SENTENZA N. 245
ANNO 2007
Commento alla decisione di
Nicola Pignatelli
Le
norme "anti-Caselli”: l’illegittimità costituzionale, l’atto amministrativo e
gli esclusi
(per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione
Italiana dei Costituzionalisti)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 45, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la riforma
dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12,
per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della
disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il
Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione
di un testo unico), e del combinato disposto degli artt. 2, comma 10, lettera a), della stessa legge n. 150 del 2005 e
3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20 (Disciplina transitoria del
conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità,
nonché di primo e secondo grado, a norma dell’articolo 2, comma 10, della legge
25 luglio 2005, n. 150), promossi con n. 2 ordinanze del 23 febbraio 2007 dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi proposti da G.S. e da
L.D.N. contro il Consiglio superiore della magistratura ed altri, iscritte ai
numeri 238 e 239 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
16, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti gli atti di costituzione di L.D.N.
e di L.R., nonché gli atti di intervento di L.D.R., di G.L., fuori termine, e
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 19 giugno 2007 e nella camera di consiglio del 20 giugno 2007 il
Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati
Roberto Graziosi per L.D.R., Alberto M. Quaglia per G.L., Adriano Rossi per L.D.N., Tommaso Manferoce per L.R. e l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 23
febbraio 2007 (r.o. n. 238 del 2007), il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio ha sollevato – con riferimento agli artt. 3,
97 e 105 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 45, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la
riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica
della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e
il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per
l’emanazione di un testo unico), e del combinato disposto degli artt. 2, comma
10, lettera a), della stessa legge n.
150 del 2005 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20 (Disciplina
transitoria del conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti
di legittimità, nonché di primo e secondo grado, a norma dell’articolo 2, comma
10, della legge 25 luglio 2005, n. 150).
Tali norme sono oggetto di
censura nella parte in cui prevedono che gli incarichi direttivi concernenti
uffici giudiziari di merito possano essere conferiti solo a magistrati che
assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di «ordinario
collocamento a riposo» indicata dall’art. 5 del regio decreto legislativo 31
maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), cioè quella di compimento
del settantesimo anno di età.
Il giudizio a quo è stato promosso dal dottor G.S.
per l’annullamento della delibera con la quale il Consiglio superiore della
magistratura, in data 31 maggio 2006, aveva conferito ad altro magistrato
l’incarico direttivo di presidente d’una corte di appello, previa esclusione
del ricorrente quale aspirante «non legittimato» a norma dell’art. 3 del d.lgs.
n. 20 del 2006.
Il Tribunale rimettente, dopo
una ricognizione del quadro normativo, ritiene siano applicabili al caso di
specie, ratione temporis, le
disposizioni transitorie censurate, succedutesi senza soluzione di continuità
nell’attesa che trovi attuazione la delega conferita al Governo ai sensi
dell’art. 2, comma 1, lettera h),
numero 17 della legge n. 150 del 2005: disposizione quest’ultima con la quale
si è stabilita, in sostanza, l’esclusione dall’accesso agli incarichi direttivi
di merito dei magistrati che abbiano già varcato la soglia del sessantaseiesimo
anno di età.
Tale delega è stata esercitata
con l’art. 35 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina
dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di
funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150),
la cui efficacia è attualmente sospesa, fino alla data del 31 luglio
Peraltro, come accennato, il
legislatore ha disposto l’applicazione anticipata della disciplina delegata,
dapprima con un’apposita norma transitoria della stessa legge di delega (il
denunciato comma 45 dell’art. 2), e quindi, a far tempo dal 28 gennaio 2006,
con la nuova disposizione transitoria introdotta dall’art. 3 del d.lgs. n. 20
del 2006, pure denunciato e tuttora vigente.
Il rimettente censura, in
sostanza, sia la norma di transizione direttamente approvata dal Parlamento sia
quella introdotta dal Governo attraverso l’esercizio dell’apposita delega
contenuta nell’art. 2, comma 10, della citata legge n. 150 del
1.1. – Il Tribunale ritiene
non manifestamente infondato il dubbio che la disciplina denunciata contrasti,
per la sua irragionevolezza, con l’art. 3 Cost.
Premessa del ragionamento è la
possibilità per i magistrati di prolungare la propria permanenza in servizio
ben oltre il termine di «ordinario collocamento a riposo», e cioè fino al
compimento del settantacinquesimo anno di età, secondo il disposto dell’art.
16, comma 1-bis, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), aggiunto dall’art. 34, comma 12, della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003).
Il giudice a quo ritiene irragionevole che la nuova
norma ordinamentale, finalizzata ad assicurare la continuità di direzione
dell’ufficio per almeno un quadriennio, debba essere applicata anche nei
confronti di magistrati i quali, pur trovandosi a meno di quattro anni dalla
data «ordinaria» di pensionamento, potrebbero esercitare le funzioni direttive
per un periodo ben più lungo, e ciò attraverso il mero atto di esercizio d’un
diritto potestativo, la cui attuazione comporta il prolungamento del servizio
senza alcuna particolarità di disciplina.
