ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del 7 luglio 1998 della Camera dei deputati relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’on. Amedeo Matacena nei confronti del dott. Vincenzo Macrì, promosso con ricorso del Tribunale di Reggio Calabria, notificato il 23 novembre 1999, depositato in cancelleria il 2 dicembre 1999 e iscritto al n. 41 del registro conflitti 1999.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
udito l’avvocato Sergio Panunzio per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto 1.1. – Con ordinanza del 1° aprile 1999, emessa nell’ambito di un giudizio penale per diversi reati di diffamazione aggravata a carico del deputato Amedeo Matacena, il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata nella seduta del 7 luglio 1998, con la quale la Camera ha dichiarato che uno dei fatti per i quali è in corso il procedimento penale concerne opinioni espresse dal deputato nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.1.2. – Il Tribunale premette che nel processo penale sono contestati al deputato reati di diffamazione a) per avere egli espresso nei riguardi di Vincenzo Macrì, sostituto procuratore addetto alla Direzione nazionale antimafia, appellativi come “provocatore, arrogante, irrispettoso delle regole deontologiche”, e ciò sia nel corso di una conferenza stampa sia nell’ispirazione di un articolo apparso in data 23 febbraio 1995 nel periodico “Tribuna Calabria” sotto il titolo “Macrì, un magistrato bandito”, nonché b) per avere attribuito al medesimo magistrato fatti che si assumono non veritieri, lesivi della reputazione dello stesso, nel corso di una intervista televisiva in data 14 febbraio 1995, in particolare affermando che “... c’è a Reggio Calabria una guerra tra bande ... il sostituto Macrì continua a dire che attraverso l’amicizia di Violante vuole tornare a tutti i costi applicato a Reggio Calabria perché deve vendicarsi di una serie di personalità di questa città ...”.
Il Tribunale ritiene che la valutazione di insindacabilità da parte dell’Assemblea della Camera, benché concernente solo il secondo degli episodi anzidetti (sub b), debba intendersi “estesa” anche al primo (sub a), trattandosi di una vicenda sostanzialmente unitaria sia sotto il profilo temporale (i fatti contestati risalgono tutti al febbraio 1995) sia per i contenuti sostanziali, essendosi del resto proceduto alla riunione dei correlativi procedimenti penali, in origine distinti.
Ciò premesso, il ricorrente osserva che le frasi utilizzate dal deputato, per il loro tenore obiettivo, esulano dall’ambito dell’espressione di opinioni politicamente motivate, sia pure svolte in toni accesi, sull’operato del magistrato, spingendosi, al di là della connessione con il mandato parlamentare, fino a costituire un attacco personale e una denigrazione gratuita; non può dunque condividersi, per il Tribunale, la dichiarazione di insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, poiché non risulta esistente, nella specie, il nesso funzionale tra il comportamento tenuto e l’attività parlamentare che è requisito essenziale per poter riconoscere la prerogativa.
La deliberazione della Camera dei deputati appare in conclusione al ricorrente lesiva delle attribuzioni del potere giurisdizionale, e di essa il Tribunale chiede, sollevando il conflitto, l’annullamento.
2. – Con ordinanza n. 414 del 1999 la Corte costituzionale ha dichiarato l’ammissibilità del conflitto, ma “limitatamente all’oggetto quale definito dal contenuto della deliberazione della Camera dei deputati che si assume lesiva delle attribuzioni costituzionali del giudice ricorrente”, deliberazione “che si riferisce, espressamente, soltanto a uno dei diversi fatti che sono contestati al deputato a titolo di diffamazione” nel procedimento penale pendente dinanzi al ricorrente Tribunale di Reggio Calabria. Il ricorso e l’ordinanza sono stati notificati alla Camera dei deputati il 23 novembre 1999 e depositati il successivo 2 dicembre.
