SENTENZA N. 104
ANNO 1957
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente
Avv. GIUSEPPE CAPPI
Prof. TOMASO PERASSI
Prof. GASPARE AMBROSINI
Prof. ERNESTO BATTAGLINI
Dott. MARIO COSATTI
Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. MARIO BRACCI
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 67 della legge emanata dalla Regione siciliana il 20 marzo 1951, n. 29, per l'elezione dei deputati all'Assemblea regionale in relazione all'art. 1 del Codice penale e in riferimento all'art. 70 della Costituzione, promosso dal Pretore di Vizzini, con ordinanza del 12 novembre 1956, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, rispettivamente il 12 e il 15 gennaio 1957 ed iscritta al n. 346 del Registro ordinanze 1956.
Udita, nell'udienza pubblica dell'8 maggio 1957, la relazione del Giudice Antonio Manca.
Ritenuto in fatto
Lo Greco Sebastiano, denunziato per il delitto previsto dall'art. 72 del T.U. 5 febbraio 1948, n. 26 (concernente le elezioni della Camera dei deputati), per avere turbato il 3 giugno 1955, in occasione delle elezioni dei deputati all'Assemblea regionale siciliana, un pubblico comizio in Licodia Eubea, fu prosciolto, per inesistenza del reato, dal Pretore di Vizzini con sentenza istruttoria del 24 dicembre 1955.
Il Pretore osservò:
1) che, nella specie, non era applicabile la accennata disposizione del T.U. 5 febbraio 1948, n. 26, poiché questa legge riguarda le elezioni per il Parlamento nazionale; e che perciò detta norma non può ritenersi estesa alle elezioni dell'Assemblea siciliana in base all'articolo 67 della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, poiché alla Regione non può essere riconosciuto potere normativo nella materia penale;
2) che tale estensione deve ritenersi esclusa anche per il carattere temporaneo della norma, perché il più recente decreto legislativo presidenziale del 3 aprile 1951, n. 203 (che approva il testo unico per la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali), non riproduce la disposizione dell'art. 72 sopra ricordato.
La sentenza del Pretore, su appello del Pubblico Ministero, fu riformata dal Giudice istruttore, il quale, con sentenza del 12 marzo 1956, restituì gli atti al primo giudice per l'ulteriore corso del giudizio e rilevò che l'art. 67 della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, non ha creato alcuna norma di carattere penale, poiché tale disposizione ha semplice valore indicativo, in quanto, anche se non fosse stato inserito nella predetta legge, si sarebbero dovute ugualmente applicare le disposizioni del T.U. del 1948, dato il loro carattere generale; e che comunque deve ritenersi collegato alla potestà normativa della Regione, anche il potere di emanare norme contenenti sanzioni penali.
In relazione a quest'ultimo motivo, il pretore di Vizzini ha sollevato pregiudizialmente, di ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 67 della legge regionale del 20 marzo 1951, n. 29, poiché, a suo avviso, sarebbe in contrasto con l'articolo 1 del Codice penale, in riferimento all'art. 70 della Costituzione. Pertanto, con ordinanza del 12 novembre 1956, ordinò la trasmissione degli atti a questa Corte, sospendendo il giudizio.
L'ordinanza ritualmente notificata all'imputato, al Procuratore della Repubblica, al Presidente della Regione siciliana, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato ed al Presidente dell'Assemblea siciliana, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nella Gazzetta Ufficiale della Regione rispettivamente il 12 e il 15 gennaio 1957.
Con atto depositato in cancelleria il 17 dicembre 1956 unitamente alle deduzioni, si é costituito in questa sede il Presidente della Regione siciliana, conferendo procura speciale all'avvocato professor Salvatore Pugliatti.
La difesa della Regione premette che alla Regione siciliana é attribuita, in base allo Statuto, potestà normativa esclusiva in materia di ordinamento elettorale regionale e che il conferimento della potestà normativa per una data materia comprende la disciplina della materia stessa nel suo complesso anche riguardo alle norme che vi sono connesse. Donde la conseguenza che l'art. 67 della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 in quanto riguarda norme di carattere penale inerenti ai precetti stabiliti nell'ambito della potestà normativa regionale, deve ritenersi costituzionalmente legittimo.
Aggiunge d'altra parte che l'art. 67 della legge elettorale regionale, rinviando alle sanzioni penali sostenute nella legge statale
(T.U. n. 26 del 1948), non ha fatto che estenderne l'applicazione alla Sicilia.
La Regione chiede quindi che sia dichiarata la legittimità costituzionale dell'art. 67 della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29.