La necessità di considerare il
futuro periodo di lavoro nelle sue dimensioni concrete, e non con riguardo alla
data di ordinario collocamento a riposo, sarebbe comprovata, secondo il
Tribunale, dalle disposizioni concernenti i magistrati che abbiano subito una
ingiusta sospensione o, nelle stesse circostanze, abbiano anticipato il proprio
pensionamento: è stabilito infatti, per costoro, che il quadriennio a
disposizione per l’ufficio direttivo sia calcolato aggiungendo, al tempo mancante
per il compimento dei settanta anni di età, un periodo pari a quello della
sospensione e del servizio non espletato per l’anticipato collocamento in
quiescenza, cumulati fra loro (art. 4 del d.lgs. n. 20 del 2006 e art. 35 del
d.lgs. n. 160 del
La disciplina censurata
sarebbe poi irragionevole, a parere del rimettente, anche per le implicazioni
che ne sortirebbero circa la durata di fatto degli incarichi conferiti ai
magistrati legittimati, potenzialmente pari ad almeno nove anni, con una grave
riduzione di flessibilità degli organigrammi, non sufficientemente contenuta,
specie allo stato, dall’ancora inefficace disposizione sulla temporaneità degli
incarichi direttivi.
1.2. – Gli elementi di
irragionevolezza fin qui illustrati concorrono, nella prospettazione del
rimettente, a determinare anche un vulnus
al principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97
Cost.).
Il Tribunale muove dalla
normativa secondaria che il Consiglio superiore della magistratura aveva
adottato, sulla materia in questione, con il punto 2 della circolare 8 luglio
1999, P-
Ciò premesso, il rimettente
osserva che la diversa scelta legislativa, precludendo in astratto la
partecipazione ai concorsi degli appartenenti ad intere fasce generazionali,
limita il novero delle richieste valutabili dal Consiglio superiore ed esclude
dalla comparazione magistrati portatori, in ipotesi, di attitudini superiori a
quelle dei concorrenti ammessi, così pregiudicando il buon andamento
dell’amministrazione giudiziaria.
Il principio enunciato nel
primo comma dell’art. 97 Cost., d’altronde, sarebbe vulnerato anche dalla
lunghissima durata che, di fatto, può contrassegnare, nell’attuale regime, gli
incarichi direttivi conferiti ai magistrati: sarebbe infatti notorio il
benefico influsso esercitato su qualunque organizzazione, ed in specie su
quelle pubbliche deputate a funzioni vitali per l’ordinamento, dal periodico
ricambio nelle posizioni di responsabilità, utile ad evitare eccessivi
personalismi nello svolgimento delle funzioni istituzionali.
1.3. – Infine, il Tribunale
evoca un possibile contrasto tra le norme censurate e l’art. 105 Cost., che precluderebbe al legislatore ogni intervento «sul
concreto atteggiarsi del rapporto di servizio del personale di magistratura,
attraverso provvedimenti direttamente intesi a regolare posizioni individuali».
Il riferimento del Costituente
alle norme dell’ordinamento giudiziario, quale cornice per l’esercizio delle
attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura, varrebbe a delimitare
l’intervento legislativo con riguardo alle scelte di fondo sull’organizzazione
giudiziaria e sul personale, oltre che alla disciplina del rapporto di servizio
dei magistrati. Potrebbe dunque essere considerato esorbitante, a parere del
Tribunale, un intervento normativo che, di fatto, restringe la base per
l’esercizio delle attribuzioni consiliari in materia di «promozione» dei
magistrati, privando così il Consiglio superiore della «prerogativa di
individuare, nella più ampia platea composta dai magistrati ultrasessantaseienni,
il candidato più adatto a rivestire un certo incarico».
1.4. – Le questioni sollevate,
secondo il giudice a quo, sono
rilevanti nel giudizio principale, posto che l’esclusione del ricorrente dalla
procedura concorsuale è dipesa unicamente dall’applicazione delle norme
censurate, e che l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità di tali norme
ridonderebbe in illegittimità (ed eventuale caducazione) del provvedimento
impugnato, con conseguente riemersione delle chances di attribuzione dell’incarico richiesto.
2. – Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato in data 8 maggio 2007,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
2.1. – La difesa erariale
osserva, in primo luogo, che nel giudizio a
quo sarebbero inapplicabili due delle tre disposizioni censurate.
La norma di cui all’art. 2,
comma 45, della legge n. 150 del
Le questioni proposte
sarebbero dunque inammissibili, per difetto di rilevanza, almeno con riguardo
alle norme sopra indicate.
2.2. – Nel merito,
l’Avvocatura dello Stato contesta una delle premesse del ragionamento del
rimettente, e cioè che il servizio prestato dai magistrati dopo il compimento
del settantesimo anno di età non si distinguerebbe, sotto alcun profilo, da
quello antecedente.
Per determinare la
prosecuzione del rapporto oltre la data di «ordinario collocamento a riposo»,
infatti, il magistrato è sottoposto all’onere della presentazione di una
domanda, e ciò qualificherebbe l’ulteriore svolgimento del servizio come
«situazione giuridica nuova», la cui disciplina sarebbe rimessa alla
discrezionalità legislativa, e ben potrebbe essere differenziata per ragioni di
pubblico interesse o per la tutela di interessi concorrenti.
Secondo la difesa erariale
l’opzione dalla quale scaturisce la prosecuzione del servizio, che rappresenta
una mera eventualità ed è rimessa alla scelta dell’interessato, è riconducibile
alla sfera delle libertà individuali ed è quindi «insofferente ad ogni
possibile compressione». Per tale ragione il conferimento degli incarichi
direttivi non potrebbe che «tenere conto del normale termine di collocamento a
riposo vigente, in assenza di diverse iniziative da parte del magistrato».
