ANNO 2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta
dai signori:
-
Francesco
AMIRANTE
Presidente
-
Ugo
DE
SIERVO
Giudice
-
Paolo
MADDALENA
"
-
Alfio
FINOCCHIARO
"
-
Alfonso
QUARANTA
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI
"
-
Sabino
CASSESE
"
-
Maria Rita
SAULLE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
-
Paolo Maria
NAPOLITANO
"
-
Giuseppe
FRIGO
"
-
Alessandro
CRISCUOLO
"
-
Paolo
GROSSI
"
ha
pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei
giudizi di
legittimità costituzionale degli articoli 267, comma 4 lettere a) e c),
269, commi 2, 3, 7 e 8, 271, 281, comma 10, 283, 284 e 287 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
promossi dalle
Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia con ricorsi
notificati l’8,
il 10 e il 13 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 15, il
16 ed il
20 giugno 2006 ed iscritti ai nn.
68, 70, 73 e 76 del
registro ricorsi 2006.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri,
nonché gli
atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus,
della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;
udito nell’udienza pubblica del 19 maggio
2009 il Giudice relatore Ugo
De Siervo;
uditi
gli avvocati Maria Grazia Bottari
Gentile per
Ritenuto in fatto
1.
–
Con il ricorso iscritto al n. 68 del registro ricorsi del 2006,
La
ricorrente, preliminarmente, riferisce che il citato decreto
costituisce
l’esercizio da parte del Governo della delega conferitagli dal
Parlamento con
la legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino,
il
coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale
e
misure di diretta applicazione). Illustra, quindi, il procedimento
seguito per
l’emanazione del citato d.lgs. n. 152 del 2006, affermando come esso
avrebbe
disatteso i principi ispiratori della delega e, in particolare, il
principio di
leale cooperazione tra Stato, Regioni ed enti locali.
Dopo
aver censurato l’illegittimità costituzionale dell’intero decreto
delegato
proprio in conseguenza dei vizi del procedimento di formazione,
Tra
queste, vengono censurati alcuni articoli inseriti nella parte quinta
del
decreto, recante norme
in materia di tutela dell’aria
e di riduzione delle emissioni in atmosfera.
La
ricorrente sostiene che in tale materia sussisterebbe una
compenetrazione di
titoli di competenza dello Stato e delle Regioni da ravvisarsi, in via
prevalente, nella "tutela dell’ambiente”, ma anche nella "tutela della
salute”.
L’esigenza
di tenere in adeguato conto anche tale ultima competenza e di garantire
un
ruolo di primo piano alle Regioni nella tutela dell’aria
dall’inquinamento era
ben presente nella normativa anteriore al decreto impugnato e, in
particolare,
nel d.P.R. 24 maggio
1988, n. 203 (Attuazione delle direttive
CEE numeri
80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità
dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di
inquinamento
prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15 della L. 16
aprile
1987, n. 183), ora abrogato dall’art. 280 del d.lgs. n.
152 del 2006.
L’art. 4 del citato d.P.R.,
infatti, prevedeva che
tale tutela spettasse alle Regioni che la esercitavano nell’ambito dei
principi
posti dalla legislazione statale e attribuiva loro una serie di
competenze.
«Anche
in considerazione di questo riferimento ‘storico’», la ricorrente
censura le
disposizioni con le quali il legislatore delegato avrebbe introdotto
una
disciplina procedimentale di estremo dettaglio non giustificata
dall’esigenza
di predisporre standard di tutela uniformi.
In
particolare, l’art. 269 regolerebbe il rilascio al gestore di un
impianto, da
parte dell’autorità competente, dell’autorizzazione alle emissioni in
atmosfera
in modo così dettagliato da vincolare sotto ogni profilo la legge
regionale che
disciplina l’attività dell’autorità competente.
Il
comma 2 della censurata disposizione individuerebbe, addirittura, lo
schema di
un modulo per la presentazione delle istanze. Il comma 3 regolerebbe
nel
dettaglio le attività che presiedono al rilascio dell’autorizzazione,
privando
le Regioni di ogni margine di modulazione e prevedendo l’esercizio di
un potere
sostitutivo da parte dello Stato senza le garanzie predisposte
dall’art. 120
Cost. e senza contemplare la previa diffida ad adempiere.
Il
comma 7, poi, stabilirebbe termini eccessivamente e «inutilmente»
rigidi per il
rilascio dell’autorizzazione; infine, detterebbe una disciplina di
estremo
dettaglio per il caso di modifiche all’impianto, vincolando in modo
assoluto
l’attività normativa e amministrativa delle Regioni.
Analogamente,
anche l’art. 284 regolerebbe in modo analitico la denuncia di
installazione o
modifica di un impianto termico civile, privando le Regioni della
possibilità
di calibrare i procedimenti in relazione alle peculiarità dei propri
territori
e alle esigenze di tutela della salute degli abitanti. Ciò
determinerebbe
l’illegittimità costituzionale della citata disposizione, nonché
dell’Allegato
IX alla parte quinta a cui l’art. 284 rinvia e «che ne costituisce una ulteriore specificazione».
L’art.
267, comma 4, lettera a),
contrasterebbe con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119,
quinto comma, Cost., nonché con il principio di leale
collaborazione. Infatti
esso, nel prevedere la possibilità per il Ministro
dell’ambiente di promuovere misure atte a favorire la produzione di
energia da
fonti rinnovabili e sviluppare tecnologie pulite, consentirebbe allo
Stato –
oltretutto senza alcuna partecipazione regionale – di realizzare
«interventi
diretti di ordine finanziario sul territorio» in materie di competenza
concorrente, quali il governo del territorio, la tutela della salute,
nonché di
competenza residuale, quale la «produzione non-nazionale di energia».
È
censurato,
altresì, l’art. 281, comma 10, per violazione degli artt. 3, 117,
terzo comma, e 118 Cost., sotto il profilo della
ragionevolezza, nella
parte in cui subordina all’intesa con il Ministro dell’ambiente e con
il
Ministro della salute la possibilità, per le Regioni, di adottare
provvedimenti
generali in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o
di zone
che richiedano particolare tutela ambientale. L’imposizione
dell’intesa,
secondo la ricorrente, priverebbe le Regioni della propria
responsabilità di
governo del territorio e di tutela della salute dei cittadini,
accentrando in
capo allo Stato compiti di cui esso non è più titolare a seguito della costituzionalizzazione del
principio di sussidiarietà.
Infine,
Inoltre,
si priverebbero le Regioni di una funzione ad esse conferita dall’art.
84,
lettera b), del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della
L. 15
marzo 1997, n. 59).
2.
–
Anche
La ricorrente censura, tra l’altro,
la parte quinta del decreto per violazione degli artt. 3, 5, 76, 97,
114, 117,
118, 119 e 120 Cost., nonché per violazione «dei principi di leale
collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione,
sussidiarietà,
buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di
principi e
norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali».