Considerato in diritto
La questione sottoposta alla decisione di questa Corte consiste nell'esaminare se debba ritenersi costituzionalmente legittimo l'art. 67 della legge 20 marzo 1951, n. 29, emanata dalla Regione siciliana per la disciplina delle elezioni dei deputati all'Assemblea regionale. L'articolo stabilisce che, per le violazioni delle norme di detta legge, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni penali delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati. Si ripropone perciò, come risulta dall'ordinanza del pretore di Vizzini, in relazione all'ipotesi particolare preveduta da detto articolo, il problema se le Regioni a statuto speciale, nell'ambito della potestà normativa ad esse attribuita, possano emanare disposizioni contenenti sanzioni penali per la violazione delle proprie norme legislative. Problema già esaminato da questa Corte nelle sentenze n. 6 del 15 giugno 1956, nn. 21 e 23, rispettivamente del 19 e 21 gennaio 1957, e n. 58 del 13 aprile 1957, nelle quali si é ritenuto che la competenza a legiferare nella materia penale é devoluta esclusivamente allo Stato: onde sono state dichiarate costituzionalmente illegittime (con riferimento non già all'art. 70, come é detto nella ordinanza, bensì all'art. 25, secondo comma, della Costituzione) alcune disposizioni emanate dalle Assemblee regionali della Sardegna, della Sicilia e del Trentino-Alto Adige. Occorre perciò esaminare se nella fattispecie, ora sottoposta alla decisione della Corte, il principio anzidetto sia stato violato.
É opportuno premettere che nel primo comma dell'art. 122 della Costituzione é stabilito, in via generale, che il sistema di elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali sono stabiliti con legge della Repubblica. Ma, negli Statuti regionali, che, secondo il precedente art. 116, possono essere emanati per le Regioni cui sono riconosciute forme e condizioni speciali di autonomia, le elezioni dei Consigli regionali sono regolate da norme deliberate (fatta eccezione per la Valle d'Aosta) dalle stesse Regioni. Dispone infatti l'art. 3, primo comma, dello Statuto siciliano che l'Assemblea regionale é costituita da deputati eletti nella Regione a suffragio universale diretto e segreto, secondo la legge emanata dall'Assemblea regionale in base ai principi fissati dalla Costituente in materia di elezioni politiche. L'art. 16 dello Statuto sardo stabilisce che il Consiglio regionale é composto di consiglieri eletti a suffragio universale, diretto, uguale e segreto e con sistema proporzionale secondo le norme stabilite con legge regionale; e analoga disposizione é contenuta nell'art. 19 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige.
Per quanto riguarda quindi la costituzione dei predetti organi, fondamentali per il funzionamento degli Enti regionali, la potestà normativa, riconosciuta a quelli dotati di speciale autonomia, esclusa come si é detto la Valle d'Aosta, trova la sua base in una espressa e particolare autorizzazione statutaria, alla quale perciò le norme emanate dalle Regioni sono necessariamente collegate. Ond'é che, per decidere, in relazione all'attuale controversia, se la Regione siciliana con l'estendere le disposizioni di carattere penale, prevedute nel T.U. del 5 febbraio 1948, n. 26, si sia mantenuta nell'ambito della propria potestà normativa, occorre accertare se, fermo restando, come regola generale, il principio già enunciato nelle precedenti sentenze di questa Corte, tale estensione possa ritenersi legittima, in base alla particolare disposizione contenuta nel ricordato art. 3 dello Statuto regionale.
Detto articolo, come risulta dal testo sopra riferito, oltre ad attribuire potestà di legiferare in materia di elezioni politiche, rispettando così l'autonomia della Regione, stabilisce anche i criteri basilari cui la legge deve uniformarsi, rinviando ai principi fissati nella stessa materia dalla Costituente, inquadrando così, sotto questo aspetto, le norme regionali nel sistema costituzionale dello Stato. Posto ciò occorre ricordare che il legislatore costituente, con la legge 20 gennaio 1948, n. 6, attuando i precetti contenuti nell'art. 48 alla Costituzione, stabilì (art. 1) che, per le elezioni della Camera dei deputati, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, con le modificazioni apportate dalla predetta legge; disposizioni e modificazioni poi riunite nel già citato T.U. del 5 febbraio 1948, n. 26. Ed a queste disposizioni appunto, vigenti nel tempo in cui fu emanata la legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, questa legge si é uniformata, riproducendole nella massima parte. E vi si é uniformata, altresì nell'art. 67, oggetto dell'attuale contestazione, dato che non estende le sanzioni penali prevedute dalla legge statale a ipotesi di reato prevedute nella legge regionale, ma di detta legge richiama le disposizioni; con la conseguenza che le violazioni delle norme contenute nella legge elettorale regionale, intanto costituiscono reato, in quanto siano come tali prevedute dalla legge nazionale.