3.1. – Nel giudizio così promosso si è costituita la Camera dei deputati, per chiedere l’irricevibilità dell’atto introduttivo, l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
3.2. – Nell’atto di costituzione, si richiamano in primo luogo i fatti che hanno dato luogo al processo penale e poi al conflitto, quale delimitato, nel suo oggetto, dalla pronuncia di ammissibilità della Corte costituzionale: esso concerne le dichiarazioni rese dal deputato nel corso di una intervista televisiva all’emittente locale “Telereggio”, il 14 febbraio 1995, alle quali si riferisce la delibera di insindacabilità della Camera del 7 luglio 1998 (documento IV-ter, n. 30-A), e non anche le dichiarazioni rese alla stampa che hanno dato luogo a distinto procedimento penale (e a diversa deliberazione dell’Assemblea in data 6 ottobre 1999; documento IV-ter, n. 26).
3.3. – Secondo la Camera, il conflitto sarebbe irricevibile o inammissibile, non sussistendo i necessari requisiti di forma e di contenuto: a) di forma, perché l’atto introduttivo assume la veste dell’ordinanza in luogo di quella del ricorso, testualmente prescritta dagli artt. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale; b) di contenuto, perché l’atto non conterrebbe l’esposizione, sia pure sommaria, delle “ragioni di conflitto” né l’indicazione – non più “sommaria” – delle norme costituzionali che regolano la materia, come stabilito dal sopracitato art. 26 delle norme integrative, essendo in particolare insufficiente il riferimento dell’ordinanza al solo art. 68 della Costituzione, che, se è la norma che fonda il potere della Camera di deliberare l’insindacabilità, non è la norma costituzionale che fonda le attribuzioni del Tribunale che quest’ultimo ritiene essere state lese.
3.4. – Nel merito, la Camera dei deputati argomenta nel senso dell’infondatezza del ricorso. A tal fine, espone preliminarmente il “contesto parlamentare” nel quale si iscrivono le dichiarazioni del deputato Matacena che hanno dato origine al processo penale e, da questo, al conflitto: un “contesto”, si precisa, riassunto nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere.
Un primo elemento di tale complessivo “contesto” è l’interrogazione a risposta scritta n. 4/04104, presentata dal deputato Matacena, insieme con altri firmatari, l’11 ottobre 1994, che, nel riferirsi agli uffici giudiziari di Reggio Calabria, elencava diverse circostanze comprovanti la grave situazione degli uffici stessi, affermando, in particolare, l’esistenza in essi di “un clima di guerra tra bande” e “... che il «killeraggio» fra i giudici del Tribunale di Reggio è evidenziato dal verbale del CSM che denuncia, chiaramente, la spregiudicata volontà di questi magistrati, particolarmente del sostituto Macrì, di annientare tutti gli avversari sia magistrati che politici (soprattutto se non di sinistra)”. Questa interrogazione concludeva chiedendo al Ministro di grazia e giustizia se non ritenesse opportuno “promuovere un procedimento disciplinare davanti al CSM al fine ... di procedere alla sospensione immediata del sostituto Macrì dall’applicazione diretta dei processi fino alla verifica di fatti e situazioni suesposti e, comunque, al trasferimento immediato dello stesso ad altra sede per incompatibilità ambientale, come evidenziato dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 19.5.1994”.
A tale interrogazione il Ministro rispondeva, in data 7 aprile 1995, comunicando che, a seguito di una risoluzione del Comitato di Presidenza del Consiglio superiore della magistratura del 19 maggio 1994 e degli accertamenti in sede di ispezione ministeriale, lo stesso Ministro aveva esercitato l’azione disciplinare nei confronti del magistrato, al quale erano stati addebitati a) il coinvolgimento in una serie di attacchi di stampa in danno di altro magistrato degli uffici giudiziari di Reggio Calabria e b) l’avere fatto un “uso scorretto” della funzione giudiziaria, in diverse occasioni; che, inoltre, il Ministro aveva chiesto al CSM, in data 26 ottobre 1994, il trasferimento del dott. Macrì per incompatibilità ambientale.