L’impostazione
di tale disciplina incorrerebbe in tre rilievi. Innanzitutto,
disattenderebbe
il criterio fissato dalla legge delega di operare una revisione della
normativa
concernente le emissioni dei gas inquinanti in atmosfera alla luce
della
disciplina comunitaria e, in particolare, della direttiva 2001/81/CE
del 23
ottobre 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa ai limiti nazionali di emissione di
alcuni inquinanti
atmosferici). Il decreto rispetterebbe solo alcuni profili della
normativa
comunitaria e non prevedrebbe il necessario aggiornamento delle
prescrizioni e
dei valori limite rispetto all’evoluzione tecnologica. Inoltre, non
sarebbe
adeguatamente considerata la relazione tra tutela ambientale e
disciplina
dell’energia e degli impianti termici, che sarebbe di competenza
concorrente.
Infine, subirebbero una generale compressione le competenze pianificatorie
e programmatorie delle
Regioni.
Con
specifico riferimento alle singole disposizioni, la ricorrente censura,
innanzitutto, l’art. 267, comma 4, lettera a),
del d.lgs. n. 152 del
La
lettera c) del medesimo comma,
inoltre,
prevederebbe uno
specifico utilizzo dei "certificati
verdi” non contemplato dalla legge delega che, all’art. 1, comma 9,
lettera g), n. 2), indicava solo il
prolungamento del loro periodo di validità. In tal modo, inoltre,
sarebbero
precluse eventuali diverse politiche regionali incentivanti dell’uso
delle
fonti energetiche rinnovabili.
L’art.
269, comma 7, nell’introdurre un periodo di validità
dell’autorizzazione alle
emissioni in atmosfera, ne fisserebbe una durata sproporzionata (15
anni) la
quale bloccherebbe ingiustificatamente la possibilità di un adeguamento
degli
impianti in relazione al progresso tecnologico certamente più rapido.
Al
contempo, non sarebbe prevista la possibilità, per l’autorità
competente, di
modificare le prescrizioni dell’autorizzazione in relazione
all’evoluzione
delle tecnologie, con ciò determinando una limitazione dei poteri
pubblici di
controllo e di miglioramento della qualità dell’aria, in violazione del
criterio direttivo fissato dall’art. 1, comma 8, lettere d)
ed h), della legge
delega.
In
tal
modo sarebbe, altresì, pregiudicata la possibilità, per le Regioni, di
modulare
l’attività amministrativa relativa al rilascio delle autorizzazioni e
ai
programmi di tutela in relazione alle differenti realtà locali, in
violazione
dei principi di sussidiarietà, leale collaborazione e buon andamento
della p.a.
La
disciplina dettata dall’art. 271 e dai relativi allegati con riguardo
alla
fissazione dei valori limite di emissione degli impianti e alle
prescrizioni
sarebbe del tutto carente, in quanto rinvierebbe a provvedimenti da
emanarsi
successivamente all’entrata in vigore del decreto delegato. Inoltre, i
valori
fissati negli allegati al decreto medesimo riproporrebbero quelli
stabiliti nel
1988, da ritenere oramai del tutto superati. La loro riproposizione
vanificherebbe le attività di maggior tutela nel frattempo poste in
essere
dalle Regioni, non essendo previsto che esse possano mantenere in
vigore le
proprie specifiche discipline più restrittive, con ciò determinando un
peggioramento delle condizioni ambientali.
In
tal
modo, sarebbero del tutto trascurati i principi di differenziazione e
sussidiarietà «nella loro potenzialità evolutiva», nonché il principio
di leale
collaborazione, in contrasto con la finalità di tutela dell’ambiente.
L’art.
281, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel subordinare il potere
delle
Regioni di introdurre valori limite e prescrizioni più severi di quelli
fissati
dal decreto alla previa intesa con il Ministro dell’ambiente e con il
Ministro
della salute e alla condizione che «ciò risulti necessario al
conseguimento dei
valori limite e dei valori bersaglio della qualità dell’aria»,
comprimerebbe
ingiustificatamente la competenza delle Regioni, impedendo loro di
attuare
interventi migliorativi, per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a
quelle
fissate a livello statale (come previsto
dalla sentenza
n. 407
del 2002 di
questa Corte).
La
ricorrente denuncia poi gli artt. 284 e 287 per contrasto con l’art. 76
Cost.,
in quanto violerebbero il criterio direttivo posto dall’art. 9, lettera
g), della legge delega il quale
poneva
tra le finalità della nuova regolamentazione quella della
semplificazione e
della certezza normativa. Entrambe le norme censurate contrasterebbero,
altresì, con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto introdurrebbero
una
disciplina di dettaglio nella materia dell’energia, «senza peraltro
pervenire
ad aggiornata ed univoca regolamentazione di settore».
Infatti,
nel caso di installazione o modifica di un impianto termico civile di
potenza
termica nominale superiore al valore soglia, è prevista la trasmissione
di
apposita denuncia all’autorità competente, perpetuandosi le
disposizioni poste
dalla legge 13 luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti contro l’inquinamento
atmosferico), senza prevederne l’integrazione con quelle derivanti
dalla
normativa energetica di cui al d.P.R.
26 agosto 1993,
n. 412 (Regolamento recante norme per la progettazione,
l’installazione,
l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai
fini del
contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art. 4, comma
4, della
L. 9 gennaio 1991, n. 10), il quale richiede, oltre al libretto di
centrale,
anche la scheda identificativa dell’impianto. Mancherebbe, inoltre, il
coordinamento e l’integrazione con il decreto legislativo 19 agosto
2005, n.
192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento
energetico
nell’edilizia), che recepisce la normativa comunitaria in materia di
rendimento
energetico nell’edilizia e prevede che le Regioni legiferino in materia
di
certificazione energetica e di ispezioni sugli impianti.
2.1
–
Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, il quale ha
eccepito
l’inammissibilità del ricorso per tardività della notifica del
medesimo, nonché
l’infondatezza delle censure, riservando a successive memorie la
completa
illustrazione della posizione del Governo.
2.2
–
È intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia)
– Onlus a sostegno delle
censure di legittimità costituzionale prospettate dalla Regione
Piemonte. Dopo
aver sostenuto l’ammissibilità del proprio intervento nel giudizio, il
WWF
svolge articolate argomentazioni sulle varie disposizioni censurate.
2.3
–
Sono, altresì, intervenute ad opponendum
3.
–
La
ricorrente premette di aver già proposto un ricorso (il n. 56 del 2006)
avverso
talune disposizioni del citato decreto per le quali riteneva urgente
chiedere
la sospensione. In sede di delibera di tale ricorso, tuttavia,
Ciò
posto, la ricorrente, dopo aver richiamato le censure svolte nel
precedente
atto introduttivo avverso i vizi procedurali che inficerebbero l’intero
decreto
delegato, censura alcune singole disposizioni del medesimo.
Con
particolare riguardo alla parte quinta, recante
norme
in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in
atmosfera,
Ciò
sarebbe confermato anche dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n.
59
(Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla
prevenzione e
riduzione integrate dell’inquinamento), il quale, all’art. 8, consente
di
prescrivere, nelle autorizzazioni integrate ambientali, misure più
rigorose per
assicurare la tutela della qualità dell’aria. Inoltre le Regioni, nel
rispetto
della normativa comunitaria e, in particolare, della direttiva
2001/80/CE
relativa ai grandi impianti di combustione e non ancora recepita dallo
Stato,
potrebbero adottare provvedimenti volti a restringere i limiti di
emissione.