Ora, come é noto, il citato T.U. del 1948, oltre a disciplinare minutamente le tre fasi concernenti le operazioni elettorali, il procedimento preparatorio, la votazione e lo scrutinio, comprende sanzioni punitive per i fatti che hanno appunto come presupposto le elezioni e che la stessa legge (art. 88 del T.U.) indica come reati elettorali. E li considera come categoria a sé, poiché dispone (art. 88, quarto comma) che resta sempre salva l'applicazione delle maggiori pene stabilite dal codice penale e in altre leggi per i reati non previsti dal T.U., dispone inoltre (art. 88, primo comma) che, qualora sia applicata la pena della reclusione, questa, oltre alla interdizione dai pubblici uffici, produce sempre la sospensione dal diritto elettorale ed esclude infine, per tutti i reati anzidetti, l'applicabilità dei benefici della sospensione dell'esecuzione della condanna e della non iscrizione nel casellario.
É peraltro importante notare che la previsione dei reati e delle relative sanzioni di cui si é fatto cenno, si riscontra costantemente, per ormai antica e non interrotta tradizione legislativa, in tutte le leggi elettorali, delle quali, date le finalità peculiari alle leggi stesse, costituisce un necessario complemento e una particolare caratteristica. Appunto perché si é ritenuto che la regolarità delle operazioni inerenti alla consultazione popolare, non possa essere compiutamente assicurata se non attraverso la più efficace garanzia che é data dalle specifiche sanzioni penali. Ed é a questa tradizione che si uniformano anche le più recenti leggi 10 marzo 1946, n. 74, e 20 gennaio 1948, n. 6, riunite nel T.U. del 1948; 7 ottobre 1947, n. 1058, contenente norme per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali; 6 febbraio 1948, n. 29, per l'elezione del Senato; 8 marzo 1951, n. 122, per l'elezione dei Consigli provinciali; il T.U. 5 aprile 1951, n. 203, per la elezione degli organi delle amministrazioni comunali; e, da ultimo, il T.U. delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del 30 marzo 1957, n. 361.
La Corte é pertanto d'avviso che sia giustificato e risponda ad una razionale interpretazione dell'art. 3 dello Statuto siciliano, ritenere che l'attribuzione di competenza ad emanare la legge per le elezioni dei deputati all'Assemblea regionale, si riferisca alla legge elettorale nel suo complesso, considerata cioè nella sua tradizionale struttura, comprendente quindi sia i precetti e i divieti concernenti le operazioni elettorali, sia le disposizioni di carattere penale che, per quanto si é detto, vi sono connesse.
Com'é chiaro, dopo quanto si é esposto, si tratta di attribuzione di competenza legislativa di carattere eccezionale, che deroga, per la materia in esame, al principio generale che si ricava dall'art. 25 della Costituzione, secondo quanto ha già ritenuto questa Corte.
Non é inutile aggiungere, a completamento delle osservazioni finora esposte, che già questa Corte, con la sentenza n. 4 del 15 giugno 1956, ha riconosciuta, per speciali ragioni pure ricollegantisi ad un'antica tradizione legislativa, la legittimità della deroga ad un altro fondamentale precetto costituzionale. Quello cioè contenuto nel primo comma dell'art. 108 della Costituzione, secondo il quale le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge. Nella sentenza, infatti, anche per la materia preveduta nella detta disposizione, trattandosi di principi attinenti all'ordine costituzionale dello Stato, si é esclusa la competenza normativa delle Regioni, anche a statuto speciale. Si é tuttavia ritenuto che, per quanto riguarda la disciplina dei "masi chiusi", deve considerarsi costituzionalmente legittima una disposizione legislativa emanata dalla Provincia di Bolzano, che, in deroga ai precetti contenuti nel citato art. 108, conferisce, nella materia, particolari attribuzioni al pretore.
In base a quanto si é esposto la disposizione contenuta nell'art. 67 della legge regionale siciliana 20 marzo 1951, n. 29, concernente l'elezione dei deputati all'Assemblea della Regione, deve ritenersi costituzionalmente legittima.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, proposta con ordinanza del Pretore di Vizzini del 10 novembre 1956, sulla legittimità costituzionale dell'art. 67 della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29, concernente l'elezione dei deputati alla Assemblea regionale, in riferimento all'art. 25 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1957.
Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.
Depositata in Cancelleria il 8 luglio 1957.