SENTENZA N. 288
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis,
commi 5 e 9, della legge della Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22
(Disciplina delle vendite straordinarie e disposizioni in materia di orari
degli esercizi commerciali), promosso dal Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, nel
procedimento vertente tra la Oviesse s.p.a. e il Comune di Curno
ed altri, con ordinanza del 13 novembre 2009, iscritta al n. 71 del registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale,
dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione, fuori termine, di Oviesse s.p.a.
nonché gli atti di intervento della Iniziativa Tredici s.r.l. e della Regione
Lombardia;
udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2010 il
Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 13 novembre 2009
il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (sezione staccata di
Brescia) ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, commi 5 e 9, della legge della
Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina delle vendite straordinarie
e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali).
Il Tribunale amministrativo premette che
oggetto del giudizio a quo è la
legittimità dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Curno
che regola il regime delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali
ubicati nel territorio comunale per l’anno 2009 con la quale, in applicazione
della norma impugnata, si è consentito agli esercizi con superficie di vendita
inferiore ai
Il rimettente fa presente che la
ricorrente, nel giudizio a quo, è una
società esercente il commercio con una superficie di vendita di
Il Tribunale amministrativo lombardo
ritiene la questione di costituzionalità prospettata dalla parte rilevante e
non manifestamente infondata.
Il rimettente osserva, altresì, che è
incontestato che per l’esercizio commerciale del ricorrente debba trovare
applicazione – secondo le norme impugnate – l’ordinaria disciplina della
giornata domenicale, in ragione della quale la regola è rappresentata
dall’obbligo di chiusura, salvo la possibilità di apertura nella prima domenica
dei mesi da gennaio a novembre, nell’ultima domenica di uno dei mesi di maggio,
agosto o novembre, nelle giornate domenicali e festive del mese di dicembre, e
in altre cinque giornate domenicali e festive scelte dai comuni in relazione
alle esigenze locali, purché tali giornate non coincidano con quelle in cui
l’apertura è comunque preclusa dal comma 11 del medesimo art. 5-bis della legge regionale n. 22 del
2000.
Quanto alla rilevanza della questione,
il TAR evidenzia che il provvedimento del Sindaco rappresenta la pedissequa
applicazione delle norme impugnate e che lo stesso ricorrente denuncia come
unico vizio la illegittimità derivata dalla incostituzionalità della legge.
In altri termini – argomenta il
rimettente – la fonte legislativa regionale ha direttamente determinato in modo
cogente il contenuto lesivo dell’atto impugnato, senza lasciare o consentire
alcuna mediazione discrezionale in capo all’Autorità amministrativa circa
l’apertura domenicale o meno degli esercizi commerciali con superficie di
vendita inferiore a
Con riferimento alla non manifesta
infondatezza, il rimettente ritiene non fondata l’autoqualificazione
operata dal legislatore regionale circa l’inerenza della disciplina alla
materia del commercio, e afferma, invece, che le disposizioni de quibus
rientrerebbero nella materia tutela della concorrenza rimesse alla competenza
esclusiva del legislatore statale, peraltro con l’obbligo di rispettare i
principi di derivazione comunitaria.
In tal senso il TAR richiama la
giurisprudenza costituzionale secondo la quale l’espressione tutela della
concorrenza, utilizzata dal legislatore costituzionale, coerentemente con
quella operante nel sistema giuridico comunitario, comprende, tra le altre
fattispecie, gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla
concorrenza, quali: le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno
ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente
sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di
controllo, eventualmente anche di sanzione; le misure legislative di
promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura,
eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero
esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in
generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche (viene
citata la sentenza
n. 430 del 2007).
Pertanto per accertare se determinate
disposizioni possano essere ricondotte alla materia tutela della concorrenza si
deve verificare «se le norme adottate dallo Stato siano essenzialmente
finalizzate a garantire la concorrenza fra i diversi soggetti del mercato (sent. n. 285 del
2005), allo scopo di accertarne la coerenza rispetto all’obiettivo di
assicurare un mercato aperto e in libera concorrenza».
Una volta che tale scrutinio abbia avuto
esito positivo, l’attribuzione delle misure alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato comporta sia l’inderogabilità delle disposizioni nelle
quali si esprime, sia che queste legittimamente incidono, nei limiti della loro
specificità e dei contenuti normativi che di esse sono proprie, sulla totalità
degli ambiti materiali entro i quali si applicano (viene citata la sentenza n. 80 del
2006).
A parere del rimettente, la verifica di
cui sopra conduce ad esito positivo quanto agli articoli da
Il d.lgs. n. 114 del 1998 avrebbe espressamente
posto quali finalità della disciplina in materia di commercio, tra le altre,
quelle di realizzare «la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di
impresa e la libera circolazione delle merci», l’efficienza, la modernizzazione
e lo sviluppo della rete distributiva, nonché l’evoluzione tecnologica
dell’offerta, in un’ottica di riforma volta a «rimuovere vincoli e privilegi,
realizzando una maggiore eguaglianza di opportunità per tutti gli operatori
economici» e perseguendo, quindi, l’intento di «favorire l’apertura del mercato
alla concorrenza» (sentenza n. 64 del
2007).
