1. - La Regione Trentino-Alto Adige propone ricorso principale contro la legge statale 11 febbraio 1971, n. 11, recante "Nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici", sostenendo che essa violerebbe la sua competenza in materie riservate alla sua legislazione esclusiva.
Sostiene la ricorrente che tale violazione si sarebbe verificata per ragioni che possono raggrupparsi sotto tre motivi principali: il primo, in quanto la legge impugnata avrebbe modificato anteriori norme statali, che sarebbero però "divenute regionali" per "recezione implicita"; il secondo, in quanto la stessa legge contrasterebbe con norme contenute in leggi regionali; il terzo, infine, in quanto essa avrebbe omesso di assegnare alla Regione compiti da ritenersi propri della stessa.
2. - Il primo motivo comprende l'unica censura, secondo la quale la nuova legge non avrebbe potuto modificare norme contenute in anteriori leggi statali perché queste, essendo divenute applicabili nella Regione in forza dell'art. 92 dello Statuto speciale (legge cost. 26 febbraio 1948, n. 5), sarebbero "divenute regionali" e come tali, modificabili solo con leggi della Regione.
La censura non é fondata.
Stabilisce il già citato art. 92 che, nelle materie attribuite alla competenza della Regione o della Provincia, fino a quando non siasi disposto con leggi regionali o provinciali, si applicano le leggi dello Stato.
Ora, poiché é pacifico che la Regione non ha emanato alcuna legge volta a regolare le affittanze agricole, nel suo territorio le leggi dello Stato in materia si applicano per forza propria e non in virtù di un’ipotizzata "recezione implicita", la cui supposta esistenza é resistita dalla lettera e dallo spirito del richiamato art. 92, oltreché dai principi del sistema, che non conosce limiti d’efficacia alle leggi statali che non siano quelli nascenti dall’esistenza di norme emanate, nella loro competenza costituzionale garantita, dagli enti regionali.
Ne deriva quindi che, fin quando queste non abbiano emanate proprie norme, devono applicarsi nel loro territorio quelle dello Stato e non soltanto, come vorrebbe la ricorrente, le norme esistenti al momento del trasferimento dei poteri, ma anche quelle emanate in prosieguo.
Deve aggiungersi che, risultando, per i motivi suesposti, applicabili alla Regione ricorrente le nuove norme statali sulle affittanze agricole, senza che possa rilevarsi nessuna violazione delle sue competenze, la Corte non ha motivo di esaminare la questione proposta dalla difesa dello Stato, e secondo la quale la legge statale sarebbe applicabile alla Regione anche sotto il profilo che essa verterebbe non in materia di "agricoltura", ma in quella della "disciplina di diritto privato in agricoltura" che non rientrerebbe nella competenza legislativa regionale.
3. - Passando ad esaminare il secondo motivo, relativo al contrasto fra le norme della legge impugnata con quelle di norme contenute in leggi regionali, devesi innanzi tutto rilevare come, sotto questo motivo, si comprendano più censure, ciascuna ovviamente relativa alla norma regionale rispetto alla quale si denunzia il contrasto.
Si afferma al riguardo dalla ricorrente che la legge impugnata, nel suo complesso, contrasterebbe con la disciplina dei "masi chiusi" contenuta nel testo unico 7 febbraio 1962, n. 8 (decreto Presidente Giunta provinciale di Bolzano), materia che, per l'art. 11, n. 9, dello Statuto speciale, é riservata alla competenza legislativa esclusiva delle Provincie della Regione.
La censura é fondata.
Il maso chiuso, istituto che può definirsi di diritto singolare, proprio di un dato territorio, ha per oggetto un'azienda agraria, di cui é garantita l’indivisibilità anche in sede ereditaria, mediante l'assegnazione ad un unico assuntore, tenuto a condurla personalmente (arg. art. 18 a, comma primo, legge citata).
L'obbligo della conduzione personale da parte dell'assuntore sembrerebbe dover escludere ogni potenziale contrasto fra la disciplina del maso e quella sulle affittanze agricole.
Tuttavia, poiché la stessa legge sui masi chiusi, (t.u. 1962, n. 8) in vari articoli (specialmente art. 33, comma terzo), prevede il differimento dell’emissione del decreto pretorile d’assunzione, né può essere esclusa l'esistenza d’altri casi, per i quali la regola della conduzione diretta da parte dell'assuntore possa subire eccezioni; é ovvio come debba ammettersi che, nel quadro dell’autonomia negoziale, che pur residua dalla disciplina, sostanzialmente pubblicistica, del maso, il fondo possa essere concesso anche in affitto, e che quindi le norme della legge impugnata possano venire ad incidere sulla speciale normativa dell'istituto.
In tale previsione é anche ovvio che le norme che regolano quell'istituto, di natura singolare e costituzionalmente garantite quanto alla materia e alla fonte, debbano avere la preminenza, e il contrasto di esse con le norme dell'anzidetta legge, per ciò che questa impedisce o ostacola le finalità perseguite dalla legge speciale, sono illegittime sul piano costituzionale.
