SENTENZA N. 219
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso Quaranta "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 76, 77 e 82, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 24 febbraio 2004, depositato in cancelleria il 4 marzo successivo ed iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2004.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 marzo 2005 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso depositato il 4 marzo 2004 e notificato il 24 febbraio 2004, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato – unitamente ad altre disposizioni – l’art. 3, commi 76, 77 e 82, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), per violazione degli artt. 117, 118 e 119, quarto comma, della Costituzione.
In particolare, il comma 76 ha autorizzato il Ministro del lavoro, nel limite di 47,063 milioni di euro, a prorogare, limitatamente all’esercizio 2004, le convenzioni stipulate direttamente con i Comuni, anche in deroga alla normativa vigente relativa ai lavori socialmente utili, per lo svolgimento di attività di questo tipo e per l’attuazione, nel limite complessivo di 20,937 milioni di euro, di misure di politica attiva del lavoro, riferite sia a lavoratori impiegati in tali attività in possesso di alcuni requisiti, sia ad altri soggetti specificamente individuati. Il successivo comma 77 haprorogato, in presenza di queste convenzioni, al 31 dicembre 2004 il termine di cui all’art. 78, comma 2, alinea, della legge 23 dicembre 2000, n. 388; e questo articolo, a sua volta, prorogava al 30 giugno 2001 il termine previsto dall’art. 8, comma 3, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, come quello fino al quale i costi dei lavori socialmente utili erano, in tutto o in parte, a carico del Fondo per l’occupazione. Infine il comma 82 ha autorizzato il Ministero del lavoro a stipulare direttamente con i Comuni nuove convenzioni, nel limite di un milione di euro e per il solo esercizio 2004, per lo svolgimento di attività socialmente utili e per l’attuazione di misure di politica attiva del lavoro riferite a lavoratori impegnati in queste attività, in possesso di alcuni requisiti.
Secondo la ricorrente, le norme impugnate violano gli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, in quanto – nella materia della "tutela del lavoro", attribuita alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni – attribuiscono al Ministero del lavoro la funzione amministrativa di prorogare le vecchie convenzioni e di stipularne di nuove, in difetto di esigenze unitarie e senza alcuna intesa con le Regioni. A suo avviso, già prima della riforma costituzionale del 2001, il d.1gs. 1° dicembre 1997, n. 469, aveva conferito alle Regioni e agli enti locali "funzioni e compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro", ed in particolare aveva attribuito alle Regioni compiti di "indirizzo, programmazione e verifica dei lavori socialmente utili ai sensi delle normative in materia" (art. 2, comma l, lettera f). A maggior ragione, nel contesto del nuovo Titolo V della seconda Parte della Costituzione, la legge statale deve, in materia di tutela del lavoro, limitarsi alla statuizione dei principi fondamentali.
Inoltre – secondo la ricorrente – la gestione della "politica attiva del lavoro" rientra nella competenza legislativa regionale, e allo Stato compete solo di finanziare "integralmente" le funzioni regionali (art. 119, quarto comma, della Costituzione), non certo di impegnare direttamente risorse per esercitare compiti ad esso non spettanti.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito deducendo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso e riservandosi di depositare memoria per l’udienza. In tale memoria ha ricordato i precedenti immediati delle norme impugnate e sostenuto che esse prevedono in sostanza interventi speciali riconducibili all’art. 119, quinto comma, della Costituzione a favore di determinati Comuni e dei lavoratori ivi residenti addetti ad attività socialmente utili.
3. – Anche la Regione ricorrente ha depositato una memoria, nella quale ribadisce le argomentazioni svolte nel ricorso, insistendo per il suo accoglimento.
Considerato in diritto
1. – La questione posta dalla Regione ricorrente – nel contesto di una pluralità di altre questioni della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), che la Corte decide con separate pronunzie – è se i commi 76, 77 e 82 dell’art. 3 della medesima legge, recanti norme in tema di convenzioni stipulate dal Ministro del lavoro direttamente con i Comuni per lo svolgimento di attività socialmente utili e per l’attuazione di misure volte all’impiego e alla stabilizzazione occupazionale dei soggetti utilizzati in tali attività, violino gli artt. 117 e 118 della Costituzione, sotto il profilo dell’incidenza su materie di competenza legislativa regionale e dell’attribuzione di funzioni amministrative al Ministero del lavoro, in difetto di esigenze unitarie e senza intesa con le Regioni; nonché l’art. 119, quarto comma, della Costituzione, sotto il profilo del finanziamento statale di specifiche funzioni regionali.
2. – Il ricorso è fondato, nei limiti appresso indicati.