L’intento avuto di mira con detto
decreto legislativo n. 114 del 1998 sarebbe stato, dunque, quello di «favorire
l’apertura del mercato alla concorrenza» garantendo i mercati ed i soggetti che
in essi operano e a tali norme dovrebbe essere riconosciuto quell’effetto di
ampliare «l’area di libera scelta sia dei cittadini che delle imprese» e,
pertanto, sussisterebbero le condizioni per la qualificazione delle stesse come
norme poste a tutela della concorrenza.
Una volta operata una siffatta
qualificazione ne discenderebbe il dovere della legge regionale di non
circoscrivere o delimitare in alcun modo l’effetto ampliativo
della legge statale che persegue l’obiettivo della tutela della concorrenza e
del consumatore, con particolare riguardo alla possibilità di
approvvigionamento (art. 1, comma 3, d.lgs. n. 114 del 1998).
Secondo il rimettente, non può neanche dirsi
che la Regione abbia esercitato quella possibilità, riconosciuta dalla Corte
costituzionale, di introdurre, nel disciplinare materie attribuite alla sua
competenza legislativa, misure che abbiano marginalmente una valenza
pro-competitiva, sempre che tali effetti «siano marginali o indiretti e non
siano in contrasto con obiettivi delle norme statali che disciplinano il
mercato, e tutelano e promuovono la concorrenza» (sentenza n. 430 del
2007).
Al contrario, la Regione Lombardia,
nell’ambito di una normativa destinata a regolamentare specifici aspetti del
settore del commercio, avrebbe, con i censurati commi 5 e 9 dell’art. 5-bis della legge regionale n. 22 del
2000, finito per incidere sull’assetto concorrenziale all’interno del mercato
regionale, differenziandolo in maniera sostanziale da quello risultante dalla
disciplina contenuta nel d.lgs. n. 114 del 1998.
Il TAR cita le sentenze della Corte di
giustizia delle Comunità europee (ora Corte di giustizia dell’Unione europea),
con le quali, in più occasioni, si è ritenuto che le normative nazionali degli
Stati membri sulla chiusura domenicale non si ponessero in contrasto con il
principio di libera circolazione delle merci (e cioè la sentenza
16 dicembre l992, causa C-169/91 e la sentenza 20 giugno 1996, V sezione,
relativa ad una pluralità di cause tra cui la C-69/93 e la C-258/93) e, in
particolare, richiama la parte in cui si afferma che: «Le normative in
questione perseguono un obiettivo legittimo alla luce del diritto comunitario.
Invero, le discipline nazionali che limitano l’apertura domenicale di esercizi
commerciali costituiscono l’espressione di determinate scelte, rispondenti alle
peculiarità socioculturali nazionali o regionali. Spetta agli Stati membri
effettuare queste scelte attenendosi alle prescrizioni del diritto comunitario,
in particolare al principio di proporzionalità».
Secondo il rimettente, una volta che lo
Stato abbia esercitato tali scelte sarebbe poi «preclusa al legislatore
regionale la possibilità di adottare una propria disciplina normativa che abbia
l’effetto di restringere o distorcere la concorrenza al di fuori dei casi in
cui sia lo stesso d.lgs. 114 del
La riserva di legge statale in materia
escluderebbe, dunque, che le Regioni possano, nel preteso esercizio della
competenza legislativa in materia di commercio «introdurre limitazioni alla
disciplina delle aperture domenicali circoscrivendo e delimitando ulteriormente
le potestà riconosciute dalla disciplina statale alle amministrazioni in senso
pro-concorrenziale o addirittura rendendo impossibile di agire in tal senso» o
«delineare regimi differenziati tra gli operatori di settore in contrasto con i
principi comunitari».
In particolare, l’art. 11 del d.lgs. n. 114 del 1998 dispone che: «Gli
esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva
dell’esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di
cui al comma 1, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale.
Il comune, sentite le organizzazioni di
cui al comma 1, individua i giorni e le zone del territorio nei quali gli
esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti
giorni comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori otto
domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno».
Dunque, a parere del rimettente, la
norma citata, pur dettando il principio generale dell’obbligo della chiusura
domenicale, prevederebbe che la valutazione
dell’opportunità dell’apertura domenicale venga effettuata dal singolo Comune
sulla base delle condizioni e delle circostanze concretamente sussistenti,
senza introdurre alcun limite massimo alla facoltà di consentire l’apertura
domenicale e festiva.
Al contrario, il comma 5 dell’art. 5-bis della legge regionale della
Lombardia n. 22 del 2000 sostituirebbe il potere del Sindaco con una
valutazione eseguita aprioristicamente ed in maniera astratta in ordine alle
possibili giornate di apertura domenicale, che sono specificamente individuate
dalla legge stessa, eccezion fatta per le cinque giornate di ulteriore apertura
di cui alla lettera d) del comma
stesso, la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del singolo
Comune.
