Sentenza n. 286 del 2006

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SENTENZA N. 286

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Francesco                        AMIRANTE                            Giudice

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 26 settembre 2000, relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’onorevole Tiziana Maiolo nei confronti del dott. Mario Almerighi, promosso dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Perugia, con ricorso notificato il 6 agosto 2003, depositato in cancelleria il 13 agosto 2003 ed iscritto al n. 30 del registro conflitti 2003.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;

udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. — Con provvedimento del 16 ottobre 2000 (pervenuto a questa Corte il 14 dicembre 2002) il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Perugia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera assunta dall’Assemblea in data 26 settembre 2000 (doc. IV-quater, n. 148), in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, con la quale si è stabilito che i fatti per i quali è in corso procedimento penale per il reato di calunnia a carico della deputata Tiziana Maiolo concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68 della Costituzione.

Premette in punto di fatto il ricorrente che l’onorevole Maiolo aveva presentato in data 5 novembre 1998 un esposto alla Procura della Repubblica di Perugia, chiedendo di verificare se nelle dichiarazioni rese in data 19 ottobre 1998 al quotidiano “Il Corriere della sera” dal dott. Mario Almerighi, all’epoca Presidente dell’Associazione nazionale magistrati, fossero ravvisabili gli estremi del delitto di cui all’art. 414 del codice penale. Nell’esposto si faceva presente che il dott. Almerighi, in occasione della formazione di un nuovo Governo, aveva rilasciato la seguente dichiarazione: «Siamo pronti a porgere alla politica un ramoscello d’ulivo, ma tutto dipenderà dalla scelta del Ministro della Giustizia da parte del futuro Governo … o confermano Flick appoggiandolo politicamente perché possa varare le riforme che sono in cantiere, oppure dovrebbero metterci qualcuno che sia disponibile al dialogo … ma se invece ci mettono qualche infiltrato del Polo nel Partito popolare … tutto lo staff del Ministero è pronto a dimettersi. E così entriamo in un tunnel». L’onorevole Maiolo aveva ritenuto di ravvisare in simili dichiarazioni gli estremi dei delitti di cui agli artt. 414 e 287 cod. pen., trattandosi di indicazioni di politica giudiziaria che andavano ad interferire col potere di nomina dei ministri che la Costituzione riconosce al Presidente del Consiglio.

A seguito dell’esposto, il dott. Almerighi smentiva le dichiarazioni di cui sopra, provvedendo in data 28 gennaio 1999 a denunciare per calunnia l’onorevole Maiolo.

Instauratosi procedimento penale nei confronti di quest’ultima, la Camera dei deputati assumeva la deliberazione di insindacabilità oggetto del presente conflitto.

Ciò posto, il Giudice di Perugia rileva che, a fronte della delibera di insindacabilità assunta dalla Camera di appartenenza, non esiste altro strumento che il conflitto di attribuzione davanti a questa Corte, trattandosi di un atto che lede la sfera di attribuzioni che la Costituzione riserva al potere giudiziario. Richiamando la giurisprudenza costituzionale in materia – ed in particolare le sentenze n. 10, n. 11, n. 56 e n. 58 del 2000, oltre alle sentenze n. 329 del 1999, n. 289 del 1998, n. 375 del 1997 e n. 129 del 1996 – il ricorrente osserva che la prerogativa di cui all’art. 68 Cost. presuppone che venga individuato un nesso funzionale tra le opinioni espresse e l’esercizio delle attività parlamentari, e che tale nesso richiede una sostanziale identità di contenuti fra le dichiarazioni rese all’esterno e quelle risultanti dagli atti parlamentari.

Nel caso specifico, invece, l’esposto inoltrato dall’on. Maiolo alla Procura della Repubblica era finalizzato esclusivamente a far promuovere l’azione penale nei confronti del dott. Almerighi, senza che vi fosse alcun collegamento con l’attività parlamentare della denunciante. Il Giudice ricorrente osserva che non risulta, dall’esame degli atti, che il contenuto dell’esposto nei confronti del dott. Almerighi sia stato in qualche modo oggetto di attività parlamentare, trattandosi piuttosto di una manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) riconducibile ad un contesto genericamente politico. D’altra parte, la denuncia all’Autorità giudiziaria non rientra tra le attività tipiche collegate con nesso funzionale all’attività parlamentare, perché altrimenti si verrebbe a creare una palese disparità di trattamento tra semplice cittadino e parlamentare anche in ordine ad un atto che ha il solo scopo di stimolare il promovimento dell’azione penale.