3. – Inizialmente il finanziamento dei lavori socialmente utili è stato previsto a carico del Fondo per l’occupazione (decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236). In particolare l’art. 14 del d. l. 16 maggio 1994, n. 299, convertito in legge 19 luglio 1994, n. 451, ha stabilito (comma 7) che i relativi progetti sono finanziati dal Fondo nei limiti delle risorse preordinate allo scopo, e ha demandato (comma 9) al Ministro del lavoro la ripartizione di tali risorse <<su base regionale in funzione della gravità degli squilibri dei mercati locali del lavoro>>.
Successivamente, il decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 – nel quadro di una revisione organica della materia – ha modificato il criterio di ripartizione in senso proporzionale al numero dei disoccupati o soggetti in cerca di prima occupazione, rilevato dall’ISTAT nell’anno precedente in ciascuna Regione, ed ha previsto che la ripartizione sia effettuata dal Ministro d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni (art. 11, comma 1).
Di recente, l’art. 8, comma 1, del d. lgs. 28 febbraio 2000, n. 81, recante integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, ha ulteriormente modificato il criterio di ripartizione, ancorandolo alle somme erogate dall’INPS nel corso del 1999 per assegni e sussidi ai soggetti impegnati in lavori socialmente utili per progetti di competenza regionale.
La medesima disposizione ha previsto poi che nel 2000 – sulla base di apposite convenzioni tra Ministero del lavoro e Regioni interessate, sentiti gli enti locali – le risorse in questione possono essere impiegate per lo svolgimento di misure di politiche attive per l’impiego e la stabilizzazione occupazionale dei soggetti utilizzati in lavori socialmente utili.
L’art. 8 ha poi previsto al comma 2 – per “situazioni straordinarie” di Regioni con problemi occupazionali più acuti, che non consentano programmi definitivi di stabilizzazione – la possibilità di accordi trilaterali tra Ministero, Regione interessata ed ente utilizzatore dei lavoratori, quale può essere il Comune. In seguito, l’art. 78, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante la legge finanziaria per il 2001, ha recuperato anche per questi casi lo strumento della convenzione bilaterale tra Ministero e singola Regione, escludendo gli utilizzatori.
3.1. – Dopo la revisione del Titolo V della seconda Parte della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il legislatore statale ha ripetutamente previsto finanziamenti di specifici programmi di lavori socialmente utili, mediante convenzioni dirette fra Stato e Comune interessato, senza il tramite della Regione.
In particolare, l’art. 41 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante la legge finanziaria per il 2003, ha autorizzato il Ministro del lavoro a prorogare per il 2003 le convenzioni di questo tipo stipulate <<anche in deroga alla normativa vigente relativa ai lavori socialmente utili>> (tale normativa prevedeva infatti il diverso modulo della convenzione fra Stato e Regione), ed ha nel contempo provveduto al relativo rifinanziamento.
3.2. – Le norme impugnate si collocano nella stessa prospettiva.
Il comma 76 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2004 autorizza il Ministro del lavoro a prorogare per il 2004, rifinanziandole, le convenzioni già stipulate con i Comuni, anche in deroga alla normativa vigente relativa ai lavori socialmente utili, per lo svolgimento di attività di questo tipo e per l’attuazione di misure di politica attiva del lavoro in favore dei soggetti in esse utilizzati.
Il comma 77 completa questa disciplina, prorogando al 31 dicembre 2004, in presenza di tali convenzioni, il termine previsto dalla legislazione previgente come limite temporale entro il quale i costi dei lavori socialmente utili erano, in tutto o in parte, a carico del Fondo per l’occupazione.
Il comma 82 autorizza poi il Ministero a stipulare nel 2004 direttamente con i Comuni nuove convenzioni (e contestualmente le finanzia) <<per lo svolgimento di attività socialmente utili e per l’attuazione di misure di politica attiva del lavoro riferite a lavoratori impegnati in attività socialmente utili>>; al riguardo un successivo atto amministrativo di carattere generale ha apprestato un procedimento selettivo, all’esito del quale è stata approvata una graduatoria di Comuni destinatari dei fìnanziamenti.
Di recente, questa tendenza legislativa è stata ripresa dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria per il 2005: i commi 262 e 263 dell’art. 1 hanno esteso al 2005 la disciplina posta, rispettivamente, dagli impugnati commi 76 e 82 della legge finanziaria del 2004; ed il comma 264 ha assicurato il relativo rifinanziamento.
4. – La disciplina dei lavori socialmente utili – concernendo la tutela del lavoro e le politiche sociali, nel contesto di particolari rapporti intersoggettivi di prestazione di attività – si colloca all’incrocio di varie competenze legislative, di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 117 della Costituzione.
Essa infatti, in quanto mira ad agevolare l’accesso all’occupazione, attiene in senso lato al collocamento, e quindi si inscrive nella tutela del lavoro attribuita dal terzo comma dell’art. 117 della Costituzione alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. Al riguardo la sentenza di questa Corte n. 50 del 2005 ha affermato che <<quale che sia il completo contenuto che debba riconoscersi alla materia “tutela e sicurezza del lavoro” non si dubita che in essa rientri la disciplina dei servizi per l’impiego ed in specie quella del collocamento>>.