In altre parole, il comma 5 dell’art. 5
della legge regionale n. 22 del 2000 avrebbe sostanzialmente escluso, per i
Comuni lombardi, quella potestà, riconosciuta invece dai comma 5 dell’art.11
del d.lgs. n. 114 del 1998, di valutare discrezionalmente l’opportunità di
consentire l’apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali nella
misura occorrente a garantire che l’offerta commerciale sia in grado di
eguagliare le esigenze dei consumatori.
La disposizione regionale, inoltre, ha
introdotto un’eccezione generalizzata al divieto di apertura domenicale e
festiva, consentendo sempre l’apertura in tali giornate agli esercizi
commerciali di vendita al dettaglio in sede fissa aventi superficie di vendita
non superiore ai
La norma impugnata pertanto, seppur
tendente, isolatamente considerata, all’apertura del mercato ed a garantire
quella libertà di scelta del consumatore cui sono finalizzate le norme del
d.lgs. n. 114 del 1998, finirebbe, però, per introdurre non solo una disciplina
diversa da quella voluta dal legislatore statale preposto ad adottare quelle
disposizioni che, oltre a garantire la massima concorrenza, assicurino anche
un’ordinata disciplina del settore, ma anche una disciplina differenziata
all’interno del medesimo mercato rilevante (collegato alla diversa superficie
di vendita): il che costituirebbe violazione del principio comunitario di
proporzionalità (di cui all’art. 5, comma 3, del Trattato UE) il cui rispetto
si impone alla Regione anche in forza del primo comma dell’art. 117 Cost., che
individua quale limite alla competenza legislativa regionale il rispetto dei
principi comunitari.
2.– In data 6 aprile 2010 si è
costituita la Regione Lombardia concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o di infondatezza delle sollevate questioni.
Premette la difesa regionale che i commi
5 e 9 dell’art. 5-bis della legge n.
22 del 2000 sono stati trasfusi nei commi 5 e 11 dell’art. 103 della legge
della Regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in
materia di commercio e fiere), e che l’art. 155, comma 1, lettera f), di tale testo unico ha abrogato la
legge regionale n. 22 del 2000.
Secondo la Regione Lombardia il
rimettente avrebbe erroneamente ricostruito il quadro normativo in materia di
orari di apertura degli esercizi commerciali.
Nell’ambito dell’Unione europea la Corte
di Giustizia, con giurisprudenza univoca e consolidata, ha sempre affermato la
piena legittimità delle discipline interne relative alla regolazione degli
orari commerciali rispetto al principio di libera circolazione delle merci.
In piena continuità rispetto ai principi
affermati a livello comunitario, il legislatore italiano è intervenuto a
dettare una nuova disciplina in materia con il d.lgs. n. 114 del 1998.
Nonostante l’intento liberalizzatore della nuova
disciplina, gli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali
continuano ad essere disciplinati dettagliatamente, rispondendo tale intervento
normativo ad interessi di disciplina complessiva del settore, dato che il
legislatore non ha inteso procedere alla totale eliminazione delle regole cui
gli operatori economici devono attenersi.
Ciò si coglierebbe, in particolare, in
riferimento all’art. 11, laddove è previsto per gli esercenti commerciali
l’obbligo di rispettare la chiusura domenicale e festiva, con la possibilità di
deroga nel mese di dicembre e per altre otto domeniche nel corso dell’anno.
Un regime derogatorio rispetto al
predetto divieto è previsto dagli artt. 12 e 13 per i Comuni ad economia
prevalentemente turistica, per le città d’arte o nelle zone del territorio dei
medesimi e per alcune tipologie di attività.
La Regione Lombardia, già investita dal
decreto in parola di ampie potestà legislative e, in particolare, della
generale funzione «Programmatoria delle reti
distributive» (art. 6 del d.lgs. n. 114 del 1998), ha provveduto nel 2000 ad
approvare la legge 3 aprile 2000, n.22 (Disciplina delle vendite straordinarie
e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali).
Successivamente, il legislatore
lombardo, con la legge 28 novembre 2007, n. 30 (Normativa in materia di orari degli
esercizi commerciali), ha aggiunto alla legge n. 22 del 2000 un nuovo Titolo
III relativo alla disciplina degli orari degli esercizi commerciali. Infine, di
recente, le norme regionali in materia di commercio, comprese le disposizioni
fin qui evidenziate, sono confluite integralmente nella citata legge regionale
n. 6 del 2010.
La Regione evidenzia che la propria
normativa prevede un regime di maggiore liberalizzazione delle aperture
domenicali e festive rispetto a quanto stabilito dal comma 5 dell’art. 11 del
d.lgs. n. 114 del 1998, perché il numero delle domeniche e delle festività in
cui è consentita una deroga all’obbligo di chiusura, passa da tredici (previsto
dal decreto statale) a ventidue (consentito a livello regionale) mentre per i
negozi di vicinato (esercizi commerciali con superficie inferiore ai
Pertanto gli obiettivi perseguiti dalla
Regione nel regolamentare il settore commerciale hanno, secondo la difesa
regionale, una chiara valenza pubblicistica e non possono essere semplicemente
ricondotti a finalità di esclusivo impulso all’astratta concorrenzialità del
mercato di riferimento.
