Sentenza n. 35 del 1957

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SENTENZA N. 35

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale:

1) dell'art. 2 della legge regionale siciliana 14 luglio 1950, n. 54, e dell'art. 1 della legge regionale siciliana 25 luglio 1952, n. 47, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale della Regione siciliana, proposto con l'ordinanza 20 aprile 1956 della Corte di cassazione, sezioni unite civili, nel procedimento vertente fra Indovino Giuseppe e Barcia Luigi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 195 del 4 agosto 1956 ed iscritta al n. 238 del Reg. ord. 1956;

2) dell'art. 5 della legge regionale siciliana 14 luglio 1950, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale della Regione siciliana, proposto con l'ordinanza 25 giugno 1956 della Corte di appello di Caltanissetta, sezione agraria specializzata, nel procedimento vertente fra Montagna Castagnolo Carmelo e Meli Maria e Pirriatore Maria, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 25 agosto 1956 ed iscritta al n. 242 del Reg. ord. 1956.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 19 dicembre 1956 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;

udito l'avv. Francesco Santoro Passarelli per il Presidente della Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di Mistretta - sezione specializzata agraria con sentenza 23 - 30 giugno 1954 pronunciata nella causa Barcia - Indovino in punto di pagamento di canone dovuto dal convenuto per la locazione di un fondo rustico per l'annata agraria 1951 - 1952, ritenne che, ai sensi dell'art. 1 della legge regionale 25 luglio 1952, n. 47, la riduzione del 30 % dell'estaglio, quale premio di coltivazione, spettasse soltanto agli affittuari conduttori diretti, secondo la disposizione dell'art. 2 della legge regionale 14 luglio 1950, n. 54; e, negando all'Indovino tale qualificazione, gli attribuì soltanto la riduzione del 5 % del canone su 18 per danni subiti, ai sensi della citata legge regionale n. 47.

Contro questa sentenza l'Indovino propose ricorso per cassazione, deducendo la incostituzionalità degli artt. 2 della legge regionale siciliana 14 luglio 1950, n. 54, e 1 della legge regionale siciliana 25 luglio 1952, n. 47: perché contrastanti con l'art. 1 comma terzo, della legge dello Stato 11 luglio 1952, n. 765, in relazione agli artt. 2 e 3, comma primo, della legge 15 luglio 1950, n. 505, 1 della legge 3 agosto 1949, n. 476, e 3 della legge 18 agosto 1948, n. 1140: perché la materia dei rapporti di diritto privato, con essi disciplinata, esula dall'ambito della potestà legislativa riconosciuta alla Regione siciliana in materia di agricoltura e foreste dall'art. 14 lett. a dello Statuto di detta regione, approvato con D.L.L. 15 maggio 1946, n. 455, e convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

La Corte Suprema di Cassazione, a sezioni unite civili, con ordinanza 20 aprile - 25 giugno 1956, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 4 agosto 1956, ritenne non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità e, sospeso il giudizio in corso, dispose la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, perché decidesse sulla dedotta questione di legittimità costituzionale.

Il Supremo Collegio con la citata ordinanza ammette il contrasto tra le menzionate leggi statali e quelle regionali applicate dal tribunale di Mistretta, in quanto mentre le prime riconoscono il diritto alla riduzione del 30 %, quale premio di coltivazione a favore di tutti gli affittuari senza alcuna distinzione, le seconde limitano il diritto stesso ai soli affittuari coltivatori diretti dei fondi: il che mena ad interpretare l'art. 14, lett. a, dello Statuto siciliano: se cioè la potestà legislativa di quell’ Assemblea regionale, in materia di agricoltura e foreste, possa comprendere anche la regolamentazione di rapporti di diritto privato.