Il Giudice di Perugia, pertanto, conclude affermando che la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati il 26 settembre 2000 è palesemente erronea e lesiva della sfera di attribuzioni dell’Autorità giudiziaria, e pertanto «solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati» in relazione alla delibera medesima.

2. — Il conflitto così proposto è stato giudicato ammissibile con ordinanza 24 luglio 2003, n. 283, notificata alla Camera dei deputati, a cura del ricorrente, in data 6 agosto 2003; il ricorrente ha poi provveduto al deposito presso la cancelleria di questa Corte il successivo 13 agosto 2003.

3. — A seguito della notifica si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo che il conflitto venga dichiarato inammissibile o comunque respinto nel merito.

3.1. — Richiamando la giurisprudenza di questa Corte in materia, la Camera osserva che l’atto col quale il conflitto è stato sollevato non ha i contenuti sostanziali e formali del ricorso, poiché sul ricorrente grava l’onere di precisare l’oggetto della domanda, di indicare il petitum e le ragioni del conflitto (sentenze n. 274, n. 363 e n. 364 del 2001). Nel caso specifico, invece, il Giudice del Tribunale di Perugia si è limitato a sollevare il conflitto di attribuzione senza formulare alcuna specifica richiesta; ne consegue, quindi, che l’atto introduttivo non può essere ritenuto un vero ricorso, sicché il conflitto dovrebbe essere dichiarato inammissibile (sentenze n. 15 e n. 31 del 2002). Ulteriore ragione di inammissibilità, inoltre, viene ravvisata nel fatto che il ricorrente «non menziona i parametri costituzionali nei quali si radicherebbero le sue attribuzioni».

La severità della giurisprudenza di questa Corte relativa ai requisiti di ammissibilità dei conflitti di attribuzione non potrebbe ritenersi mitigata, secondo la Camera, neppure dalla più recente sentenza n. 421 del 2002, perché in quella pronuncia si è precisato che il ricorrente aveva, comunque, formulato un’esplicita richiesta di annullamento della delibera di insindacabilità, richiesta che invece manca nel caso attuale, unitamente a quella di non spettanza; ne deriva, secondo la Camera, che l’ordinanza dell’Autorità giudiziaria si risolve in una sorta di «astratta richiesta di parere al Giudice costituzionale».

3.2. — Nel merito, il ricorso dovrebbe essere respinto.

Premette, innanzitutto, la difesa della Camera che l’intervista rilasciata dal dott. Almerighi, e dalla quale scaturisce l’intera vicenda, fu oggetto di specifica discussione parlamentare, come emerge dall’intervento del deputato Marino nel corso della seduta del 2 novembre 1998. La resistente rileva che l’on. Maiolo ha sempre e costantemente tenuto al centro della propria attività politica e parlamentare la questione del rispetto dei reciproci confini tra giurisdizione e politica, come risulterebbe da una serie di atti di funzione. A tale proposito la Camera richiama l’interrogazione presentata in data 10 dicembre 1997, nella quale la deputata lamentava l’indebito rapporto del Procuratore della Repubblica di Palermo, dott. Giancarlo Caselli, con l’allora Presidente del Consiglio dei ministri in relazione ad una vicenda già nota al Ministro della giustizia; l’interpellanza del 16 dicembre 1998, nella quale la deputata contestava un’indebita interferenza dei magistrati della Procura della Repubblica di Milano con l’attività legislativa del Parlamento; ed infine l’interpellanza del 9 novembre 1999 con la quale l’on. Maiolo, in riferimento alle dimissioni presentate dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Cagliari, dott. Francesco Pintus, criticava con vigore l’operato di certi magistrati, ritenuti responsabili di determinare correnti di opinione tali da influenzare la stessa vita politica.

