SENTENZA N. 58
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI Giudice
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Prof. Annibale MARINI "
- Dott. Franco BILE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati in data 25 giugno 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti della dott.ssa Gemma Cotti Cometti, promosso con atto del Tribunale di Bergamo, notificato il 3 maggio 1999, depositato in Cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 18 del registro conflitti 1999.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 9 novembre 1999 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
udito l’avv. Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Bergamo, II sezione penale, ha proposto - con ordinanza in data 8 ottobre 1998, nel corso di un giudizio nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione aggravata in danno della dr.ssa Gemma Cotti Cometti - conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, chiedendo l'annullamento della deliberazione, adottata dall'Assemblea nella seduta del 25 giugno 1998, con la quale é stata dichiarata l'insindacabilità delle dichiarazioni rese dal parlamentare.
1.1. - Il Tribunale di Bergamo premette che si procede in sede penale nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi per le dichiarazioni da lui rese nel corso del programma "Sgarbi quotidiani", trasmesso dall’emittente televisiva Canale 5, con le quali egli avrebbe affermato che la dott.ssa Cotti Cometti aveva <<prosciolto il magistrato Romeo Simi De Burgis con sentenza resa per mero favoritismo verso il collega, "per solidarietà" nella logica della "tutela reciproca" e "nel clima in cui i giudici proteggevano i giudici", contrapponendo alla stessa dott.ssa Cotti Cometti il sostituto procuratore dott. Francesco Piantoni, strumentalmente presentato come "paladino della giustizia giusta" per aver proposto appello contro tale sentenza>>.
Ad avviso del Tribunale non esisterebbe nessuna connessione tra dette dichiarazioni e l’attività parlamentare del deputato Vittorio Sgarbi e, quindi, mancherebbe il nesso funzionale tra le prime e la seconda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, costituisce condizione dell'insindacabilità delle opinioni ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. In tal senso, secondo il Collegio, avrebbe particolare importanza la considerazione che il nesso funzionale é stato escluso dalla stessa Giunta per le autorizzazioni a procedere, che ha proposto di dichiarare che i fatti per i quali é in corso il procedimento penale non concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle funzioni. In particolare, la Giunta aveva sottolineato che, <<anche ad ammettere la possibile partecipazione alla trasmissione televisiva nella duplice qualità di parlamentare e di conduttore>>, tuttavia nel caso in esame il deputato Vittorio Sgarbi <<aveva mosso accuse specifiche gratuite ed immotivate, non suffragate da alcun riscontro e senza alcun rilevante collegamento con l’attività parlamentare. Nel corso della trasmissione, infatti, egli, senza alcun concreto riferimento al dibattito politico in atto sulla Giustizia, si era limitato a dare lettura di brani estrapolati>> da un libro, nel quale erano contenute affermazioni riguardanti la dott.ssa Cotti Cometti, che apparivano gravi e <<da riportare a intenti polemici del tutto avulsi dalla funzione parlamentare, anche se latamente intesa>>.
1.2. - Secondo il Tribunale, la delibera sarebbe viziata in quanto, nel respingere la motivata proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, la Camera non avrebbe considerato che l’insindacabilità non riguarderebbe tutta l’attività politica svolta dal parlamentare, pena la vanificazione del nesso funzionale stabilito dall'art. 68, primo comma, della Costituzione ed <<il rischio di trasformare la prerogativa in privilegio personale>>. Nel caso in esame, a suo avviso, le dichiarazioni rese dal deputato costituirebbero meri apprezzamenti personali espressi, alla stregua di un qualunque privato cittadino, in riferimento ai protagonisti di una specifica vicenda giudiziaria. Inoltre, anche ritenendo che l’insindacabilità possa concernere opinioni espresse al di fuori delle Camere, la partecipazione del parlamentare alla trasmissione televisiva comunque non configurerebbe un’attività riconducibile all’esercizio delle funzioni parlamentari. Infatti, precisa testualmente l’ordinanza, egli é intervenuto alla trasmissione quale <<conduttore/entertainer di un programma televisivo denominato "Sgarbi quotidiani", nel corso del quale egli aveva l’obbligo - sulla base di uno specifico contratto stipulato con la Reti Televisive Italiane S.p.a. cui fa capo "Canale 5" - di commentare ed esprimere le proprie opinioni su argomenti di attualità e su quanto riportato dalla stampa in generale>>, sicchè, sottolineano ancora testualmente i giudici, <<poichè per tali prestazioni era, altresì, contrattualmente prevista una determinata retribuzione>>, dovrebbe ritenersi che egli ha partecipato alla trasmissione quale privato cittadino.