2.3. – L’Avvocatura dello
Stato considera insussistenti i prospettati profili di contrasto con i
parametri costituzionali evocati.
La mera indicazione di un
criterio selettivo per le procedure concorsuali, anzitutto, non comporterebbe
alcuna violazione delle prerogative riconosciute dall’art. 105 Cost. al Consiglio superiore della magistratura.
La disciplina censurata, per
altro verso, varrebbe proprio a garantire il buon andamento
dell’amministrazione giudiziaria, assicurando una ragionevole continuità della
funzione direttiva e, dunque, la miglior realizzazione del progetto
organizzativo del quale il nuovo dirigente dell’ufficio deve essere portatore.
Va esclusa infine, secondo la
difesa erariale, la pretesa irrazionalità della disciplina nella parte in cui
non misura la durata dell’ulteriore servizio sul limite dei settantacinque anni
di età. La scelta legislativa si giustificherebbe proprio al fine di evitare
che la necessaria continuità dell’azione organizzativa sia condizionata da
evenienze solo ipotetiche, e comunque interamente rimesse a scelte individuali
ed incoercibili del magistrato.
3. – Con ordinanza del 23
febbraio 2007 (r.o. n. 239 del 2007), il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio ha sollevato – con riferimento agli artt. 3,
97 e 105 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 45,
della legge n. 150 del 2005, nonché del combinato disposto dell’art. 2, comma
10, lettera a), della stessa legge n.
150 del 2005 e dell’art. 3 del d.lgs. n. 20 del 2006.
Tali norme sono censurate
nella parte in cui prevedono che gli incarichi direttivi concernenti uffici
giudiziari di merito vengano conferiti solo a magistrati che assicurino almeno
quattro anni di servizio con riferimento alla data di «ordinario collocamento a
riposo» di cui all’art. 5 del r.d.lgs. n. 511 del
1946, cioè quella di compimento del settantesimo anno di età dell’interessato.
Il rimettente è investito del
ricorso proposto dal dottor L.D.N. contro il provvedimento con il quale il
Consiglio superiore della magistratura, nella data del 27 luglio 2006, aveva
conferito ad altro magistrato l’incarico direttivo di procuratore generale della
Repubblica presso una corte di appello, previa esclusione del ricorrente quale
aspirante «non legittimato» a norma dell’art. 2, comma 45, della legge n. 150
del 2005.
L’ordinanza di rimessione,
dopo aver affermato anche per il caso di specie la rilevanza delle questioni,
riproduce testualmente le osservazioni e le censure formulate con l’ordinanza r.o. n. 238 del 2007.
4. – Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato in data 8 maggio 2007,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque,
infondate.
L’atto riproduce testualmente
quello depositato, in pari data, per l’intervento nel giudizio concernente
l’ordinanza r.o. 238 del 2007.
5. – Con atto depositato in
data 3 aprile 2007 si è costituito il dottor L.D.N., ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che le questioni siano
ritenute fondate e che sia dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale
delle norme censurate dal giudice rimettente.
5.1. – La parte, magistrato
già ammesso con delibera del 3 novembre 2004 alla prestazione del servizio
«prolungato» fino al compimento del settantacinquesimo anno di età, premette di
essere stata esclusa dalla procedura concorsuale, finalizzata al conferimento
dell’incarico di procuratore generale presso una corte di appello, in
applicazione dell’art. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005.
Nell’atto di costituzione sono
richiamati gli argomenti con i quali il ricorrente aveva sollecitato il
Tribunale adito a sollevare le odierne questioni di costituzionalità. In
sintesi, la disciplina censurata violerebbe l’art. 3 Cost. perché
pone un limite di accesso agli uffici direttivi per i soli magistrati ordinari,
essendo tale limite escluso – oltre che per l’Avvocatura dello Stato e per ogni
altro impiegato pubblico – per la magistratura contabile, quella
amministrativa, quella militare e quella tributaria, sebbene
Ancora, la stessa normativa
sarebbe irragionevole in quanto destinata ad incidere, discriminandoli
ingiustamente, su soggetti ben individuabili e determinati, specie nei casi in
cui la procedura concorsuale era già stata avviata al momento di entrata in
vigore della riforma («norma fotografia»).
A parere della parte, la
disciplina, discostandosi senza ragione dai criteri già individuati dal
Consiglio superiore della magistratura con la propria normazione secondaria,
avrebbe violato anche il principio di buon andamento della pubblica
amministrazione.
Il legislatore ha infatti
consentito la permanenza negli uffici direttivi di magistrati anche prossimi ai
settantacinque anni di età e, nel contempo, ha precluso l’accesso a magistrati
che pure, ed analogamente, erano già stati autorizzati al servizio
«prolungato». Si sarebbe poi limitata la possibilità di scelta del dirigente
secondo criteri di professionalità ed esperienza, contraddittoriamente
escludendo dalla procedura concorsuale magistrati considerati comunque idonei
all’ulteriore esercizio delle funzioni. Sarebbero state frustrate
ingiustamente, infine, le aspettative di magistrati esclusi dagli incarichi
direttivi dapprima per la sistematica prevalenza dei colleghi più anziani e
poi, senza fasi intermedie, per un eccesso di anzianità.