La
ricorrente impugna, inoltre, l’art. 287 il quale, nel disporre che il
"patentino” di cui deve essere munito il personale addetto alla
conduzione di
impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232
MW sia
rilasciato dall’Ispettorato provinciale del lavoro, contrasterebbe con
l’art.
118 Cost. Esso, infatti, priverebbe le Regioni di una competenza
amministrativa
ad esse conferita dall’art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998.
Violerebbe,
inoltre, l’art. 76 Cost., in quanto disattenderebbe i limiti della
delega che
prescrive il rispetto del riparto di competenze fissato dal decreto da
ultimo
citato.
L’art.
287, nella parte in cui dispone che la disciplina dei corsi e degli
esami per
cui è subordinato il rilascio del patentino sia stabilita con decreto
ministeriale, lederebbe l’art. 117, quarto comma, Cost. in quanto
invaderebbe
la competenza residuale delle Regioni in materia di formazione
professionale.
Infine,
Tale
parte dell’allegato, infatti, nell’escludere l’autorizzazione di cui
all’art.
272 per determinati impianti, utilizzerebbe, con riguardo agli
allevanti di
bestiame, un criterio irragionevole privo di alcuna relazione con le
emissioni
in atmosfera. Esso, infatti, farebbe riferimento non al numero di capi
di
bestiame presenti nell’azienda, ma solo alla
estensione
del terreno di cui essa dispone e in cui sono utilizzati gli effluenti,
comportando che anche gli allevamenti di ingenti dimensioni, i quali
producono
un significativo impatto sull’ambiente in termini di emissioni in
atmosfera,
non sarebbero soggetti ad alcuna autorizzazione.
La
disposizione impugnata, pertanto, contrasterebbe con gli artt. 3 e 9
Cost., in
quanto il criterio derogatorio utilizzato sarebbe irragionevole e
lesivo degli
interessi ambientali in cura alla Regione; con l’art. 76 Cost., in
quanto, per
le medesime ragioni, contrasterebbe con i criteri direttivi della
delega;
infine, con l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto vanificherebbe
le
politiche di tutela ambientale della Regione nell’ambito
dell’agricoltura e
della zootecnia.
3.1
–
Anche in tale giudizio è intervenuta l’Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) –
Onlus, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità delle medesime
disposizioni
impugnate dalla Regione Emilia-Romagna.
4.
–
Anche
Tra
gli altri, la ricorrente censura l’art. 281, comma 10, il quale
prevede, per
l’adozione dei piani o programmi e per il rilascio delle autorizzazioni
da
parte delle Regioni o Province autonome, la necessità di un’intesa con
il
Ministro dell’ambiente e con il Ministro della salute allo scopo di
fissare
limiti più restrittivi alle emissioni. Tale disposizione violerebbe
l’art. 76
Cost., perché contrasterebbe con i principi e criteri direttivi della
delega,
nonché gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. per la «assoluta
preponderanza
dei poteri riconosciuti» al Ministro dell’ambiente al quale sarebbe
assegnato
un ruolo preminente anche con finalità di controllo sulle competenze
regionali,
in violazione del principio di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza.
4.1
–
È intervenuta in giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) –
Onlus, a sostegno delle censure svolte dalla ricorrente.
5.
– In
prossimità
dell’udienza pubblica, le Regioni Calabria, Emilia-Romagna e Puglia,
nonché il
WWF, hanno depositato memorie conclusive.
Considerato
in
diritto
1.
– Le Regioni
Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia hanno impugnato numerose
disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia
ambientale), tra cui l’art. 267, comma 4, lettera a)
(Regioni Calabria e Piemonte); l’art. 267, comma 4, lettera c) (Regione Piemonte); l’art. 269, commi
2, 3, 7 e 8 (Regioni Calabria e Piemonte); l’art. 271 «in relazione
agli
Allegati» (Regione Piemonte); l’art. 281, comma 10 (Regioni Calabria,
Piemonte,
Emilia – Romagna e Puglia); l’art. 283 (Regione Piemonte); l’art. 284
(Regioni
Calabria e Piemonte); l’art. 287 (Regioni Calabria, Piemonte ed Emilia
–
Romagna); la Parte I, punto 4, lettera z),
dell’Allegato IV alla Parte quinta (Regione Emilia – Romagna);
l’Allegato IX
alla Parte V (Regione Calabria).
Le
ricorrenti
lamentano la violazione degli artt. 3 (Regioni Calabria ed
Emilia-Romagna), 5
(Regione Piemonte), 9 (Regione Emilia-Romagna), 76 (tutte le
ricorrenti), 114
(Regione Piemonte), 117, terzo comma
(tutte le
ricorrenti, con riguardo alla Regione Regione
Emilia-Romagna senza espressa indicazione), 117, quarto comma (Regioni
Calabria
ed Emilia-Romagna), 118 (tutte le ricorrenti), 119, quinto comma
(Regione
Calabria), e 120 della Costituzione (Regione Calabria); sono altresì
evocati i
principi di leale collaborazione (tutte le ricorrenti), sussidiarietà
(Regioni
Calabria, Piemonte, Puglia) e buon andamento della pubblica
amministrazione
(Regione Piemonte).
È
opportuno riservare
a separate decisioni l’esame delle censure che le ricorrenti hanno
mosso ad
altre disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, per affrontare in questa
sede le
sole doglianze che investono, secondo quanto appena precisato, la parte
quinta
del decreto impugnato, con riguardo alle norme in materia di tutela
dell’aria e
di riduzione delle emissioni in atmosfera.
L’omogeneità
della
materia trattata consente la riunione del
ricorsi,
perché essi siano decisi con un’unica sentenza.
2.
– L’Associazione
italiana per il World Wide Fund
for
Nature (WWF Italia) Onlus è intervenuta nei giudizi promossi dalle
Regioni
Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia.
Nel
ricorso promosso
dalla Regione Piemonte sono altresì intervenute Biomasse Italia s.p.a.,
Società
Italiana Centrali Termoelettriche-SICET
s.r.l., Ital Green
Energy s.r.l. e ETA Energie Tecnologie Ambiente
s.p.a.
Questi
interventi sono inammissibili.
Il
giudizio di costituzionalità delle leggi promosso in via d’azione è,
infatti,
configurato come svolgentesi
esclusivamente tra
soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i
soggetti privi
di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive,
anche
costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed
eventualmente
anche di fronte a questa Corte in via incidentale (fra le molte
sentenze n.
405 del 2008
e n.
469 del 2005).
3.
– In via preliminare deve essere rigettata l’eccezione di
inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato con riguardo al
ricorso
promosso dalla Regione Piemonte in
ragione della asserita
tardività della notifica dell’atto introduttivo. Premesso,
infatti, che anche nei giudizi in via principale
vige il principio della scissione fra il momento in cui la
notificazione deve
intendersi effettuata nei confronti del notificante rispetto al momento
in cui
essa si perfeziona per il destinatario dell’atto (sentenze n.
300 del 2007
e n.
477 del 2002),
è agevole rilevare che, nel caso di
specie, la notifica è stata effettuata tempestivamente dalla Regione,
in quanto
il ricorso risulta spedito a mezzo posta in data 12 giugno 2006, e
dunque nel
termine di 60 giorni dalla pubblicazione del decreto legislativo
impugnato,
avvenuta il 14 aprile 2006.
4.