Il secondo elemento della vicenda è rappresentato, prosegue la Camera dei deputati, da un intervento del deputato Matacena, in sede di dichiarazione di voto nel dibattito parlamentare sull’approvazione della proposta di legge di proroga dell’art. 41-bis della legge di ordinamento penitenziario sulla sospensione dell’ordinario trattamento (poi in effetti divenuta la legge 16 febbraio 1995, n. 36): in tale sede, il deputato ebbe a motivare in Aula il proprio voto contrario alla proroga col fatto che gli risultava che, attraverso lo speciale regime ex art. 41-bis, era stata estorta a detenuti la dichiarazione di “pentimento”, affermando inoltre che a Reggio Calabria vi erano dei casi di verbali in bianco firmati da “pentiti”, utilizzati strumentalmente da alcuni magistrati contro altri magistrati, in uno “scontro tra fazioni, del potere per il potere”, al quale si sarebbe “interessato molto fattivamente ... il sostituto procuratore antimafia Macrì ...”. A queste dichiarazioni rese in Aula dal parlamentare, prosegue la Camera, il magistrato aveva replicato in un articolo di stampa (su “La Gazzetta del Sud” del 13 febbraio 1995).
Su questi stessi temi, osserva ancora la Camera, il deputato è poi ulteriormente intervenuto in occasione di un altro dibattito legislativo, anch’esso riguardante l’art. 41-bis, e cioè nella seduta del 30 luglio 1997 nella quale è stato approvato il disegno di legge n. 1845 (poi divenuto la legge 7 gennaio 1998, n. 11).
Infine, il terzo elemento è costituito dall’interrogazione a risposta orale rivolta dal deputato Matacena al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, presentata l’8 marzo 1995.
Con questa interrogazione il deputato, premesso: di essere a conoscenza del fatto che agli inizi dell’anno 1995 era scaduta l’applicazione del magistrato presso la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria; che una ispezione ministeriale aveva posto in evidenza l’inopportunità di quella applicazione a causa del contrasto tra gli interessi personali del dott. Macrì e le esigenze istituzionali; che il Procuratore nazionale antimafia aveva condiviso l’analisi dell’ispezione ministeriale; che risultava peraltro in atto una “pressione” per rinnovare l’applicazione del magistrato alla direzione distrettuale; tutto ciò premesso, chiedeva al Governo se non si ritenesse del tutto inopportuno il rinnovo dell’applicazione del dott. Macrì.
A questa interrogazione aveva risposto in Aula, in data 17 novembre 1995, il Sottosegretario alla giustizia, informando che, anche alla luce dei precedenti pareri, era da escludersi l’eventualità di nuove applicazioni; di tale risposta il deputato si era dichiarato parzialmente soddisfatto, insistendo peraltro per una iniziativa disciplinare da parte del Ministro.
Tale è dunque – osserva la resistente – il “contesto” di dichiarazioni del deputato, tutte concernenti l’operato del magistrato, e tutte rese nell’esercizio di funzioni tipicamente parlamentari, come le dichiarazioni di voto, le interrogazioni, le repliche sulle risposte del Governo; ed è in tale contesto che devono essere inserite le dichiarazioni divulgate dall’emittente televisiva locale il 14 febbraio 1995.
Queste dichiarazioni sono strettamente collegate a quelle rese nell’esercizio della funzione, per identità di oggetto (le disfunzioni degli uffici e il modo di esercizio della propria attività da parte del magistrato), per contiguità temporale (appena pochi giorni dopo le dichiarazioni di voto dell’ 8 febbraio 1995, a loro volta di pochi mesi successive alla prima delle due interrogazioni), per le stesse espressioni utilizzate (la “guerra tra bande” dell’intervista televisiva riprenderebbe alla lettera l’interrogazione dell’11 ottobre 1994, e corrisponderebbe nella sostanza all’espressione “scontro tra fazioni” della dichiarazione di voto del 9 febbraio 1995).