Nel giudizio le parti Indovino e Barcia non si sono costituite. É però intervenuto il Presidente della Giunta regionale siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Santoro Passarelli, in virtù di procura speciale 14 luglio 1956, comprensiva anche della elezione di domicilio, in Roma, presso lo studio del medesimo avvocato, in corso Trieste, n. 95. Nell'atto di intervento, dopo una rapida rassegna della dottrina e della giurisprudenza in proposito, si rileva che la potestà legislativa esclusiva attribuita per determinate materie alla Regione siciliana incontra oltre quello territoriale, il solo limite delle leggi costituzionali dello Stato. In queste materie, la funzione legislativa della Regione ha carattere primario e, a differenza della potestà normativa delle Regioni a statuto ordinario, trovasi in condizione di parità con quella dello Stato: le leggi regionali sono sullo stesso piano delle leggi ordinarie dello Stato, e, come queste, subordinate soltanto alle leggi costituzionali.

In via polemica la difesa della Regione siciliana contrasta la tesi, secondo la quale la frase "nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato", contenuta nell'art. 14, primo comma, dello Statuto siciliano, non starebbe soltanto a significare che le leggi regionali non incontrano altro limite se non quello delle leggi costituzionali dello Stato, ma comporterebbe altresì, proprio per il richiamo alle leggi costituzionali, la necessità per la Regione di uniformarsi anch'essa ai "principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato", limiti posti dall'art. 117 della Costituzione esplicitamente per le Regioni a statuto ordinario.

La difesa della Regione assume infine che, essendo le leggi regionali siciliane, nelle materie riservate alla Regione, subordinate soltanto alle leggi costituzionali, non si comprende come possano essere subordinate alle leggi ordinarie per ciò che attiene alla regolamentazione dei rapporti privati e particolarmente ai contratti agrari, al punto che per questa parte la potestà normativa della Regione rimarrebbe del tutto esclusa.

L'art. 14 dice esattamente il contrario: statuisce cioè che, in materia di agricoltura e foreste, nell'ambito territoriale della Regione, le leggi regionali escludono quelle statali. Solo in materia di industria e commercio l'art. 14, lett. d, pone una limitazione di competenza, facendo "salva la disciplina dei rapporti privati". In questa limitazione, concernente la sola legislazione sull'industria e il commercio, si ha la conferma della pienezza, che é una nota dell'esclusività, della potestà normativa attribuita alla Regione siciliana nelle altre materie.

La difesa della Regione siciliana conclude per la dichiarazione di legittimità costituzionale delle norme contenute nelle leggi della Regione siciliana, per cui é stata sollevata questione incidentale di illegittimità costituzionale.

La difesa della Regione siciliana ha, nei termini, depositato una memoria illustrativa, con la quale dà più ampio sviluppo alle deduzioni precedenti. La difesa precisa che il contenuto dell'autonomia normativa degli enti pubblici non é limitato alla materia amministrativa (oggetto della comune facoltà regolamentare), ma si estende alla disciplina dei rapporti privati, come, ad esempio, i regolamenti comunali di polizia edilizia, i contratti collettivi, le convenzioni intersindacali; che pongono tutti limitazioni all'autonomia privata, regolando rapporti privatistici. In modo particolare i contratti collettivi offrirebbero occasione per ricordare l'estensione della predetta facoltà anche ai principali rapporti agrari della disciplina collettiva. Utilizzando il principio del contenuto "non amministrativo" della cennata autonomia, se ne fa applicazione all'autonomia regionale, molto più ampia di quella degli enti pubblici, perché fornita della potestà di emanare norme legislative, potestà a carattere primario, a differenza della potestà regolamentare; per indurne che, anche sotto tale profilo, non può contestarsi alla Regione siciliana il potere di dettare norme in materia di contratti agrari.

La norma dell'art. 117 della Costituzione, prosegue la difesa, applicabile soltanto alle regioni a statuto ordinario, pone - per le materie ivi indicate - alla potestà legislativa della regione "i limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali"; entro questa cornice può muoversi la potestà legislativa della Regione anche in materia di agricoltura e foreste. La potestà legislativa é piena, ma lo Stato può frenarla, stabilendo i principi fondamentali invalicabili; soltanto per questa via é possibile interdire alla regione di derogare al Codice civile, e quindi di modificare la disciplina dei rapporti privati. Questo sistema elastico, che consente allo Stato di regolare, di volta in volta, i confini legislativi delle regioni ordinarie, non é applicabile al potere normativo della Regione siciliana nei cui confronti né dalla Costituzione, né tanto meno dalle disposizioni costituzionali speciali può desumersi la riserva della disciplina dei rapporti privati a favore delle leggi statali.

