Sentenza n. 117 del 2015

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SENTENZA N. 117

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                               Giudice

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                               ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 49, lettere a), e), f), g), i) ed l), 72, 88, 89, 93, 104, 105 e 108, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo – collegato alla legge di stabilità regionale 2014), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 6-10 ottobre 2014, depositato in cancelleria il 14 ottobre 2014 ed iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;

udito nell’udienza pubblica del 12 maggio 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 6 ottobre 2014, ricevuto il successivo 10 ottobre e depositato il 14 ottobre 2014 (reg. ric. n. 77 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 49, lettere a), e), f), g), i) ed l), 72, 88, 89, 93, 104, 105 e 108, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo – collegato alla legge di stabilità regionale 2014), in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, primo comma, secondo comma, lettere e) ed s), e terzo comma, della Costituzione.

L’art. 1, comma 49, impugnato, alle lettere a), f), g) ed i), istituisce e disciplina la figura professionale della guida archeologica subacquea, con ciò ledendo, a parere del ricorrente, la competenza statale ad individuare nuove figure professionali, anche nel settore turistico (art. 117, terzo comma, Cost.). La lettera e) introduce una nuova modalità di riconoscimento per la professione di interprete turistico, la cui istituzione non spetterebbe alla Regione in base alla sentenza n. 132 del 2010 di questa Corte, in violazione della competenza statale a disciplinare i titoli abilitativi professionali. La lettera l) incorrerebbe nel medesimo vizio, abrogando il requisito della idoneità fisica all’esercizio della professione turistica, già previsto dall’art. 6, primo comma, lettera e), della legge della Regione Campania 16 marzo 1986, n. 11 (Norme per la disciplina delle attività professionali turistiche).

L’art. 1, comma 72, impugnato, modifica l’art. 9 della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione e successive modifiche ed integrazioni), stabilendo anzitutto, alla lettera a), che il termine per definire le domande di condono edilizio da parte delle amministrazioni locali è posticipato dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2015. Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, ciò comporta il rischio di condonare attività edilizie svoltesi successivamente alla chiusura dei termini del condono stesso, in violazione dei valori paesaggistici tutelati dagli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., e comunque ampliando l’area del condono, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Inoltre, posto che il termine è da ritenersi ordinatorio, la disposizione sarebbe manifestamente irragionevole, poiché “inutile”, nonostante il pericolo che essa genererebbe.

La medesima disposizione impugnata, alla lettera b), escluderebbe dal condono le opere realizzate su aree vincolate ai sensi dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), solo se il vincolo comporta l’inedificabilità assoluta e sia stato imposto prima dell’esecuzione dell’opera. A parere del ricorrente, in tal modo, il legislatore regionale negherebbe il carattere ostativo dei vincoli di inedificabilità relativa, e lederebbe la norma interposta costituita dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985, che, con riferimento ai vincoli imposti successivamente all’abuso edilizio, subordina la sanatoria al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo. Sarebbe perciò violato l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché verrebbe ampliata l’area del condono edilizio.

Inoltre sarebbero lesi gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché la norma impugnata permetterebbe sanatorie in zone a rischio idraulico, ove le misure di salvaguardia, in base all’art. 1, punto 3.1., lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 1998 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di cui all’art. 1, commi 1 e 2, del D.L. 11 giugno 1998, n. 180), possono prevedere l’inedificabilità parziale.

L’art. 1, commi 88 e 89, impugnato, lederebbe l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., permettendo alla Regione di individuare uno o più soggetti gestori del servizio idrico, in via transitoria, per un periodo di trentasei mesi, e in attesa di avviare le procedure di affidamento in base alla normativa nazionale e dell’Unione europea. Tali previsioni contrasterebbero con la disciplina transitoria dettata dallo Stato ai fini dell’affidamento del servizio, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza, e in particolare con l’art. 13, commi 2 e 3, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, e con l’art. 7 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164. In base a tali ultime disposizioni, la mancata deliberazione dell’affidamento del servizio entro il 30 giugno 2014 comporterebbe l’esercizio del potere sostitutivo del Prefetto, che completerebbe la procedura entro il 31 dicembre 2014. All’inosservanza dei termini dovrebbe seguire, in ogni caso, la cessazione degli affidamenti non conformi alla normativa europea a tale ultima data.