E’ sulla base di questo stretto collegamento, si osserva ancora, che la Giunta per le autorizzazioni a procedere ha formulato la proposta di insindacabilità, dopo aver ascoltato il deputato e acquisito ulteriori documenti e che, poi, l’Assemblea ha fatto propria la proposta in discorso, limitatamente ai fatti relativi al procedimento di cui al documento IV-ter, n. 30-A, diversamente decidendo, invece, quanto ai fatti di cui al documento IV-ter n. 26. Nella relazione all’Assemblea, inoltre, il relatore ha motivato specificamente la proposta di insindacabilità, come sopra delimitata, sul rilievo che le espressioni che avevano dato luogo al procedimento, oltre a corrispondere in sostanza all’analisi dei fatti effettuata dagli ispettori ministeriali e dallo stesso Ministro di grazia e giustizia nella sua risposta scritta all’interrogazione dell’11 ottobre 1994, costituivano attività divulgative, al di fuori del Parlamento, di atti tipici della funzione parlamentare.
Analoga considerazione era stata inoltre formulata dal vicepresidente della Giunta, in sostituzione del relatore assente, nella seduta in Assemblea del 7 luglio 1998, nella quale la Camera ha approvato la delibera di insindacabilità.
A fronte di tali argomentate e motivate conclusioni della Camera, circa lo stretto collegamento funzionale tra le opinioni e l’attività tipicamente parlamentare, l’assunto del Tribunale di Reggio Calabria risulta, secondo la resistente, puramente apodittico.
L’infondatezza del conflitto proposto, prosegue la difesa della Camera, si manifesta in particolare alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale sul tema dell’insindacabilità.
Al riguardo, dopo aver svolto una disamina delle decisioni rese in materia, la Camera dei deputati ne enuclea il discrimine ai fini della prerogativa, costituito dalla “inerenza” delle opinioni espresse rispetto all’esercizio delle funzioni parlamentari (sentenza n. 417 del 1999): indipendentemente dal fatto di essere contenute in un atto tipicamente e formalmente parlamentare e anche “al di là di un rapporto di stretta conseguenzialità”, ciò che qualifica le opinioni come inerenti alla funzione è il “contesto parlamentare”, il loro essere inserite in una vicenda che sia caratterizzata da atti di esercizio della funzione.
La conclusione che, secondo la difesa della Camera, ne deriva nella specie è nel senso del pieno rispetto dell’art. 68 della Costituzione da parte della Camera stessa, con una deliberazione di insindacabilità adottata a conclusione di una procedura parlamentare nella quale era emersa chiaramente la sussistenza del richiamato nesso funzionale: le dichiarazioni incriminate fanno seguito a una pluralità di atti parlamentari tipici, sul medesimo oggetto, ne riprendono i contenuti e talvolta perfino la lettera, nella prospettiva di portare a conoscenza della pubblica opinione le valutazioni politiche effettuate dal deputato, e si presentano come strumenti di comunicazione e divulgazione propriamente conseguenziali rispetto ai formali atti parlamentari, rientrando perciò agevolmente nell’ambito dei casi di applicazione della garanzia oramai tipizzati dalla giurisprudenza costituzionale.
4. – In prossimità dell’udienza, la Camera dei deputati ha depositato una memoria, nella quale si ribadisce, in primo luogo, l’eccezione processuale di inammissibilità del ricorso.
