SENTENZA N. 425
ANNO 2006REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, comma 1, 11, commi 1 e 2, 13, comma 3, 17, comma 4, 20, commi 2, 3 e 4, della legge della Regione Marche 25 gennaio 2005, n. 2 (Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11 aprile 2005, depositato in cancelleria il 18 aprile 2005 e iscritto al n. 46 del registro ricorsi 2005.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Angelo Pandolfo per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato l’11 aprile 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 10, comma 1, 11, commi 1 e 2, 13, comma 3, 17, comma 4, 20, commi 2, 3 e 4, della legge della Regione Marche 25 gennaio 2005, n. 2 (Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro), per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché con i principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
Premesso che specifici aspetti di tale ultima materia di competenza concorrente possono rientrare nella legislazione esclusiva statale – laddove riguardino, caso per caso, l’immigrazione (art. 117, secondo comma, lettera b, Cost.), la tutela della concorrenza (lettera e), l’ordinamento e l’organizzazione dello Stato e degli enti pubblici (lettera g), l’ordinamento civile (lettera l), i diritti civili e sociali per i quali è necessaria una uniformità su tutto il territorio nazionale (lettera m), l’istruzione (lettera n), la previdenza sociale (lettera o) – il ricorrente prende in esame le singole norme impugnate ed in particolare l’art. 17, comma 4, che, regolando i profili formativi dei contratti di apprendistato, statuisce che «la formazione teorica da espletarsi nel corso dell’apprendistato deve essere svolta secondo le modalità previste dalla contrattazione e comunque, in prevalenza, esternamente all’azienda».
Aggiunge il ricorrente che i profili formativi di cui si tratta appaiono legati, ancor prima che alla materia della tutela del lavoro, a quella della istruzione nella quale, secondo l’art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., esiste una competenza esclusiva dello Stato ad emanare norme generali, nonché a quella dell’ordinamento civile (lettera l), in quanto essi attengono a caratteristiche del contratto di lavoro e della qualifica lavorativa; di tal che la disposizione de qua inciderebbe – nel porre principi di carattere generale – in materia rientrante nella legislazione esclusiva dello Stato.
L’art. 17 contrasterebbe inoltre con l’art. 49, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 276 del 2003 – recante principi fondamentali in materia di legislazione concorrente, come tali vincolanti per la Regione – che prevede la possibilità di acquisire al termine del rapporto di lavoro una qualifica «sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale», senza porre alcuna limitazione e prescrizione quanto alle modalità con le quali la formazione viene svolta dall’apprendista.
1.2— Si è costituita la Regione Marche la quale, premesso un diffuso richiamo alla sentenza n. 50 del 2005 di questa Corte, ha sostenuto la piena compatibilità delle norme impugnate sia con la ripartizione di potestà legislative prevista dell’art. 117 Cost., sia con le norme ordinarie di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, invocate dal ricorrente quale ulteriore parametro di illegittimità delle norme regionali. In particolare l’art. 17, comma 4, prevede che la formazione «teorica» da espletare nel corso del rapporto di apprendistato debba svolgersi prevalentemente fuori dell’azienda; la norma è censurata per contrasto con l’art. 49, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 276 del 2003, il quale però disciplina solo una delle diverse tipologie di apprendistato (quello professionalizzante). Secondo la Regione detta norma, al fine di non invadere le prerogative e le competenze riconosciute ai diversi soggetti coinvolti nella disciplina delle tre tipologie di apprendistato (per l’adempimento del diritto-dovere di istruzione, professionalizzante, per l’acquisizione di un diploma), si limita a predisporre, nei commi 1, 2 e 3, l’iter della definizione completa delle diverse discipline: essa regola le modalità di articolazione di uno specifico segmento della formazione – quella «teorica» – che non esaurisce l’intero percorso formativo da erogare nel corso del rapporto e cioè, secondo l’art. 49, comma 5, lettera a), del d.lgs. n. 276 del 2003, quell’insieme delle attività – sia di «formazione teorica» sia di «addestramento pratico» – che costituiscono la «formazione formale». La norma, in altri termini, interviene solo sulla «formazione teorica», ponendo come criterio minimale del relativo svolgimento quello della prevalenza quantitativa della formazione esterna all’azienda, senza incidere sulle modalità, i criteri, l’articolazione e la durata della «formazione formale» nel suo complesso, e senza disciplinare in alcun modo l’attività formativa che dovrà essere svolta all’interno dell’azienda. Una volta che non sia stata esclusa in radice la possibilità di svolgere attività formativa, utile al raggiungimento delle 120 ore minime previste, all’interno dell’azienda, nulla vieta al legislatore regionale di stabilire un criterio di prevalenza delle ore da svolgere all’esterno dell’impresa.