Altro argomento per la tesi regionalistica si verrebbe a desumere dalla specialissima competenza legislativa attribuita alla Regione siciliana per le materie indicate nell'art. 14 dello Statuto siciliano: competenza diversa da quella delle regioni a statuto ordinario (art. 117 Cost. ) e più ampia di quella delle regioni a statuto speciale. E mentre a tutte le regioni a statuto speciale sono attribuite "forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali" (art. 116 Cost. ), soltanto alla Regione siciliana per le materie indicate nell'art. 14 é stata riconosciuta una potestà legislativa qualificata "esclusiva" col solo limite, oltre quello territoriale, delle leggi costituzionali dello Stato. Inoltre anche la potestà normativa concorrente, attribuita alla Regione siciliana (art. 17 Statuto siciliano), é più ampia di quella riconosciuta alle regioni ordinarie e della corrispondente potestà attribuita alle regioni a statuto speciale. Siffatta competenza esclusiva si svolge su di un piano di parità con quella dello Stato, con la quale si trova in un rapporto di reciproca separazione.

La difesa della Regione osserva, inoltre, che l'art. 14, lett. b, dello Statuto siciliano, nell'attribuire alla Regione potestà normativa in materia di industria e commercio, fa "salva la disciplina dei rapporti privati". Tale limite, espressamente introdotto, e non voluto per le altre materie indicate nello stesso art. 14, sta a significare che si é inteso escludere dal potere normativo soltanto "quelle norme che pongono in essere il regime di diritto privato, che ha la sua sede nel Codice civile, che si é voluto mantenere immutato tra i cittadini dello Stato". Orbene per sostenere la incostituzionalità delle norme impugnate si dovrebbe ammettere che il detto limite si dovrebbe estendere alla materia dell'"agricoltura", operando con maggior rigore. Giacché le norme impugnate non pongono in essere un regime di diritto privato, che ha la sua sede nel Codice civile, ma, come le corrispondenti leggi statali, che sono leggi speciali, dettano disposizioni contingenti e temporanee, nel quadro dell'attuale sistema vincolistico, e perciò pubblicistico dei rapporti agrari.

Altro argomento si desume dalla sedes materiae: tra le materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva della Regione siciliana lo Statuto prevede per prima "l'agricoltura e foreste". Comparativamente con l'art. 117 della Costituzione e con gli altri statuti speciali, tale collocazione ha un particolare significato, in quanto la materia dell'agricoltura, nel quadro delle "forme e condizioni particolari dell'autonomia" riconosciuta alla Regione siciliana, esprime la preminenza che l'agricoltura occupa nella economia dell'isola; posizione ribadita dalla facoltà data alla stessa Regione di dettare norme per l'incremento della produzione agricola e per la valorizzazione, distribuzione e difesa dei prodotti agricoli (art. 14, lett. c). Ciò contrasta col voler limitare la potestà normativa regionale alla emanazione di provvedimenti attinenti allo sviluppo agricolo e forestale dell'isola.

La difesa rileva infine che, se é vero che l'autonomia regionale ha finalità pubblicistiche, la crescente interferenza tra la sfera pubblicistica e la sfera privatistica dei rapporti giuridici, che caratterizza le moderne legislazioni, non consente di argomentare la esclusione dei rapporti privati dalla competenza legislativa della Regione. Più che alla natura pubblica o privata dei rapporti, si dovrebbe avere riguardo alla natura pubblicistica o privatistica della disciplina giuridica che li regola.