Tutto ciò senza realmente
assicurare la durata quadriennale dell’incarico, poiché qualunque dirigente
designato può chiedere ed ottenere il trasferimento dopo un triennio, ed anzi,
per i posti direttivi apicali, non è previsto alcun termine minimo per la
permanenza nell’ufficio prima di nuove domande per ulteriori incarichi.
6. – Con atto depositato in
data 8 maggio 2007 si è costituito nel giudizio il dottor L.R., magistrato cui
è stato conferito l’incarico direttivo di procuratore generale con il
provvedimento impugnato avanti al Tribunale rimettente, chiedendo che le
questioni siano dichiarate infondate.
6.1. – La parte osserva, con
riferimento alla censura concernente l’art. 105 Cost.,
che per le norme di ordinamento giudiziario, come quelle censurate, esiste una
riserva di legge, tanto che la produzione secondaria del Consiglio superiore
della magistratura potrebbe investire solo le aree «non normate» in sede
legislativa.
6.2. – Con riguardo, poi, al
principio di buon andamento della pubblica amministrazione, la parte rileva
come la disponibilità di un congruo periodo per l’attuazione del progetto
organizzativo elaborato dal dirigente sia considerata necessaria proprio in
chiave di miglior funzionalità degli uffici giudiziari, tanto che lo stesso
organo di autogoverno della magistratura aveva elaborato in proposito una
normativa a carattere secondario. L’entità del periodo utile, d’altro canto,
sarebbe questione tipicamente rimessa alla discrezionalità del legislatore, il
quale, trascurando l’ultimo eventuale quinquennio di carriera dei magistrati,
ha semplicemente stabilito che i nuovi dirigenti non debbano avere più di
sessantasei anni, anche al fine di «porre un limite alla deriva gerontocratica
nella direzione degli uffici giudiziari».
Il legislatore del resto,
ancorando il termine alla data di «ordinario collocamento a riposo», avrebbe
coerentemente preso atto del punto di equilibrio attualmente istituito, nella
disciplina del pensionamento, tra valorizzazione dell’esperienza e decadimento
mediamente connesso all’avanzare dell’età. Se si giungesse a considerare
superato un tale punto di equilibrio, andrebbe spostata in avanti la soglia per
il collocamento a riposo «ordinario», ed altrettanto avverrebbe allora, senza
necessità di interventi modificativi, per i limiti di accesso agli incarichi
direttivi.
È vero, poi, che le vigenti
disposizioni consentono ai magistrati, attraverso il mero esercizio di un
diritto potestativo, di prolungare il proprio servizio senza che si determini
una novazione del relativo rapporto. Tuttavia tale situazione non implica che
la disciplina del servizio «prolungato» debba essere necessariamente identica,
per ogni aspetto, a quella del servizio antecedente. La direzione di un ufficio
richiede, a parere della parte, energie e risorse diverse da quelle necessarie
per l’ordinario esercizio della giurisdizione. La scelta di considerare
irrilevante il servizio «prolungato» – introdotto da una opzione individuale e
non condizionato da alcun accertamento circa la perdurante capacità
professionale del magistrato – sarebbe quindi del tutto razionale. In caso di
inadeguatezza dovuta all’età avanzata, d’altronde, le conseguenze sarebbero più
gravi (e meno facilmente diagnosticabili) se riferite al dirigente di un
ufficio giudiziario, piuttosto che ad un mero componente dell’ufficio medesimo.
Va escluso ancora, secondo la
difesa della parte, che le norme censurate riducano la «platea» degli aspiranti
agli incarichi direttivi e, con essa, la possibilità per il Consiglio superiore
della magistratura di valorizzare le migliori professionalità. L’esclusione dei
più anziani indurrebbe una variazione solo qualitativa di detta platea,
conferendo opportunità a magistrati meritevoli che altrimenti, stante la
perdurante vigenza delle disposizioni sui punteggi di anzianità, non avrebbero
alcuna possibilità di competere con quelli di età molto più avanzata. Il
legislatore si è mostrato razionalmente consapevole, ad avviso della parte, che
l’ancoraggio del termine di legittimazione alla data di compimento del
settantacinquesimo anno comporterebbe di fatto, alla luce delle difficoltà per
una valorizzazione risolutiva di elementi concernenti il merito, che quasi
tutti gli uffici direttivi verrebbero conferiti ad ultrasettantenni.
Non contrasterebbe, con i
predetti rilievi, il diverso criterio che ispira il nuovo disegno di legge
governativo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, attualmente all’esame
del Senato. La progettata apertura ai magistrati più anziani, una volta
collocata in un contesto che comprende la rotazione degli incarichi direttivi
ed il compimento di verifiche quadriennali di professionalità a carattere
specifico, non impedirebbe al Consiglio superiore della magistratura di porre
concretamente a raffronto, sulla base di elementi di valutazione completi ed
attendibili, canditati compresi in fasce di età più ampie di quelle attuali.
In particolare, la
temporaneità degli incarichi, già prevista anche dal d.lgs. n. 160 del 2006 e solo
provvisoriamente sospesa, varrebbe ad escludere che la disciplina vigente
comporti una durata abnorme della direzione dello stesso ufficio giudiziario ed
una dannosa «fissità» degli organigrammi.
6.3. – A parere della parte
privata, il sindacato sulla razionalità delle norme (cioè quello condotto in
assenza di tertia comparationis sui
quali misurare l’eventuale connotazione discriminatoria delle norme medesime)
deve fermarsi sulla soglia della non manifesta irragionevolezza.
