SENTENZA N. 7
ANNO 1956
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente
Dott. Gaetano AZZARITI
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale delle norme contenute nell'art. 1 della legge 24 febbraio 1950, n. 9, approvato dal Consiglio della Regione autonoma della Sardegna e riapprovato dallo stesso Consiglio, in data 15 novembre 1950 col n. 59; e nell'art. 1 della legge 6 marzo 1950, n. 10, approvato dal Consiglio regionale della Regione autonoma della Sardegna e riapprovato dallo stesso Consiglio, in data 15 novembre 1950 col n. 60; promossi dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su deliberazioni del Consiglio dei Ministri in data 1 febbraio 1956:
Udita - nell'udienza pubblica del 16 maggio 1956 - la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;
Uditi gli avv. Egidio Tosato e Pietro Gasparri e il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini.
Ritenuto in fatto
Con la legge 6 marzo 1950, n. 10, la Regione autonoma della Sardegna, all'art. 1 disponeva:
"I canoni di affitto per l'annata agraria 1948-49, riguardanti i terreni siti nel territorio della Regione autonoma della Sardegna, fissati con libera contrattazione in litri di latte od in prodotti da esso derivati o con riferimento al prezzo degli stessi, sono ridotti del 10%".
La legge veniva rinviata al Consiglio regionale col rilievo della violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale per la Sardegna e dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. In data 15 novembre 1950, veniva però riapprovata dal Consiglio regionale.
Con atto 4 dicembre 1950, notificato alla Regione (art. 2 D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327), il Presidente del Consiglio dei Ministri dichiarava di voler impugnare la legge dinanzi alla Corte costituzionale e, con delibera del 1 febbraio 1956, il Consiglio dei Ministri decideva di proporre il relativo ricorso.
Con atto 3 febbraio 1956, notificato al Presidente della Giunta regionale della Regione autonoma della Sardegna il 5 dello stesso mese e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 13 febbraio 1956, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, proponeva il ripetuto ricorso, chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale, limitatamente all'art. 1 della predetta legge regionale, per violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale per la Sardegna 26 febbraio 1948, n. 3.
L'Avvocatura generale dello Stato, nell'unico motivo del ricorso, rileva: che la norma denunciata, essendo in contrasto con la disposizione dell'art. 1372 Cod. civ. per il quale il "contratto ha forza di legge tra le parti" , viola l'ordinamento giuridico dello Stato posto come limite alla potestà normativa della Regione (articolo 3, 1 comma cit. Statuto): che l'accoglimento della tesi opposta determinerebbe la sostituzione di codici regionali al Cod. civ.: che la stessa Regione sarda ha dimostrato di aver riconosciuto l'esattezza dei surriportati argomenti, se nel 1954, a seguito della grave siccità abbattutasi sulla Sardegna, rappresentatasi la necessità di provvidenze dirette ad alleviare la situazione degli affittuari di fondi rustici, il Consiglio regionale assunse l'iniziativa di una proposta di legge, ai sensi degli artt. 71 e 121 della Costituzione e 51 e 54 dello Statuto regionale, proposta che ha messo capo alla legge 23 dicembre 1954, n. 309, la quale all'art. 2 dispone la riduzione dei canoni agrari del 30%.
Con atto depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 24 febbraio 1956, la Regione autonoma della Sardegna, in persona del Presidente della Giunta regionale, in base a deliberazione della Giunta del 15 febbraio 1956, rappresentata e difesa per mandato speciale del 16 febbraio 1956, rogato - in Cagliari - notaro Vallebona, dagli avv. Egidio Tosato e Pietro Gasparri, presentava le proprie controdeduzioni, ai sensi degli artt. 25 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
In dette controdeduzioni si rileva: che l'art. 3 dello Statuto sardo pone, come limite alla potestà legislativa della Regione, il rispetto non dell'ordinamento giuridico dello Stato, ma dei principi di detto ordinamento, tra i quali non può annoverarsi quello enunciato nell'art. 1372, 1 comma Cod. civ.: che la Regione può legiferare anche in ordine ai rapporti di diritto privato: che l'obbligo dell'osservanza delle private contrattazioni trova, nello stesso Codice civile, possibilità di deroga per le affittanze agrarie, allorché sussistano circostanze di forza maggiore, che determinino una perdita rilevante dei raccolti (artt. 1635-1636 Cod. civ.); e se, in siffatte circostanze, la deroga é consentita al legislatore ordinario, non si giustifica perché dovrebbe essere negata al legislatore regionale, strumento creato per assicurare l'aderenza del diritto positivo alle esigenze locali e temporanee.