2. - Nel giudizio preliminare di delibazione in camera di consiglio, il conflitto é stato dichiarato ammissibile (ordinanza n. 130 del 16 aprile 1999).
Dopo l'avvenuta notifica alla Camera dei deputati, il 3 maggio 1999, ed il deposito in cancelleria, il 19 maggio 1999, l'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, del 18 agosto 1999.
3. - La Camera dei deputati si é ritualmente costituita in giudizio, chiedendo che il conflitto sia dichiarato infondato.
Secondo la difesa della Camera, lo stesso capo di imputazione formulato nei confronti del parlamentare dimostrerebbe che le dichiarazioni da lui rese non riguardano vicende private, ma costituiscono oggetto della denuncia di un fatto costituente esercizio di funzione pubblica, nella specie giudiziaria, sul quale il controllo parlamentare, anche sotto forma di pubblica denunzia, non può ritenersi interdetto. Il deputato, con riferimento ad una vicenda giudiziaria, si sarebbe limitato ad apprezzare l’atteggiamento del P.m. ed a criticare quello del giudice, formulando una critica che, ad avviso della Camera, <<non era andata oltre la media delle cose>>.
Secondo la resistente, la condotta del deputato Vittorio Sgarbi risulta chiarita dalla discussione in Assemblea e, in particolare, dall'intervento del deputato Michele Saponara, specie nella parte in cui questi ha sottolineato che, qualora un parlamentare esprima un giudizio, sottoponendo all’attenzione dell’opinione pubblica il modo in cui i magistrati giudicano altri magistrati, egli tiene una condotta <<che non può non essere ricondotta alla funzione parlamentare>>.
Le critiche, sostiene la difesa della Camera, hanno riguardato la condotta di funzionari pubblici e sono perciò riconducibili alla funzione parlamentare, anche perchè la circostanza che il deputato Vittorio Sgarbi riceveva <<un emolumento per le sue conferenze televisive non sembra far venire meno la competenza della Camera>>. A suo avviso, il nesso di funzione non viene meno nel caso in cui <<il parlamentare si esprime attraverso un quotidiano o la televisione e riceve una retribuzione, in quanto la prestazione tecnica della redazione dell’articolo o della conduzione della trasmissione, ben può essere pagata, senza inquinare di interessi privati la funzione pubblica, la quale, come funzione parlamentare si caratterizza per i contenuti del colloquio che stabilisce o tenta di stabilire con l’opinione pubblica; contenuti che possono essere di iniziativa politica, di esercizio di funzione ispettiva, di mera denuncia diretta a provocare un dibattito politico e così via>>.
3.1. - La difesa della resistente sostiene che, secondo la giurisprudenza costituzionale, spetta alla Camera di appartenenza del parlamentare il potere di valutare la condotta contestata ad un proprio membro, al fine di accertarne l'insindacabilità e, nel giudizio promosso dall’autorità giudiziaria, la Corte deve accertare se sia stato o meno seguito un procedimento corretto ovvero manchino, o siano stati arbitrariamente valutati, i presupposti della dichiarazione d'insindacabilità, tra essi quello del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare. Nel caso in esame, non si verterebbe in nessuna di queste ultime ipotesi, dato che sarebbe stato accertato che il deputato Vittorio Sgarbi aveva affrontato il tema della trasparenza nella celebrazione di un processo che vedeva un magistrato quale imputato e, quindi, la delibera impugnata ha correttamente affermato che rientra nella funzione parlamentare la critica del mancato rinvio a giudizio.
3.2. - In prossimità dell'udienza pubblica, la difesa della Camera dei deputati ha depositato memoria con la quale insiste per il rigetto del conflitto.
Secondo la resistente, nella fattispecie in esame il parlamentare avrebbe agito denunciando la violazione dei principi costituzionali che stabiliscono l'obbligo della motivazione dei provvedimenti giudiziari - strumentale alla trasparenza della funzione giurisdizionale - e l'obbligatorietà dell'azione penale. La denuncia rientrerebbe <<nell'ambito del mandato parlamentare del quale fa parte>>, sempre a suo avviso, anche la funzione ispettiva. Inoltre, la prerogativa dell'insindacabilità riguarderebbe comunque l'intera attività politica del parlamentare e quest'ultima <<va identificata nei fatti in cui si svolge ed i limiti vanno ricercati nelle esperienze già acquisite, nei fini che vengono via via rilevati, nella plausibilità delle censure e delle proposte, nelle circostanze che di volta in volta possono averla ispirata e persino imposta>>. Denunce quale quella contestata al deputato Vittorio Sgarbi non potrebbero, quindi, ritenersi interdette; esse realizzerebbero la funzione di controllo attribuita al parlamentare e costituirebbero uno dei modi con i quali questi esercita il suo diritto-dovere di richiamare l'attenzione dei cittadini sulle eventuali irregolarità degli apparati dello Stato, attraverso un colloquio con gli elettori su fatti reali. Nel quadro di tali principi, l'atto con il quale é stato sollevato il conflitto sarebbe carente, in quanto non conterrebbe una puntuale esplicitazione della vicenda che lo ha originato, ma si limiterebbe a sintetizzare le fasi del processo.
La Camera dei deputati conclude, infine, chiedendo che la Corte <<dichiari l’appartenenza alla Camera dei deputati del potere esercitato, perchè ha agito nei limiti delle sue funzioni, delle previsioni dell’art. 68, primo comma, della Costituzione e degli estremi di fatto legittimamente acquisiti>> e, conseguentemente, annulli l’ordinanza con la quale é stato sollevato il conflitto, dichiarando che l’azione penale non può essere proseguita.
Considerato in diritto
1. - Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ha ad oggetto la deliberazione con la quale la Camera dei deputati, nella seduta del 25 giugno 1998, ha dichiarato che i fatti per i quali era in corso innanzi al Tribunale di Bergamo, II sezione penale, il giudizio per diffamazione aggravata nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi riguardano opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari e, conseguentemente, sarebbero insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
Il Tribunale di Bergamo sostiene che detta deliberazione violerebbe la propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, in quanto la Camera dei deputati non avrebbe correttamente esercitato il potere ad essa spettante, di dichiarare l'insindacabilità delle dichiarazioni rese dal deputato Sgarbi. A suo avviso, la Camera avrebbe arbitrariamente ritenuto insindacabili le dichiarazioni, omettendo di considerare che esse costituirebbero meri apprezzamenti personali e che non sarebbe <<riscontrabile alcuna connessione con atti tipici della funzione parlamentare>> e neppure <<un qualche intento divulgativo di una scelta o di un'attività politico-parlamentare>>, come ha riconosciuto la stessa Giunta per le autorizzazioni a procedere, sottolineando che esse erano <<da riportare a intenti polemici del tutto avulsi dalla funzione parlamentare, anche se latamente intesa>>. Il Tribunale di Bergamo chiede, quindi, che la Corte annulli la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera.
2. - In linea preliminare deve essere confermata l'ammissibilità del conflitto di attribuzione in esame, già dichiarata da questa Corte in sede di sommaria delibazione con l'ordinanza n. 130 del 1999.
Sotto il profilo dei requisiti soggettivi, devono infatti ritenersi legittimati ad essere parti del presente conflitto sia il Tribunale di Bergamo, in quanto organo giurisdizionale competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, sia la Camera dei deputati, dato che essa é competente a dichiarare in modo definitivo la volontà del potere che rappresenta in ordine all'applicabilità ai suoi componenti dell'art. 68, primo comma, della Costituzione (tra le più recenti, sentenze nn. 417, 329 del 1999 e 289 del 1998). Sotto il profilo oggettivo, avendo il Tribunale denunciato la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita, parimenti sussiste la materia del conflitto (ex plurimis, sentenza n. 11 del 2000).