Inoltre, la disposizione censurata contrasterebbe con gli artt. 142, 147 e 149 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dai quali si evincerebbe che la competenza ad individuare il gestore del servizio idrico spetta all’ente locale e non alla Regione.

L’art. 1, comma 93, impugnato, sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., con riferimento alla tutela dell’ambiente e della concorrenza, nella parte in cui attribuisce alla Regione il compito di determinare le tariffe del servizio idrico (lettera b).

L’art. 1, commi 104 e 105, impugnato, sarebbe lesivo dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost., poiché prorogherebbe in modo automatico le concessioni termominerali in essere, per il tempo strettamente necessario all’approvazione del piano regionale di settore. Tale proroga contrasterebbe con i principi del diritto dell’Unione di «non discriminazione, di parità di trattamento e di tutela della concorrenza», nonché con la libertà di stabilimento (art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). La mancata previsione di una gara ad evidenza pubblica, infatti, si tradurrebbe in una compressione della concorrenza.

L’art. 1, comma 108, impugnato, sempre con riguardo alle concessioni termominerali, violerebbe l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost., poiché permetterebbe di avviare e proseguire l’attività prima che siano concluse le procedure di valutazione di impatto ambientale e di incidenza, ma alla sola condizione che esse siano state avviate. Tale previsione sarebbe contraria all’art. 2, comma 1, della direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione), attuata con l’art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006.

2.– Si è costituita in giudizio la Regione Campania, chiedendo che il ricorso sia dichiarato in parte inammissibile e in parte non fondato.

Con riferimento all’art. 1, comma 49, impugnato, la Regione eccepisce l’inammissibilità della censura, perché lo Stato non ha individuato alcuna norma interposta.

Nel merito, osserva che la competenza regionale a disciplinare le professioni turistiche è desumibile dall’art. 6 del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio), che reca una definizione generale di tali professioni e quindi presuppone che essa sia successivamente svolta con norme di dettaglio regionali.

Inoltre, secondo la Regione, in base all’art. 4, comma 2, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della L. 5 giugno 2003, n. 131), i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali sono stabiliti con legge dello Stato solo per le attività che richiedono una specifica preparazione, a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato. Si tratterebbe di condizione che non concerne né la guida archeologica subacquea, né l’interprete turistico, professioni tradizionalmente disciplinate dalla normativa delle Regioni.

L’abrogazione del requisito dell’idoneità fisica sarebbe applicativa di un principio della legislazione statale traibile dall’art. 42 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98.

Con riferimento all’art. 1, comma 72, impugnato, la Regione rileva che i vincoli previsti dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985 sono di inedificabilità assoluta, e che la norma impugnata non ha affatto il significato di escludere il rilascio del parere favorevole previsto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985. La disposizione sarebbe perciò del tutto conforme alla legislazione statale. Essa, inoltre, non avrebbe ad oggetto il vincolo idrogeologico, poiché esso ha carattere relativo, in base agli artt. 23 e 24 della legge della Regione Campania 7 maggio 1996, n. 11 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 28 febbraio 1987, n. 13, concernente la delega in materia di economia, bonifica montana e difesa del suolo).

Infine, le censure concernenti la proroga del termine per definire le domande di condono sarebbero “inconferenti”, perché tale termine non permette di presentare nuove domande, ma si limita a stabilire che le amministrazioni locali provvedano sulle domande già pendenti.

Con riferimento all’art. 1, commi 88, 89 e 93, impugnato, la difesa regionale osserva che il potere sostitutivo statale è cedevole innanzi all’esercizio delle competenze proprie dell’amministrazione sostituita, sulle quali non può incidere. Spetterebbe perciò alla Regione affidare in via transitoria i servizi che essa stessa gestisce in via di fatto a causa della soppressione delle Autorità d’ambito territoriale. La stessa Autorità per l’energia, il gas e i servizi idrici avrebbe infatti riconosciuto alla Regione il ruolo di gestore di fatto, competente a determinare le tariffe per i servizi da essa effettivamente gestiti.