– Ancora in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità delle
censure formulate dalla Regione Piemonte avverso gli artt. 267, comma
4,
lettera a), 269, comma 7, 271, 281,
comma 10, 284 e 287 del d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento agli
artt. 5 e
114 Cost. e «con riguardo a principi e norme del diritto comunitario e
di
convenzioni internazionali», poiché del tutto prive di motivazione (tra
le
molte, sentenze n.
25 del 2008
e n.
430 del 2007).
Per
la medesima ragione, è palesemente inammissibile l’impugnazione,
sempre da parte della Regione Piemonte, dell’art. 283, che viene
meramente
indicato tra le disposizioni oggetto di ricorso, senza che ne consegua
lo
svolgimento di alcuna censura.
Il
ricorso della
Regione Piemonte è, inoltre, inammissibile quanto all’impugnazione
dell’art.
271 «in relazione agli Allegati», poiché tale disposizione non è
espressamente
indicata tra le norme che
Parimenti,
le censure
proposte dalla Regione Emilia-Romagna avverso l’art. 287 sono
ammissibili con
esclusivo riguardo al comma 1 di tale disposizione, al quale soltanto
si riferisce,
espressamente, la delibera della Giunta regionale.
Infine,
sono
inammissibili, in quanto basate su parametri che non attengono al
riparto delle
competenze tra Stato e Regioni (tra le molte, sentenze n.
216 del 2008
e n.
116 del 2006),
le censure svolte dalla Regione
Piemonte avverso l’art. 269, comma 7, con riguardo al "principio di
buon
andamento della pubblica amministrazione”; dalla Regione Calabria
avverso
l’art. 281, comma 10, con riferimento all’art. 3 Cost.; dalla Regione
Emilia
Romagna avverso il medesimo art. 281, comma 10, con riferimento
all’art. 9
Cost.; ancora dalla Regione Emilia-Romagna avverso
4.1.
– Tale
conclusione va ribadita con riguardo alle censure regionali basate
sull’art. 76
Cost., le quali a propria volta richiedono, per essere ammissibili, che
la
lamentata violazione dei principi e dei criteri direttivi enunciati
dalla legge
delega, da parte del legislatore delegato, sia suscettibile di
comprimere le
attribuzioni regionali (sentenza
n. 503 del 2000).
Detto
requisito di
ammissibilità non è soddisfatto dal ricorso della Regione Piemonte
nella parte
avente ad oggetto l’art. 267, comma 4, lettera c). La disposizione stabilisce che
i
certificati verdi maturati a
fronte di energia prodotta ai sensi dell’art.
1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore
energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle
disposizioni
vigenti in materia di energia), «possono essere utilizzati
per assolvere all’obbligo
di cui all’articolo 11 del decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79, solo
dopo che siano stati annullati tutti i certificati verdi maturati dai
produttori di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili così come
definite dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 387 del 2003».
La
ricorrente contesta che tale disposizione
ecceda i limiti imposti dall’art. 2, comma 9, lettera g),
n. 2, della
legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale
e
misure di diretta applicazione), il quale avrebbe consentito il solo
prolungamento fino a dodici anni del periodo di validità dei
certificati verdi,
e non l’introduzione di «una modalità di utilizzo» di essi. Tuttavia,
la
censura non si accompagna alla necessaria indicazione della specifica
competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale
lesione, sicché essa va ritenuta inammissibile, a prescindere
dall’intervenuta
abrogazione dell’art. 1, comma 71, della legge n. 239 del 2004 da parte
dell’art. 1, comma 1120, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007).
Il
medesimo vizio di inammissibilità colpisce
la censura mossa, ai sensi dell’art. 76 Cost., dalla Regione Piemonte
con
riguardo agli artt. 284 e
Priva
di motivazione, e pertanto
inammissibile, è l’impugnazione, da parte della Regione Emilia-Romagna,
della
Parte I, punto 4, lettera z),
dell’Allegato IV alla Parte quinta per violazione dell’art. 76
Cost., motivata dalla asserita
lesione degli
«interessi ambientali in cura alla Regione» e dal contrasto con i
principi
direttivi fissati dalla legge di delega: la mancata specificazione di
quali
principi enunciati dal legislatore delegante sarebbero stati violati
impedisce
di scrutinare il merito della censura.
Parimenti
inammissibile è, infine, l’impugnazione, da parte della Regione Puglia,
dell’art. 281, comma
5.
– Passando ad
esaminare il merito delle censure, vengono innanzitutto in
considerazione
quelle relative all’art. 267, comma 4, lettera a),
il quale stabilisce che, al fine di promuovere l’impiego di
energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, «potranno
essere promosse dal
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i
Ministri
delle attività produttive e per lo sviluppo e la coesione territoriale
misure
atte a favorire la produzione di energia elettrica tramite fonti
rinnovabili ed
al contempo sviluppare la base produttiva di tecnologie pulite, con
particolare
riferimento al Mezzogiorno».
La
Regione Calabria sostiene che tale disposizione consentirebbe allo
Stato di realizzare «interventi diretti di ordine finanziario» sul
territorio
regionale, in violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost., nonché
della
competenza concorrente regionale in materia di governo del territorio e
di
tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.) e di quella
residuale in
materia di «produzione non nazionale di energia» (art. 117, quarto
comma,
Cost.); peraltro, il difetto «di ogni coinvolgimento regionale»
comporterebbe,
altresì, la lesione del principio di leale cooperazione.
A
propria volta, la Regione Piemonte lamenta il mancato «coinvolgimento
esplicito» dell’istanza regionale nella determinazione del contenuto di
tali
misure.
Le
questioni non sono fondate.
Esse
si basano, infatti, sull’erroneo presupposto interpretativo per il
quale la disposizione censurata prevederebbe
l’adozione, da parte dello Stato, di atti che si sovrappongano alla
sfera di
competenza regionale e ne ledano l’autonomia finanziaria. Tale lettura
non è in
alcun modo confortata dalla lettera della disposizione oggetto di
ricorso, che
si limita ad impegnare lo Stato alla promozione dell’energia da fonti
rinnovabili per mezzo di non meglio determinate «misure», la cui natura
e il
cui contenuto – allorché vengano
adottate – non
potranno che conformarsi all’attuale assetto delle competenze
costituzionali di
Stato e Regioni.
Tra
queste, non vi è dubbio che spicchi la competenza concorrente
regionale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia, mentre
6.
– L’art. 269 disciplina l’autorizzazione di cui debbono munirsi gli
impianti che producono emissioni in atmosfera. La Regione Calabria
impugna i
commi 2, 3, 7 ed 8 di tale disposizione, che viene censurata anche
dalla
Regione Piemonte, ma con riferimento al solo comma 7.
Con
una prima doglianza, che investe tutti i commi impugnati, la Regione
Calabria lamenta che essi recherebbero norme di dettaglio nelle materie
della
tutela della salute e del governo del territorio, ove, ai sensi
dell’art. 117,
terzo comma, Cost., è riservata allo Stato la sola determinazione dei
principi
fondamentali.
La
questione non è fondata.
L’art.
