SENTENZA N. 274
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera dell’11 febbraio 1999 della Camera dei deputati relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’on. Tiziana Parenti nei confronti del dott. Antonio Di Pietro, promosso con ricorso del Tribunale di Roma, notificato il 30 dicembre 1999, depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2000 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti 2000.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri;
udito l’avvocato Sergio Panunzio per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Roma, nel corso di un giudizio penale a carico del deputato Tiziana Parenti, con ordinanza emessa il 27 aprile 1999 ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione adottata nella seduta dell’11 febbraio 1999, con la quale quest’ultima ha dichiarato che i fatti per i quali é in corso il processo concernono opinioni espresse dal deputato nell’esercizio delle sue funzioni e sono perciò insindacabili a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Ad avviso del Tribunale ricorrente dalla formulazione letterale dell’art. 68, primo comma, Cost. emerge chiaramente che l’immunità penale dei membri del Parlamento é strettamente limitata alla loro attività istituzionale e che é estranea a detta previsione ogni altra attività, sia pure in senso lato politica, svolta al di fuori di tali funzioni; il Tribunale assume che nel caso di specie la Camera dei deputati non abbia legittimamente esercitato il potere che le spetta, perchè la condotta addebitata all’on. Parenti - che consiste in dichiarazioni rese nel corso di una intervista ad un organo di stampa - esula dall’esercizio delle sue funzioni di parlamentare.
Il ricorrente ritiene che sussistano le ragioni per sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dal momento che, sotto il profilo soggettivo, il tribunale é competente a decidere in ordine alla illiceità della condotta addebitata all’on. Parenti e, sotto il profilo oggettivo, si verte in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. e in particolare alla lesione da parte della Camera dei deputati di attribuzioni giurisdizionali costituzionalmente garantite.
Il Tribunale di Roma chiede perciò alla Corte di dichiarare che non spetta alla Camera dei deputati deliberare, in assenza dei presupposti stabiliti dall’art. 68, primo comma, Cost., che i fatti per i quali pende il procedimento nei confronti dell’on. Parenti concernono opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare e conseguentemente chiede l’annullamento della deliberazione dell’11 febbraio 1999 per violazione degli artt. 68, primo comma, 3, primo comma, 24, primo comma, 101, secondo comma e 104, primo comma, Cost.
2. - Con ordinanza n. 459 del 23 dicembre 1999 questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Roma; il ricorso e l'ordinanza sono stati notificati alla Camera il 30 dicembre 1999.
3. - Nel giudizio così instaurato si é costituita la Camera dei deputati, chiedendo alla Corte di dichiarare l'inammissibilità e, in subordine, di rigettare il ricorso.
Sotto il profilo dell’ammissibilità del ricorso la difesa della Camera ricorda che l’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale stabilisce che l'atto introduttivo deve contenere "l’esposizione sommaria delle ragioni del conflitto e l’indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia" ed osserva che il Tribunale di Roma ha al contrario del tutto omesso di definire la materia del conflitto e, in particolare, non ha indicato nè il contenuto delle opinioni espresse dall’on. Parenti per cui pende il giudizio, nè se esse siano ritenute diffamatorie e nei confronti di chi, nè su quale organo di stampa le stesse siano state pubblicate; da tali omissioni non risulterebbe quindi indicata quale sia la censura mossa dal giudice alla Camera, non essendo a tale scopo sufficiente il semplice accenno al fatto che le espressioni siano contenute in una "intervista ad un organo di stampa".
Sotto un secondo profilo la Camera chiede alla Corte di dichiarare il ricorso inammissibile per la forma adottata dal Tribunale nell’atto introduttivo del giudizio; premesso che la Corte ha sempre affermato che i conflitti sollevati dalle autorità giurisdizionali possono essere introdotti con ordinanza anzichè nelle forme proprie del ricorso, la difesa della Camera chiede alla Corte di rivedere tale orientamento, ponendo le autorità giurisdizionali su di un piano di parità con le altre autorità facenti parte dei poteri dello Stato.
Nel merito la Camera dei deputati ritiene il ricorso infondato; dopo aver illustrato il contesto parlamentare nel quale vanno inserite le dichiarazioni rese alla stampa dal deputato Parenti dalle quali é sorto il presente conflitto - le critiche svolte dal parlamentare al Governo allora in carica ed in particolare al Ministro dei lavori pubblici Di Pietro, con specifico riguardo alle sue precedenti funzioni di magistrato ed al ruolo svolto nel c.d. "pool di mani pulite" - la difesa della Camera indica e produce alcuni specifici atti di sindacato ispettivo svolto dal parlamentare nei riguardi dell’allora Ministro ed in particolare interpellanze, interrogazioni, repliche in aula a risposte fornite dal Governo a sue precedenti interrogazioni.