Con riferimento all’art. 1, commi 104, 105 e 108, impugnato, la Regione sottolinea che la proroga delle concessioni termominerali ha carattere meramente transitorio, in attesa della gara ad evidenza pubblica e dell’adeguamento della normativa interna a quella europea.

Sarebbe poi inammissibile per genericità, e comunque non fondata, la censura relativa all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., poiché la concessione per l’uso delle acque termali, equiparabile alla concessione di servizi sanitari, sarebbe sottratta alla disciplina della concorrenza, in forza dell’art. 2 della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), e dell’art. 1 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).

Infine, sarebbe infondata anche la censura relativa al comma 108, perché l’art. 144 del d.lgs. n. 152 del 2006 esclude le acque termali e minerali dal suo campo applicativo, sicché, «almeno per ciò che attiene le concessioni termali», la norma interposta, individuata nell’art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, sarebbe inapplicabile.

Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato una memoria, insistendo sulle conclusioni già formulate.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 6 ottobre 2014, ricevuto il successivo 10 ottobre e depositato il 14 ottobre 2014 (reg. ric. n. 77 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 49, lettere a), e), f), g), i) ed l), 72, 88, 89, 93, 104, 105 e 108, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo – collegato alla legge di stabilità regionale 2014), in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, primo comma, secondo comma, lettere e) ed s), e terzo comma, della Costituzione.

2.– L’art. 1, comma 49, lettere a), f), g) ed i), della legge impugnata, istituisce e disciplina la figura professionale della guida archeologica subacquea, ovvero di chi accompagna singole persone o gruppi nella esplorazione dei fondali marini o lacustri.

Il ricorrente rileva che si tratta di una professione che non trova riconoscimento nella normativa statale, e che, di conseguenza, per l’art. 117, terzo comma, Cost., la legge regionale non può disciplinare.

2.1.– La Regione Campania ha eccepito l’inammissibilità della censura, poiché il ricorso non ha specificato quale normativa interposta sarebbe stata violata.

L’eccezione non è fondata: il ricorrente non contesta al legislatore campano di avere malamente sviluppato un principio fondamentale della legislazione statale nella materia concorrente «professioni», ma di averlo direttamente formulato, provvedendo alla istituzione e alla regolamentazione di una nuova figura professionale. Tale opzione normativa sarebbe di per sé contraria al riparto costituzionale delle competenze, che riserva alla legislazione statale la indicazione dei principi fondamentali, e, in questi termini, la censura è perciò ammissibile (sentenza n. 132 del 2010).

2.2.– La questione è fondata.

Questa Corte ha reiteratamente affermato che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili, è riservata allo Stato (sentenza n. 353 del 2003; in seguito, tra le molte, sentenze n. 98 del 2013, n. 138 del 2009, n. 93 del 2008, n. 300 del 2007, n. 40 del 2006 e n. 424 del 2005).

Contrariamente a quanto ha sostenuto la difesa regionale, tale asserzione ha già riguardato le professioni turistiche (sentenze n. 132 del 2010, n. 271 del 2009 e n. 222 del 2008), anche nel periodo successivo all’entrata in vigore del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio), il cui art. 6 contiene una definizione generale di professione turistica (sentenza n. 178 del 2014), del resto già offerta dall’art. 7, comma 5, della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo).

Infatti, l’enucleazione di peculiari figure professionali, a partire da un genus indicato dalla legge statale, è preclusa alla legge regionale (sentenza n. 328 del 2009).

2.3.– L’art. 1, comma 49, lettera e), della legge impugnata, modifica l’art. 3, comma 3, della legge della Regione Campania 16 marzo 1986, n. 11 (Norme per la disciplina delle attività professionali turistiche), consentendo che l’interprete turistico riconosciuto dalla Camera di commercio competente per territorio sia iscritto nell’elenco regionale delle attività turistiche.

Il ricorrente ribadisce che, in base all’art. 117, terzo comma, Cost., non spetta alla legge regionale disciplinare elenchi di professioni che non siano state istituite dalla normativa statale.

La questione è fondata.