269, dopo avere enunciato, al comma 1, il principio per il quale
gli impianti che producono emissioni sono soggetti, salvo specifiche
eccezioni,
ad un regime autorizzatorio,
provvede a disciplinare,
tra l’altro, il procedimento di rilascio del titolo e la sua efficacia
nel
tempo. Si tratta di disposizioni riguardo alle quali, accanto alla
tutela
dell’ambiente – finalità verso cui converge l’intero impianto del
codice –
possono ravvisarsi le competenze relative alla tutela della salute, in
quanto
potenzialmente compromessa dagli agenti inquinanti che vengono
rilasciati dagli
impianti, e quelle concernenti il governo del territorio, con
riferimento
all’installazione ed al trasferimento degli impianti sul territorio
regionale:
del resto, non si è mai dubitato del ruolo particolarmente
significativo che la
stessa legislazione nazionale ha attribuito alle Regioni ai fini del
contrasto
dell’inquinamento atmosferico, fin dagli artt. 101 e 102 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616
(Attuazione della delega di
cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382), e successivamente in
forza del
d.P.R. 24 maggio 1988,
n. 203 (Attuazione delle
direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme
in
materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti
inquinanti, e di
inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15
della
L. 16 aprile 1987, n. 183), ora abrogato dall’art. 280 del d.lgs. n.
152 del
2006, con i limiti ivi indicati. Tale ruolo trova conferma nella
conservazione,
in capo alla Regione o all’ente da essa indicato,
del
potere di rilasciare l’autorizzazione prevista dall’art. 269 (art. 268,
comma
1, lettera o).
Se,
tuttavia, la riconduzione della disposizione censurata alla
competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente
esclude in
radice che la Regione possa contestarne il carattere dettagliato, in
ogni caso
i commi impugnati di tale disposizione, quand’anche inquadrati nella
prospettiva delle competenze concorrenti sopra ricordate, appaiono
espressivi
di principi fondamentali della materia: secondo tale linea di giudizio questa Corte ha già
riconosciuto che le
corrispondenti disposizioni del d.P.R.
n. 203 del
1988 determinavano i soli «presupposti minimali» per il rilascio del
titolo, né
la normativa oggetto dell’odierno controllo di costituzionalità si
discosta da
siffatto limite.
In
particolare, il comma 2 non tratteggia, come vorrebbe la ricorrente,
«un modulo da predisporre per la presentazione delle istanze», ma
determina i
requisiti dai quali non è consentito prescindere in sede di domanda di
autorizzazione, ciascuno dei quali
finalizzato a
garantire la necessaria verifica delle condizioni, determinate dal
legislatore
nazionale, che consentono l’installazione o il trasferimento
dell’impianto; il
comma 3 formula il principio per il quale l’autorità competente, ai
fini del
rilascio dell’autorizzazione, indice una conferenza di servizi e ne
scandisce
le fasi, per il tramite dell’indicazione di termini rispondenti ad
esigenze di
semplificazione amministrativa e di celerità, anche «al fine di evitare
(…) che
nel territorio nazionale si creino disparità di trattamento fra impresa
e
impresa» (sentenza
n. 101 del 1989).
Per
tale ragione le disposizioni ora richiamate non possono ritenersi di
mero dettaglio (sentenza
n. 364 del 2006).
Le
medesime considerazioni appena svolte concernono anche il comma 8,
che, disciplinando il procedimento da osservarsi ove si intenda
modificare
l’impianto, appare speculare al procedimento di rilascio
dell’autorizzazione e
risponde alla medesima esigenza di articolare unitariamente tale
attività
secondo principi che assicurino l’osservanza dei criteri stabiliti
dalla
normativa nazionale.
Il
comma 7, infine, determina in quindici anni la durata
dell’autorizzazione, così esprimendo un’evidente scelta di principio
che
sintetizza l’interesse dell’impresa a proseguire nell’attività con la
necessità
di una nuova verifica circa la ricorrenza delle condizioni a tal fine
richieste.
6.1.
– La Regione Calabria impugna, poi, il solo comma 3 dell’art.
La
questione non è fondata.
Occorre,
innanzitutto, rilevare che la censura si incentra non già sulla
configurazione del potere sostitutivo in sé, ma sul preteso difetto di
siffatte
garanzie. Per tale ragione, non è necessario in questa sede
interrogarsi sulla effettiva
applicabilità dell’art. 120 Cost. al potere
sostitutivo previsto dalla disposizione impugnata, posto che tale norma
costituzionale attiene all’esercizio straordinario di tale funzione da
parte
del Governo, mentre «lascia impregiudicata l’ammissibilità e la
disciplina di
altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione
di
settore, statale o regionale» (sentenza
n. 43 del 2004):
infatti, in entrambi i casi, la legge è tenuta ad apprestare congrue
garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in
conformità
al principio di leale collaborazione, sicché, pur prescindendo
dall’espresso
richiamo dell’art. 120 Cost. operato dalla ricorrente, la censura deve
ritenersi comunque rivolta a contestare la carenza di tali garanzie.
Sotto
questa prospettiva, un analogo meccanismo sostitutivo, regolato
dall’art. 7 del d.P.R.
n. 203 del 1988, è già stato
ritenuto da questa Corte non contrastante con
6.2.
– La Regione Piemonte impugna il solo comma 7 dell’art. 269, nella
parte in cui stabilisce un’efficacia temporale dell’autorizzazione di
quindici
anni ritenuta «assolutamente sproporzionata» alla luce dell’accelerato
«processo di rinnovamento tecnologico degli impianti», senza nel
contempo
disciplinare il potere decentrato, originariamente attributo dall’art.
11 del d.P.R. n. 203
del 1988, di modificare le prescrizioni
dell’autorizzazione in seguito all’evoluzione della migliore tecnologia
disponibile, nonché all’evoluzione della situazione ambientale.
Sarebbero
così compromesse le attribuzioni regionali in punto di rilascio
del titolo, in violazione dei principi di sussidiarietà e leale
collaborazione.
Per altro profilo, la ricorrente denuncia la difformità della
disposizione
impugnata rispetto ai principi e criteri direttivi enunciati dalla
legge delega
(art.1, comma 8, lettere d ed h), in quanto essa
comporterebbe «una limitazione e non un accrescimento dei poteri
pubblici di
controllo e degli obiettivi generali di miglioramento della qualità
dell’aria
attraverso l’adozione delle migliori tecnologie disponibili».
Le
censure non sono fondate, giacché si basano su un erroneo presupposto
interpretativo.
La
ricorrente muove, infatti, dal convincimento secondo cui il
legislatore delegato, nel determinare l’arco temporale esauritosi il
quale
l’autorizzazione necessita di essere rinnovata, avrebbe nel contempo e
per ciò
stesso privato l’amministrazione competente del potere di vigilare,
durante
tale periodo, sull’esercizio dell’impianto, allo scopo di assicurarne
costantemente
la corrispondenza a quanto reso possibile dall’evoluzione della
migliore
tecnologia disponibile e a quanto reso necessario dall’evoluzione della
situazione ambientale.
Tale
lettura, senza venire imposta dalla lettera della disposizione
impugnata, renderebbe incongrua la disciplina normativa
dell’autorizzazione
alle emissioni in atmosfera rispetto ad una marcata linea di tendenza,
maturata
sul terreno del diritto comunitario, volta a garantire un costante e
progressivo adeguamento delle prescrizioni concernenti gli impianti
inquinanti
all’evoluzione tecnologica: in tema di autorizzazione integrata
ambientale (la
quale, pur sostituendosi all’autorizzazione di cui all’art. 269, ai
sensi
dell’art. 267, comma 3, concerne anch’essa la tutela, tra l’altro,
dall’inquinamento atmosferico), l’art. 13 della direttiva 15 gennaio
2008, n.
