SENTENZA N. 380
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso Quaranta "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 53 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2003), promosso con ricorso della Regione Marche, notificato il 26 febbraio 2003, depositato in cancelleria il 4 marzo successivo ed iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 26 ottobre 2004 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. – Con ricorso notificato il 26 febbraio 2003 e depositato il 4 marzo 2003, la Regione Marche ha impugnato alcuni articoli della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2003) e, fra essi, l’art. 53, secondo cui «Ai medici che conseguono il titolo di specializzazione è riconosciuto, ai fini dei concorsi, l’identico punteggio attribuito per il lavoro dipendente».
La ricorrente ritiene la norma in contrasto con l’art. 117, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, in particolare sotto il profilo che il meccanismo di equivalenza ai fini concorsuali tra titolo di specializzazione e lavoro dipendente incide, per quanto riguarda in particolare le aziende del Servizio sanitario nazionale ed i relativi concorsi, su materia appartenente alla propria competenza esclusiva.
Secondo la Regione, infatti, la materia concernente il rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, a seguito della riforma del sistema costituzionale operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), è estranea alla competenza esclusiva dello Stato di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost., per lo meno quando, riferendosi anche ad amministrazioni diverse da quelle indicate alla lettera g) del medesimo comma, travalichi le linee ordinamentali e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Pertanto – ove la disciplina del rapporto di impiego presso le pubbliche amministrazioni si incroci con la materia dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa regionale degli enti locali (e non presenti profili di "tutela e sicurezza del lavoro") – il legislatore regionale può regolare la materia direttamente, o ripartirla tra le varie possibili fonti di regolamentazione interna.
2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di non fondatezza della questione, deducendo: a) che la norma impugnata mira a valorizzare i medici più qualificati, per aver conseguito il titolo di specializzazione, ed è ispirata a riconoscimenti comunitari delle attività degli specializzandi; b) che la competenza dello Stato può essere rinvenuta anche nell’art. 117 Cost., secondo comma, lettera n) (che attribuisce allo Stato la legislazione esclusiva in tema di “norme generali sull’istruzione”), e nel terzo comma (che tra le materie di legislazione concorrente comprende la “tutela della salute”).
3. – Nell’imminenza dell’udienza la Regione Marche ha depositato memoria illustrativa, in cui – a contestazione delle argomentazioni difensive svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri – osserva che, nella specie, non è in discussione la valorizzazione dei medici specializzati, bensì la disciplina del rapporto di impiego con le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale (che è materia estranea tanto all’istruzione quanto alla tutela della salute), attuata oltretutto attraverso una norma di dettaglio, direttamente applicabile dai destinatari e non derogabile dal legislatore regionale.
4. – Anche l’Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato memoria illustrativa deducendo che la norma impugnata riguarda la rilevanza dei titoli rilasciati dalle università, materia sottratta alla competenza delle Regioni, e soggetta a disciplina unitaria, anche in considerazione della mobilità dell’interessato non circoscritta ad una singola Regione. «Solo in via subordinata», l’Avvocatura rileva che l’esigenza di equiparare ad anni di servizio lavorativo i molti anni dedicati all’acquisizione del titolo di specializzazione tende a garantire l’efficienza degli apparati pubblici, pregiudicata dalla diffusa sottovalutazione della formazione universitaria e post-universitaria rispetto alle esperienze acquisite all’interno degli apparati stessi.
Considerato in diritto1. – La Regione Marche impugna l’art. 53 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2003), secondo cui «Ai medici che conseguono il titolo di specializzazione è riconosciuto, ai fini dei concorsi, l’identico punteggio attribuito per il lavoro dipendente».
Ad avviso della ricorrente, la norma contrasta con l’art. 117, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, in quanto l’equivalenza ai fini concorsuali del titolo di specializzazione e del lavoro dipendente incide – per ciò che riguarda in particolare le procedure concorsuali di accesso del personale medico alle aziende del Servizio sanitario nazionale – sulla materia dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa degli enti locali, appartenente alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni.
2. – La questione – sollevata dallo stesso ricorso unitamente a numerose altre, concernenti diverse disposizioni del medesimo testo legislativo, prive di collegamento tra loro – può formare oggetto di trattazione separata.
3. – La formulazione letterale della censura consente di ritenere che l’impugnazione proposta dalla ricorrente concerna la norma per la parte in cui si applica ai concorsi banditi dalle Regioni e dagli enti regionali.