La legge regionale n. 11 del 1986, nell’attribuire autonomo rilievo all’interprete turistico, si basa sull’art. 11 della legge 17 maggio 1983, n. 217 (Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica), che definiva questa professione, ma che non è più in vigore. Allo stato, perciò, l’interprete turistico non è disciplinato dalla legge dello Stato, con la conseguenza che il legislatore regionale non può prevederne l’iscrizione in un elenco professionale (sentenze n. 132 del 2010, n. 300 e n. 57 del 2007).

2.4.– L’art. 1, comma 49, lettera l), della legge impugnata, abroga l’art. 6, primo comma, lettera e), della legge regionale n. 11 del 1986, che prescriveva il requisito della idoneità fisica per l’esercizio delle professioni turistiche.

Il ricorrente sostiene che l’art. 117, terzo comma, Cost., riserva allo Stato la determinazione dei requisiti di idoneità all’esercizio di una professione.

La questione è inammissibile, poiché la norma impugnata è priva di attitudine lesiva.

Essa, infatti, interviene su una disposizione regionale che deve già ritenersi abrogata in forza dell’art. 4 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della L. 5 giugno 2003, n. 131), con il quale sono stati modificati i principi fondamentali relativi all’accesso alle professioni. In particolare l’art. 4 del d.lgs. n. 30 del 2006 ha enunciato il principio per cui l’accesso alle professioni è libero, nel rispetto delle specifiche disposizioni della legge. Esse definiscono i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione, a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato. Sulla base del nuovo principio fondamentale della materia così enunciato, spetta perciò solo alla legge dello Stato, e nei casi specificamente indicati, la determinazione dei requisiti di accesso alle professioni, con conseguente abrogazione della previgente normativa regionale, come è previsto dall’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, recante «Costituzione e funzionamento degli organi regionali» (sentenza n. 223 del 2007).

3.– L’art. 1, comma 72, della legge impugnata modifica l’art. 9 della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione e successive modifiche ed integrazioni), che disciplina le domande di condono edilizio presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

L’art. 1, comma 72, lettera a), in particolare, proroga al 31 dicembre 2015 il termine assegnato ai Comuni per definire le domande di condono ancora pendenti.

Il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., affermando che la norma impugnata permette irragionevolmente di «integrare» e «modificare» le domande di condono e allarga l’area della sanatoria in danno dei valori ambientali.

La questione non è fondata, perché si basa su un erroneo presupposto interpretativo.

Con ogni evidenza, infatti, la disposizione censurata si limita a formulare un termine sollecitatorio entro cui i Comuni debbono definire le domande pendenti, ma in nessun modo consente che queste ultime siano modificate o integrate. In particolare, il termine indicato dall’art. 9, comma 2, della legge regionale n. 10 del 2004 per inoltrare la documentazione è oramai spirato e non viene riaperto per effetto della disposizione impugnata.

3.1.– L’art. 1, comma 72, lettera b), della legge impugnata modifica il comma 5 dell’art. 9 della legge regionale n. 10 del 2004, nel senso che il condono non è ammesso per gli abusi edilizi realizzati su aree del territorio regionale sottoposte ai vincoli di cui all’art. 33 della legge n. 47 del 1985, «solo ed esclusivamente se i predetti vincoli comportano l’inedificabilità assoluta delle aree su cui insistono e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse».

Il ricorrente lamenta che in tal modo è stata ampliata l’area del condono, sia ammettendo la sanatoria in caso di inedificabilità meramente relativa, sia escludendo la rilevanza dei vincoli sopravvenuti all’abuso, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Con riguardo al solo vincolo idrogeologico, viene dedotta anche la lesione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché si ammetterebbe la sanatoria di opere eseguite «in zone a “rischio idraulico”», ovvero in zone indicate dai piani di bacino come potenzialmente soggette ad esondazioni d’acqua, ed eventualmente vincolate, o soggette a misure di salvaguardia in attesa del vincolo.

Le questioni non sono fondate.

È pacifico che non spetta alla legge regionale allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato (sentenza n. 196 del 2004).

