SENTENZA N. 298
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 304, primo comma, lett. a) e b), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 9 novembre 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza nel procedimento penale a carico di Varallo Antonio, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
1. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza solleva, in riferimento all'art.3 della Costituzione, questione di legittimità dell'art.304, primo comma, lett. a) e b) del codice di procedura penale "nella parte in cui non consente l'adozione dell'ordinanza ivi prevista anche quando si procede con rito abbreviato".
2. Il remittente premette che la disposizione impugnata prevede, nei casi di impossibilità di procedere al giudizio per impedimento dei difensori, la sospensione del termine di custodia cautelare, ma solo - come può evincersi dalla lettera della norma - con riferimento all'impossibilità di procedere al "dibattimento", nel giudizio ordinario, e non anche al giudizio abbreviato, come nel caso sottoposto al suo esame.
3. La limitazione suddetta - a suo avviso - si risolve in una ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni assolutamente simili, non comprendendosi perchè l'imputato debba ottenere un trattamento differenziato, in materia di termini custodiali, a seconda che il procedimento sia sfociato nel dibattimento ovvero, come nel caso di specie, nel giudizio abbreviato, con la conseguenza che nel secondo caso, astenendosi i difensori dalle udienze, il termine di cui all'art. 303 del codice di procedura penale non può essere sospeso.
Nè la diversa disciplina potrebbe essere giustificata dalle caratteristiche del rito abbreviato quale giudizio allo stato degli atti, che in nessun modo incidono da un lato sull'esercizio del diritto alla difesa e sui diritti di libertà del cittadino, e dall'altro sulle esigenze della giurisdizione, come appaiono bilanciati, gli uni e le altre, nell'art. 304 del codice di procedura penale; ma, al contrario, da questo punto di vista, il rito abbreviato non si discosterebbe dal dibattimento, rappresentando l'uno e l'altro possibili epiloghi decisori del procedimento con pari esigenze cautelari da un lato, ed identica necessità di tutela dei diritti di libertà del cittadino, dall'altro.
4. Quanto infine all'impossibilità di trattazione della causa per l'astensione da tutte le attività di udienza proclamata dagli avvocati e procuratori del foro locale, il giudice remittente precisa che detta situazione processuale è assimilabile, in punto di fatto, a quella delineata dall'art.304, primo comma, lett. a) e b), del codice di procedura penale, riscontrandosi in entrambi i casi l'impossibilità di procedere al giudizio per impedimento difensivo ovvero per mancata presentazione dei difensori, e ciò a seconda che si consideri l'astensione dalle udienze ascrivibile alla fattispecie di cui alla lettera a) o rispettivamente b), del citato articolo.
Considerato in diritto
1. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza solleva, in riferimento all'art.3 della Costituzione, questione di legittimità dell'art.304, primo comma, lett. a) e b), del codice di procedura penale "nella parte in cui non consente l'adozione dell'ordinanza ivi prevista anche quando si procede con rito abbreviato".
2. La disposizione impugnata prevede, nei casi di impossibilità di procedere al giudizio per impedimento dei difensori, la sospensione dei termini di custodia cautelare soltanto - come può evincersi dalla lettera della norma - con riferimento all'impossibilità di procedere al "dibattimento" nel giudizio ordinario, ma non anche al giudizio abbreviato.
Ciò posto, il remittente rileva che detta limitazione si risolve in una ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni assolutamente simili, non sussistendo motivi perchè all'imputato debba applicarsi un differente trattamento, in materia di termini custodiali, a seconda che il procedimento sia sfociato nel dibattimento ovvero nel giudizio abbreviato, con la conseguenza che nel secondo caso, astenendosi i difensori dalle udienze, i termini di cui all'art. 303 del codice di procedura penale non possono essere sospesi.
3. In sostanza, la questione sollevata mira ad introdurre una nuova ipotesi di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare estendendo anche al giudizio abbreviato la disciplina prevista dall'art. 304, primo comma, per il giudizio ordinario.
In questi termini la questione è inammissibile.
Questa Corte ha più volte affermato (v., da ultimo, sent. n. 349 del 1993) che i diritti inviolabili dell'uomo, primo tra tutti quello alla libertà personale, sono espressione di valori fondamentali; per tal motivo la loro limitazione (nei soli casi e modi previsti dalla Costituzione e dalla legge) ha carattere derogatorio ad una regola generale e presenta natura eccezionale: le norme suscettibili di incidere su tali diritti, pertanto, non possono essere applicate per analogia e vanno interpretate in modo rigorosamente restrittivo.
Nel caso in esame tali principi portano immediatamente a ravvisare nel normale decorso dei termini di custodia cautelare la regola generale e, invece, nella sospensione dei termini stessi, una norma di carattere eccezionale, giacchè consente di prolungare la limitazione della libertà personale che la custodia cautelare comporta.
4. Proprio in relazione a siffatto carattere eccezionale, detta norma non può essere assunta come utile termine di raffronto ai fini del giudizio sulla corretta osservanza, da parte del legislatore, del principio di eguaglianza. É infatti costante orientamento di questa Corte che, in presenza di norme generali e di norme derogatorie, in tanto può porsi una questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, in quanto si assuma che queste ultime, poste in relazione alle prime, siano in contrasto con tale principio; viceversa, quando si adotti come tertium comparationis la norma derogatrice, la funzione del giudizio di legittimità costituzionale non può essere se non il ripristino della disciplina generale, ingiustificatamente derogata da quella particolare, non l'estensione ad altri casi di quest'ultima (cfr. ord. n. 666 del 1988, ord. n. 582 del 1988, sent. n. 383 del 1992).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 304, primo comma, lett. a) e b), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1994.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 13/07/1994.