Sentenza n. 364/2001

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.364

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 24 febbraio 1999, relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'on. Vittorio Sgarbi nei confronti della dott.ssa Anna Fasan, promosso con ricorso del Tribunale di Treviso, notificato il 17 febbraio 2000, depositato in Cancelleria il 23 successivo ed iscritto al n. 10 del registro conflitti 2000.

Visto l'atto di costituzione della Camera di deputati;

udito nell'udienza pubblica del 19 giugno 2001 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'avvocato Pietro Barolo per il Tribunale di Treviso e l'avvocato Sergio Panunzio per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi, per il reato di diffamazione a mezzo stampa, continuata ed aggravata, il Tribunale di Treviso, sezione penale, ha promosso, con ordinanza del 16 aprile 1999, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione adottata dall'Assemblea il 24 febbraio 1999, con la quale é stato dichiarato che i fatti per cui é in corso il menzionato procedimento penale riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Premette il Tribunale che i fatti per cui si procede contro l’on. Sgarbi riguardano le dichiarazioni rilasciate nei confronti del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, Anna Fasan, nel corso delle trasmissioni televisive "Sgarbi Quotidiani" del 10, 14, 18 gennaio 1997 e 28 luglio 1997.

Rileva, ancora, il ricorrente che le espressioni utilizzate dal parlamentare in dette occasioni sono state definite dallo stesso Relatore della Giunta per le autorizzazioni a procedere "astrattamente diffamatorie" e "caratterizzate da uno stile particolarmente insinuante", degne di essere "censurate" per gli "eccessi verbali". Ciononostante il parere della Giunta é stato nel senso dell’insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato, assumendosi, in particolare, che le dichiarazioni stesse "si ricollegano ad una generica funzione di informazione e ad un non meglio precisato esercizio del diritto di satira"; l’Assemblea della Camera dei deputati ha, quindi, recepito il parere della Giunta, deliberando, in data 24 febbraio 1999, l’insindacabilità delle opinioni espresse dal suo componente.

Ciò premesso, il Tribunale contesta la sussistenza dei presupposti della deliberazione di insindacabilità, osservando, anzitutto, che le espressioni diffamatorie oggetto dell’imputazione sono state rese non in sede istituzionale, nè nelle forme tipiche della funzione, bensì nel corso di una trasmissione televisiva "non qualificabile come tipicamente politica ... ma ricollegabile ad una attività professionale di natura giornalistica".

Sostiene, ancora, il ricorrente che, nel corso delle trasmissioni televisive, l’on. Sgarbi non ha fatto riferimento alcuno ad atti parlamentari, nè tantomeno all’interpellanza presentata dall’on. Veneto sulle vicende relative agli Uffici giudiziari di Pordenone, quale atto richiamato dalla difesa del deputato soltanto a seguito delle querele presentate dalla persona offesa. Peraltro, a differenza di detta interpellanza, in cui i fatti sono presentati in modo dubitativo, le dichiarazioni televisive danno "per scontati i fatti" e su questi innestano "una serie di insinuazioni a carattere personale e sessuale di contenuto pesantemente ingiurioso e lesivo dell’altrui reputazione", ove "l’aspetto denigratorio risulta assolutamente prevalente ... rispetto anche ad una ipotizzata funzione informativa".

Nell'assumere, poi, che il giudizio della Giunta, recepito dall’Assemblea, "non tiene assolutamente conto di questi elementi di fatto, riferendosi ad un presunto diritto di critica, di cronaca e di satira", il Tribunale ricorrente sostiene che i limiti posti dai regolamenti parlamentari alle modalità e alle forme di esercizio della relativa funzione devono reputarsi sussistenti "non solo nello svolgimento delle attività istituzionali intra moenia, ma anche al di fuori di dette sedi", concretandosi, altrimenti, una palese disparità di trattamento tra parlamentari e cittadini (con violazione dell’art. 3 della Costituzione), in quanto soltanto i secondi sarebbero tenuti al rispetto "dei principi e dei limiti imposti al diritto di manifestazione del pensiero".

Del resto, si argomenta ancora nell'atto di promovimento del conflitto, la compressione dei diritti del cittadino persona offesa "trova una giustificazione costituzionale nel bilanciamento degli interessi in causa", ove l’esercizio della funzione parlamentare rimanga nell’alveo di contenuti e forme strettamente correlate alla funzione stessa, "senza travalicare in comportamenti non necessitati e gratuitamente lesivi".