Dai predetti documenti dovrebbe dedursi, secondo la difesa, che il comportamento che l’on. Maiolo ha contestato al dott. Almerighi è sostanzialmente il medesimo da lei censurato negli atti di funzione; non vi sarebbe, quindi, soltanto «una mera coincidenza di contesto politico», bensì una «vera e propria identità di contenuti tra le opinioni manifestate intra ed extra moenia», con conseguente applicabilità della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Sostiene a questo proposito la Camera dei deputati che non avrebbe alcuna importanza, ai fini della soluzione del presente conflitto, il fatto che le opinioni manifestate in aula siano state materialmente esternate da un diverso parlamentare, perché, una volta accertata l’identità di contenuto sostanziale, l’ammissione di un sindacato sulle dichiarazioni “esterne” si tradurrebbe, comunque, in un sindacato su quelle “interne”, il che è in contrasto col dettato costituzionale. Parimenti irrilevante sarebbe che taluni degli atti di funzione sopra richiamati siano successivi alla manifestazione delle opinioni, da parte della deputata, fuori del contesto parlamentare. Anche prescindendo dal fatto che l’interrogazione del 10 dicembre 1997 è precedente, la difesa della Camera dei deputati rileva che nella sentenza n. 10 del 2000 di questa Corte non si fa alcuna differenza tra atti successivi ed atti precedenti alle dichiarazioni avvenute extra moenia, perché ciò che conta è la corretta comprensione del concetto di contestualità. Deve ritenersi contestuale, a questi fini, «l’atto tipico che sia intervenuto in un momento non separato da una soluzione di continuità da quello delle dichiarazioni rese extra moenia»; e poiché, nella specie, le critiche dell’on. Maiolo nei confronti dell’intromissione da parte dei magistrati nella vita politica non sono mai venute meno, ne consegue che tutti gli atti di funzione richiamati dovrebbero essere considerati contestuali.

La difesa della Camera si sofferma, a questo punto, sul contenuto della denuncia avanzata nei confronti del dott. Almerighi, negando che in questa vi sia un quid pluris – costituito da un’imputazione di responsabilità nei confronti di uno specifico magistrato – rispetto al contenuto degli atti di funzione citati. Al riguardo la memoria osserva che la giurisprudenza di questa Corte richiede che vi sia una «corrispondenza sostanziale di significato» tra le opinioni manifestate in sede parlamentare e quelle manifestate all’esterno; nel caso di specie, essendo l’intervista rilasciata dal Giudice Almerighi di contenuto integralmente politico, anche la risposta della parlamentare si connota per i medesimi caratteri. Nelle esternazioni dell’on. Maiolo manca, secondo la difesa, quella valenza di carattere esclusivamente personale che ha indotto in altra circostanza questa Corte a negare l’esistenza del nesso funzionale (sentenza n. 421 del 2002). Allo scopo di decidere se sussista o meno tale nesso, in altre parole, ciò che conta è la sostanza delle affermazioni valutata nel suo contesto, tenendo conto della politicità delle affermazioni stesse; la critica alla presunta invasione di campo da parte del dott. Almerighi si colloca, dunque, sullo stesso piano delle numerose critiche avanzate nei confronti di altri magistrati e della magistratura nel suo complesso. E ciò sarebbe confermato dall’intervento tenuto dall’on. Maiolo alla Camera nel corso della seduta del 15 luglio 1999, dal quale si evince che la denuncia sporta nei confronti del magistrato romano altro non era se non la continuazione, fuori del Parlamento, della costante azione svolta in difesa delle prerogative della Camera dei deputati e del potere esecutivo nei confronti di asserite ingerenze da parte dell’ordine giudiziario.