Questa Corte avrebbe talvolta
operato anche un vaglio «positivo» di ragionevolezza delle norme censurate, ma
ciò sarebbe accaduto solo a fronte di disposizioni dal significato derogatorio
rispetto a principi generali di rilievo costituzionale, ove la deroga non
appariva ragionevolmente giustificata (sono citate, in questa prospettiva, le sentenze n. 26
del 2007 e n.
393 del 2006).
Nel caso di specie uno schema
siffatto sarebbe, ad avviso della parte, assolutamente improponibile, perché la
regola censurata è conforme a criteri di buona organizzazione e comunque non
deroga ad alcun principio di rilievo costituzionale, così palesando la sua
piena pertinenza al ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa.
7. – Nel giudizio concernente
l’ordinanza r.o. n. 239 del 2007 è intervenuto, con
atto depositato il 29 marzo 2007, il dottor L.D.R., parte di un diverso
procedimento pendente avanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
promosso mediante un ricorso da lui stesso proposto contro il provvedimento con
il quale, in data 23 gennaio 2007, il Consiglio superiore della magistratura
aveva disatteso la sua domanda per un posto di presidente di corte di appello,
conferendo l’incarico ad altro magistrato.
Secondo l’interessato,
l’intervento dovrebbe essere considerato ammissibile per garantire il suo
diritto al contraddittorio relativamente ad una questione già sollevata anche
nel giudizio da lui promosso, la cui soluzione sarebbe condizionata, in modo
potenzialmente risolutivo, dalla decisione che questa Corte è chiamata ad
assumere nel presente giudizio.
8. – Il 5 giugno 2007 è stata
depositata una memoria nell’interesse del dottor L.D.N. (r.o.
n. 239 del 2007), volta essenzialmente alla confutazione degli assunti
prospettati nell’atto di costituzione del controinteressato.
A proposito della finalità
concorrente attribuita al legislatore – quella di evitare che gli uffici
direttivi siano esercitati da persone troppo anziane – la parte osserva come
proprio la disciplina censurata realizzi le premesse per l’esercizio delle
funzioni direttive fino ai settantacinque anni di età, e per quasi un decennio,
ad opera dei magistrati attualmente legittimati. Non avrebbe alcuna
giustificazione, d’altro canto, la pretesa di una diversa idoneità (ratione aetatis) per
l’esercizio delle funzioni ordinarie e di quelle direttive, come dimostrato tra
l’altro dall’assenza di preclusioni per gli incarichi apicali nella Corte di
cassazione.
L’irragionevolezza della
disciplina censurata, secondo la parte, sarebbe posta in chiara evidenza dalla
sua eccentricità rispetto alle soluzioni di opportuna flessibilità adottate in
precedenza dal Consiglio superiore della magistratura ed alla normativa vigente
per ogni magistratura diversa da quella ordinaria.
9. – Il 6 giugno 2007 è stata
depositata una memoria nell’interesse del dottor L.R., controinteressato nel
giudizio di cui all’ordinanza r.o. n. 239 del 2007.
Il giudizio di ragionevolezza
richiede, secondo la difesa della parte, la chiara individuazione di un tertium comparationis,
che nella specie farebbe difetto, con conseguente inammissibilità della
questione. Ove poi si fosse voluto istituire un raffronto tra la disciplina del
servizio antecedente e quella del servizio successivo al compimento dei
settanta anni, dovrebbe constatarsi che non si tratta di corpi normativi in
situazione di convivenza incoerente. La comune attualità del servizio prestato
non esclude che il legislatore possa differenziare il trattamento dei
magistrati riguardo alla natura ed alla durata delle funzioni esercitate, ed
anzi vi sarebbero nell’ordinamento giudiziario altre situazioni dello stesso
genere, che si legittimano alla luce di presunzioni ragionevoli di maggiore o
minore idoneità allo svolgimento di determinate funzioni (sono citate le norme
sull’accesso agli uffici di carattere monocratico).
Si ribadisce, nella memoria,
che non sussisterebbe l’asserita eccedenza della disciplina censurata rispetto
alla ratio della sua introduzione,
perché detta ratio non si limita alla
garanzia di permanenza minima nell’ufficio, investendo piuttosto lo
«svecchiamento» della dirigenza degli uffici giudiziari. Per altro verso, il fatto
stesso che il servizio «ordinario» cessi ancor oggi a settanta anni
delegittima, sempre a parere della parte, la pretesa necessità di una
considerazione indistinta del servizio «prolungato».
La circostanza che
l’avanzamento di età oltre i sessantasei anni non rileva per i magistrati
ingiustamente sottoposti a sospensione (e in altri casi analoghi) si
spiegherebbe, ancora, alla luce delle finalità «risarcitorie» sottese alla
deroga.
Da ultimo, la parte osserva
che la comparazione con la disciplina degli incarichi direttivi per altri corpi
giudiziari non è stata proposta dal rimettente, ma solo dal controinteressato,
e in ogni caso varrebbe a dimostrare, semmai, l’irrazionalità delle regole
invocate in comparazione.
10. – In data 8 giugno 2007 è
stato depositato, sempre con riguardo al giudizio concernente l’ordinanza di
rimessione r.o. n. 239 del 2007, atto di intervento
nell’interesse del dottor G.L., recentemente designato quale presidente di una
corte di appello all’esito della procedura concorsuale dalla quale è stato
escluso, in applicazione delle norme censurate, il già citato dottor L.D.R.