2008/1/CE, che ha sostituito l’analogo art. 13 della direttiva 24
settembre
1996, n. 96/61/CE (Direttiva del Consiglio sulla prevenzione e la
riduzione
integrate dell’inquinamento), prescrive un riesame delle condizioni del
titolo,
ogni qual volta le migliori tecniche disponibili abbiano registrato
sostanziali
cambiamenti che consentano di ridurre notevolmente le emissioni senza
imporre
costi eccessivi.
Ugualmente,
l’art. 13 della direttiva 28 giugno 1984, n. 84/360/CE
(Direttiva del Consiglio concernente la lotta contro l’inquinamento
atmosferico
provocato dagli impianti industriali), abrogata con effetto dal 30
ottobre 2007, ma vigente
al tempo della promulgazione del d.lgs. n.
152 del 2006, comporta l’adozione, a livello nazionale, di misure
adeguate per
adattare progressivamente gli impianti esistenti alla migliore
tecnologia
disponibile, pur tenuto conto dell’opportunità di evitare costi
eccessivi per
gli impianti.
Stanti
tali premesse, ed entro un contesto normativo finalizzato ad
assicurare un adeguato grado di tutela dell’ambiente, apparirebbe
manifestamente irragionevole il congelamento delle condizioni
dell’autorizzazione, quanto alle prescrizioni relative all’impianto,
per un
periodo di quindici anni, quando la sempre più rapida evoluzione della
tecnologia avrebbe invece consentito, nel frattempo, di ricorrere ad
adattamenti tecnici idonei ad una più efficace salvaguardia
dell’ambiente,
senza nel contempo implicare costi sproporzionati rispetto all’utilità
conseguita. Del resto, l’esigenza di tutelare l’affidamento
dell’impresa circa
la stabilità delle condizioni fissate dall’autorizzazione è certamente
recessiva a fronte di un’eventuale compromissione, se del caso indotta
dal
mutamento della situazione ambientale, del limite «assoluto e
indefettibile
rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e
dell’ambiente in cui l’uomo vive» (sentenza
n. 127 del 1990).
Essa, inoltre, non può prevalere sul perseguimento di una più efficace
tutela di tali superiori valori, ove la tecnologia offra soluzioni i
cui costi
non siano sproporzionati rispetto al vantaggio ottenibile: un certo
grado di
flessibilità del regime di esercizio dell’impianto, orientato verso
tale
direzione, è dunque connaturato alla particolare rilevanza
costituzionale del
bene giuridico che, diversamente, ne potrebbe venire offeso, nonché
alla natura
inevitabilmente, e spesso imprevedibilmente, mutevole del contesto
ambientale
di riferimento.
Difatti,
il solo potere dell’autorità competente a rilasciare
l’autorizzazione, che viene espressamente riservato dal legislatore
alla fase
del rinnovo della stessa (art. 271, comma 9), attiene all’introduzione
di
valori limite di emissione più rigorosi, rispetto a quelli fissati
dall’Allegato I alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, da parte
della
normativa regionale di cui al comma 3 dell’art. 271 e dai piani e
programmi
relativi alla qualità dell’aria.
La
disposizione censurata non deve, pertanto, essere interpretata, come
ritiene invece la ricorrente, nel senso che essa reca un divieto, per
l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, di modificare,
durante
il periodo quindicennale di validità del titolo, le prescrizioni della stessa concernenti gli
impianti, in base
all’evoluzione della migliore tecnologia disponibile e della situazione
ambientale: entro tali limiti, la questione avente ad oggetto l’art.
269, comma
7, non è fondata.
7.
– L’art. 281, comma 10, impugnato da tutte le ricorrenti, stabilisce
che «fatti salvi i poteri stabiliti dall’articolo
La
Regione Calabria ritiene lesi gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.,
poiché
la Regione sarebbe stata «spogliata della (propria) responsabilità di
governo
del territorio e della salute dei consociati».
La
Regione Piemonte lamenta che si sia compressa la possibilità di
interventi
regionali di carattere migliorativo dei livelli statali.
La
Regione Emilia-Romagna stima lesi gli artt. 117 e 118 Cost., poiché la
necessità dell’intesa restringe i poteri della Regione di tutelare
l’ambiente,
anche derogando in melius
ai livelli determinati dallo Stato. Tali poteri sarebbero stati
riconosciuti
dall’art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998, dall’art. 8 del decreto
legislativo 18
febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE
relativa
alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), e dalla
direttiva
comunitaria n. 2001/80/CE del 23 ottobre 2001 (Direttiva del Parlamento
europeo
e del Consiglio concernente la limitazione delle emissioni
nell’atmosfera di
taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione), in
tema di
grandi impianti di combustione.
La
Regione Puglia, la quale avanza anche istanza di sospensione della
disposizione
in esame, deduce la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118
Cost., con
riferimento anche al principio di sussidiarietà, a causa «della
assoluta preponderanza dei poteri riconosciuti al Ministro
dell’ambiente».
Le
questioni non sono fondate.
Il
d.lgs. n. 152 del 2006 riconosce alle Regioni un ampio margine di
intervento, al fine di conferire esecuzione e talora di rendere
eventualmente più severa la
disciplina statale concernente l’inquinamento atmosferico: in
particolare,
l’art. 271, comma 3, affida a Regioni e Province autonome la
determinazione dei
valori limite di emissione all’interno di quelli indicati dalla
normativa
nazionale; l’art. 271, comma 4, ammette l’introduzione in sede
decentrata di
valori limite di emissione e di prescrizioni più restrittivi rispetto
agli standard statali, per mezzo
dei piani e
dei programmi previsti dall’art. 8 del decreto legislativo 4 agosto
1999, n.
351 (Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di
gestione della qualità dell’aria ambiente), e dall’art. 3 del decreto
legislativo 21 maggio 2004, n. 183 (Attuazione della direttiva
2002/3/CE
relativa all’ozono nell’aria), purché ciò sia necessario al
conseguimento dei
valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell’aria. Inoltre, la
disposizione da ultimo citata stabilisce che «fino alla emanazione
dei suddetti programmi», continuano ad applicarsi i valori di emissione
e le
prescrizioni contenute nei piani di cui all’art. 4 del d.P.R.
n. 203 del 1988.
L’art.
271, comma 9, infine, legittima l’imposizione al singolo impianto
di condizioni ancora più rigide in sede di rilascio e di rinnovo
dell’autorizzazione.
Il
ruolo e l’ampiezza delle funzioni affidate alle Regioni vanno perciò
apprezzati alla luce dell’assetto complessivo del decreto legislativo
impugnato
e non possono viceversa divenire oggetto, come vorrebbero le ricorrenti,
di una valutazione parcellizzata sulla base di una sola tra le
disposizioni di
cui esso si compone.
L’art.