La forma dell'ordinanza utilizzata dalla seconda sezione penale del Tribunale di Bergamo non può, infine, di per sè sola, comportare la irricevibilità del conflitto, in quanto l’atto, possedendo nella specie tutti i requisiti stabiliti dagli artt. 37 della legge n. 87 del 1953 e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte, può considerarsi, per le ragioni indicate nelle decisioni n. 10 e n. 11 del 2000 di questa Corte, idoneo a conseguire lo scopo cui é preordinato e a consentire la valida instaurazione del contraddittorio.
3. - Nel merito il ricorso é fondato.
Il conflitto di attribuzioni in esame si incentra su alcune dichiarazioni rese dal deputato Sgarbi nel corso di un programma televisivo e per le quali é pendente il giudizio per il reato di diffamazione aggravata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte ad essa spetta di esaminare, come giudice dei conflitti, non certo il merito del giudizio penale, ma piuttosto, trattandosi di un conflitto per menomazione, se dal potere esercitato dalla Camera di appartenenza in base all'art. 68, primo comma, della Costituzione sia derivata o meno la lamentata, illegittima interferenza nella sfera di attribuzione dell'autorità giudiziaria ricorrente.
In particolare, trattandosi, nella specie, di opinioni espresse al di fuori dell'ambito dei lavori parlamentari, va riscontrata l'esistenza del nesso funzionale, che deve consistere non già in una semplice forma di collegamento -di argomento o di contesto- fra attività parlamentare e dichiarazioni, ma più precisamente nella "identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare" (sentenza n. 10 del 2000). Pertanto la riproduzione all'esterno delle Camere di dichiarazioni già espresse in un atto parlamentare é insindacabile "solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche" (sentenza n. 11 del 2000).
In questo senso, nella vicenda in esame, si era mossa la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, la quale, nella seduta del 12 settembre 1996, aveva approvato la proposta di dichiarare che le opinioni del deputato Sgarbi non erano state espresse nell'esercizio delle proprie funzioni, poichè "si era in presenza di affermazioni gravi da riportare a intenti polemici del tutto avulsi dalla funzione parlamentare anche se latamente intesa". Vero é però che tale proposta era stata respinta dall'Assemblea, nella seduta del 25 giugno 1998, senza peraltro che risultasse un'esplicita argomentazione contraria, se non quella di un componente, il quale appunto riteneva apprezzabile che "un parlamentare possa esprimere un giudizio e sottoporre all'attenzione dell'opinione pubblica il modo in cui i magistrati giudicano altri magistrati; si tratta di una presa di posizione che non può non essere ricondotta alla funzione di parlamentare".
Da queste delibere emerge comunque in modo chiaro che le dichiarazioni in questione, rese fuori delle Camere, non riproducono il contenuto di nessuno specifico atto parlamentare, cosicchè non sono identificabili come espressione di attività parlamentare del deputato Sgarbi. Manca dunque, ai fini del riconoscimento dell'insindacabilità, il requisito del nesso funzionale tra opinioni espresse dal parlamentare ed esercizio delle relative funzioni; "requisito che, come più volte affermato da questa Corte costituisce l'indefettibile presupposto di legittimità della deliberazione parlamentare di insindacabilità" (sentenza n. 329 del 1999).
Per queste ragioni le opinioni espresse, nella fattispecie in esame, dal deputato Sgarbi non possono ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi rispetto ad esse non é applicabile l'immunità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. La Camera dei deputati, adottando la deliberazione in oggetto ha pertanto interferito, in modo illegittimo, nella sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria ricorrente e conseguentemente deve essere disposto l'annullamento della predetta deliberazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare l'insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, in ordine alle quali é stato promosso davanti al Tribunale di Bergamo il giudizio penale indicato in epigrafe; di conseguenza annulla la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 25 giugno 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2000.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in cancelleria il 15 febbraio 2000.