Anche secondo il nuovo interveniente, la costituzione delle parti di giudizi
con oggetto analogo a quello del procedimento a quo, nei quali già sia stata sollevata la stessa questione posta
ad oggetto del giudizio incidentale, sarebbe legittimata dall’incidenza
sostanziale della relativa decisione sulla posizione di quelle stesse parti, e
dalla necessità di evitare che l’opportunità di interlocuzione avanti alla Corte
sia condizionata dai «sidera lites» che
hanno determinato la trattazione più sollecita di una tra le molte controversie
dello stesso genere.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio ha sollevato – in riferimento agli artt. 3,
97 e 105 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 45, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la
riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica
della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e
il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per
l’emanazione di un testo unico), e del combinato disposto degli artt. 2, comma
10, lettera a), della stessa legge n.
150 del 2005 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20 (Disciplina
transitoria del conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti
di legittimità, nonché di primo e secondo grado, a norma dell’articolo 2, comma
10, della legge 25 luglio 2005, n. 150).
Tali norme sono oggetto di
censura nella parte in cui prevedono che gli incarichi direttivi concernenti
uffici giudiziari di merito siano conferiti solo a magistrati che assicurino
almeno quattro anni di servizio prima della data di «ordinario collocamento a
riposo» indicata dall’art. 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n.
511 (Guarentigie della magistratura), cioè quella di compimento del
settantesimo anno di età dell’interessato.
Il rimettente ha proposto le
questioni indicate con due distinte ordinanze di analogo tenore, deliberate
nell’ambito di altrettanti procedimenti, e poiché i provvedimenti riguardano le
stesse norme, ed evocano gli stessi parametri costituzionali, può procedersi
alla riunione dei relativi giudizi.
2. – In via preliminare, va
ribadita l’inammissibilità degli interventi spiegati dai dottori L.D.R. e G.L.
nel procedimento r.o. n. 239 del 2007. Come ricordato
nell’ordinanza già deliberata e pubblicata nel corso dell’udienza, possono
partecipare al giudizio di legittimità costituzionale, per costante
giurisprudenza di questa Corte, le sole parti del giudizio principale ed i
terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al
rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma oggetto di censura.
3. – La questione relativa
all’art. 2, comma 10, lettera a),
della legge n. 150 del 2005 è inammissibile.
3.1. – La disposizione sopra
citata è contenuta in una legge di delegazione ed esprime una norma di
contenuto identico a quella introdotta in attuazione della delega, cioè l’art.
3 del d.lgs. n. 20 del 2006. Si tratta della disciplina transitoria dettata per
il periodo antecedente all’entrata in vigore delle norme di cui alla lettera h), numero 17, del comma 1 dell’art. 1
della menzionata legge di delegazione.
A prescindere da ogni
considerazione sull’uso, da parte del giudice rimettente, dell’espressione
«combinato disposto», per indicare due norme uguali contenute in due diverse
disposizioni, si deve rilevare che l’art. 2, comma 10, lettera a), della legge n. 150 del
4. – La questione relativa
agli artt. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005 e 3 del d.lgs. n. 20 del
2006 è fondata.
4.1. – Va disattesa
innanzitutto l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello
Stato con riferimento all’art. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005 e
fondata sulla presunta non applicabilità della suddetta disposizione, la cui
efficacia è cessata dal 28 gennaio 2006.
In una delle due ordinanze
introduttive del presente giudizio (r.o. n. 239 del
2007) si chiarisce che il provvedimento del Consiglio superiore della
magistratura assunto in data 31 maggio 2006, con il quale il ricorrente era
stato dichiarato non legittimato ai fini della partecipazione ad un concorso
per l’attribuzione di un ufficio direttivo di merito, è basato esplicitamente
sull’art. 2, comma 45, della legge n. 150 del
4.2. – Gli artt. 2, comma 45,
della legge n. 150 del 2005 e 3 del d.lgs. n. 20 del 2006 sono in contrasto con
l’art. 3 della Costituzione per i motivi di seguito specificati.
Secondo le due disposizioni
citate, che contengono la stessa disciplina, i magistrati che abbiano compiuto
il sessantaseiesimo anno di età sono esclusi dalla procedura selettiva per
l’attribuzione di un incarico direttivo di merito (l’art. 3 del d.lgs. n. 20
del 2006 precisa che occorre aver riguardo, in proposito, alla data di vacanza
del posto), poiché non sono in grado di assicurare quattro anni di servizio
prima della data dell’ordinario collocamento a riposo, fissata a settanta anni
di età dall’art. 5 del r.d.lgs. n. 511 del 1946.
La scelta del legislatore di
riservare l’attribuzione di incarichi direttivi ai magistrati che possano
garantire un certo numero di anni di esercizio degli stessi mira a realizzare
una congrua continuità nell’espletamento delle delicate funzioni direttive
degli uffici giudiziari e ad evitare con ciò il conferimento degli stessi
incarichi per periodi troppo
brevi. Si tratta di una non irragionevole finalità di efficienza,
che non può essere sindacata da questa Corte, così come non può essere
sindacato il numero di anni considerato dal legislatore necessario e
sufficiente per conseguire il predetto scopo.
Nel complessivo impianto della
delega legislativa, la regola oggi censurata si accompagnava al principio della
temporaneità degli incarichi direttivi negli uffici giudiziari di merito (sino
ad un massimo di sei anni introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera m), numero 3, della legge n. 150 del
2005). In tal modo si integravano e si equilibravano le ragioni complementari
della congrua durata degli incarichi direttivi e della rotazione degli stessi,
riservati a magistrati che, in ogni caso, non avessero superato il
settantaduesimo anno di età.