La regolamentazione del settore
commerciale rifletterebbe, in maniera evidente, alcuni interessi pubblici
facilmente ravvisabili; ad esempio: l’interesse ad una ordinata distribuzione
sul territorio delle attività imprenditoriali o la necessità di tutelare
soggetti economicamente meno robusti e, al tempo stesso, profondamente radicati
nelle realtà territoriali locali.
L’ordinanza di rimessione si baserebbe
sul presupposto errato che nella legislazione nazionale esista una regola
generale di apertura domenicale degli esercizi commerciali e che la
legislazione regionale limiterebbe tale regola generale.
Così ricostruito il quadro normativo di
riferimento, la parte resistente deduce l’inammissibilità della questione di
costituzionalità sollevata dal TAR della Lombardia perché il Giudice
amministrativo, nell’ordinanza, non avrebbe dato conto della modifica
legislativa intervenuta ad opera della legge regionale 29 giugno 2009, n. 9
(Modifiche a leggi regionali e altre disposizioni in materia di attività
commerciali), che, ampliando ulteriormente la potestà discrezionale del Comune,
ha attribuito la possibilità all’ente locale di scegliere una domenica
destinata all’apertura tra le ultime di uno dei mesi di maggio, agosto o novembre
e ha portato da tre a cinque le altre giornate o festività scelte dal comune in
relazione alle esigenze locali.
La difesa regionale, inoltre, eccepisce
l’inammissibilità della questione relativa al comma 9 dell’art. 5-bis, della legge regionale n. 22 del
2000 che permette l’apertura al pubblico nelle giornate domenicali e festive
per tutto l’anno solare agli esercizi commerciali con superfici di vendita
inferiore ai
Altresì inammissibile sarebbe, infine,
la richiesta di estendere anche agli esercizi commerciali di maggiori
dimensioni la deroga generalizzata al divieto di apertura domenicale e festiva
agli esercizi commerciali di vendita al dettaglio in sede fissa aventi
superficie di vendita fino a
Nel merito, la Regione ritiene di
individuare nella materia di competenza regionale residuale «commercio»
l’ambito materiale al quale ricondurre le norme regionali impugnate, tenuto
conto dell’oggetto e delle finalità della disciplina considerata nel suo
complesso.
La Regione evidenzia come la
giurisprudenza della Corte costituzionale abbia precisato che nella locuzione
commercio sono ricomprese l’attività di commercio all’ingrosso, di commercio al
minuto, l’attività di somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti,
l’attività di commercio sulle aree pubbliche, l’attività di commercio dei
pubblici esercizi, le forme speciali di vendita, le attività di promozione
dell’associazionismo e della cooperazione nel settore del commercio,
l’assistenza integrativa alle piccole e medie imprese, nonché fiere e mercati,
tutte pacificamente rientranti nell’ambito della competenza esclusiva regionale
residuale (sono richiamate le sentenze n. 430, n. 165 e n. 64 del 2007,
e l’ordinanza n.
199 del 2006). Ciò implicherebbe che la disciplina degli orari, in quanto
contenuto indefettibile della materia de
qua, debba essere fissata dalla Regione con pienezza ed esclusività di
poteri, senza incontrare altro limite se non quelli generali fissati dal terzo
comma dell’art.117 Cost.
La difesa regionale richiama anche la
giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la legittimità della previsione
di sanzioni per le ipotesi di violazione delle medesime norme regionali emanate
in materia (ex plurimis,
le sentenze n.
106 e n. 63
del 2006) e che ha affermato che il d.lgs. n. 114 del 1998 «si applica, ai
sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3), soltanto alle Regioni che non abbiano emanato una propria
legislazione nella suddetta materia, mentre la Regione Lombardia ha già
provveduto a disciplinare in modo autonomo la materia stessa» (in tal senso l’ordinanza n. 199
del 2006).
In ogni caso, secondo la Regione, anche
se si volesse ritenere che le norme statali rientrano nella materia tutela
della concorrenza, non sarebbe comunque possibile riconoscere alle stesse
un’efficacia pervasiva tale da imporsi sull’ambito materiale disciplinato dalla
legge regionale impugnata perché, essendo la concorrenza una materia
trasversale che influisce necessariamente anche su materie attribuite alla
competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni, è necessario
garantire anche l’ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla
revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione (tra le altre si
richiamano le sentenze n. 175 del 2005,
n. 272 del 2004
e n. 14 del 2004).
Inoltre, la difesa regionale ritiene che
le norme impugnate possano essere ritenute pro-concorrenziali, espressione di
un potere che la Corte ha riconosciuto in capo al legislatore regionale al fine
di non vanificarne la potestà legislativa, essendo interventi produttivi di
effetti marginali e indiretti che non sono in contrasto con gli obiettivi posti
dalle norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la
concorrenza e che introducono una disciplina di più ampia liberalizzazione
dell’apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali rispetto a quella
statale.