Sulla base di tali atti parlamentari tipici la Camera sostiene che le opinioni espresse dall'on. Parenti nei confronti del querelante - pubblicate su "la Repubblica" del’11 dicembre 1996 e dichiarate insindacabili dalla Camera con la deliberazione dell'11 febbraio 1999 - sono strettamente collegate all’attività del parlamentare non soltanto per l'identità dell'oggetto ma anche per i tempi in cui sono state rese, poichè l'intervista a "la Repubblica" viene data proprio nel mezzo di quella serie di atti parlamentari concernenti l'attività del dottor Di Pietro.
La Camera dei deputati osserva ancora che nelle frasi tratte dall'articolo e riportate nel capo d'imputazione (ma non citate nell'ordinanza che ha sollevato il conflitto) vi é una sostanziale coincidenza di temi ed argomenti con quelli già trattati in sede parlamentare e che é evidente "che la reiterazione sulle pagine di un quotidiano di grande diffusione delle tesi e delle censure nei confronti del dottor Di Pietro fungeva da cassa di risonanza verso l'opinione pubblica di quanto già sostenuto al riguardo nell'Aula della Camera".
La delibera di insindacabilità sarebbe quindi frutto di un consapevole ed argomentato convincimento che le dichiarazioni dell'on. Parenti fossero strettamente collegate con sue attività tipicamente parlamentari e che quelle dichiarazioni, cronologicamente successive alle attività parlamentari svolte, avessero "carattere divulgativo di queste ultime nei confronti dell'opinione pubblica".
La difesa della Camera dei deputati richiama alcuni principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale per desumerne che é il "nesso funzionale" a costituire il discrimine tra l'area delle dichiarazioni ed opinioni protette dalla insindacabilità e le altre manifestazioni dell'attività genericamente politica dei parlamentari, come tale non protetta dal primo comma dell'articolo 68 Cost.
Ad avviso della difesa della Camera, indipendentemente dall'essere contenute in un atto formalmente parlamentare e al di là di un rapporto di stretta consequenzialità rispetto ad essi, ciò che qualifica le opinioni nel senso della loro inerenza all'esercizio delle funzioni parlamentari é il "contesto parlamentare", e cioé il loro inserimento in una vicenda che sia caratterizzata da atti d'esercizio di funzioni parlamentari, anche se essa non si risolve soltanto in quegli atti.
Alla luce di tali principi la delibera che ha dichiarato la insindacabilità delle dichiarazioni dell'on. Parenti é stata adottata nel pieno rispetto dell'articolo 68 Cost., in relazione a dichiarazioni del parlamentare legate a specifici atti di esercizio della sua funzione di sindacato ispettivo e al termine di una procedura parlamentare nel corso della quale era emersa la sussistenza del nesso funzionale fra le dichiarazioni e la precedente attività del parlamentare.
La tesi del Tribunale di Roma sarebbe quindi destituita di ogni fondamento, muovendo dal presupposto secondo cui l'art. 68, primo comma, Cost. riguarderebbe soltanto le opinioni contenute negli atti "istituzionali" del parlamentare, intesi questi come i soli riconducibili alle attribuzioni proprie del potere legislativo, per cui le opinioni contenute in un'intervista rilasciata da un deputato ad un giornale, in quanto tali, non potrebbero mai essere coperte dalla insindacabilità.
Un’ipotetica dichiarazione di insussistenza del nesso funzionale si risolverebbe in questo caso non già in una verifica esterna, da parte della Corte, della legittimità dell'operato della Camera ma richiederebbe un inammissibile giudizio di impugnazione della deliberazione di insindacabilità adottata.
4. - In prossimità dell’udienza la Camera dei deputati ha depositato una memoria nella quale, richiamate le proprie precedenti difese, ha ulteriormente insistito per la declaratoria di inammissibilità e, comunque, di infondatezza del ricorso proposto dal Tribunale di Roma.