Essa è fondata.
3.1. – Come si ricava dai lavori preparatori, la norma impugnata – che trae origine da un più ampio emendamento alla legge finanziaria del 2003 – mira a sistemare le posizioni dei medici specializzati (operanti di fatto negli ospedali, in regime di precariato), mediante la valorizzazione della professionalità da essi acquisita. Ed a tal fine, con formulazione generale ed inderogabile, equipara – nella valutazione dei titoli dei canditati partecipanti a pubblici concorsi – i medici che abbiano conseguito la specializzazione ed i lavoratori dipendenti.
La norma, dunque, attiene specificamente alla disciplina dei concorsi per l’accesso al pubblico impiego.
Pertanto essa non può essere ricondotta, come sostiene l’Avvocatura generale dello Stato, alla competenza legislativa esclusiva spettante allo Stato in tema di «norme generali sull’istruzione», ai sensi del secondo comma, lettera n), dell’art. 117 Cost. La determinazione delle modalità di valutazione dei titoli nei pubblici concorsi attiene infatti ad un momento diverso e temporalmente successivo rispetto a quello del conseguimento del titolo stesso; e non riguarda in alcun modo la rilevanza di esso in ordine alla libertà di circolazione dei medici in ambito comunitario ed al reciproco riconoscimento dei relativi diplomi, certificati ed altri titoli (regolati dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, di attuazione della direttiva 93/16/CEE).
D’altro canto, la norma impugnata è anche estranea alla materia dell’«ordinamento civile», parimenti attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dalla lettera l) del secondo comma dell’art. 117 Cost. (peraltro non richiamata dall’Avvocatura generale dello Stato a sostegno delle proprie difese). La disciplina dei concorsi per l’accesso al pubblico impiego – per i suoi contenuti marcatamente pubblicistici e la sua intima correlazione con l’attuazione dei principi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost. – è invero sottratta all’incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, che si riferisce alla disciplina del rapporto già instaurato.
Infine, neppure è possibile ricondurre la norma in esame alla potestà legislativa dello Stato concernente la determinazione dei principi fondamentali in materia di «tutela della salute», ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost. In effetti – a parte l’onnicomprensivo riferimento testuale ai «concorsi», onde va escluso che la norma sia applicabile alle sole procedure per l’accesso a strutture sanitarie od ospedaliere – la tutela della salute ha una correlazione del tutto generica, e comunque meramente fattuale, con la disciplina delle modalità d’accesso al pubblico impiego. In ogni caso, l’obbligo di riconoscere identico punteggio a due categorie di candidati in pubblici concorsi non esprime certo un principio fondamentale a tutela della salute, ma è invece previsione dettagliata che non consente alla Regione di darne, attraverso la sua attività normativa concorrente, ulteriore svolgimento o specificazione (cfr. sentenza n. 338 del 2003).
3.2. – La regolamentazione dell’accesso ai pubblici impieghi mediante concorso è riferibile all’ambito della competenza esclusiva statale, sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., solo per quanto riguarda i concorsi indetti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici nazionali. Non altrettanto può dirsi per l’accesso agli impieghi presso le Regioni e gli altri enti regionali, cui appunto si riferisce la censura proposta dalla ricorrente.
Se, come la Corte ha già affermato (sentenza n. 370 del 2003), una disciplina normativa non può essere ricondotta all’ambito della legislazione residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117, sol perché non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo, tuttavia, nella specie, è di immediata percezione proprio l’impossibilità di collocare la disciplina in esame nei cataloghi delle competenze legislative statali esclusive o concorrenti, come evocate dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri.
Da tale impossibilità discende la fondatezza della tesi della ricorrente, secondo cui la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale – in quanto riconducibile alla materia innominata dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali – è preclusa allo Stato (a maggior ragione attraverso disposizioni di dettaglio), e spetta alla competenza residuale delle Regioni (v. sentenza n. 2 del 2004), ovviamente nel rispetto dei limiti costituzionali (v. sentenza n. 274 del 2003).
In conclusione, l’art. 53 della legge n. 289 del 2002 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui si applica ai concorsi banditi dalle Regioni o dagli enti regionali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2003), sollevate dalla Regione Marche con il ricorso in epigrafe;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 53 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), nella parte in cui si applica ai concorsi banditi dalle Regioni o dagli enti regionali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 dicembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2004.