Quanto alla censura relativa alla
violazione del principio di proporzionalità, in quanto la norma censurata non
introdurrebbe solo una disciplina diversa da quella di natura concorrenziale
posta dallo Stato, ma anche «una disciplina differenziata all’interno del
medesimo mercato rilevante» (collegato alla diversa superficie di vendita), in
violazione del principio comunitario di proporzionalità ex art. 5, comma 3, del Trattato UE), quale parametro interposto
rispetto all’art. 117, primo comma, Cost. la Regione obietta che le discipline
regionali sugli orari di apertura degli esercizi commerciali sono state oggetto
di diverse pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea, e, in tali
occasioni, la stessa Corte non ha riscontrato alcun contrasto tra le normative
sulla chiusura domenicale e il principio di libera circolazione delle merci
(sono citate, a titolo esemplificativo, la sentenza
16 dicembre 1992 nella causa C-169/91 e, con specifico riferimento alla
legislazione italiana, la sentenza
2 giugno 1994, nelle cause riunite C-69/93 e C-258/93).
A parere della difesa regionale, la più
ampia possibilità di apertura domenicale e festiva per gli esercizi commerciali
di piccole dimensioni mira inequivocabilmente a realizzare un riequilibrio competitivo
tra grande distribuzione ed esercizi di vicinato, a fronte della differenza di
risorse possedute per la remunerazione del personale e, quindi, per la garanzia
di fasce di apertura più o meno ampie.
Inesatto sarebbe anche l’assunto del
rimettente secondo cui la Regione avrebbe introdotto illegittimamente delle
differenziazioni all’interno del medesimo mercato rilevante. Al contrario, la
disciplina censurata sarebbe volta a salvaguardare esercizi commerciali dalle
dimensioni modeste e, pertanto, essa deve essere valutata quale espressione di
un intervento pubblico atto a porre rimedio a situazioni di squilibrio
economico e sociale. A questo proposito la Regione richiama la sentenza n. 64 del
2007 con la quale la Corte costituzionale, nel pronunciarsi su una
disciplina della Regione Umbria che introduceva degli incentivi a favore delle
piccole e medie strutture di vendita, ha chiaramente affermato che interventi
di tal guisa non sono privi di ragionevole giustificazione.
3.– In data 6 aprile 2010 è intervenuta
nel giudizio Iniziativa Tredici s.r.l., soggetto estraneo al giudizio
principale, sostenendo di essere portatrice di un interesse giuridicamente
qualificato e differenziato che può essere inciso in via diretta ed immediata
dal giudizio di legittimità costituzionale.
In particolare, la parte interveniente
riferisce di essere costituita, in qualità di controinteressata,
in altro giudizio amministrativo pendente dinanzi alla medesima autorità
giudiziaria rimettente che ha sospeso il processo in attesa della pregiudiziale
soluzione della presente questione di costituzionalità
Nel merito la parte privata conclude per
l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR
della Lombardia.
4.– In data 12 aprile 2010 si è
costituita la parte del giudizio principale Oviesse S.p.a.
concludendo per l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale
sollevata dal TAR della Lombardia.
5.– In data 1° giugno 2010 la difesa
della Regione Lombardia ha depositato una memoria con la quale ha ribadito le
proprie argomentazioni, insistendo per la declaratoria di inammissibilità o di
infondatezza delle questioni di costituzionalità sollevata dal TAR Lombardia.
6.– In data 1° giugno 2010 la difesa
della parte interveniente – s.r.l. Iniziativa Tredici – ha depositato una
memoria con la quale ha ribadito le proprie argomentazioni a sostegno della
legittimazione ad intervenire nel giudizio e ha insistito per l’accoglimento della
questione di costituzionalità in esame.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia ha sollevato – con riferimento all’art. 117, primo e
secondo comma, lettera e), della
Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, commi 5 e 9, della legge della
Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina delle vendite straordinarie
e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali), nella parte in
cui, rispettivamente, il comma 5 prevede che: «Gli esercizi commerciali di
vendita al dettaglio in sede fissa, nel corso dell’anno solare e nel rispetto
dei limiti di cui ai commi 2, 3 e 11, possono restare aperti al pubblico: a)
nella prima domenica dei mesi da gennaio a novembre; b) nell’ultima domenica di
uno dei mesi di maggio, agosto o novembre; c) nelle giornate domenicali e
festive del mese di dicembre; d) in altre cinque giornate domenicali e festive
scelte dai comuni in relazione alle esigenze locali» e, il comma 9, che: «Nel
rispetto dei limiti di cui ai commi 2, 3 e 11 l’apertura al pubblico nelle
giornate domenicali e festive è consentita, con riferimento all’intero anno
solare, agli esercizi commerciali di vendita al dettaglio in sede fissa aventi
superficie di vendita fino a
Le norme oggetto di censura, secondo il
Tribunale rimettente, inciderebbero sull’assetto concorrenziale all’interno del
mercato regionale ponendo limiti ulteriori rispetto a quelli previsti dal
legislatore statale con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma
della disciplina relativa al settore del commercio), con ciò violando la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Inoltre, le stesse, introducendo una
disciplina differenziata collegata alla diversa superficie di vendita
all’interno del medesimo mercato rilevante, sarebbero in contrasto con il
principio di proporzionalità di cui all’art. 5, comma 3, del Trattato UE e, di
conseguenza, con l’art. 117, primo comma, Cost.