La normativa in esame tende del resto ad alleviare le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro e a fronteggiare situazioni di bisogno conseguenti alla perdita dell’occupazione, prevedendo la corresponsione ai soggetti impiegati in lavori socialmente utili di somme di danaro (prima "sussidio": art. 14, comma 4, del d.l. n. 299 del 1994; poi "assegno": art. 8, comma 3, del d. lgs. n. 468 del 1997), che ben possono essere accostate, sotto il profilo della natura latamente previdenziale, all’indennità di disoccupazione o di mobilità o al trattamento di integrazione salariale. E pertanto essa evoca sia la materia delle politiche sociali, di sicuro compresa nella competenza regionale residuale di cui al quarto comma dell’art. 117 (sentenza n. 427 del 2004), sia quella della “previdenza sociale”, attribuita invece alla competenza esclusiva dello Stato dal secondo comma, lettera o), dello stesso articolo.
Infine la competenza residuale regionale è coinvolta pure sotto l’ulteriore profilo della “formazione professionale” dei soggetti assegnati a lavori socialmente utili, nella misura in cui siffatta assegnazione persegua anche finalità formative (cfr. art. 14, comma 2, del d.l. n. 299 del 1994).
5. – Per le ipotesi in cui ricorra una “concorrenza di competenze”, la Costituzione non prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze. In tal caso – ove, come nella specie, non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa – si deve ricorrere al canone della “leale collaborazione”, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze (sentenza n. 50 del 2005).
Così non ha fatto la normativa censurata. Infatti, mentre prima della revisione costituzionale del 2001 la legislazione in materia di lavori socialmente utili prevedeva convenzioni tra Stato e Regione interessata, dopo la riforma, e quindi in un contesto di accresciute competenze legislative regionali, le disposizioni in esame (in particolare i commi 76 e 82 dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003) ammettono solo convenzioni stipulate dallo Stato direttamente con i Comuni ed escludono del tutto le Regioni.
6. – Le argomentazioni formulate dall’Avvocatura dello Stato a sostegno della tesi dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale non sono fondate.
In primo luogo, essa invoca il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione, nella lettura che ne ha dato questa Corte con la sentenza n. 303 del 2003.
Tale decisione ritiene che non si possano <<svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze>>; ed afferma che <<quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato>> secondo regole poste dalla legge statale. Ma le funzioni amministrative relative all’assegnazione di soggetti a lavori socialmente utili ed alla loro stabilizzazione – lungi dal trascendere l’ambito regionale – si collegano al contrario ad esigenze decisamente locali, di dimensioni addirittura comunali.
7. – In secondo luogo, l’Avvocatura dello Stato richiama il quinto comma dell’art. 119 della Costituzione, in base al quale lo Stato può destinare “risorse aggiuntive” ed effettuare “interventi speciali” in favore (anche) di “determinati Comuni”.
Ma la normativa in esame non si riferisce a particolari Comuni nel cui territorio specifiche situazioni di disagio sociale suggeriscano il finanziamento di lavori socialmente utili. Essa invece – attraverso il combinato disposto dei tre commi censurati – utilizza in una manovra unitaria sia le proroghe delle convenzioni già stipulate dallo Stato con i Comuni, sia l’autorizzazione alla stipula di nuove convenzioni dello stesso tipo, per instaurare un sistema generale di finanziamento, cui potenzialmente tutti indistintamente i Comuni italiani possano accedere nel 2004 (peraltro il sistema è già stato esteso al 2005 dalla legge n. 311 del 2004: cfr. supra, n. 3.1.).
8. – In conclusione, i commi 76 e 82 dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003 – in quanto prevedono convenzioni stipulate dallo Stato direttamente con i Comuni per il finanziamento statale di attività rientranti (anche) in materie di competenza legislativa regionale – contrastano con i parametri costituzionali evocati e devono quindi essere dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui non prevedono alcuno strumento idoneo a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni. A tal fine l’individuazione della tipologia più congrua compete alla discrezionalità del legislatore, il quale peraltro – nelle varie fasi dell’evoluzione normativa prima ricordata – ha già fatto ricorso sia alla previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni, sia alla convenzione fra Stato e Regione interessata.
L’accertata esistenza di tale vizio di incostituzionalità determina l’assorbimento degli altri profili di censura formulati dalla ricorrente.
Quanto al comma 77 dello stesso art. 3, che completa la disciplina del comma 76 prorogando il termine di cui all’art. 78, comma 2, della legge n. 388 del 2000, esso – letto in riferimento al medesimo comma 76, così come risulta dalla presente decisione di parziale incostituzionalità – non attenta di per sé alle prerogative regionali, onde nei suoi riguardi la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata non fondata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2005.