In ragione di quanto sopra il Tribunale di Treviso ritiene che la deliberazione di insindacabilità, oggetto di conflitto, lede la sfera di attribuzione costituzionalmente garantita ad esso giudice, concretando un illegittimo esercizio del potere spettante alla Camera, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il ricorrente conclude, pertanto, chiedendo che questa Corte "voglia dichiarare l'ammissibilità del ricorso e risolvere il presente conflitto".

2. Il conflitto é stato dichiarato ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953, con ordinanza n. 3 del 7 gennaio 2000.

Il ricorso e la menzionata ordinanza risultano notificati alla Camera dei deputati il 17 febbraio 2000 e depositati, unitamente alla prova della notificazione, in data 23 febbraio 2000.

3.¾ Si é costituita la Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, per sentir dichiarare l'inammissibilità del conflitto ovvero, in subordine, la sua infondatezza.

Premessa la ricostruzione in fatto delle vicende che hanno dato origine al conflitto, la memoria eccepisce, anzitutto, l'inammissibilità del ricorso, non avendo il Tribunale di Treviso rispettato la disciplina che regola il giudizio sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e, segnatamente, l'art. 26, primo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Nel rilevare che il conflitto non é stato introdotto con ricorso bensì con ordinanza, la Camera é dell'avviso che, nel caso di specie, non sussista neppure quella fungibilità del predetto atto con il ricorso, che va riconosciuta ¾ secondo la più recente giurisprudenza costituzionale ¾ "ove l'ordinanza sia comunque dotata di tutti i requisiti occorrenti, ai sensi dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953 e dell'articolo 26 delle norme integrative".

In particolare l'atto: 1) sarebbe carente nell'individuazione delle specifiche attribuzioni dell'autorità giudiziaria asseritamente lese; 2) sarebbe carente, altresì, nell'individuazione delle specifiche norme costituzionali sulle quali si fonderebbero dette attribuzioni, essendo insufficiente il solo richiamo all'art. 68 della Costituzione; 3) ometterebbe la richiesta di "non spettanza" della valutazione contestata e, comunque, "la richiesta di annullamento della deliberazione impugnata", limitandosi a chiedere alla Corte di "dichiarare l'ammissibilità del ricorso e risolvere il presente conflitto"; 4) sarebbe privo "di una valida sottoscrizione del soggetto ricorrente", e cioé della sottoscrizione di tutti i membri del collegio giudicante, essendo l'ordinanza sottoscritta dal solo Presidente.

Ad avviso della Camera, sussisterebbe, poi, un ulteriore motivo di inammissibilità del conflitto, discendente "dalla irritualità della notifica" dell'ordinanza-ricorso.

3.1. Nel merito, la Camera deduce l'infondatezza del conflitto e ciò a motivo del "contesto parlamentare" in cui si inseriscono le dichiarazioni oggetto della delibera di insindacabilità, il "contenuto essenziale" delle quali ¾ "aldilà degli eccessi verbali connessi alla forma satirica adottata" ¾ "corrispondeva ad una interrogazione già presentata alla Camera poco tempo prima dall'onorevole Veneto e pubblicata negli atti parlamentari" (n. 5/01331 del 22 dicembre 1996), trattandosi, dunque, "di fatti su cui aveva già iniziato a svolgersi il sindacato ispettivo da parte della Camera dei deputati cui anche l'onorevole Sgarbi, in quanto membro di quella Camera, partecipava".

Secondo la memoria, la delibera di insindacabilità risulta, perciò, adottata nel rispetto dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Poichè, tuttavia, "tale conclusione potrebbe essere revocata in dubbio sulla base delle recentissime sentenze dell'anno 2000", nelle quali si é inteso "precisare quando ricorra il nesso funzionale", la memoria afferma che il senso della più recente giurisprudenza va colto, quanto alle espressioni rese dai parlamentari extra moenia, nella distinzione tra espressioni "attinenti alla politica in senso lato ed indifferenziato" ed espressioni "che invece attengono propriamente alla politica parlamentare, solo queste ultime essendo identificabili quali espressione di attività parlamentare".

In tal senso, la Camera sostiene che l'ambito della "politica parlamentare" non può esaurirsi "nei puntuali atti di esercizio attivo di poteri del parlamentare, ma ricomprende l'intera comunicazione politico-parlamentare di cui egli é stato partecipe: anche ascoltando, leggendo, valutando dichiarazioni rese da altri parlamentari". Cosicchè, quando un fatto o dei comportamenti di soggetti pubblici o privati "entrano nel campo dei lavori parlamentari" (come accade "se essi sono oggetto di un atto di sindacato ispettivo, chiunque l'abbia posto in essere"), essi finiscono per collocarsi nell'ambito della comunicazione politico-parlamentare cui partecipa ogni parlamentare, mentre le successive dichiarazioni extra moenia, se sostanzialmente corrispondenti ai contenuti della comunicazione politico-parlamentare, "saranno anch'esse espressione di attività parlamentare".