Nella medesima legge di
delegazione legislativa veniva però inserita una norma transitoria che
estrapolava uno degli elementi costitutivi della disciplina «a regime» per il
conferimento degli incarichi direttivi, anticipandone l’efficacia e con ciò
producendo uno squilibrio nella regolazione della materia, che ha determinato
una contraddizione irragionevole tra la norma censurata e la stessa ratio della legge di riforma. Separare
la prescrizione sull’età dei concorrenti da quella sulla temporaneità degli
incarichi direttivi ha avuto l’effetto di porre i magistrati che hanno compiuto
sessantasei anni alla data della vacanza del posto in una posizione inutilmente
ed irragionevolmente svantaggiata rispetto a coloro che, alla stessa data, non
avessero raggiunto tale età.
Il punto di riferimento per il
computo dei quattro anni di servizio rimanenti – richiesti dalla norma
censurata al fine della legittimazione a concorrere per l’assegnazione di un
incarico direttivo – era ragionevolmente individuato nella data di ordinario
collocamento a riposo in un contesto normativo ove si prevedeva che comunque,
dopo sei anni al massimo, l’incarico stesso dovesse essere affidato ad altri.
Così impostata la disciplina, si sarebbe ottenuto il risultato ulteriore di non
consentire ad alcun magistrato di occupare un ufficio direttivo dopo il
settantaduesimo anno di età.
La scissione tra le due sopra
ricordate componenti della disciplina ha determinato invece una irragionevole
esclusione dalle procedure selettive di coloro che, pur avendo compiuto
sessantasei anni di età alla data della vacanza del posto, sono ugualmente in
grado di assicurare almeno altri quattro anni di servizio, avvalendosi del
diritto a prolungare la propria permanenza nei ruoli della magistratura sancito
dall’art. 16, comma 1-bis, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del
sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3
della legge 23 ottobre 1992, n. 421), aggiunto dall’art. 34, comma 12, della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003). L’esercizio di
tale diritto non è assoggettato ad alcuna condizione, mentre nessuna
discrezionalità è concessa al Consiglio superiore della magistratura in ordine
all’accoglimento della domanda di trattenimento in servizio sino al
settantacinquesimo anno di età.
Di tale diritto godono tutti i
magistrati, sia che abbiano ottenuto un ufficio direttivo prima del compimento
del sessantaseiesimo anno di età, sia che non abbiano avuto accesso a funzioni
direttive prima di superare la soglia di età preclusiva della partecipazione
alle procedure selettive. Si è prodotta, di conseguenza, la singolare
situazione, in base alla quale coloro che hanno ottenuto l’incarico direttivo
prima del compimento dei sessantasei anni possono mantenerlo sino a
settantacinque anni (per almeno nove anni), mentre i loro colleghi che non
hanno ottenuto l’incarico prima del limite di età previsto dalla legge restano
per sempre esclusi. L’effetto pratico di tale situazione è che magistrati della
stessa anzianità vengono considerati idonei o non idonei ad esercitare un
ufficio direttivo a seconda se abbiano ottenuto o meno il relativo incarico
prima del compimento del sessantaseiesimo anno, quasi che la partecipazione con
esito positivo ad un concorso prima di tale soglia di età si proietti sul futuro,
assicurando l’idoneità del magistrato in questione a svolgere le funzioni
direttive anche dopo il superamento della data di ordinario collocamento a
riposo, considerata invece limite invalicabile, ai fini della legittimazione,
per gli ultrassessantaseienni.
Le differenziate prognosi di
idoneità/inidoneità per il futuro riferite alle due categorie di magistrati
sono prive di qualsiasi giustificazione razionale, giacché, a parità di
anzianità, gli uni possono continuare a dirigere l’ufficio già ricoperto,
mentre gli altri sono stati ritenuti in partenza inidonei a svolgere le stesse
funzioni, sol perché la norma censurata non prevede che la durata minima
nell’incarico prescritta dalla legge possa essere garantita anche in seguito
all’esercizio del diritto al prolungamento del servizio oltre il settantesimo
anno di età.
La ratio legis, che può agevolmente
desumersi dalla normativa «a regime» prevista dalla legge di delega, viene
contraddetta dalla disciplina transitoria, giacché risulta vanificato sia il
fine dell’abbassamento dell’età utile per diventare titolari di uffici
direttivi della giurisdizione ordinaria sia quello della rotazione degli
stessi. Lo scopo di riservare i suddetti incarichi a magistrati relativamente
meno anziani è contraddetto dalla possibilità, per coloro che ottengono
l’ufficio prima dei sessantasei anni, di mantenerlo sino al compimento dei
settantacinque anni. Il fine della rotazione è ugualmente contraddetto dalla
medesima facoltà di cui dispongono i magistrati in questione. L’unico risultato
che residua è l’esclusione dalle procedure selettive dei magistrati che, alla
data della vacanza del posto messo a concorso, abbiano già compiuto sessantasei
anni di età.
L’esclusione è manifestamente
irragionevole in quanto si pone in contrasto con le finalità stesse della legge
in cui è contenuta come norma transitoria. Tale irragionevolezza si è
inevitabilmente trasmessa all’art. 3 del d.lgs. n. 20 del 2006, attuativo di
una delega (conferita con l’art. 2, comma 10, lettera a), della legge n. 150 del 2006) che riproduce integralmente detta
disciplina transitoria, ulteriormente riprodotta nella norma delegata.