Nel caso di specie, la norma impugnata va perciò posta a raffronto con l’art. 33 della legge n. 47 del 1985, che esclude la sanatoria di opere in contrasto con vincoli che comportino l’inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse.

Quanto alla natura di tale inedificabilità, costituisce diritto vivente che, nell’ambito dei condoni aperti con le leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, essa rileva, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, soltanto se di carattere assoluto (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 7 giugno-22 luglio 1999, n. 20), posto che gli effetti del vincolo di inedificabilità relativa sono regolati, entro tale contesto normativo, dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985.

Diverso è il caso del cosiddetto terzo condono, di cui all’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione al quale questa Corte ha già rilevato che il suo oggetto è «più circoscritto» (sentenza n. 225 del 2012), così da attribuire carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta (sentenze n. 290 e n. 54 del 2009; ordinanza n. 150 del 2009).

Ora, l’art. 9 della legge regionale n. 10 del 2004, e perciò la norma impugnata che lo ha modificato, non ha per oggetto il cosiddetto terzo condono, ma esclusivamente i precedenti, di cui intende sollecitare la definizione. Ne consegue che la disposizione censurata, inapplicabile alle domande presentate ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, si limita a recepire quanto previsto dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, con riguardo al carattere assoluto della inedificabilità.

Analoga conclusione va tratta con riferimento alla porzione della norma impugnata che attribuisce rilievo ai soli vincoli imposti prima dell’esecuzione delle opere, con formula lessicale identica a quella contenuta nell’art. 33 della legge n. 47 del 1985.

La piena coincidenza del portato normativo della norma impugnata con quello dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985 rende non fondata anche la questione concernente il rispetto del vincolo idrogeologico, la cui osservanza è parimenti assicurata dalla disposizione censurata e dalla normativa statale di riferimento.

4.– I commi 88 e 89 dell’art. 1 della legge impugnata, prevedono, quanto ai servizi idrici integrati ancora in gestione alla Regione Campania, che quest’ultima ne affidi mediante convenzione la gestione provvisoria, per trentasei mesi, ad uno o più soggetti gestori del servizio tra quelli operanti nei rispettivi ambiti territoriali ottimali di competenza.

L’art. 1, comma 93, lettera b), della stessa legge, cui deve ritenersi limitata la censura, assegna poi alla cosiddetta «Struttura» lo svolgimento delle attività di competenza della Regione finalizzate alla determinazione delle tariffe.

Il ricorrente reputa lese le competenze esclusive dello Stato in materia di tutela della concorrenza e dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettere e ed s, Cost.).

Le questioni sono fondate, in relazione ad entrambi i parametri indicati.

Questa Corte ha già affermato che il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale a rilevanza economica, in relazione al quale spetta alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e dell’ambiente stabilire, sia le forme di gestione, sia le modalità di affidamento al soggetto gestore, sia il procedimento di determinazione della tariffa (sentenza n. 246 del 2009).

In particolare, in base a quanto stabilito fin dall’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), non rientra tra le competenze regionali individuare direttamente il soggetto gestore del servizio idrico integrato (sentenze n. 228 del 2013 e n. 62 del 2012), posto che tale funzione è attribuita dall’art. 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, all’ente di governo istituito o designato dalla Regione, come da ultimo ribadito con l’art. 149-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), introdotto dall’art. 7, comma 1, lettera d), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164.

Le norme impugnate, viceversa, provvedono proprio in tal senso, invadendo le attribuzioni statali dedotte a fondamento del ricorso.

È fuor di dubbio, in definitiva, che il legislatore regionale non ha competenza in punto di affidamento del servizio. Pertanto, la difesa della Regione Campania ha torto quando afferma che le norme impugnate sarebbero espressione di un potere che lo Stato può esercitare in via sostitutiva, ai sensi dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, ma la cui titolarità permarrebbe in capo alla Regione, che avrebbe appunto provveduto per mezzo della legge impugnata. La sola competenza regionale oggetto di eventuale esercizio del potere sostitutivo, tra quelle pertinenti, attiene alla istituzione o alla designazione dell’ente di governo, ed è estranea al contenuto delle disposizioni oggetto di censura.