281, comma 10, si inserisce in tale più ampio contesto di
valorizzazione delle competenze regionali, aprendo un ulteriore campo
di
intervento alle Regioni, in presenza di situazioni di rischio sanitario
o di
zone che richiedano una particolare tutela ambientale, ma nel contempo
ne
subordina la relativa azione all’intesa con il Ministro dell’ambiente e
con il
Ministro della salute.
Nel
concorso della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela
dell’ambiente con quella concorrente in materia di tutela della salute,
la
disposizione censurata provvede ad allocare l’esercizio della funzione
in sede
regionale, dimostrandosi in tal modo rispettosa dell’art. 118 Cost.,
mentre la
previsione dell’intesa agisce da strumento di raccordo idoneo a
soddisfare il
canone della leale collaborazione, in presenza di una concorrenza di
competenze
dello Stato e della Regione (sentenze n.
88 del 2009
e n.
219 del 2005).
Quanto
alla normativa richiamata dalla Regione Emilia-Romagna, mentre la
ricorrente omette di indicare quale funzione già prevista dall’art. 84
del
d.lgs. n. 112 del 1998 le sarebbe stata sottratta dalla disposizione
censurata,
sono da ritenersi male evocati sia l’art. 8 del d.lgs. n. 59 del 2005,
che
concerne il diverso istituto dell’autorizzazione integrata ambientale
(art.
267, comma 3), sia la direttiva n. 2001/80/CE relativa alle emissioni
di
inquinanti originati dai grandi impianti di combustione: non si vede,
infatti,
né è specificato dalla ricorrente, quale sia il margine di
sovrapposizione che
possa intercorrere tra tali norme ed il potere regolato dall’art. 281,
comma 1,
e ciò a prescindere dal pur decisivo rilievo per il quale le modalità
dell’intervento regionale ben possono essere distintamente modulate dal
legislatore, a seconda del peculiare ambito materiale cui esso si
riferisce.
8.
– L’art. 284 disciplina la denuncia di installazione o di modifica di
impianti termici civili di potenza superiore al valore di soglia,
stabilendo
che essa vada trasmessa all’autorità competente mediante il modulo
riportato
nella Parte I dell’Allegato IX alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del
2006.
La
Regione Calabria impugna tale disposizione, che giudica dettagliata,
perché lesiva della competenza regionale concorrente in materia di
tutela della
salute, estendendo la censura all’Allegato IX alla Parte quinta, in
quanto
«oggetto di rinvio» da parte dell’art. 284: è pertanto da ritenere che
tale
estensione concerna la sola porzione dell’Allegato concernente il
"modulo di
denuncia”.
Anche
la Regione Piemonte censura la disposizione in esame
riconducendola, invece, alla competenza concorrente in materia di
energia e
sostenendone, a propria volta, il carattere dettagliato.
Le
questioni non sono fondate.
Le
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 relative agli impianti termici
civili perseguono un obiettivo di prevenzione e limitazione
dell’inquinamento
atmosferico (art. 282) che si inquadra nell’esercizio della competenza
esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente; quand’anche si
ritenesse che
ad essa si congiunga una sfera di competenza concorrente regionale,
come
sostenuto dalle ricorrenti, tuttavia l’art. 284, nell’imporre l’obbligo
di
denuncia e nel definire, tramite il rinvio all’Allegato, le modalità di
tale
denuncia, deve ritenersi comunque espressivo di un principio
fondamentale della
materia: il "modulo di denuncia”, infatti, si limita a selezionare gli
elementi
tecnici necessari per constatare la corrispondenza dell’impianto ai
requisiti
richiesti, e in tale prospettiva fa naturalmente corpo con la
previsione stessa
della denuncia, che verrebbe svuotata di significato ove non si
accompagnasse
all’indicazione di un determinato contenuto.
9.
– L’art. 287 prevede che il personale addetto alla conduzione di
impianti termici civili di potenza superiore ad una certa soglia debba
munirsi
di un patentino di abilitazione rilasciato dall’Ispettorato provinciale
del
lavoro, al termine di un corso e previo superamento dell’esame finale:
presso
ciascun Ispettorato è compilato ed aggiornato un registro degli
abilitati. Il
comma 6 di tale disposizione aggiunge che la disciplina dei corsi e
degli
esami, nonché delle revisioni dei patentini, sia determinata con
decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, trovando attualmente
applicazione il decreto ministeriale 12 agosto 1968.
Le
Regioni Calabria ed Emilia-Romagna eccepiscono la violazione dell’art.
76 Cost., poiché il legislatore delegato, così operando, non avrebbe
osservato
l’obbligo di conformarsi, tra l’altro, alle attribuzioni regionali
regolate dal
d.lgs. n. 112 del 1998, secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 8,
della
legge delega n. 308 del 2004.
Denunciano
invece il carattere dettagliato della norma la Regione
Piemonte, con conseguente lesione della competenza concorrente in
materia di
energia, e la Regione Calabria, con riguardo alle competenze ripartite
in
materia di tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro.
Infine,
la Regione Emilia-Romagna lamenta, con riguardo al comma 1, la
violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., poiché la
disposizione
impugnata inciderebbe sulla competenza regionale residuale in materia
di
formazione professionale.
La
Corte osserva che la previsione, imposta dalla norma censurata, di
consentire la conduzione di impianti termici civili, di potenza
superiore al
valore di soglia, al solo personale maggiorenne abilitato, non si
esaurisce certamente
in un aspetto di mero dettaglio della normativa dettata «ai fini della
prevenzione e della limitazione dell’inquinamento atmosferico» (art.
282, comma
1), ma ne costituisce piuttosto un cardine, dal momento che affida tale
compito
solo a chi disponga di una formazione professionale che lo renda idoneo
a
prevenire, e comunque a gestire nel migliore dei modi, gli effetti
pregiudizievoli per l’ambiente e la salute che potrebbero derivare sia
da un
errore umano, sia da un guasto tecnico: la riconducibilità di tale
scelta
normativa alle materie della tutela dell’ambiente e della tutela della
salute,
quest’ultima quanto all’articolazione di un principio fondamentale,
rendono
perciò infondate le censure delle Regioni Calabria e Piemonte che ne
contestano
il carattere dettagliato.
Altro
è, invece, ciò che segue all’introduzione di tale generale
previsione, per quanto in particolare attiene all’attribuzione
all’Ispettorato
provinciale del lavoro del compito di rilasciare il patentino di
abilitazione,
all’esito di un corso e del superamento di un esame finale.
Tale
funzione, originariamente disciplinata dall’art. 16 della legge 13
luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico),
era
stata da ultimo prevista dall’art. 84, lettera b),
del d.lgs. n. 112 del 1998, il quale aveva conferito alle
Regioni il «rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti
termici
civili compresa l’istituzione dei relativi corsi di formazione».
Ciò
posto, questa Corte rileva che l’addestramento del lavoratore, per
iniziativa di un soggetto pubblico e fuori dall’ordinamento
universitario,
finalizzato precipuamente all’acquisizione delle cognizioni necessarie
all’esercizio di una particolare attività lavorativa, rientra nella
materia,
oggetto di potestà legislativa residuale della Regione, concernente la
formazione professionale (sentenze n.
425 del 2006;
n.
51
e n.
50 del 2005),
sicché appare fondata la censura mossa dalla Regione Emilia-Romagna
alla luce degli artt. 117, quarto comma, e 118 della Costituzione.