2.– In via preliminare, deve dichiararsi
l’inammissibilità di entrambi gli interventi delle parti private.
2.1.– L’intervento della società Oviesse
è tardivo, essendo trascorso il termine di venti giorni per intervenire nel
giudizio decorrente dalla pubblicazione dell’ordinanza sulla Gazzetta Ufficiale
previsto dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dall’art. 3 delle
norme integrative: la pubblicazione dell’ordinanza è del 17 marzo 2010 mentre
la Oviesse s.r.l. si è costituita in data 12 aprile 2010, quindi ben oltre il
termine ultimo del 6 aprile 2010.
2.2.– Quanto all’intervento della
società Iniziativa Tredici, deve ribadirsi che «nel
giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale non sono ammissibili interventi di soggetti che non siano
parti nel giudizio a quo, né siano
titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al
rapporto sostanziale dedotto in causa e non semplicemente regolato, al pari di
ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura, avuto altresì
riguardo al rilievo che l’ammissibilità dell’intervento ad opera di un terzo,
titolare di un interesse soltanto analogo a quello dedotto nel giudizio
principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del detto giudizio di
legittimità » (sentenza
n. 138 del 2010).
L’inammissibilità dell’intervento non viene meno in forza
della pendenza di un procedimento analogo a quello principale, eventualmente
sospeso in via di fatto nell’attesa della pronuncia di questa Corte, posto che
la contraria soluzione risulterebbe elusiva del carattere incidentale del
giudizio di legittimità costituzionale, implicando l’accesso delle parti prima
che, nell’ambito della relativa controversia, sia stata verificata la rilevanza
e la non manifesta infondatezza della questione. Tale considerazione resta
valida anche se, nel diverso giudizio, sia già stata prospettata, e non ancora
delibata dal giudice procedente, una questione di legittimità asseritamente
analoga a quella in considerazione (ordinanza allegata alla sentenza n. 245 del
2007).
3.– Sempre in via preliminare, devono
essere respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della
Regione Lombardia.
3.1.– Una prima eccezione attiene alla
carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza in quanto, secondo la
parte resistente, il rimettente non avrebbe tenuto conto del fatto che una
delle norme censurate, dopo l’emanazione del provvedimento del Sindaco del
Comune di Curno, è stata modificata.
L’eccezione non è fondata.
Il rimettente, pur non citando
espressamente la modifica di cui all’art. 2 della legge regionale del 29 giugno
2009, n. 9 (Modifica a leggi regionali e altre disposizioni in materia di
attività commerciali), che ha sostituito alla lettera b) del comma 5 dell’art. 5-bis
della legge regionale n. 22 del 2000 le parole «dei mesi di maggio, agosto
e» con le parole «di uno dei mesi di maggio, agosto o»; e alla lettera d) del medesimo comma 5 la parola «tre»
con la parola «cinque», ne tiene conto tanto che, come afferma la stessa difesa
della Regione Lombardia, fa esclusivo riferimento al testo della norma
attualmente vigente. Il rimettente, quindi, riporta la precedente formulazione
della legge regionale quando riepiloga il contenuto delle doglianze della
ricorrente, ma sviluppa le sue argomentazioni basandosi sul nuovo testo,
ritenendo che esso non modifichi i termini della questione.
Va precisato, infine, che la legge n. 22
del 2000 è stata interamente abrogata dall’art. 155 della legge regionale 2
febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio
e fiere), ma che le norme in esame sono state interamente riprodotte dall’art.
103 del citato testo unico.
3.2.– La Regione eccepisce anche il
difetto di rilevanza della questione relativa al comma 9 dell’art. 5-bis della legge n. 22 del 2000 perché, a suo parere, il Giudice non deve
fare applicazione della norma che si riferisce esclusivamente agli esercizi di
vendita con superficie inferiore ai
Inoltre, secondo la difesa regionale,
sarebbe inammissibile la richiesta di estendere anche agli esercizi commerciali
di maggiori dimensioni la deroga generalizzata al divieto di apertura
domenicale e festiva, prevista per gli esercizi commerciali di vendita al
dettaglio in sede fissa aventi superficie di vendita fino a
Anche tale eccezione non è fondata.
Il rimettente, infatti, evoca come parametro
l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. e ritiene che le norme censurate incidano nella materia della concorrenza
proprio per il fatto che l’ampia deroga all’obbligo di chiusura domenicale e
festiva introdotta dal comma 9 dell’art. 5-bis
della legge regionale n. 22 del 2000 sia
limitata ai soli esercizi commerciali con superficie inferiore ai
4.– Deve essere, invece, dichiarata
inammissibile la questione relativa alla violazione da parte delle norme
oggetto del giudizio del principio di proporzionalità di cui all’art. 5, comma
3, del Trattato UE e, dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in quanto
il rimettente si limita a citare genericamente la violazione del principio di
proporzionalità senza tuttavia spiegare dettagliatamente i motivi per i quali
tale violazione si sarebbe determinata, con il risultato che la censura è
formulata in modo generico ed apodittico (ex
plurimis, sentenza n. 80 del
2010, ordinanza
n. 344 del 2008).
La motivazione fornita dal rimettente è
carente anche sotto il profilo della mancata indicazione dei motivi che
osterebbero alla disapplicazione del diritto interno in contrasto con il diritto
dell’Unione europea. Infatti, nei giudizi di costituzionalità in via
incidentale è possibile invocare la violazione del diritto comunitario solo
nell’ipotesi in cui lo stesso non sia immediatamente applicabile, altrimenti,
secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, verrebbe meno la
rilevanza della questione (ex plurimis sentenze n. 227 del 2010,
n. 125 del 2009
e n. 284 del
2007; ordinanze n. 415 del 2008
e n. 454 del
2006).
Infatti «nel sistema dei rapporti tra
ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla
giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi, in forza dell’art. 11 della
Costituzione, soprattutto a partire dalla sentenza
n. 170 del 1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta
precludono al giudice comune l'applicazione di contrastanti disposizioni del
diritto interno, quando egli non abbia dubbi – […] – in ordine all'esistenza
del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in
rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei
principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili
della persona» (sentenza
n. 284 del 2007 e ordinanza n. 454
del 2006 ivi citata).
5.– Resta da esaminare la questione
relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
Secondo la prospettazione del
rimettente, le norme censurate, aventi ad oggetto la disciplina della chiusura
domenicale e festiva degli esercizi commerciali, devono essere inquadrate
nell’ambito della materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva
dello Stato, e non in quello della materia «commercio», di competenza residuale
delle Regioni, né tali disposizioni potrebbero essere ritenute norme dettate
dalla Regione, nell’ambito delle sue competenze legislative, le quali avrebbero
l’effetto marginale ed indiretto di ampliare l’area della concorrenza.
5.1.– La questione non è fondata.
Il TAR lombardo, come prima
argomentazione, ritiene che il legislatore statale abbia introdotto, con il
d.lgs. n. 114 del 1998, una disciplina degli orari degli esercizi commerciali
che, avendo come fine «l’apertura del settore al mercato e alla concorrenza»,
non può essere derogata da una disciplina regionale più restrittiva.
Al riguardo, con specifico riferimento
al d.lgs. n. 114 del 1998, questa Corte ha affermato che: «a seguito della
modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, la materia "commercio”
rientra nella competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto
comma dell’art. 117 Cost.; […] pertanto, il decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma
dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), di cui il giudice rimettente
lamenta la violazione, si applica, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 5
giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), soltanto alle
Regioni che non abbiano emanato una propria legislazione nella suddetta
materia, mentre la Regione Lombardia ha già provveduto a disciplinare in modo
autonomo la materia stessa» (ordinanza n. 199
del 2006).
In altra occasione si è poi avuto modo
di precisare che la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra
nella materia «commercio» di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 350 del 2008).
Del resto l’art. 3, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento
e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di
entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni,
dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, nel dettare le regole di tutela della
concorrenza nel settore della distribuzione commerciale – al fine di garantire
condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del
mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed
uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul
territorio nazionale – non ricomprende la disciplina degli orari e della
chiusura domenicale o festiva nell’elenco degli ambiti normativi per i quali
espressamente esclude che lo svolgimento di attività commerciali possa
incontrare limiti e prescrizioni.
Si tratta, quindi, di valutare se la
normativa regionale, nel contenuto, determini un vulnus alla tutela della concorrenza, peraltro tenendo presente che
è stata riconosciuta la possibilità, per le Regioni, nell’esercizio della
potestà legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme
pro-concorrenziali (sentenze n. 431 e n. 430 del 2007).
In particolare, si è ritenuto che «poiché
la promozione della concorrenza ha una portata generale, o "trasversale”, può
accadere che una misura che faccia parte di una regolamentazione stabilita
dalle Regioni nelle materie attribuite alla loro competenza legislativa,
concorrente o residuale, a sua volta abbia marginalmente una valenza
pro-competitiva. Ciò deve ritenersi ammissibile, al fine di non vanificare le
competenze regionali, sempre che tali effetti siano marginali o indiretti e non
siano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il
mercato, tutelano e promuovono la concorrenza» (sentenza n. 430 del
2007).
Nel caso di specie, la normativa
regionale sull’apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali per la
vendita al dettaglio non si pone in contrasto con il d.lgs. n. 114 del 1998, e
in particolare con l’art. 11, citato dal rimettente, in quanto introduce una
disciplina di settore di sostanziale liberalizzazione che, in conformità con
quella statale, prende in considerazione una serie di parametri, quali il
settore merceologico di appartenenza, la dimensione dell’esercizio commerciale
e gli effetti sull’occupazione.
L’art. 11 del d.lgs. n. 114 del 1998 prevede,
infatti, al comma 4 che: «Gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la
chiusura domenicale e festiva dell’esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni,
sentite le organizzazioni di cui al comma 1, la mezza giornata di chiusura
infrasettimanale». Il successivo comma 5 introduce la seguente deroga: «Il
comune, sentite le organizzazioni di cui al comma 1, individua i giorni e le
zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di
chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono comunque quelli del
mese di dicembre, nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli
altri mesi dell’anno».
A fronte della previsione statale che
pone nella discrezionalità del Comune la possibilità di apertura per otto
domeniche o altre festività nei mesi da gennaio a novembre, oltre che a tutto
il mese di dicembre, la legge regionale n. 22 del 2000, all’art. 5-bis, comma
Il comma 9 dell’art. 5-bis della legge regionale citata
prevede, addirittura, un esonero quasi integrale dal rispetto della chiusura
domenicale e festiva per gli esercizi commerciali di superficie inferiore ai
Risulta, dunque, errata la ricostruzione
del rimettente secondo la quale la legislazione regionale avrebbe introdotto
ulteriori e inammissibili limiti all’apertura domenicale e festiva rispetto a
quelli previsti dal legislatore statale con il d.lgs. 114 del 1998.
Inoltre, dalla lettura della legge
regionale emerge, con riferimento alla dedotta limitazione del potere
discrezionale dei Comuni presenti nel territorio regionale di valutare
discrezionalmente l’opportunità di consentire l’apertura domenicale e festiva
degli esercizi commerciali, che le limitazioni introdotte dal legislatore
regionale, peraltro con valenza pro-concorrenziale, si risolvono rispetto a
quanto prevede la norma statale nell’aver predeterminato la possibilità di
apertura domenicale e festiva nella prima domenica dei mesi da gennaio a
novembre, lasciando comunque ai Comuni la scelta di individuare, in relazione
alle esigenze locali, altre cinque giornate domenicali e festive e nella deroga
generalizzata per i piccoli esercizi di vicinato.
In conclusione, la Regione Lombardia con
le norme impugnate ha esercitato la propria competenza in materia di commercio
dettando una normativa che, non ponendosi in contrasto con gli obiettivi delle
norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la
concorrenza, produce effetti pro-concorrenziali, sia pure in via marginale e
indiretta, in quanto evita che vi possano essere distorsioni determinate da
orari di apertura significativamente diversificati, in ambito regionale, nei
confronti di esercizi commerciali omogenei.
Neppure è valida la tesi del rimettente
secondo la quale la differenziazione, nell’ambito del medesimo mercato
rilevante, tra esercizi commerciali con superficie di vendita sotto i
In primo luogo, va osservato che è
contraddittorio affermare che è lesivo del principio della libera concorrenza
limitare ai soli esercizi commerciali con superficie inferiore ai
Va, poi, detto che questa Corte ha già
riconosciuto la legittimità di leggi regionali che operano delle
differenziazioni, anche con specifico riferimento alla dimensione dell’attività
dell’esercente commerciale, al fine di tutelare la piccola e media impresa. In
particolare si è ritenuto legittimo tutelare (sia pure con riferimento a censure
relative agli artt. 3 e 41 Cost.) «l’esigenza di interesse generale – peraltro
espressamente richiamata dal citato art. 6, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 114 del 1998 – di
riconoscimento e valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese già operanti
sul territorio regionale» (sentenza n. 64 del
2007).
Infine, una volta stabilito che la
disciplina degli orari degli esercizi commerciali è ascrivibile alla materia
«commercio» di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., non risulta di per sé
lesiva di parametri costituzionali la scelta del legislatore regionale di
regolamentare il settore operando delle differenziazioni non solo in relazione
alla dimensione dell’esercizio commerciale ma anche, come si è detto, tenendo conto di altri fattori
tra i quali il settore merceologico di appartenenza e gli effetti
sull’occupazione.
D’altra parte, deve sottolinearsi che lo
stesso decreto legislativo n. 114 del 1998 opera una distinzione tra piccole,
medie e grandi strutture di vendita. L’art. 4 dispone infatti che devono
intendersi: «d) per esercizi di vicinato quelli aventi superficie di vendita
non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000
abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000
abitanti; e) per medie strutture di vendita gli esercizi aventi superficie
superiore ai limiti di cui al punto d) e fino a 1.500 mq nei comuni con
popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei comuni con
popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; f) per grandi strutture di
vendita gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto e)».
Per ognuna di queste tipologie di esercizi commerciali segue poi una differente
disciplina sotto molteplici aspetti, primo fra tutti quello relativo alle
modalità di autorizzazione allo svolgimento dell’attività.
Anche sotto questo profilo, dunque, la
legislazione regionale, che ne riprende le definizioni, non si pone in contrasto
con la legislazione statale dato che anche quest’ultima differenzia la
disciplina delle strutture di vendita sin dall’inizio dell’attività di impresa,
cioè in quella ancor più delicata fase autorizzatoria
che corrisponde all’ingresso sul mercato.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5-bis, commi 5 e 9, della legge della
Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina delle vendite straordinarie
e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali), sollevata dal Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia, in riferimento all’art. 117, primo comma,
della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5-bis, commi 5 e 9, della stessa legge
della Regione Lombardia n. 22 del 2000 sollevata
dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera e),
della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
Costituzionale, palazzo della Consulta, il 4 ottobre
2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 ottobre 2010.