La Regione non potrebbe legiferare in materia di agricoltura senza incidere sui rapporti privati di cui é intessuta l'economia agraria. In questa materia l'interesse pubblico si realizza attraverso la disciplina dei rapporti privati, disciplina mutevolissima, che sfugge ad una regolamentazione uniforme. Le leggi agrarie in oggetto corrispondono alle particolari esigenze dell'agricoltura siciliana, che si presenta con caratteri propri, e che perciò giustifica le difformità dalle corrispondenti leggi nazionali. L'affitto a conduttore diretto (c. d. gabelloto o massaro) pone in essere un contratto sui generis che, staccandosi dal tipico affitto, richiede una regola diversa, come é stato praticato dall'Assemblea regionale: disciplina essenzialmente pubblicistica che non può escludersi dal potere normativo della Regione siciliana.

2. - Con ricorso 27 ottobre 1955, Pirriatore Maria e Meli Maria, premesso di essere proprietarie di 24 tomoli di terreno, pari ad ettari 5,10 circa, siti in contrada Finocchiaro di Regalbuto, tenuti in fitto al canone annuo di kg. 1050 di grano da Montagna Castagnolo Carmelo; di aver costui corrisposto soltanto kg. 630 di grano per l'annata agraria 1953 - 1954 e nulla per l'annata agraria 1954 - 1955 e di pretendere di compensare il proprio debito, ammontante a kg. 1470 di grano, con l'importo dei premi di coltivazione (riduzione del 30 % del canone annuo di fitto) non percepiti; di non avere il Montagna diritto alla cennata riduzione, possedendo esse ricorrenti meno di 12 ettari di terreno (art. 5 della legge regionale 14 luglio 1950, n. 54); tutto ciò premesso, chiedevano che la Sezione specializzata agraria del Tribunale di Nicosia condannasse il Montagna al pagamento dei 1470 chilogrammi di grano, ed, in mancanza, al relativo importo di lire 135. 000 e dichiarasse risoluto il contratto per la grave inadempienza dell'affittuario, ordinando il rilascio del fondo.

Il Montagna, costituitosi, negava di essere debitore, assumendo l'applicabilità, nella specie, non già della norma contenuta nell'art. 5 della suindicata legge regionale, perché incostituzionale, ma di quella contenuta nell'art. 1 della legge nazionale 3 agosto 1949, n. 476, e successive proroghe e modificazioni, che attribuisce all'affittuario il premio di coltivazione in misura del 30 % del canone di affitto, indipendentemente dalla quantità di terreno posseduta dal concedente.

Il Tribunale di Nicosia, con sentenza 16 dicembre 1955 - 31 gennaio 1956, ritenuta applicabile la legge nazionale, riconosceva al convenuto il diritto al premio suddetto per le annate agrarie 1953 - 1954 e 1954 - 1955. Rilevato tuttavia che il Montagna restava pur sempre debitore di kg. 840 di grano per il saldo degli estagli di tali annate, lo condannava a versare detta quantità di grano o il prezzo corrispondente di lire 67. 200 e, ritenuta altresì la grave inadempienza, ordinava il rilascio del fondo.

Appellava il Montagna dolendosi della pronuncia di risoluzione. Resistevano le appellate e proponevano altresì appello incidentale, deducendo la piena legittimità costituzionale della disposizione dell'art. 5 della ripetuta legge regionale.

Con ordinanza 25 giugno 1956, la Corte di appello di Caltanissetta, Sezione specializzata per i contratti agrari, rilevata la divergenza di orientamenti tra la giurisprudenza della Corte di cassazione e la giurisprudenza dell'Alta Corte per la Sicilia circa la possibilità, da parte della Regione siciliana, di disciplinare anche rapporti di diritto privato con provvedimenti legislativi, in materia di agricoltura e foreste, e ritenuta pertanto la questione non manifestamente infondata, ha disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il conseguente giudizio di legittimità (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87).

L'ordinanza era regolarmente notificata il 2 luglio 1956, comunicata al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 25 agosto 1956 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 45 del 27 luglio 1956.

Le parti Pirriatore, Meli e Montagna non si sono costituite nel presente giudizio; é però intervenuto il Presidente della Giunta regionale siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Francesco Santoro Passarelli, in virtù di procura speciale 14 luglio 1956, comprensiva anche della elezione di domicilio in Roma presso lo studio del medesimo avvocato in corso Trieste n. 95.