Si soggiunge, infine, che la Regione sarda fu indotta a chiedere allo Stato un provvedimento che, a suo avviso, secondo lo Statuto, avrebbe potuto emanare da sé, per non correre il rischio di una reiezione, come nel 1950, da parte del Governo della Repubblica, senza possibilità, per giunta, di sottoporre la conseguente controversia ad un'autorità competente a dirimerla, non essendo stata ancora costituita la Corte costituzionale.
Con altra legge 24 febbraio 1950, n. 9, la stessa Regione autonoma della Sardegna dettava alcune norme in materia di affitto di fondi rustici disponendo all'art. 1:
"Nei contratti di affitto dei fondi rustici la riduzione prevista dagli artt. 1635 e 1636 Cod. civ. ha luogo anche quando la perdita o la mancata produzione del fondo raggiunge la misura di almeno il 30%".
"Salvo il limite massimo del 50%, fissato dal Codice civile, la misura della riduzione del canone dovrà essere pari alla perdita del prodotto".
La legge veniva rinviata al Consiglio regionale col rilievo della violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale per la Sardegna e dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. In data 15 novembre 1950, veniva però riapprovata dal Consiglio regionale.
Con atto 4 dicembre 1950, notificato alla Regione, il Presidente del Consiglio dei Ministri dichiarava di voler impugnare la legge dinanzi alla Corte costituzionale e, con delibera del 1 febbraio 1956, il Consiglio dei Ministri decideva di proporre il relativo ricorso.
Con atto 3 febbraio 1956, notificato al Presidente della Giunta regionale della Regione autonoma della Sardegna il 5 dello stesso mese e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 13 febbraio 1956, il Presidente del Consiglio dei Ministri, come sopra rappresentato e difeso, proponeva il ripetuto ricorso, chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale limitatamente all'art. 1 della predetta legge regionale per violazione dell'art. 3 del precitato Statuto sardo.
Anche per questo ricorso, nell'unico motivo, l'Avvocatura generale dello Stato ripete, sostanzialmente, le argomentazioni svolte per il precedente ricorso innanzi riassunto.
Con atto depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 24 febbraio 1956, la Regione autonoma della Sardegna, in base a deliberazione della Giunta del 15 febbraio 1956, rappresentata e difesa come sopra, presentava le proprie controdeduzioni ripetendo, in sostanza, le argomentazioni del precedente ricorso, e soggiungendo che la legge impugnata, lungi dal costituire violazione di un principio generale, é una conferma delle disposizioni contenute negli artt. 1635 e 1636 Cod. civ. con una piccola variante di carattere esclusivamente quantitativo.
La difesa della Regione ha presentato memorie illustrative.
Considerato in diritto
Si ravvisa opportuno che la decisione, nei giudizi riuniti indicati in narrativa, abbia luogo con unica sentenza, trattandosi sostanzialmente di profili diversi della stessa materia (art. 15, 2 comma, delle norme integrative, Gazzetta Ufficiale della Repubblica 24 marzo 1956, n. 71).
É bene esaminare distintamente per ciascuna delle due leggi della Regione sarda l'impugnativa d'illegittimità costituzionale, oggetto del presente giudizio.
Con l'articolo primo della legge 24 febbraio 1950, n. 9 si dispone:
"Nei contratti di affitto dei fondi rustici la riduzione prevista dagli artt. 1635 e 1636 Cod. civ. ha luogo anche quando la perdita o la mancata produzione del fondo raggiunge la misura di almeno il trenta per cento”.
"Salvo il limite massimo del cinquanta per cento fissato dal codice civile, la misura della riduzione del canone dovrà essere pari alla perdita del prodotto".
La Corte é chiamata a decidere, se tale norma sia in contrasto con la disposizione dell'art. 3, 1 comma, lett. d) dello Statuto speciale per la Sardegna (26 febbraio 1948, n. 3) che attribuisce alla Regione competenza legislativa in materia di "agricoltura". E precisamente, se il potere normativo regionale possa modificare le disposizioni contenute, nel codice civile, relativamente ai contratti agrari.