L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sulla prerogativa dell’insindacabilità, del resto, anche dopo la svolta impressa dalle citate sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, va letta nel senso che non può considerarsi coperta dall’art. 68, primo comma, Cost. la semplice attività politica del parlamentare; tuttavia, altro è l’attività “politica” pura e semplice, altro è la “politica parlamentare”. Se è vero che non tutto quello che è oggetto di dibattito politico lo è anche di discussione in Parlamento, è pur vero che non vi è alcun privilegio nel riconoscere copertura costituzionale alle dichiarazioni connesse a quelle rese nel contesto parlamentare. A questo proposito, la difesa della Camera divide le opinioni manifestate fuori del Parlamento in tre categorie: quelle del tutto estranee alla sfera della politica; quelle connesse alla sfera politica, ma estranee alla politica parlamentare; quelle, infine, connesse alla politica parlamentare. E’ chiaro che queste ultime debbono godere della prerogativa dell’insindacabilità, indipendentemente dal luogo ove vengono manifestate; una volta riconosciuto il principio per cui le opinioni dei parlamentari sono tutelate anche se manifestate extra  moenia, il discrimine fra ciò che può e ciò che non può essere tutelato risiede necessariamente nella oggettiva connessione tra le opinioni ed il contenuto della politica parlamentare.

La difesa della Camera si dichiara consapevole del fatto che la giurisprudenza di questa Corte si è evoluta nel senso che l’insindacabilità può essere riconosciuta soltanto quando vi sia «una corrispondenza sostanziale tra l’opinione manifestata all’esterno e quella manifestata in singoli atti tipici»; tuttavia la memoria auspica – richiamando anche le sentenze costituzionali n. 320 e n. 321 del 2000, che avrebbero chiarito come la corrispondenza sostanziale sia soltanto una delle ipotesi in cui la dichiarazione può ricondursi alla funzione parlamentare – che siffatto orientamento venga almeno in parte rivisto, tenendo presente che l’attività dei componenti del Parlamento è per sua natura destinata a proiettarsi fuori delle aule parlamentari. Ridurre, quindi, l’applicabilità della prerogativa in questione alle sole dichiarazioni rese intra moenia significa, secondo la Camera, «trascurare del tutto la realtà del mandato rappresentativo, che non si esaurisce nel compimento di atti “tipici”, ma si manifesta nel raccordo costante tra rappresentante e rappresentato».

3.3 — Approssimandosi la data dell’udienza pubblica di discussione, la Camera dei deputati ha depositato un’articolata memoria, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.

Considerato in diritto

1.— Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Perugia ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in relazione alla deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 26 settembre 2000 (doc. IV-quater, n. 148), con la quale l’Assemblea ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di dichiarare che i fatti per i quali pende procedimento penale nei confronti della deputata Tiziana Maiolo concernono opinioni espresse dalla suddetta quale membro del Parlamento nell’esercizio delle proprie funzioni e ricadono pertanto nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il ricorrente ha premesso, in fatto, che la deputata Maiolo è imputata del delitto di calunnia in danno del magistrato Mario Almerighi, per averlo accusato, sapendolo innocente, in un esposto presentato alla Procura della Repubblica di Perugia, di aver commesso i reati di istigazione a delinquere previsto dall’art. 414 del codice penale e di usurpazione di potere politico previsto dall’art. 287 cod. pen.

L’on. Maiolo nell’esposto aveva riferito che il dott. Almerighi, in qualità di Presidente dell’Associazione nazionale magistrati, in un’intervista ad un quotidiano rilasciata in concomitanza con la formazione di un nuovo governo, aveva testualmente detto: «Siamo pronti a porgere alla politica un ramoscello d’ulivo, ma tutto dipenderà dalla scelta del ministro della Giustizia da parte del futuro governo … se confermano Flick appoggiandolo politicamente perché possa varare le riforme che sono in cantiere…, oppure dovrebbero metterci qualcuno che sia disponibile al dialogo ... ma se invece ci mettono qualche infiltrato del Polo nel Partito Popolare … tutto lo staff del Ministero è pronto a dimettersi. E così entriamo in un tunnel».

La deputata nella denuncia aveva chiesto di accertare se nel suddetto comportamento potessero essere ravvisati gli estremi dei delitti suindicati, dal momento che la nomina dei ministri compete al Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio ed al Parlamento ed al Governo compete la politica concernente l’amministrazione della giustizia.

Secondo il giudice ricorrente le opinioni espresse dalla deputata Maiolo non hanno alcun rapporto con l’attività parlamentare, sicché la deliberazione suindicata costituisce invasione nella sfera di competenza propria.

2.— In via preliminare, si conferma l’ammissibilità del conflitto già dichiarata con l’ordinanza n. 283 del 24 luglio 2003.