Quanto alla eccezione di inammissibilità, la difesa della Camera dei deputati osserva che, anche a voler ammettere che la ragione del conflitto sia stata sufficientemente esposta dal Tribunale di Roma "in virtù del fugace accenno contenuto nella ordinanza-ricorso alla circostanza che le dichiarazioni del deputato Parenti erano state rese in una intervista ad un organo di stampa", resta insuperabile il fatto che il tribunale ricorrente non ha minimamente illustrato i fatti ascritti al parlamentare, neppure indicando il tenore delle espressioni usate. Da ciò deriva, secondo la difesa della Camera, l’impossibilità di comprendere in cosa consista la censura proposta, non essendo sufficiente al riguardo il richiamo alla delibera di insindacabilità della Camera.
In subordine la Camera insiste perchè il ricorso venga dichiarato infondato.
La difesa della parte osserva che la più recente giurisprudenza della Corte ha precisato che il nesso funzionale può sussistere anche in dichiarazioni extra moenia e al di fuori dell’ambito degli organi parlamentari, sottolineando in tal modo il collegamento tra tali dichiarazioni e la "profonda trasformazione della comunicazione politica nella società contemporanea" (sentenza n. 11 del 2000), che investe anche il mandato di ogni singolo parlamentare.
Ribadita quindi l’esclusione dall’area dell’insindacabilità delle espressioni collegate allo svolgimento di un’attività semplicemente "politica", secondo la difesa della Camera, la Corte nella sua più recente giurisprudenza avrebbe stabilito che, per le espressioni rese dai parlamentari extra moenia, occorre verificare se esse siano comunque identificabili quale "espressione di attività parlamentare".
La Camera dei deputati sottolinea ancora che il nesso funzionale non deve qualificarsi come un semplice collegamento di argomento o di contesto tra attività parlamentare e dichiarazione, che quest’ultima deve identificarsi in una espressione di attività parlamentare e che "l’immediatezza del collegamento fra la funzione parlamentare e le dichiarazioni" rese fuori dall’ambito dei lavori parlamentari va individuata sulla base di una "corrispondenza sostanziale" da valutarsi, secondo "criteri di ragionevolezza e non formalistici", tra due estremi che stanno fra la assoluta coincidenza testuale con atti parlamentari tipici e la semplice comunanza generica di argomenti e di tematiche.
Osserva ancora la difesa della Camera che il ricorso proposto dal Tribunale di Roma é infondato in radice poichè l’unica ragione addotta nell’ordinanza consiste nella circostanza che le dichiarazioni dell’on. Parenti sono state rese "in una intervista ad un organo di stampa", ciò che dimostrerebbe come per il Tribunale ricorrente la tutela di cui all’art. 68 Cost. sarebbe circoscritta alle sole opinioni intra moenia, assunto che sarebbe del tutto inconsistente secondo la giurisprudenza della Corte.
Rileva la Camera che le espressioni usate dall’on. Parenti contenute nell’intervista a "la Repubblica" sono collegate a precedenti dichiarazioni rese dalla stessa parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni tipiche (interpellanze, interrogazioni, repliche a risposte di rappresentanti del Governo ad interrogazioni), tutte aventi ad oggetto l’operato del dott. Antonio Di Pietro, in una "corrispondenza sostanziale di contenuti e significati". L’attività posta in essere dall’on. Parenti sull’argomento é quindi consistita in una denuncia degli asseriti abusi commessi dal c.d. "pool mani pulite" ed in particolare dal dott. Di Pietro, denuncia corredata da riferimenti a fatti specifici.
Considerato in diritto
1. - Il presente conflitto di attribuzione é stato sollevato dal Tribunale di Roma contro la Camera dei deputati in relazione alla deliberazione dalla stessa assunta in data 11 febbraio 1999, con la quale é stata affermata l’insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Tiziana Parenti nell’intervista resa al quotidiano "la Repubblica" dell’11 dicembre 1996, in relazione alle quali pende un procedimento penale davanti al Tribunale.
Secondo il ricorrente, l'art. 68, primo comma, della Costituzione limita strettamente l’immunità penale dei membri del Parlamento alla loro attività istituzionale, restando estranea a detta previsione ogni altra attività, sia pure in senso lato politica, svolta dal parlamentare al di fuori di tali funzioni; il Tribunale ritiene che nel caso di specie la Camera dei deputati non abbia legittimamente esercitato il potere che le spetta, perchè la condotta addebitata al deputato Parenti - che consiste in dichiarazioni rese nel corso di una intervista ad un organo di stampa - esulerebbe dall’esercizio delle sue funzioni.