I limiti della competenza regionale, in materia di agricoltura, vanno ricercati, più che nella natura delle norme da emanare, nelle finalità per cui l'Ente regione é stato creato. E poiché non é da dubitare, che il decentramento regionale é in funzione del soddisfacimento di interessi pubblici, le finalità che la Regione deve perseguire qualificano la competenza legislativa attribuitale; la quale quindi deve limitarsi alla disciplina della materia dell'agricoltura per quanto attiene a detti interessi. Consegue che le leggi regionali non possono disciplinare rapporti nascenti dall'attività privata rivolta alla terra, quale bene economico, sia nella fase organizzativa, che in quella produttiva; rapporti che devono essere regolati dal codice civile. Possono, invece, occuparsi dei problemi attinenti alla organizzazione anche tecnica e allo sviluppo agricolo e forestale dell'isola alla cui soluzione é interessata la collettività.
Deve perciò dichiararsi incostituzionale la legge 24 febbraio 1950, in quanto ha derogato alle norme contenute negli artt. 1635-1636 Cod. civ., disponendo una riduzione dei canoni convenuti in misura superiore a quella consentita discrezionalmente al giudice dallo stesso codice, nel caso di perdita fortuita dei frutti per gli affitti pluriennali o annuali dei fondi rustici.
La decisione adottata rende poi inutile considerare l'assunto difensivo, se cioè la legge impugnata di illegittimità costituzionale sia in contrasto con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato (art. 3, 1 comma dello Statuto per la Sardegna); e se dalla legge sarda sia stato violato l'altro principio, che il contratto ha forza di legge tra le parti (art. 1372, 1 comma cod. civ.); trovando l'incostituzionalità della legge in oggetto fondamento nelle su esposte ragioni, di per sé, risolutive ai fini del decidere.
Passando ad esaminare la questione di illegittimità costituzionale relativamente all'articolo primo della seconda legge 6 marzo 1950 della stessa Regione Sarda, la Corte ritiene di dovere pervenire ad una soluzione diversa. Con tale articolo si disponeva, che i canoni di affitto per l'annata agraria 1948-49, riguardanti i terreni siti nel territorio della Regione autonoma della Sardegna, fissati con libera contrattazione in litri di latte od in prodotti da esso derivati o con riferimento al prezzo degli stessi, fossero ridotti del 10%.
Per decidere circa la costituzionalità della accennata disposizione, occorre riferirsi al momento e alle particolari circostanze nelle quali il legislatore sardo credette di avvalersi eccezionalmente del suo potere normativo per ridurre i canoni agrari. E non v'ha dubbio che egli, col provvedimento impugnato, intese fronteggiare la grave situazione venutasi a creare con la siccità dell’annata agraria 1948-49 che, incidendo sulla pastorizia, dalla quale le popolazioni sarde traggono notevole alimento, ebbe a turbare l'equilibrio dei fattori essenziali dell'ordine economico.
Pertanto la norma impugnata, avente efficacia limitata nel tempo, traeva giustificazione dalla necessità indilazionabile di ricomporre, soprattutto nei confronti delle famiglie dei pastori dell'isola, il cennato equilibrio, indispensabile alla tipica economia agricola della Regione.
Va rilevato, infine, che non può certo desumersi la esistenza di un limite al potere normativo della Regione dal comportamento da questa tenuto nella carenza dell'organo costituzionale, competente a decidere della legittimità degli atti degli organi legislativi di essa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in epigrafe;
Dichiara l'illegittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 1 della legge approvata il 24 febbraio 1950 dal Consiglio della Regione autonoma della Sardegna e riapprovata dallo stesso Consiglio il 15 novembre 1950, concernente: "Disposizioni in materia di affitti di fondi rustici" con riferimento all'art. 3 lett. d) dello Statuto speciale per la Sardegna, emanato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3;
Respinge il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 1 della legge approvata il 6 marzo 1950 dal Consiglio della Regione autonoma della Sardegna e riapprovato dallo stesso Consiglio il 15 novembre 1950, concernente: "Riduzione dei canoni di affitto per l'annata agraria 1948-49".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1956.
Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO.
Depositata in cancelleria il 2 luglio 1956