2.— Con nota depositata in data 28 marzo 2006, l’Avvocatura generale dello Stato ha prodotto copia della delibera del Consiglio dei ministri del 24 marzo 2005, concernente la rinunzia parziale all’impugnazione di alcune disposizioni. In particolare, il ricorrente prende atto della sopravvenuta legge della Regione Marche 10 febbraio 2006, n. 4 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 25 gennaio 2005, n. 2 – “Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro”), e rileva la propria carenza d’interesse alle censure concernenti gli artt. 10, comma 1, 11, commi 1 e 2, 13, comma 3, 20, commi 2, 3 e 4, dovendosi così limitare l’impugnazione al solo art. 17, comma 4.
3.— Anteriormente a tale nota, la Regione Marche ha depositato ulteriore memoria difensiva nella quale, dopo aver specificato – quanto all’impugnazione dell’art. 17, comma 4 – che tale disposizione non è stata oggetto di modifiche ad opera della citata legge regionale n. 4 del 2006 – «in quanto la Regione ritiene sufficientemente chiara e ragionevole l’attuale formulazione, ai fini del superamento dello scrutinio di legittimità costituzionale» – osserva come proprio dagli artt. 49, commi 1, 4, lettera a), e 5 del d.lgs. n. 276 del 2003, si desuma il principio, tenuto fermo dalla norma censurata, secondo cui la formazione all’interno dell’azienda costituisce uno dei tratti tipici dell’apprendistato. Infatti, dalla legislazione nazionale si evince che la disciplina dell’apprendistato professionalizzante ingloba momenti di formazione formale esterna all’azienda e che la formazione esterna all’azienda è, in particolare, quella finalizzata all’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico professionali.
La legge regionale non entrerebbe, quindi, in conflitto con la legislazione nazionale, considerato che la collocazione all’esterno dell’azienda è una possibilità, ammessa espressamente dal d.lgs. n. 276 del 2003 e che, inoltre, la collocazione all’esterno è del tutto naturale quando la formazione è, in ossequio alla legislazione nazionale, espressamente finalizzata ad integrare il processo di qualificazione realizzabile nel lavoro e con l’addestramento sul lavoro. Del resto, l’art. 17, comma 4, della legge reg. n. 2 del 2005 non fissa un quantitativo minimo di formazione teorica, ma si limita a ribadire che essa deve svolgersi, peraltro in via prevalente e non esclusiva, all’esterno dell’azienda.
La Regione aggiunge poi che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ricordato (con circolare 15 luglio 2005, n. 30) che spetta alle Regioni regolamentare l’articolazione della formazione formale che dovrà essere espletata nell’ambito del rapporto di apprendistato, previa intesa con le parti sociali, intesa che nella specie sarebbe stata raggiunta.
4.— Nell’imminenza dell’udienza l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria in cui insiste nella richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 4, della legge reg. Marche n. 2 del 2005, in quanto lesivo dell’art. 117, secondo e terzo comma, della Costituzione e, comunque, contrastante con i principi fondamentali posti in materia di tutela e sicurezza del lavoro dall’art. 49, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 276 del 2003. Secondo il ricorrente, allorché una norma regionale regoli aspetti della disciplina che riguardano specificamente il rapporto contrattuale e profili generali connessi alla valenza del titolo di studio, essa è illegittima, in quanto la regolamentazione degli stessi è rimessa al legislatore statale: ciò accadrebbe nella specie, perché la Regione, nell’imporre le modalità alle quali il rapporto deve uniformarsi, regolerebbe direttamente il contenuto del rapporto di lavoro dell’apprendista e, quanto meno indirettamente, il titolo di istruzione che ne consegue, aspetti entrambi estranei alla competenza legislativa regionale. Inoltre, per effetto della norma interposta, si verifica che al termine del rapporto il soggetto assunto con contratto di apprendistato professionalizzante possa conseguire una qualifica sulla base degli esiti della formazione aziendale ed extra-aziendale, senza che sia posta alcuna prescrizione specifica relativamente alle modalità di svolgimento della formazione stessa.
La circostanza che la legge statale ammetta espressamente, per l’apprendistato professionalizzante, la possibilità di una formazione extra-aziendale (per la determinazione delle cui modalità di svolgimento la Regione reclama una propria competenza esclusiva) non sarebbe sufficiente a giustificare un intervento del legislatore regionale che individui i termini di detta formazione in modo da incidere sostanzialmente sulle modalità di svolgimento della medesima nel suo complesso, riducendo in termini sostanzialmente insignificanti la formazione aziendale, sulla quale è pacifico che la Regione non può intervenire.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 10, comma 1, 11, commi 1 e 2, 13, comma 3, 17, comma 4, 20, commi 2, 3 e 4 della legge della Regione Marche 25 gennaio 2005, n. 2 (Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro), ma, essendo sopravvenuta la legge della Regione Marche 10 febbraio 2006, n. 4 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 25 gennaio, n. 2 – “Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro”), ha dichiarato di non aver più interesse a mantenere l’impugnazione ad eccezione della parte di questa rivolta contro la disposizione del citato art. 17, comma 4, rimasta identica anche a seguito delle sopravvenute modifiche, e ha depositato parziale rinuncia, accettata in udienza dalla difesa della Regione.
Per quanto concerne le questioni oggetto della rinuncia parziale, deve essere quindi dichiarata la cessazione della materia del contendere.
L’art. 17, comma 4, della legge n. 2 del 2005 della Regione Marche non è stato modificato dalla successiva legge della Regione Marche n. 4 del 2006. Tale norma è così formulata: «la formazione teorica da espletarsi nel corso dell’apprendistato deve essere svolta secondo le modalità previste dalla contrattazione e comunque, in prevalenza, esternamente all’azienda». Essa viene censurata con riferimento all’art. 117, secondo e terzo comma, Cost., in quanto lesiva delle competenze statali in materia di ordinamento civile e di istruzione, nonché in riferimento all’art. 49, lettera a), del d.lgs. n. 276 del 2003, da considerare norma interposta – con riferimento alla materia tutela e sicurezza del lavoro, di competenza concorrente (ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., così implicitamente richiamato) – il quale prevede la possibilità per l’apprendista di acquisire al termine del rapporto di lavoro una qualifica «sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale senza porre alcuna limitazione e prescrizione quanto alle modalità con le quali la formazione viene svolta dall’apprendista».
2.— La questione non è fondata.
Come si è rilevato (con la recente sentenza n. 406 del 2006) su questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri in merito a disposizioni della legge della Regione Toscana 21 febbraio 2005, n. 20, questa Corte – in sede di scrutinio di numerose disposizioni della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega a Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) e del d.lgs. n. 276 del 2003, impugnate da alcune Regioni – ha precisato che la disciplina dell’apprendistato è costituita da norme che attengono a materie per le quali sono stabilite competenze legislative di diversa attribuzione (esclusiva dello Stato, ripartita, residuale delle Regioni) e che alla composizione delle relative interferenze provvedono strumenti attuativi del principio di leale collaborazione (sentenza n. 50 del 2005).
La Corte ha osservato, altresì, che, mentre la formazione da impartire all’interno delle aziende attiene precipuamente all’ordinamento civile, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di formazione professionale, con interferenze però con altre materie, in particolare con l’istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni: norme generali e determinazione dei principi fondamentali (v. anche sentenza n. 279 del 2005 nonché, da ultimo, sentenza n. 286 del 2006).
Alla stregua di tali rilievi, la Corte ha dichiarato non fondate le censure mosse dalle Regioni e dalla Provincia autonoma di Trento, allora ricorrenti, contro la normativa statale che stabilisce: a) la rimessione della regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato professionalizzante alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, d’intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale, nel rispetto di alcuni principi direttivi tra i quali, per quanto qui interessa, la previsione di un monte ore di formazione formale, interna o esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno, per l’acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali (art. 49, comma 5, lettera a, del d.lgs. n. 276 del 2003); b) il rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale, da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative per la determinazione, anche all’interno degli enti bilaterali, delle modalità di erogazione e della articolazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende, anche in relazione alla capacità formativa interna rispetto a quella offerta dai soggetti esterni (art. 49, comma 5, lettera b, dello stesso d.lgs. n. 276 del 2003); c) la regola per cui, ferme restando le intese vigenti, la regolamentazione e la durata dell’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione è rimessa alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative (art. 50, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 276 del 2003).
Va infine ricordato che l’art. 51, comma 1, del decreto n. 276 del 2003 dispone che «la qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi d’istruzione e di istruzione e formazione professionale».
Da tali rilievi emerge che è la stessa legislazione statale ad attribuire alle Regioni compiti anche normativi in materia di definizione dei profili formativi, dei rapporti tra siffatti profili e la definizione della formazione, con riguardo all’eventuale ulteriore istruzione e in coerenza con il collegamento che il legislatore statale ha voluto stabilire tra lo svolgimento dei rapporti di lavoro a contenuto anche formativo e il settore dell’istruzione.
La disciplina statale, da un lato, per l’apprendistato professionalizzante prevede un monte ore minimo (centoventi ore) per la formazione interna ed esterna, senza distinguere tra queste; dall’altro, per l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, rimette alle Regioni «la regolamentazione e la durata dell’apprendistato (…) per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative».
Ora, va messo in evidenza che la disposizione censurata non modifica il monte ore complessivo di formazione, limitandosi a stabilire un generico criterio di prevalenza della formazione teorica (di competenza regionale) nel senso di un suo svolgimento all’esterno dell’azienda, peraltro in conformità a quanto notoriamente già avviene. Essa, pertanto, non impone, di per sé, alcuna limitazione al conseguimento della qualifica perseguita agli effetti lavorativi e del prosieguo dell’istruzione, sicché si deve concludere che il denunciato contrasto con i parametri evocati non sussiste e che la questione è, quindi, infondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, comma 1, 11, commi 1 e 2, 13, comma 3, 20, commi 2, 3 e 4, della legge della Regione Marche 25 gennaio 2005, n. 2 (Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro), sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 4, della medesima legge della Regione Marche n. 2 del 2005, sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere l) e n), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso stesso.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2006.