Né ha rilievo alcuno la circostanza, segnalata dalla difesa regionale, che la Regione Campania è ancora gestore in via di fatto di parte del servizio.

È ovvio, infatti, che l’inerzia regionale nella individuazione dell’ente di governo, entro il termine originariamente fissato al 30 giugno 2012 dall’art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011, ed il mancato affidamento della gestione, da parte di quest’ultimo, nelle forme e nei termini inizialmente indicati dall’art. 34, commi 20 e 21, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, pur parzialmente derogati dall’art. 13 del d.l. n. 150 del 2013, non valgono a giustificare l’ulteriore esercizio di una competenza legislativa che non spetta alla Regione. Con essa, per di più, la Regione Campania intende differire di trentasei mesi il doveroso perfezionamento delle procedure imposte dalla normativa statale per l’affidamento del servizio al gestore da parte dell’ente di governo, nei termini da ultimo disciplinati dall’art. 7 del d.l. n. 133 del 2014, che ha modificato, a tal fine, il d.lgs. n. 152 del 2006.

Analogo ragionamento chiarisce la fondatezza delle questioni relative all’art. 1, comma 93, lettera b), con il quale si postula la competenza della Regione, per mezzo della cosiddetta «Struttura», a partecipare al procedimento di determinazione delle tariffe.

Invero, in base agli artt. 149, comma 1, lettera d), e 152, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, tale compito è di spettanza dell’ente di governo, che è subentrato alle Autorità d’ambito, e deve predisporre la tariffa di base da sottoporre all’approvazione dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

In forza di tale opzione normativa, appartenente alla sfera di competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 29 del 2010), è inibito al legislatore regionale riservare alla Regione una funzione che non le spetta, ed il cui esercizio in via di fatto ancora una volta non giustifica l’alterazione delle sfere di competenza legislativa. Del resto, l’art. 3, comma 1, lettera f), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 (Individuazione delle funzioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, ai sensi dell’articolo 21, comma 19 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), consente all’Autorità per l’energia elettrica e il gas di determinare in via provvisoria le tariffe, quando manchi la predisposizione di esse da parte dell’ente competente, che, nel caso di specie, è solo l’ente di governo.

5.– L’art. 1, commi 104 e 105, della legge impugnata proroga, per un periodo massimo di cinque anni, le concessioni termominerali scadute ed in fase di prosecuzione (art. 1, comma 104, lettera a, numero 1), ovvero destinate a scadere nei cinque anni successivi alla data di entrata in vigore della legge (art. 1, comma 104, lettera a, numero 2). La proroga è disposta in attesa dell’approvazione del piano regionale di settore.

Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost., poiché la proroga automatica delle concessioni contrasterebbe con la libertà di stabilimento (art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e con i principi di «non discriminazione, parità di trattamento e tutela della concorrenza», operanti nello spazio dell’Unione. Verrebbe infatti eluso l’obbligo della gara pubblica, in danno anche della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.

Le censure, a cui resta estraneo l’art. 104, comma 1, lettera b), impugnato, che concerne l’avvio di nuove attività, sono chiare ed adeguatamente sviluppate: è perciò infondata l’eccezione di inammissibilità per genericità, sollevata dalla difesa regionale, data la palese incidenza della disciplina censurata sulla materia della concorrenza e la evidente interferenza rispetto ai principi generali stabiliti dalla legislazione statale e comunitaria (sentenza n. 114 del 2012).

5.1.– Le questioni sono fondate, con riferimento ad entrambi i parametri costituzionali dedotti.

L’attività di sfruttamento oggetto di concessione termominerale ricade nel campo applicativo della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), attuata dal decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), posto che tali fonti hanno ad oggetto «qualunque attività economica, di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 59 del 2010), salve le eccezioni specificamente indicate.

Tra tali eccezioni non rientra lo sfruttamento delle acque termali per fini terapeutici ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 59 del 2010, come questa Corte ha già ritenuto, dichiarando l’illegittimità costituzionale di una norma regionale campana che aveva sottratto le concessioni termominerali al campo applicativo del d.lgs. n. 59 del 2010, in quanto afferenti alle attività sanitarie (sentenza n. 235 del 2011).