Rilevato, perciò, che le affermazioni dell'on. Sgarbi, oggetto di procedimento penale dinanzi al Tribunale ricorrente, "erano espressione di attività parlamentare", secondo la Camera é irrilevante, poi, il fatto che le dichiarazioni siano state rese nell'ambito di una trasmissione televisiva "ricollegabile ad una attività professionale di natura giornalistica", giacchè ciò che conta "non é il mezzo dell'espressione dell'opinione, ma é l'opinione in sè e, soprattutto, il suo nesso con l'attività parlamentare".

4. Nell'imminenza dell'udienza entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

4.1. Il Tribunale di Treviso sostenendo, anzitutto, l'ammissibilità del sollevato conflitto, così come già affermato dall'ordinanza n. 3 del 2000 in sede di delibazione sommaria, insiste, nel merito, nelle argomentazioni già svolte nel ricorso e conclude affinchè la Corte dichiari che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare l'insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall'on. Sgarbi per le quali pende procedimento penale innanzi al medesimo Tribunale di Treviso, con conseguente annullamento della deliberazione adottata nella seduta del 24 febbraio 1999.

4.2. La Camera dei deputati, ribadendo preliminarmente le eccezioni già formulate nell'atto di costituzione, rimette, altresì, alla Corte la valutazione in ordine ad una ulteriore ipotesi di inammissibilità del ricorso, non avendo il Tribunale di Treviso depositato, unitamente agli atti del processo, l'atto asseritamente lesivo delle sue attribuzioni.

Nel merito, la memoria, richiamando anche la più recente giurisprudenza costituzionale, conferma le già esposte ragioni di infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il Tribunale di Treviso, sezione penale, ha promosso, con ordinanza del 16 aprile 1999, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione adottata dall'Assemblea il 24 febbraio 1999, con la quale é stata affermata l'insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, dei fatti per cui pende, dinanzi al predetto Tribunale, procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi, imputato del reato di diffamazione a mezzo stampa, a seguito delle dichiarazioni rilasciate nei confronti del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, Anna Fasan, nel corso delle trasmissioni televisive "Sgarbi Quotidiani" del 10, 14, 18 gennaio 1997 e 28 luglio 1997.

Nel contestare la sussistenza dei presupposti della adottata deliberazione di insindacabilità, il giudice ricorrente sostiene che le espressioni diffamatorie oggetto dell’imputazione non sono state rese in sede istituzionale, nè nelle forme tipiche della funzione, nè, ancora, fanno riferimento alcuno ad atti parlamentari; trattasi, infatti, di dichiarazioni rilasciate nel corso di una trasmissione televisiva "non qualificabile come tipicamente politica ... ma ricollegabile ad una attività professionale di natura giornalistica", nelle quali "l’aspetto denigratorio risulta assolutamente prevalente ... rispetto anche ad una ipotizzata funzione informativa".

Sicchè, ad avviso del Tribunale di Treviso, la deliberazione di insindacabilità oggetto di conflitto lede la sfera di attribuzione costituzionalmente garantita ad esso giudice, in conseguenza dell’illegittimo esercizio del potere spettante alla Camera, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il ricorrente chiede, pertanto, che questa Corte voglia dichiarare l'ammissibilità del ricorso e risolvere il presente conflitto.

2. Nel costituirsi in giudizio, la Camera dei deputati ha, preliminarmente, eccepito l'inammissibilità del ricorso, per non aver il Tribunale di Treviso rispettato la disciplina sui giudizi che hanno per oggetto i conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e, segnatamente, l'art. 26, primo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Al riguardo, la memoria lamenta che il conflitto non sia stato introdotto con ricorso bensì con ordinanza, senza che, nel caso di specie, sussista neppure quella fungibilità tra i due atti riconosciuta dalla più recente giurisprudenza costituzionale "ove l'ordinanza sia comunque dotata di tutti i requisiti occorrenti, ai sensi dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953 e dell'articolo 26 delle norme integrative".