Nell'atto di intervento, depositato il 22 luglio 1956, premesso che la legge regionale esclude il diritto dell'affittuario alla riduzione dell'estaglio, "allorquando il concedente possegga, a qualsiasi titolo, complessivamente una estensione di terra non superiore ai 12 ettari", mentre una tale limitazione non é scritta nella legge statale, la difesa passa ad esaminare se la potestà legislativa attribuita all'Assemblea regionale possa modificare, nel campo del diritto privato e particolarmente per i contratti agrari, le leggi dello Stato. Ed all'uopo, sia nel ripetuto atto di intervento che in una memoria illustrativa depositata nei termini, ripete le argomentazioni svolte nel giudizio promosso con l'ordinanza 20 aprile 1956 delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione e innanzi riportate.

Il Presidente, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 15 delle Norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, ha disposto che le due cause, promosse con le sopra indicate ordinanze e chiamate alla stessa udienza, siano congiuntamente discusse.

 

Considerato in diritto

 

La Corte ha ravvisato l'opportunità della riunione delle due cause per la loro decisione con unica sentenza, dato che identico é, in sostanza, l'oggetto della questione di legittimità costituzionale che é stata sollevata.

Il quesito fondamentale sottoposto al giudizio della Corte concerne la determinazione dei limiti della competenza legislativa della Regione siciliana in materia di agricoltura e foreste. Osservano le Sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza, con la quale é stata proposta la questione di legittimità costituzionale, che la Cassazione ha più volte ritenuto "che siffatta potestà legislativa di quell'Assemblea regionale (siciliana) in materia di agricoltura e foreste non possa comprendere la regolamentazione dei rapporti di diritto privato sostanziale, che continuano ad essere uniformemente regolati per tutto il territorio nazionale dalle leggi dello Stato"; proseguono tuttavia che "può anche ammettersi che la questione meriti un nuovo esame e che possa anche essere suscettibile di diversa soluzione".

Chiamata a procedere a tale esame, la Corte costituzionale deve anzitutto ricordare i principi da essa fermati in materia di competenza legislativa regionale con la precedente sentenza n. 7 del 15 giugno 1956, ancorché tale decisione concernesse oggetti diversi e persino una regione diversa. In tale occasione la Corte affermò la massima che "i limiti della competenza regionale. . . vanno ricercati, più che nella natura delle norme da emanare, nelle finalità per cui l'ente regione é stato creato. E poiché non é da dubitare che il decentramento regionale é in funzione del soddisfacimento di interessi pubblici, le finalità che la Regione deve perseguire qualificano la competenza legislativa attribuitale; la quale quindi deve limitarsi alla disciplina dell'agricoltura per quanto attiene a detti interessi".

Ad ulteriore chiarimento del criterio che si é adottato in via di principio, salvo adeguarlo ai particolari aspetti dei singoli casi, come fu fatto appunto in occasione di quel giudizio, nel quale esso venne applicato in due sensi diversi in relazione a due diverse specie, si può aggiungere che il riferimento alle finalità per cui l'ente regione é stato creato e che esso deve perseguire implica la conseguenza che il limite da osservare non é segnato dal fatto che una data materia sia tradizionalmente compresa nell'ambito del diritto privato, le cui norme sono sempre esposte evidentemente ad essere sostituite da altre norme di carattere pubblico, ma dalla rilevanza che i rapporti intersubbiettivi da regolare presentano rispetto alle specifiche finalità che l'ente dotato di autonomia deve perseguire e, si intende, perseguire in modi propri, diversi da quelli adottati da altri enti consimili e dallo Stato.