La Corte, in tale occasione, ha riconosciuto l’applicabilità della direttiva 2006/123/CE e del d.lgs. n. 59 del 2010 alle concessioni del demanio idrico.

L’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, quando l’attività deve essere contingentata a causa della scarsità delle risorse naturali, impone una procedura di evidenza pubblica per la scelta del concessionario e vieta la proroga automatica delle concessioni, nonché l’attribuzione di «vantaggi» al concessionario uscente.

Si tratta di disposizioni che favoriscono l’ingresso nel mercato di altri operatori economici e ostano all’introduzione di barriere tali da alterare la concorrenza tra imprenditori (sentenze n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010), la cui efficacia non può venire paralizzata neppure transitoriamente, a causa dell’inerzia della Regione nell’approvazione del piano regionale di settore delle acque.

Ne segue che l’automatica proroga delle concessioni termominerali disposta dalle norme impugnate, per un periodo di tempo peraltro considerevole e superiore a quanto strettamente necessario ai fini della definizione della gara pubblica, contrasta con tali regole, espressive del diritto dell’Unione e proprie della sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza.

Questa Corte ha infatti già reputato illegittima, anche con riferimento all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo (da ultimo, sentenza n. 171 del 2013), nonché quella delle concessioni idriche (sentenza n. 114 del 2012).

5.2.– L’art. 1, comma 108, della legge impugnata, stabilisce a quali condizioni possono essere avviate, ovvero proseguite, le attività oggetto dei precedenti commi 104 e 105.

Dal tenore del ricorso si evince chiaramente che oggetto di impugnazione è la sola lettera a) del comma 108, con la quale si consente l’esercizio della concessione, purché siano state avviate le procedure di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, e perciò anche prima che esse siano concluse favorevolmente.

Il ricorrente ritiene leso l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in materia di tutela dell’ambiente, perché, sia il diritto dell’Unione, sia l’art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedono che la valutazione di impatto ambientale (VIA) abbia carattere preventivo rispetto all’inizio dell’attività, al pari di quanto è stabilito per la valutazione di incidenza ambientale (VINCA).

Le questioni sono fondate, con riguardo ad entrambi i parametri invocati.

Va precisato che le censure debbono essere valutate con riferimento all’avvio di nuove attività di cui all’art. 1, comma 104, lettera b), della legge impugnata, posto che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della lettera a) del medesimo comma, quanto alla prosecuzione delle attività già in essere, priva di oggetto la norma impugnata, nella parte in cui si riferisce a queste ultime.

Non è dubbio che la disciplina della VIA e della VINCA sia riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, anche con riferimento agli effetti connessi al rilascio di concessioni relative alle acque minerali e termali (sentenza n. 1 del 2010).

La legislazione statale, peraltro, attua quanto disposto dalla normativa dell’Unione, in base alla quale VIA e VINCA debbono precedere l’avvio dell’attività (art. 2, comma 1, della direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione, e art. 6, comma 3, della direttiva 21 maggio 1992, n. 92/43/CEE – Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), e provvede in tal senso con l’art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, e con l’art. 5, comma 8, del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche).

Una volta postulata la necessità di procedere a VIA e VINCA, come presuppone la norma impugnata, non vi è alcuno spazio per il legislatore regionale che gli permetta di apportare deroghe alla natura preventiva di tali istituti (sentenze n. 28 del 2013 e n. 227 del 2011).

È perciò da escludere, come invece suggerisce la difesa regionale, che l’art. 144, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, che fa salva l’applicazione alle acque termali, minerali e per uso geotermico della normativa speciale ad esse dedicata, precluda l’operatività dell’art. 26, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, con il quale si attua una previsione del diritto dell’Unione di necessaria rilevanza, ogni qual volta sia richiesta la valutazione di impatto ambientale.

Disponendo in senso contrario, la norma impugnata ha leso l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 49, lettere a), e), f), g), i), 88, 89, 93, lettera b), 104, lettera a), 105 e 108, lettera a), della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo – collegato alla legge di stabilità regionale 2014);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 49, lettera l), della legge della Regione Campania n. 16 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 72, della legge della Regione Campania n. 16 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2015.