L'atto di promovimento del conflitto mancherebbe, anzitutto, di individuare, specificamente, le attribuzioni dell'autorità giudiziaria asseritamente lese, nonchè le norme costituzionali sulle quali si fondano dette attribuzioni, essendo insufficiente il solo richiamo all'art. 68 della Costituzione. Inoltre, il medesimo atto ometterebbe "la richiesta di non spettanza della valutazione contestata e, comunque, la richiesta di annullamento della deliberazione impugnata", limitandosi a chiedere alla Corte di "dichiarare l'ammissibilità del ricorso e risolvere il presente conflitto". Lo stesso atto sarebbe, infine, privo "di una valida sottoscrizione del soggetto ricorrente", e cioé della sottoscrizione di tutti i membri del collegio giudicante, essendo l'ordinanza sottoscritta dal solo Presidente.

Ulteriore motivo di inammissibilità del conflitto discenderebbe, ad avviso della Camera, "dalla irritualità della notifica" dell'ordinanza-ricorso.

In subordine e nel merito, la Camera dei deputati argomenta diffusamente sull'infondatezza del conflitto, adducendo che le dichiarazioni contestate, oltre ad inserirsi in ben preciso "contesto parlamentare", corrispondono, nel loro "contenuto essenziale", in base ad una valutazione da effettuarsi "secondo criteri di ragionevolezza e non formalistici", all'interrogazione parlamentare precedentemente presentata alla Camera da altro parlamentare e cioé dall'on. Veneto, concernendo, dunque, "fatti su cui aveva già iniziato a svolgersi il sindacato ispettivo da parte della Camera dei deputati cui anche l'onorevole Sgarbi, in quanto membro di quella Camera, partecipava".

Ne consegue, secondo la Camera, che la delibera di insindacabilità risulta, anche alla luce dei principi giurisprudenziali, adottata nel rispetto dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, essendo ravvisabile, nella specie, "la inerenza delle opinioni all'esercizio delle funzioni parlamentari".

3. Il ricorso é inammissibile.

La fase preliminare del giudizio, svoltasi senza contraddittorio, in quanto sommariamente delibativa della ammissibilità del conflitto, si é conclusa con l'ordinanza n. 3 del 2000, la quale ha lasciato impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità; sicchè, ora, la Corte é tenuta ad esaminare e risolvere, nel contraddittorio delle parti e, quindi, anche alla luce delle eccezioni sollevate dalla Camera dei deputati, ogni relativa questione.

Nel dettare la disciplina del giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la legge 11 marzo 1953, n. 87, prevede, all’art. 37, che il giudizio medesimo si instauri, ad iniziativa dell'organo interessato, per mezzo di ricorso.

Come é dato evincere dalla giurisprudenza costituzionale, la richiamata disciplina, configurando il conflitto come procedimento inteso non ad un generale controllo della legittimità dell’atto, bensì alla verifica dell’ordine costituzionale delle competenze (sentenza n. 457 del 1999), implica che il giudice, nella sua veste di titolare della funzione giurisdizionale, si faccia "promotore del giudizio come parte ricorrente, in vista della tutela di un interesse potenzialmente fornito di protezione costituzionale" (sentenza n. 10 del 2000).

Da ciò consegue che l'atto di promovimento deve soddisfare i requisiti necessari per la valida instaurazione del giudizio, nel senso che da esso possa ricavarsi la pretesa che la parte intende far valere e ciò in relazione all'attribuzione costituzionale che si assume menomata o che si voglia rivendicare.

Quanto detto comporta che sul ricorrente gravi l'onere di precisare l'oggetto della propria domanda, quale indicazione necessaria al fine di consentire alla Corte, in base all'art. 38 della legge n. 87 del 1953, di dichiarare, nella risoluzione del conflitto, "il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione" e di annullare, se del caso, ove emanato, l'atto viziato da incompetenza.

La necessaria indicazione del petitum si evince, del resto, non solo dalla stessa conformazione del giudizio per conflitto, secondo quanto risulta dal titolo II della legge n. 87 del 1953, e dalle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale del 16 marzo 1956, ma, ove occorra, anche dall'art. 17 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, alle cui disposizioni rinvia, in quanto applicabili, l'art. 22 della stessa legge n. 87 del 1953.

Ciò posto, va osservato che il Tribunale di Treviso, nel limitarsi, con l'atto di promovimento del giudizio, a chiedere alla Corte di "risolvere il presente conflitto", ha semplicemente evidenziato il potere dovere di decidere, senza con ciò assolvere l’onere imposto dalle norme sopra ricordate, avendo omesso del tutto la necessaria indicazione dell'oggetto della domanda. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, in quanto carente di uno dei suoi requisiti essenziali (vedi sentenza n. 363 del 2001).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di cui in epigrafe, proposto dal Tribunale di Treviso, sezione penale, nei confronti della Camera dei deputati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2001.