E’, infatti, principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui occorre che l’atto introduttivo, valutato nel suo complesso ed indipendentemente dalla sua autoqualificazione, abbia i requisiti di sostanza del ricorso.

Nel caso in esame, il giudice per l’udienza preliminare ha enunciato chiaramente le ragioni del conflitto e ha indicato la norma violata, affermando che «la valutazione operata dalla Camera dei deputati con la deliberazione 26 settembre 2000 circa la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti per l’applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione si presenta palesemente erronea e come tale lesiva della sfera di attribuzione costituzionalmente riservata a questo giudice, legittimato a sollevare conflitto…».

Pure in assenza di una esplicita e formale richiesta di non spettanza del potere e di annullamento della delibera di insindacabilità, quindi, l’atto introduttivo individua in maniera sufficientemente chiara i termini del giudizio (v. sentenza n. 249 del 2006).

3.— Nel merito, il conflitto è fondato.

Non si può condividere la tesi della difesa della Camera secondo la quale, poiché ogni singolo parlamentare rappresenta la nazione e poiché la giustizia è amministrata in nome del popolo, presentare una denuncia penale è atto tipico della funzione di deputato.

E’ sufficiente osservare che spetta direttamente ad ogni cittadino la facoltà di denunciare all’autorità competente i fatti che egli ritenga – assumendosi la responsabilità del relativo giudizio – costituire reato. L’esercizio di tale facoltà non richiede l’intermediazione della rappresentanza parlamentare.

Ne consegue che una denuncia penale non ha i connotati di un atto tipico della funzione parlamentare per il solo fatto che ne sia autore un deputato.

Occorre allora esaminare le ulteriori deduzioni della difesa della Camera dirette a dimostrare che le opinioni espresse dall’on. Maiolo nell’esposto-denuncia sono la sostanziale, ancorché non testuale, riproduzione di opinioni espresse in atti della funzione parlamentare.

A tal proposito vengono invocate alcune frasi pronunciate dal deputato Giovanni Marino nel corso del suo intervento nella seduta della Camera del 2 novembre 1998, nonché una serie di atti della stessa deputata Maiolo: l’interrogazione a risposta orale del 10 dicembre 1997, le interpellanze del 16 dicembre 1998 e del 9 novembre 1999 ed un intervento nella seduta della Camera del 15 luglio 1999.

Anche tali deduzioni non possono essere accolte.

Esse sono in contrasto con orientamenti di questa Corte, ancora di recente argomentati e ribaditi.

Sono, infatti, principi ripetutamente affermati quelli secondo i quali l’immunità non sussiste qualora l’atto tipico di cui si assume la mera riproduzione all’esterno sia stato compiuto da altro parlamentare oppure dallo stesso parlamentare successivamente all’episodio in questione (v. sentenze n. 347 del 2004 e n. 249 del 2006). Sono pertanto irrilevanti sia l’intervento del deputato Marino, sia gli atti compiuti dalla deputata Maiolo nel 1998 e nel 1999, tutti successivi alla presentazione della denuncia.

Riguardo all’interrogazione a risposta orale del dicembre 1997, anche a non considerare le argomentazioni concernenti la carenza di contestualità con la denuncia atteso il lungo tempo trascorso, tra i due atti esiste soltanto l’identità del riferimento ad un tema politico, quale l’esorbitanza dei comportamenti di alcuni magistrati dalle funzioni proprie dell’ordine giudiziario. L’interrogazione in questione si riferiva ad un episodio di contiguità collaborativa tra Procura della Repubblica di Palermo e Presidente del Consiglio (trasmissione di alcuni documenti), ritenuto sospetto dall’interrogante, vicenda che non ha nulla a che vedere con gli addebiti mossi al dott. Almerighi.

Si deve pertanto dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati affermare che i fatti per i quali è in corso procedimento penale per il reato di calunnia a carico della deputata Tiziana Maiolo concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che i fatti per i quali è in corso procedimento penale, pendente davanti al Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Perugia, per il reato di calunnia a carico della deputata Tiziana Maiolo, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 26 settembre 2000 (doc. IV-quater, n. 148).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2006.