Nell'ambito dello stesso motivo, relativo al contrasto fra le norme della legge impugnata con quelle di leggi emanate dalla Regione, rientra anche la censura che denunzia come illegittima la disposizione dell'art. 13, comma primo, di quella legge, e secondo la quale, per l'esecuzione dei miglioramenti, possono essere concessi direttamente agli affittuari i contributi e le altre agevolazioni statali "o regionali" di cui alle leggi in vigore, purché risulti in qualsiasi modo il rapporto di affittanza.
La Regione, che in materia ha numerose volte legiferato, concedendo contributi anche ad affittuari (legge regionale 10 novembre 1950, n. 20, sino a quella 1 febbraio 1971, n. 2), lamenta che la legge statale ha inteso di dettarle disposizioni circa il destinatario dei contributi che essa, in materia riservata, con i propri fondi, e nella pienezza perciò della sua autonomia, ha inteso di concedere.
La censura é da ritenersi fondata, non potendosi disconoscere la logicità e l'aderenza ai principi del rilievo esposto dalla Regione.
Nel quadro ancora del contrasto tra le norme della legge impugnata e quelle di leggi della Regione, rientra anche la censura che investe l'art. 23 di quella legge, secondo il quale le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti dell'affittuario derivanti dalla stessa legge e da ogni altra legge, nazionale "o regionale", non sono valide.
Le osservazioni che la Regione qui prospetta sono analoghe a quelle dedotte in merito alla censura precedente.
Poiché però non é dubbio che le leggi regionali da cui sorgono diritti che la legge statale vuole porre al riparo di rinunzie o transazioni, sono le leggi già in vigore e risulta che, in materia che tocchi comunque il tema dell'affittanza, la Regione non ha emanato che le norme sui masi chiusi e quelle sulle concessioni di contributi, le questioni proposte sull'articolo 23 della legge statale vanno dichiarate assorbite.
4. - Col terzo ed ultimo ordine di censure, la Regione lamenta che la legge impugnata avrebbe omesso di riservarle compiti da ritenersi di sua spettanza.
Ciò sarebbe avvenuto sia a mezzo degli artt. 2, 11 e 14, mediante i quali la legge conferisce funzioni agli Ispettorati agrari provinciali, che, nel Trentino-Alto Adige, sono organi di esclusiva dipendenza della Regione, e sia mediante l'art. 6, che affida alla Commissione tecnica centrale per l'equo canone il compito di regolare le situazioni nelle quali, per mancanza di tariffe di redditi dominicali, la legge risultasse inapplicabile.
La Regione ricorrente ritiene che, avendo le decisioni relative incidenza sulle provincie del suo territorio, la competenza a determinare le tariffe localmente applicabili, debba spettare agli organi regionali.
Le censure sono entrambe infondate.
Quanto ai compiti che la legge impugnata assegna direttamente agli organi, e quindi al personale dipendente, della Regione, senza utilizzare l'istituto della delega all'Ente, di cui all'art. 118, secondo comma, della Costituzione, non può ritenersi l’illegittimità di una normativa che lo disponga. Deve al contrario ammettersi che, nello spirito di una necessaria collaborazione fra tutti gli organi centrali e periferici che, pur nella varia differenziazione di appartenenza, sostengono la struttura unitaria dello Stato, questo possa utilizzare direttamente, per funzioni minori, specie esecutive, gli uffici ed il personale di tutti gli enti autonomi, compresi quelli delle Regioni.
Il principio, rilevabile dal sistema, trova autorevole conferma nell'art. 118, comma terzo, della Costituzione, laddove si dispone che la Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali o anche (ed é quello che qui importa) avvalendosi dei loro uffici.
E sarebbe assurdo ritenere che quanto può la Regione disporre nei confronti di enti pur forniti di autonomia, come le Provincie e i Comuni, non possa lo Stato nei confronti di essa.
Quanto, infine, all'ultima censura, che assegna quel certo compito in tema di tariffe di cui si é già detto, alla Commissione centrale anziché agli organi regionali, dopo aver rilevato che, almeno sul piano costituzionale la censura é scarsamente apprezzabile, può concludersi che la competenza dell'organo centrale, e perciò unitario, trova razionale giustificazione nella unitarietà dell'indirizzo che un problema di valutazioni e di tariffe presuppone perché queste possano risultare uniformi e quindi eque.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la illegittimità costituzionale della legge 11 febbraio 1971, n. 11, recante "Nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici", nella parte in cui essa disciplina anche i contratti di affitto relativi ai masi chiusi, di cui al testo unico 7 febbraio 1962, n. 8, approvato con decreto del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano;
b) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 13 della stessa legge, nella parte in cui dispone sull'assegnazione diretta agli affittuari anche dei contributi disposti da leggi regionali del Trentino-Alto Adige;
c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 11, 14 e 6 della medesima legge, questioni proposte in riferimento all'art. 4, nn. 1 e 9, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, recante "statuto speciale per il Trentino-Alto Adige".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1972.
Giuseppe CHIARELLI - Ercole ROCCHETTI
Depositata in cancelleria il 1° marzo 1972.