Questa Corte ha già da tempo
precisato che il giudizio di ragionevolezza consiste in «un apprezzamento di
conformità tra la regola introdotta e la "causa” normativa che la deve
assistere» (sentenza
n. 89 del 1996). Nel caso di specie, l’intrinseca contraddizione rilevabile
all’interno della disciplina della particolare materia del conferimento degli
incarichi direttivi giudiziari si risolve, nella pratica, nell’ingiustificata
esclusione da un diritto – la partecipazione alle procedure selettive – di una
categoria di soggetti, i magistrati ultrasessantaseienni,
senza che tale limitazione della loro sfera giuridica sia basata su finalità o
interessi coerenti rispetto alla stessa e conformi a Costituzione.
La libertà di scelta del
legislatore trova il suo limite – secondo il consolidato orientamento di questa
Corte – nel divieto di trattamenti giuridici differenziati, di cui non sia dato
capire la motivazione logica e razionale, alla luce dei principi
costituzionali. Le norme che incorrono in tale divieto si pongono in contrasto
con l’art. 3 della Costituzione.
La disciplina censurata dal
rimettente risulta illegittima, dunque, nella parte in cui non prevede che
possano partecipare alle procedure selettive per gli incarichi direttivi negli
uffici di merito i magistrati che abbiano esercitato il diritto al
prolungamento del servizio ex art. 16
del d.lgs. n. 503 del 1992, e così assicurino, comunque, la permanenza per
almeno quattro anni nell’incarico.
5. – Restano assorbiti gli
altri profili delle questioni di legittimità costituzionale prospettati nelle
ordinanze di rimessione.
6. – L’art. 2, comma 45, della
legge n. 150 del 2005 e l’art. 2 del d.lgs. n. 20 del 2006 contengono norme
identiche a quelle di cui sopra si è accertata l’illegittimità costituzionale,
riferite agli incarichi direttivi di legittimità. Fermo restando il periodo di
due anni di servizio che i magistrati aspiranti a tali incarichi devono
assicurare – frutto di scelta insindacabile del legislatore – si deve
dichiarare, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 2 del d.lgs.
n. 20 del 2006, sinora vigente, e dell’inciso relativo agli incarichi direttivi
di legittimità contenuto nell’art. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005,
per il periodo in cui detta disposizione è rimasta in vigore ed ha spiegato
effetti, sulla base delle medesime argomentazioni sviluppate nel paragrafo 4.2.
che precede.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara
inammissibile
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 10, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150
(Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della
giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di
presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico), sollevata, con
riferimento agli artt. 3, 97 e 105 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara l’illegittimità
costituzionale degli artt. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005 e 3 del
decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20 (Disciplina transitoria del
conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità,
nonché di primo e secondo grado, a norma dell’articolo 2, comma 10, della legge
25 luglio 2005, n. 150), nella parte in cui non prevedono che alle procedure di
selezione per il conferimento degli incarichi direttivi di uffici giudiziari di
primo e di secondo grado possano partecipare i magistrati che, per avere
esercitato il diritto al prolungamento del servizio oltre la data di ordinario
collocamento a riposo, previsto dalle norme vigenti, assicurino comunque la
permanenza nell’incarico per almeno quattro anni;
dichiara, ai sensi dell’art.
27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale, in via
consequenziale, degli artt. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005 e 2 del
d.lgs. n. 20 del 2006, nella parte in cui non prevedono che alle procedure di
selezione per il conferimento degli incarichi direttivi di uffici giudiziari di
legittimità possano partecipare i magistrati che, per avere esercitato il
diritto al prolungamento del servizio oltre la data di ordinario collocamento a
riposo, previsto dalle norme vigenti, assicurino comunque la permanenza
nell’incarico per almeno due anni.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2007.
F.to:
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 19 giugno 2007
ORDINANZA
Rilevato che nel presente giudizio incidentale di
legittimità costituzionale sono intervenuti anche soggetti che non rivestono il
ruolo di parti nel giudizio principale;
che, in particolare, il dottor L.D.R. e il dottor
G.L. si sono costituiti nella loro qualità di parti d’un giudizio la cui
soluzione dipenderebbe dall’applicazione delle norme censurate nella presente
sede, e nel cui ambito è stata sollevata questione di legittimità costituzionale
analoga a quella che costituisce l’oggetto del presente giudizio;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte,
possono partecipare al giudizio di legittimità costituzionale le sole parti del
giudizio principale ed i terzi portatori di un interesse qualificato,
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura;
che l’inammissibilità dell’intervento non viene
meno in forza della pendenza di un procedimento analogo a quello principale,
eventualmente sospeso in via di fatto nell’attesa della pronuncia di questa
Corte, posto che la contraria soluzione risulterebbe elusiva del carattere
incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, implicando l’accesso
delle parti prima che, nell’ambito della relativa controversia, sia stata
verificata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione;
che tale considerazione resta valida anche per il
caso che, nel diverso giudizio, sia già stata prospettata, e non ancora
delibata dal giudice procedente, una questione di legittimità (asseritamente) analoga a quella in considerazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibili gli interventi del dottor L.D.R. e del dottor
G.L.
F.to: