Sentenza n. 123 del 1957
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SENTENZA N. 123

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e, per quanto possa occorrere, dal Commissario dello Stato presso la Regione siciliana, notificato il 7 febbraio 1957, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 15 febbraio 1957 ed iscritto al n. 8 del Registro ricorsi 1957, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del disegno di legge approvato dalla Assemblea regionale siciliana il 31 gennaio 1957, recante agevolazioni per lo sviluppo della piccola proprietà contadina.

Udita nell'udienza pubblica del 12 giugno 1957 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Luigi Tavassi La Greca per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Commissario dello Stato e l'Avv. Salvatore Pugliatti per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale siciliana il 7 febbraio 1957, sottoscritto dall'Avvocato generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri e "per quanto possa occorrere" del Commissario dello Stato presso la Regione siciliana, é stato impugnato davanti alla Corte costituzionale il disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale siciliana il 31 gennaio 1957, recante agevolazioni per lo sviluppo della piccola proprietà contadina.

Per disposizione del Presidente della Corte, del ricorso fu data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 23 febbraio 1957, n. 51, e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 27 febbraio 1957, n. 11.

Con il deposito del ricorso e dei prescritti documenti illustrativi nella cancelleria della Corte, il 15 febbraio 1957, si é costituita l'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha sostenuto l'illegittimità costituzionale del predetto disegno di legge, ed in particolare degli artt. 9 e 10, deducendo che:

1) il disegno di legge concerne fra l'altro la disciplina di rapporti di diritto privato, che esula dalla competenza della Regione, i cui limiti, in materia, sono stati anche indicati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 7 del 15 giugno 1956 e nn. 35 e 36 del 24 gennaio 1957;

2) in particolare l'art. 9 stabilisce per la capitalizzazione dei canoni in natura, ai fini dell'esercizio del diritto di affrancazione, il criterio di valutazione in base al valore medio dei prodotti negli ultimi 21 anni, difformemente ed in contrasto quindi con la legge dello Stato 1 luglio 1952, n. 701, la quale, nell'art. 3, secondo comma, fissa la media dei valori dei prodotti, avendo riguardo al decennio antecedente all'entrata in vigore della stessa legge;

3) l'art. 10, poi, modifica la disciplina delle concessioni enfiteutiche per la formazione della piccola proprietà contadina, prevista nell'art. 11 del decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114;

4) con il disegno di legge impugnato la Regione siciliana ha violato, quindi, il principio sancito nell'art. 117 della Costituzione, secondo il quale l'attività legislativa delle Regioni deve essere contenuta nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, esclusa ogni possibilità di contrasto con l'interesse nazionale;

5) detto disegno di legge, infine, si propone di provvedere ad esigenze non proprie della Regione, bensì di carattere generale, creando peraltro una situazione di sperequazione rispetto al rimanente territorio nazionale.

La Regione, costituitasi ritualmente in giudizio, depositando deduzioni, il 27 febbraio 1957, a mezzo del difensore avv. prof. Salvatore Pugliatti, ha riproposto, in via preliminare, la eccezione di incompetenza di questa Corte a conoscere delle impugnazioni proposte contro provvedimenti legislativi della Assemblea siciliana, nei termini già svolti in altri giudizi.

Nel merito, richiamandosi anch'essa ai principi fissati nelle sopraricordate sentenze, ha sostenuto che l'interferenza della legislazione regionale in materia di diritto privato, la quale non può essere esclusa in linea di principio, é giustificata nella specie dalla finalità pubblica, cui é ispirato il progetto in discussione, di promuovere lo sviluppo agricolo dell'Isola. Finalità che la stessa legislazione statale ha inteso perseguire, secondo direttive e principi fondamentali cui la Regione si é adeguata, non suscitando rispetto ad essi alcun contrasto.

La Regione ha contestato peraltro che tali principi possano comunque delimitare la propria potestà normativa in materia di agricoltura, negando che nei suoi confronti sia applicabile l'art. 117 della Costituzione, concernente gli ordinamenti regionali di diritto comune e non quelli a statuto speciale. Ed ha sottolineato infine che la disciplina dell'agricoltura é ad essa riservata in modo esclusivo dall'art. 14, lett. a, dello Statuto, con i soli limiti delle leggi costituzionali dello Stato, rispetto alle quali soltanto sarebbe stato quindi possibile porre la questione della legittimità del disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale il 31 gennaio 1957.

La difesa della Regione ha concluso pertanto, perché, in via pregiudiziale, sia dichiarata inammissibile e, nel merito, sia rigettato il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Commissario dello Stato.

Soltanto l'Avvocatura dello Stato ha depositato, il 29 maggio 1957, la memoria nella quale sono ribadite le tesi enunciate nel ricorso.

 

Considerato in diritto

 

Per respingere l'eccezione preliminare dedotta dalla difesa della Regione siciliana circa l'incompetenza della Corte costituzionale a conoscere delle impugnazioni per illegittimità, proposte in via diretta, contro disegni di legge approvati dall'Assemblea regionale, basta richiamare la sentenza di questa Corte n. 38 del 27 febbraio 1957, nella quale detta eccezione é stata ritenuta infondata per ragioni che devono essere ora confermate.

Nel merito si propone, anche in questo giudizio, la questione fondamentale esaminata nella sentenza n. 109 in data 27 giugno 1957. In detta sentenza, alla quale occorre fare riferimento per la decisione dell'attuale controversia, questa Corte ha fissato i limiti entro i quali é ammissibile da parte della legislazione regionale, e in particolare della Regione siciliana, una deroga alla legislazione statale in materia di rapporti intersubiettivi regolati dal diritto privato.

Osserva la Corte che, nel ricorso, l'impugnazione riguarda in particolare gli artt. 9 e 10 del disegno di legge. Si deduce in sostanza, quanto all'art. 9, che questo é in contrasto con l'art. 3, secondo comma, della legge statale 1 luglio 1952, n. 701, concernente l'affrancazione dei canoni enfiteutici da corrispondersi in natura; e, in ordine all'art. 10, che, oltre a stabilire una trasformazione del contratto enfiteutico in vendita, innova alla disciplina delle concessioni enfiteutiche cui si riferisce l'art. 11 del decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114.

Dispone l'art. 9, nella prima parte del primo comma, che le garanzie e i benefici previsti dall'art. 1 della legge regionale possono essere concessi, nelle enfiteusi costituite anteriormente al 21 agosto 1923, a coltivatori diretti per l'affrancazione di canoni enfiteutici di fondi di estensione non superiore a sei ettari, nei quali l'enfiteuta eserciti in via esclusiva ed abituale l'attività propria e della famiglia, quando ricorrano le altre condizioni soggettive e oggettive previste dal decreto legge 24 febbraio 1948, n. 114; e che risultino gravati di canoni in natura di ammontare superiore al 10% dell'indennità di esproprio, calcolata a norma della legge regionale 27 dicembre 1950, n. 104. Aggiunge, nella seconda parte del detto primo comma, che "il capitale di affrancazione del canone é determinato capitalizzando al tasso dell'interesse legale la somma corrispondente al valore delle derrate, oggetto della prestazione, calcolato in base alla media dei relativi prezzi negli ultimi ventun anni prima della domanda di affrancazione".

Ora, prescindendo dalle altre disposizioni del primo comma (concernenti le agevolazioni concesse dalla legge regionale circa le quali non vi é contestazione), non é dubbio che la disposizione relativa al periodo da tenere presente per la determinazione del capitale di affrancazione é diversa dalla disciplina contenuta nella legislazione statale. Questa infatti fissa costantemente in dieci anni il periodo da considerare per valutare il capitale di affranco, quando il canone é stabilito in derrate (art. 1564, primo comma, del Cod. civ. del 1865, art. 5 della legge 11 giugno 1925, n. 998, - per l'affrancazione dei canoni, censi ed altre prestazioni perpetue, e art. 3 della legge 1 luglio 1952, n. 701). Ora tale diversità, ad avviso della Corte, non può trovare giustificazione fra le deroghe al principio affermato nella sentenza n. 109 in data 27 giugno 1957. Difatti, per le enfiteusi costituite prima del 21 agosto 1923, con canoni superiori al 10% dell'indennità di esproprio, la disposizione dell'art. 9, modificando la base per la determinazione del capitale di affranco, viene ad incidere notevolmente, e non soltanto in via temporanea, nei rapporti fra concedente ed enfiteuta, in uno degli elementi, cui, nella struttura del rapporto, il codice civile, per riflessi di interesse generale, attribuisce particolare rilevanza, poiché lo disciplina con norma imperativa. Pertanto la disposizione impugnata é in contrasto con i principi che questa Corte, come si é premesso, ritiene debbano applicarsi per legittimare eccezionalmente l'attività legislativa della Regione siciliana nella materia dei rapporti intersubiettivi.

Per quanto riguarda poi l'art. 10 é da premettere che, nel primo comma, si stabilisce che, alle enfiteusi costituite ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114, nel caso in cui i canoni superino il 10% della indennità prevista dall'art. 42 della legge 27 dicembre 1950, n. 104, non si applicano le esenzioni dal computo e dal conferimento previsti dalla predetta legge 27 dicembre 1950, n. 104, nonché i benefici previsti dall'art. 11 del detto decreto 24 febbraio 1948, n. 114. Si aggiunge, nel secondo comma, che le norme di cui al precedente comma non si applicano nei casi in cui, entro sei mesi dalla pubblicazione della legge, il concedente riduca il canone entro i limiti sopra specificati, ovvero trasformi, d'accordo con l'enfiteuta, in vendita il contratto enfiteutico.

A riguardo é da tener presente che il secondo comma dell'art. 1 della legge 1 febbraio 1956, n. 53 (contenente provvedimenti per lo sviluppo della piccola proprietà contadina), dispone che, ferma restando la disciplina tributaria della legge 6 agosto 1954, n. 604, le altre disposizioni a favore della piccola proprietà contadina di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114, e successive modificazioni e integrazioni, esclusa la disposizione dell'art. 11 del decreto legislativo stesso, sono prorogate al 30 giugno 1960 con le modificazioni e le integrazioni della legge n. 53 del 1956. Ne deriva perciò che, fino alla data di entrata in vigore di questa legge, alle enfiteusi costituite ai sensi e con le agevolazioni prevedute dal decreto legislativo del 1948, n. 114, si applicano anche i benefici di cui all'art. 11. Secondo il quale, nell'eventualità di disposizioni limitatrici della proprietà fondiaria appartenente ai privati, non si terrà conto, nell'applicazione del limite, di una superficie pari a quella dei terreni che verranno venduti o ceduti in enfiteusi alle persone di cui all'art. 1, nel termine di un anno dall'entrata in vigore dello stesso decreto. Ora, nel primo comma dell'art. 10 della legge impugnata si sopprime il beneficio di cui al predetto art. 11, quando il canone superi la misura indicata, mentre nessuna distinzione é fatta al riguardo nel citato art. 11; e, d'altra parte, nel secondo comma si pone il concedente nella situazione di perdere il beneficio, qualora non riduca il canone nei limiti indicati nel primo comma, o non trasformi l'enfiteusi in vendita.

Ad avviso della Corte queste disposizioni della legge regionale superano i limiti entro i quali, in base ai principi già da questa Corte affermati, é ammissibile un'attività normativa da parte della Regione siciliana nelle materie regolate dal diritto privato. Poiché, sopprimendo il beneficio di cui all'art. 11 del decreto del 1948, si toglie al concedente un beneficio concesso da una legge statale; beneficio che inerisce alle enfiteusi fin dal momento della loro costituzione, e, di riflesso, incide, in via permanente e non soltanto in via eccezionale e temporanea, nel diritto di proprietà dello stesso concedente, in quanto lo espone fra l'altro, a subire l'esproprio, in applicazione della riforma agraria, o a subirlo eventualmente in misura maggiore. Ed é d'altra parte da aggiungere che le disposizioni stesse sono pure in contrasto con un altro principio già affermato da questa Corte nella sentenza n. 44 del 17 marzo 1957, nel senso che é inibito alla Regione regolare retroattivamente con una sua norma situazioni disciplinate da una legge statale.

Pertanto anche le disposizioni contenute nel primo e nel secondo comma dell'art. 10, in quanto aboliscono il beneficio concesso dall'art. 11 del decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114, non possono ritenersi legittime. Uguali rilievi sono pure da fare in relazione al quarto comma dello stesso art. 10 che riguarda, in modo particolare, le enfiteusi costituite tra il 27 dicembre 1950 e il 21 marzo 1951, disponendo che queste enfiteusi, "se adeguate dal concedente nei limiti del primo comma" (cioè riduzione del canone in modo da non superare il 10% della misura dell'indennità d'esproprio) o se trasformate in vendita, pur non considerandosi valide ai fini del computo della proprietà soggetta a conferimento e non godendo del beneficio di cui allo art. 11 del decreto legislativo n. 114 del febbraio 1948, saranno computate nella parte ancora da conferire, se comprese nel piano di conferimento. Anche questa parte (prescindendo dalle disposizioni più particolarmente attinenti alla legge sulla riforma agraria in Sicilia, che qui non viene in discussione), poiché si mantengono fermi gli effetti della soppressione del beneficio concesso dalla legge statale, é da ritenere illegittima, in base alle osservazioni fatte riguardo ai primi due commi dell'art. 10.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta l'eccezione pregiudiziale dedotta dalla difesa della Regione;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 della legge approvata dall'Assemblea regionale nella seduta del 31 gennaio 1957, contenente "agevolazioni per lo sviluppo della piccola proprietà contadina", in quanto dispone una misura di determinazione del capitale di affrancazione per le enfiteusi ivi indicate non conforme a quella adottata nell'ordinamento giuridico dello Stato, in riferimento all'art. 14 dello Statuto per la Regione siciliana;

dichiara inoltre la illegittimità costituzionale dell'art. 10 di detta legge, nei sensi e nei limiti precisati nella motivazione, pure in riferimento all'art. 14 dello Statuto per la Regione siciliana.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1957.

Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.

 

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 1957.