2. - La Camera dei deputati, costituendosi nel presente giudizio, ha chiesto alla Corte di dichiarare il ricorso inammissibile sotto un duplice profilo: innanzitutto per la carenza, nell’atto introduttivo, dei requisiti minimi prescritti dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale e, segnatamente, perchè nell'atto non vengono riportate le opinioni espresse dall’on. Parenti nell’intervista per le quali il deputato é stato rinviato a giudizio, nè vengono indicati il titolo di reato e la persona offesa nè su quale organo di stampa le dichiarazioni siano state pubblicate; da tali omissioni non risulterebbe quindi sufficientemente indicata la censura mossa dal Tribunale alla Camera, non essendo a tale scopo sufficiente il semplice accenno al fatto che le espressioni in questione siano state pubblicate in una intervista ad un organo di stampa.
Sotto un secondo profilo la Camera chiede alla Corte di dichiarare il ricorso inammissibile per la forma adottata dal Tribunale nell’atto introduttivo del giudizio: pur consapevole del fatto che questa Corte ha sempre affermato che i conflitti sollevati dalle autorità giurisdizionali possono essere introdotti con ordinanza anzichè nelle forme proprie del ricorso, la Camera dei deputati chiede alla Corte di rivedere sul punto il proprio orientamento e di porre le autorità giurisdizionali su di un piano di parità con le altre autorità facenti parte dei poteri dello Stato.
Nel merito la Camera dei deputati chiede che il ricorso sia dichiarato infondato poichè le dichiarazioni rese dal deputato Tiziana Parenti al quotidiano "la Repubblica" dell'11 dicembre 1996 sarebbero state espressione della attività parlamentare del deputato che si sarebbe estrinsecata, prima dell’articolo di stampa ed anche successivamente ad esso, in atti parlamentari tipici quali interrogazioni, interpellanze, interventi in aula in replica a risposte fornite ad interrogazioni, tutti aventi ad oggetto i medesimi fatti poi oggetto delle dichiarazioni alla stampa; da tali circostanze, documentate dalla Camera dei deputati con specifiche allegazioni e produzioni documentali, discenderebbe la prova dell’esistenza del nesso funzionale tra i fatti per i quali pende processo penale davanti al Tribunale di Roma e l’attività parlamentare dell’imputato e, di conseguenza, la corretta applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. fatta dalla Camera nella deliberazione oggetto del conflitto.
3. - Il ricorso é inammissibile.
Va preliminarmente ricordato che l’ordinanza n. 459 del 1999 di questa Corte ha dichiarato il conflitto ammissibile, con riserva di ogni successiva decisione, anche in punto di ammissibilità, nel giudizio che si svolge nel contraddittorio delle parti; le relative questioni vanno ora esaminate anche in base alle eccezioni svolte dalla Camera dei deputati.
Secondo l’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale il ricorso per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato deve contenere "l’esposizione sommaria delle ragioni di conflitto e l’indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia"; l’atto introduttivo deve quindi indicare gli elementi sufficienti a definire la materia del conflitto che con esso viene sollevato ed in particolare, trattandosi nella specie di conflitto tra l’autorità giudiziaria e la Camera dei deputati, deve riferirsi ai fatti per i quali pende il processo penale, indicando poi le ragioni per le quali il ricorrente ritiene che le sue prerogative costituzionali siano state violate.
L’ordinanza del Tribunale di Roma, al contrario, oltre a non contenere neppure l'indicazione del giudice che l’ha pronunciata, ma la sola generica intestazione "il Tribunale" - non consentendo in tal modo un'autonoma individuazione dell’autorità ricorrente (ordinanza n. 264 del 2000) - non descrive, neppur sommariamente, il reato per cui si procede a carico del deputato Tiziana Parenti, limitandosi al generico riferimento ad una "intervista ad un organo di stampa", peraltro non precisato; essa poi non indica nè la data dell’intervista, nè chi sia la parte offesa, non prospettando quindi in modo chiaro le ragioni di conflitto e limitandosi ad un generico riferimento ad alcune norme della Costituzione.
In tal modo l'atto che ha sollevato il conflitto non consente a questa Corte un esame delle ragioni poste a base dello stesso, non essendo espressa in modo compiuto "la censura che si intende muovere nei confronti della delibera che ha dato origine al conflitto" (ordinanza n. 318 del 1999) e non potendo ritenersi a questo fine sufficiente il richiamo contenuto nel ricorso all'art. 68, primo comma, Cost. ed alla limitazione dell'insindacabilità alla sola attività parlamentare in senso stretto, con esclusione di quella in senso lato politica.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di cui in epigrafe, proposto dal Tribunale di Roma nei confronti della Camera dei deputati.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2001.