Nel merito, la memoria della Camera ribadisce altresì l’infondatezza del ricorso, alla stregua della più recente giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 58, 56, 11 e 10 del 2000), della quale si richiamano specificamente due aspetti: il primo, consistente nella riconferma del criterio di giudizio secondo il quale la verifica del “nesso funzionale” non è circoscritta al controllo sulla motivazione della deliberazione parlamentare di insindacabilità (motivazione talvolta neppure resa in modo esplicito) né alle risultanze del correlativo procedimento parlamentare, ma deve essere effettuata dalla Corte, in concreto, secondo lo schema della riconduzione o meno dell’“opinione” all’esercizio delle funzioni parlamentari, ambito questo che spetta alla Corte stessa definire; il secondo, consistente nel criterio sostanziale di riconoscimento del “nesso funzionale”, che non equivale a mero collegamento di argomento o “di contesto”, ma richiede l’identificabilità della dichiarazione come espressione di attività parlamentare, cosicché fuoriescono dalla copertura di cui all’art. 68 della Costituzione le dichiarazioni che non siano soggette all’ambito di applicazione del “diritto parlamentare” e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio della funzione.
Ciò che è necessario e sufficiente, prosegue la Camera, perché il nesso funzionale sia riconosciuto non è l’identità, ma una “corrispondenza sostanziale” di contenuti, da apprezzarsi secondo criteri di ragionevolezza e non formalistici.
Alla stregua di questo criterio, deve riconoscersi nella specie – secondo la resistente – la corrispondenza, appunto, sostanziale di contenuto tra le opinioni e gli atti della funzione: il contenuto delle dichiarazioni rese dal deputato Matacena nell’intervista televisiva può individuarsi nell’affermazione dell’esistenza di una “guerra tra bande” nell’ambiente giudiziario di Reggio Calabria, che coinvolgeva anche il sostituto dott. Macrì, e nella affermazione della volontà di quest’ultimo di rinnovare la propria applicazione presso la direzione distrettuale antimafia, già scaduta in quel periodo, in modo da “vendicarsi di una serie di personalità di questa città”. Ora, osserva la Camera, siffatte dichiarazioni trovano puntuale corrispondenza nelle opinioni espresse sull’argomento dallo stesso parlamentare in sede propria, e precisamente nei tre “momenti” della vicenda sopra ricordati.
Tra le opinioni espresse in sede parlamentare sul “caso Macrì” e quelle espresse, nello stesso periodo, nell’intervista televisiva, vi è dunque talvolta persino coincidenza testuale (così ad esempio per l’espressione “guerra tra bande”, “scontro tra fazioni”) e comunque, al di là delle varianti delle formule linguistiche adoperate, vi è la necessaria corrispondenza sostanziale dei contenuti dichiarativi, non già solo una generica comunanza di argomento o di tematica. Ne consegue la sussistenza del necessario nesso funzionale, nesso che – si sottolinea nella memoria – potrebbe essere negato solo confondendo la anzidetta corrispondenza di sostanza con una coincidenza testuale o formale tra le opinioni; una conclusione, questa, che la Corte ha esplicitamente negato nella sua recente giurisprudenza.
Considerato in diritto
1. – Il presente conflitto di attribuzione è stato promosso dal Tribunale di Reggio Calabria contro la Camera dei deputati, in relazione alla delibera della Camera stessa del 7 luglio 1998 con la quale è stato affermato che ricorrono le condizioni per l'applicazione in favore del deputato Amedeo Matacena della garanzia prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione ad affermazioni da questi fatte durante una intervista televisiva del 14 febbraio 1995 nei confronti di un magistrato, affermazioni per le quali, come è riferito nell'esposizione dei fatti di causa, è in corso un procedimento per diffamazione aggravata, pendente presso l’ufficio giudiziario ricorrente. Ritiene il Giudice ricorrente che l'impugnata deliberazione della Camera dei deputati sia espressione di una concezione dell'insindacabilità parlamentare più ampia di quella che la Costituzione prevede, circoscrivendola alle opinioni espresse e ai voti dati nell'esercizio delle funzioni, e su questa premessa ricorre per conflitto di attribuzione.