La
disposizione censurata, infatti, pretende illegittimamente di allocare
presso lo Stato una funzione amministrativa in materia riservata alla
competenza regionale (sentenze n.
166 del 2008
e n.
43 del 2004),
e nel contempo di disciplinare, in rapporto ad essa, le modalità della
formazione professionale per mezzo dei corsi di abilitazione e del
conseguente
esame (art. 287, comma 1).
Si
deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale di tale
comma 1 della disposizione impugnata, nella sola parte in cui esso
invade
quella regionale, ossia limitatamente alle parole «rilasciato
dall’ispettorato
provinciale del lavoro, al termine di un corso per conduzione di
impianti
termici, previo superamento dell’esame finale».
L’ulteriore
previsione concernente la compilazione di un registro presso
l’Ispettorato, acquisendo in tal modo una mera finalità notiziale,
non comporta lesione delle attribuzioni regionali.
Benché
l’impugnativa della ricorrente sia ammissibile con riguardo al
solo comma 1 dell’art. 287, tuttavia, ai sensi dell’art. 27 della legge
11
marzo 1953, n. 87, questa Corte deve provvedere a dichiarare
l’illegittimità
consequenziale anche del comma 4, limitatamente alle parole «senza
necessità
dell’esame di cui al comma 1», del comma 5, limitatamente alle parole
«dall’Ispettorato provinciale del lavoro» e dell’intero comma 6,
trattandosi di
disposizioni intrinsecamente collegate a quella di cui al comma 1, per
la parte
in cui esso è stato dichiarato incostituzionale.
Restano
assorbite le censure relative all’art. 76 Cost.
10.
– La
parte I, punto 4,
lettera z), dell’Allegato IV alla
Parte quinta, impugnato dalla Regione Emilia-Romagna, colloca tra gli
impianti
e attività in deroga di cui all’art. 272, comma 1, gli allevamenti di
bestiame
con riferimento all’estensione dei terreni su cui si esercita
l’utilizzazione
agronomica degli effluenti, anziché, come vorrebbe la ricorrente, con
riferimento «al numero dei capi ospitati».
La
Regione sostiene
che con ciò sarebbe stata lesa la propria competenza residuale in
materia di
agricoltura e zootecnia, nell’esercizio della quale sarebbe permesso
perseguire
«obiettivi di migliore qualità dell’aria e di minore impatto delle
attività
dell’industria zootecnica su di essa»: in tale direzione, sarebbe
necessario
attribuire importanza al numero dei capi ospitati, per evitare che
allevamenti
ad alto potenziale inquinante sfuggano al regime autorizzatorio.
La
censura non è
fondata.
La
premessa da cui
muove il rilievo della ricorrente, ovvero che la disposizione impugnata
cada
nell’ambito materiale dell’agricoltura, è erronea.
È
evidente, infatti,
che la norma non si propone, né ha per effetto, di disciplinare
l’attività
degli allevamenti di bestiame, o comunque di interferire con il
processo di
produzione di vegetali ed animali destinati all’alimentazione, che
costituisce
il "nocciolo duro” della materia residuale dell’agricoltura (sentenza
n. 12 del 2004).
Essa va invece
assunta nella sola prospettiva del controllo delle emissioni in
atmosfera, con
riguardo ad impianti ed attività «scarsamente rilevanti agli effetti
dell’inquinamento atmosferico»: in tale ottica, la competenza invocata
dalla
ricorrente nel caso di specie appare del tutto inidonea a giustificare
un
qualsivoglia intervento legislativo regionale in materia. La questione,
alla
luce del parametro costituzionale prescelto, è perciò non fondata.
11. – Poiché la Corte ha deciso il merito del ricorso, non vi è luogo a procedere in ordine alla istanza di sospensione formulata dalla ricorrente Regione Puglia.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
riservata
a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse nei confronti del decreto legislativo 3 aprile
2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), dalle Regioni Piemonte,
Emilia-Romagna,
Puglia e Calabria;
dichiara inammissibile l’intervento in giudizio
dell’Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia)
– Onlus, della Biomasse Italia
s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche-SICET
s.r.l., della società Ital
Green Energy s.r.l. e
della società ETA Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.;
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del decreto
legislativo
3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), limitatamente alle
parole
«rilasciato dall’ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un
corso per
conduzione di impianti termici, previo superamento dell’esame finale»;
dichiara,
ai sensi
dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità
costituzionale
dell’art. 287, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, limitatamente alle
parole
«senza necessità dell’esame di cui al comma 1»;
dichiara,
ai sensi
dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale
dell’art.
287, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, limitatamente alle parole
«dall’Ispettorato provinciale del lavoro»;
dichiara,
ai sensi
dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 287, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006;
dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 267, comma 4, lettera a), 269, comma 7, 271, 281, comma 10,
284 e 287 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli
artt. 5 e
114 della Costituzione e «con riguardo a principi e norme del diritto
comunitario e di convenzioni internazionali», dalla Regione Piemonte
con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa
in relazione all’art. 76
della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269,
comma
7, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in relazione al «principio di
buon
andamento della pubblica amministrazione», dalla Regione Piemonte con
il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 271 «in relazione agli allegati»,
del d.lgs.
n. 152 del 2006, promosse, in riferimento ai principi di sussidiarietà
e leale
cooperazione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 281,
comma
10, d.lgs. n. 152 del 2006, promosse rispettivamente, dalla Regione
Calabria in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna
in
riferimento all’art. 9 della Costituzione e dalla Regione Puglia in
riferimento
all’art. 76 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 283
del
d.lgs. n. 152 del 2006 promosse, con riferimento agli artt. 3, 5, 76,
97, 114,
117, 118, 119 e 120 della Costituzione e ai principi di leale
collaborazione e
di sussidiarietà, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
284 e 287
del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 76 della
Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 287,
commi
2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento
agli artt.
76, 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della Parte I,
punto
4, lettera z), dell’Allegato IV
alla
Parte quinta, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli
artt.
3, 9 e 76 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il
ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara
non
fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera a),
del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art.
117, terzo e quarto comma, della Costituzione, nonché al principio di
leale
collaborazione, dalle Regioni Calabria e Piemonte con i ricorsi
indicati in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera a),
del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art.
119, quinto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il
ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara
non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, commi
2, 3, 7
e 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117,
terzo
comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso
indicato in
epigrafe;
dichiara
non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, comma
3, del
d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 120 della
Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 269, comma
7, del
d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento ai principi di
sussidiarietà e
leale collaborazione nonché all’art. 76 della Costituzione, dalla
Regione
Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 281, comma
10, del
d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo
comma, e
118 della Costituzione, dalle Regioni Calabria, Piemonte,
Emilia-Romagna e
Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 284 del
d.lgs. n.
152 del 2006 promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, dalle Regioni Calabria e Piemonte, con i ricorsi indicati
in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’Allegato IX alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del
2006,
promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione,
dalla
Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
non
fondata la questione di legittimità costituzionale della parte I, punto
4,
lettera z), dell’Allegato IV alla
Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento
all’art. 117,
quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il
ricorso
indicato in epigrafe.
Così
deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco
AMIRANTE,
Presidente
Ugo
DE SIERVO, Redattore
Roberto
MILANA,
Cancelliere
Depositata
in Cancelleria
il 24 luglio 2009.