I rapporti intersubbiettivi fra singoli, che presentano in minor misura tale rilevanza, sono indubbiamente quelli solitamente regolati da norme di diritto privato, quali sono la maggior parte delle norme del Codice civile (escluse le norme di ordine pubblico e quelle che fanno sempre più frequente rinvio a leggi speciali), addotte quale tipico esempio nella sentenza sopra menzionata, tanto che il regolamento giuridico di quei rapporti tende essenzialmente ad attuare non già fini specifici di un ente, fosse pure lo Stato, ma esigenze più generali di giustizia commutativa fra i soggetti dei rapporti stessi, e di garanzia di pacifica convivenza, né si presterebbe a differenziazioni regionali, come si presta sempre meno anche a diversità nazionali. Ma non si possono escludere a priori e apoditticamente né l'ipotesi che altri tipi di rapporti meritino un analogo regolamento giuridico unitario, e quindi sottratto alla competenza legislativa regionale, né l'altra ipotesi che alcuni tipi dei primi consentano invece il riconoscimento di tale competenza, sempre entro i limiti stabiliti dalle norme costituzionali, ove si dimostri che il perseguimento delle finalità assegnate alle Regioni lo rende giustificato.

Venendo all'applicazione dei criteri adottati alla specie di norme sottoposte all'odierno giudizio della Corte, sembra esatto ritenere che l'attribuzione alla Regione siciliana di una competenza primaria in materia di agricoltura e foreste, così come é disposta dall'art. 14 dello Statuto regionale, implica il riconoscimento che a tale Regione sono stati assegnati dal legislatore costituente compiti di particolare rilievo, in considerazione di circostanze ambientali equiparabili a quelle, che indussero già la Corte, nella sentenza n. 7 del 1956, a dichiarare costituzionalmente legittima la legge regionale sarda 6 marzo 1950.

La ricorrente necessità di ricomporre il turbato equilibrio di fattori essenziali dell'ordine economico, equilibrio indispensabile alla tipica economia agricola di una regione meno favorita in confronto di altre, non é propria esclusivamente della Sardegna, ma deve analogamente essersi imposta all'attenzione del Costituente anche nei riguardi della Sicilia; ed offre una esauriente spiegazione del fatto, che l'art. 14, lettera a, dello Statuto speciale della Regione siciliana attribuisce a questa la così detta "legislazione esclusiva" in materia di agricoltura e foreste, nell'ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, e senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano (la quale riserva non avrebbe neppure senso, se la legislazione regionale non potesse, in alcun caso, disciplinare rapporti intersubbiettivi fra singoli), come pure del fatto, che nella disposizione citata non sia formulata la riserva "salva la disciplina dei rapporti privati" contenuta nella lettera d dello stesso articolo, concernente la materia dell'industria e del commercio.

Poste queste premesse, la Corte ritiene di dover limitare l'esame ad essa demandato dalla Cassazione e dalle altre autorità giurisdizionali con le ordinanze in epigrafe all'indagine sulla conformità delle norme denunciate alle leggi costituzionali dello Stato, essendo chiaro a sufficienza che le norme stesse non possono recare pregiudizio a riforme agrarie di carattere nazionale. A proposito di tali norme é stato posto in rilievo dalla Corte di cassazione e da alcune magistrature di merito che esse divergono da quelle contenute nelle analoghe leggi dello Stato; ma si osserva che queste ultime non hanno carattere di leggi costituzionali e che, per quanto concerne il rispetto delle garanzie concesse dalla Costituzione della Repubblica alla proprietà privata, non risultano essere sempre più riguardose delle leggi regionali in discussione, le quali, al contrario, tendono, se mai, a limitare certe restrizioni e certi oneri a carico dei proprietari.

E poiché tutto fa ritenere che le disposizioni particolari adottate dalla Regione siano intese ad adeguare l'attuazione dei principi stessi posti a base della legislazione statuale alle particolari circostanze ambientali dell'isola, perseguendo in tal modo proprio le finalità specifiche assegnate all'Ente regione, la Corte non ravvisa elementi sufficienti per considerarle viziate di illegittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in epigrafe:

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge regionale siciliana 14 luglio 1950, n. 54, e dell'art. 1 della legge regionale siciliana 25 luglio 1952, n. 47, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale della Regione siciliana, proposta con l'ordinanza 20 aprile - 25 giugno 1956, della Corte di cassazione, Sezioni unite civili, e dell'art. 5 della legge regionale siciliana 14 luglio 1950, n. 54, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale della Regione siciliana, proposta con l'ordinanza 25 giugno 1956 della Corte di appello di Caltanissetta, Sezione agraria specializzata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO

Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.