2. – La difesa della Camera dei deputati eccepisce preliminarmente l’irricevibilità dell’atto introduttivo del giudizio e l’inammissibilità del conflitto: l'irricevibilità, per avere il giudice ricorrente utilizzato la forma dell’ordinanza, in luogo di quella del ricorso, prescritta dagli artt. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale; l'inammissibilità, per avere trascurato di esporre, sia pure sommariamente, il contenuto e le circostanze delle dichiarazioni relativamente alle quali la Camera dei deputati ha dichiarato l'insindacabilità, nonché per aver omesso di indicare le ragioni del conflitto, attraverso l'indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia, conformemente a quanto previsto nel medesimo art. 26, già ricordato.
Le eccezioni non sono fondate.
Quanto all’irricevibilità, è sufficiente richiamare gli argomenti con i quali questa Corte ha ritenuto, per l’ipotesi di conflitto promosso dall’Autorità giudiziaria, che l’atto introduttivo in forma di ordinanza sia idoneo a promuovere il giudizio per conflitto di attribuzione tutte le volte in cui esso corrisponda, nel contenuto, al ricorso quale disciplinato dalla legge (per tutte, sentenza n. 10 del 2000). Nella specie, tale corrispondenza non è contestata, salvo che per quanto riguarda la mancata sottoscrizione dell'atto da parte di tutti i membri del collegio giudicante. Ma tale somma di sottoscrizioni, la cui necessità la difesa della Camera ritiene essere stata affermata da questa Corte nella sentenza n. 10 del 2000, in quell'occasione era stata rilevata come mera constatazione relativa all'atto allora considerato che non contraddice la regola generale per la quale l'atto introduttivo del conflitto promosso da un organo collegiale deve essere sottoscritto da chi lo rappresenta, vale a dire dal suo presidente. Quanto all’inammissibilità, prospettata con la doglianza circa la mancata esposizione del contenuto e delle circostanze delle dichiarazioni relativamente alle quali la Camera dei deputati ha dichiarato l'insindacabilità - dichiarazioni il cui contenuto è peraltro puntualmente indicato nell'atto introduttivo del presente giudizio -, è assorbente il rilievo che il conflitto viene proposto in relazione a un atto della Camera stessa, onde è quest'ultimo a dover essere puntualmente identificato dal ricorrente, ciò che, nella specie, non è dubitabile sia avvenuto. Quanto, infine, alla pretesa insufficienza delle indicazioni circa le ragioni del conflitto tramite l'indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia, è sufficiente richiamare le considerazioni spese da questa Corte, in relazione ad analoga eccezione, nella sentenza n. 320 del 2000.
3. – Nel merito, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Reggio Calabria non è fondato.
3.1. – Trattandosi di valutare l’applicabilità della prerogativa parlamentare prevista dal primo comma dell’art. 68 della Costituzione a dichiarazioni rese da un membro del Parlamento a un organo di informazione, dichiarazioni dunque rilasciate al di fuori dell'esercizio di attività parlamentari tipiche, l’intero problema si risolve nello stabilire se - ciò non di meno - esse siano “identificabili come espressioni di attività parlamentare” (sentenze nn. 10 del 2000 e 329 del 1999) e quindi siano da ricomprendere nella sfera delle attività dei membri del Parlamento assistite dalla garanzia costituzionale.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, ai fini di tale identificazione non basta la semplice comunanza di argomenti, oggetto di attività parlamentari tipiche e di dichiarazioni fatte al di fuori di esse, né basta la riconducibilità di queste ultime dichiarazioni a un medesimo “contesto politico” (sentenze nn. 375 del 1997, 329 del 1999 e 58 del 2000, nonché n. 56 del 2000). Occorre invece che la dichiarazione possa essere qualificata come “espressione di attività parlamentare” (sentenze nn. 10 e 11 del 2000), il che normalmente accade se e in quanto sussista una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori dell'esercizio delle attività parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni già espresse nell'ambito di queste ultime.
Nell'ordinario svolgimento della vita democratica e del dibattito politico (sentenze nn. 10 e 56 del 2000), questo – la sostanziale corrispondenza e quindi il carattere divulgativo - è infatti il criterio che consente di identificare le dichiarazioni rese al di fuori di quelle attività e ciononostante riconducibili o inerenti alla funzione parlamentare, distinguendole così da quelle che ricadono nel diritto comune a tutti i cittadini e proteggendole tramite la speciale garanzia dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, senza con ciò determinare situazioni ingiustificate di privilegio personale (sentenza n. 375 del 1997). L’attività dei membri delle Camere nello Stato democratico rappresentativo è per sua natura destinata infatti a proiettarsi al di fuori delle aule parlamentari, nell’interesse della libera dialettica politica che è condizione di vita delle istituzioni democratico-rappresentative (sentenze nn. 11 e 56 del 2000).
3.2. – Nella specie, il contenuto delle considerazioni svolte dal deputato Matacena in occasione della trasmissione televisiva in questione, relativamente al conflitto esistente all'interno della magistratura di Reggio Calabria tra alcune sue componenti, al coinvolgimento in particolare del magistrato parte lesa nel processo penale pendente davanti al Tribunale ricorrente e al suo intento di ritornare in quella città, tramite un appoggio asseritamente influente, per compiere diverse vendette (questo, in sintesi, il contenuto delle dichiarazioni, più diffusamente ricordate nell'esposizione dei fatti di causa), corrisponde sostanzialmente a quanto già affermato dal deputato medesimo in sede di esercizio di specifiche funzioni parlamentari. Con interrogazione dell'11 ottobre 1994, infatti, il deputato medesimo aveva richiamato l'attenzione del Ministro di grazia e giustizia dell'epoca sulla situazione, quale a lui risultante, degli uffici giudiziari reggini, su loro disfunzioni e su abusi in essi compiute, nonché sul ruolo che il magistrato, parte lesa nel processo penale pendente di fronte al Tribunale di Reggio Calabria, vi avrebbe svolto: tutto con dovizia di particolari di cui è cenno nell'esposizione dei fatti. L'interrogazione si concludeva con l'invito al Ministro a disporre l'invio di ispettori, come misura propedeutica all'accertamento dei fatti in via giudiziaria, e a promuovere l'azione disciplinare in genere, ove risultasse necessario, e in specie, nei confronti del magistrato preso particolarmente in considerazione come causa dei fatti denunciati. Il 9 febbraio 1995, poi, il medesimo deputato Matacena, in sede di dichiarazione di voto relativa a un provvedimento legislativo in tema di proroga della sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario in alcuni casi speciali, ritornava sulla questione, insistendo sulla sua denuncia relativa alla degenerazione della situazione degli uffici giudiziari di Reggio Calabria. Indipendentemente dall'esistenza di altri atti parlamentari del medesimo tenore, compiuti dallo stesso componente della Camera dei deputati, successivi alla data delle dichiarazioni per le quali è in corso il giudizio penale per diffamazione, quanto testé richiamato, stante la rilevata sua sostanziale corrispondenza di contenuti con le dichiarazioni medesime, rende queste ultime riconducibili all'esercizio delle funzioni parlamentari svolte dal deputato che le ha fatte. E a tale conclusione può pervenirsi anche in presenza del riferimento, di cui non esiste traccia negli atti parlamentari richiamati, all'affidamento che il magistrato avrebbe fatto su un appoggio esterno, in vista di un proprio rientro nella sede giudiziaria di Reggio Calabria, trattandosi di un elemento che non assume di per sé autonomo rilievo entro la complessiva vicenda.
4. – Riconosciuta così la riconducibilità dell'attività incriminata a quella a garanzia della quale è posto l'art. 68, primo comma, della Costituzione, il giudizio sul conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Reggio Calabria contro la Camera dei deputati deve risolversi a favore di quest'ultima.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spetta alla Camera dei deputati affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle dichiarazioni espresse dal deputato Amedeo Matacena, secondo quanto deliberato dall’Assemblea della Camera in data 7 luglio 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 21 luglio 2000.