ORDINANZA N. 150
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, promosso dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, nei procedimenti riuniti relativi a M. E. ed altri, con ordinanza del 21 agosto 2008, iscritta al n. 378 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 aprile 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che con ordinanza del 21 agosto 2008, pervenuta a questa Corte il 5 novembre 2008 (reg. ord. n. 378 del 2008), il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione agli artt. 3, 24, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l) e terzo comma, e 119 della Costituzione, nella parte in cui prevedrebbe, «secondo il diritto vivente», che nelle aree sottoposte a vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), è possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi «di minore rilevanza»;
che il rimettente premette di avere riunito centoquaranta analoghi procedimenti, aventi ad oggetto l’esecuzione dell’ordine di demolizione di opere abusive pronunciato insieme con la condanna penale conseguente alla realizzazione di tali opere;
che, in riferimento a queste ultime, è stata presentata domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, ed è stata corrisposta la relativa oblazione, sicché nei giudizi a quibus i condannati domandano la revoca dell’ordine di demolizione, o, quantomeno, la sua sospensione in attesa che si perfezioni il procedimento di condono edilizio;
che le opere sorgono su area soggetta al vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985;
che, a parere del rimettente, “il diritto vivente” formatosi con riguardo alla disposizione impugnata prevede che entro tali aree possono beneficiare del condono le sole opere di restauro e risanamento conservativo, nonché di manutenzione straordinaria, nei casi indicati nell’Allegato I al d.l. n. 269 del 2003, punti 4, 5 e 6;
che, nel caso di specie, le opere di cui si è ingiunta la demolizione non rientrano in tali tipologie minori e pertanto non possono beneficiare della sanatoria, sicché sarebbe comunque preclusa al giudice dell’esecuzione sia la revoca, sia la sospensione dell’ordine;
che il rimettente imputa la formazione di tale diritto vivente alla sentenza 12 gennaio 2007, n. 6431, della Corte di cassazione, sezione III penale;
che l’assetto normativo che ne sarebbe conseguito pare al rimettente in contrasto anzitutto con gli artt. 3 e 24 Cost.;
che, allo scopo di motivare il proprio dubbio di legittimità costituzionale, il rimettente sottopone a critica l’impianto argomentativo della predetta pronuncia della Corte di cassazione, proponendo rilievi ermeneutici di segno contrario;
che, in particolare, il giudice a quo sostiene che la limitazione della sanatoria agli interventi edilizi minori, previa acquisizione del parere delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, sarebbe incongrua rispetto alla previsione, anch’essa recata dal medesimo art. 32, per la quale tale parere non è necessario quando si tratti delle più gravi violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il due per cento delle misure prescritte;
che, inoltre, non sarebbe giustificata, alla luce del carattere minore degli interventi sanabili, la necessità, prevista dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985, di convocare una «dispendiosa» conferenza dei servizi per l’acquisizione dei prescritti pareri;
che, poi, sarebbe inspiegabile la ragione per cui potrebbero venire sanati i soli interventi minori, quando invece l’art. 32, comma 17, del d.l. n. 269 del 2003 consentirebbe di conservare l’opera realizzata sul demanio statale, in forza di parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo;
che, infine, «l’unico parametro da considerare per delimitare l’ambito oggettivo di applicazione della sanatoria straordinaria nelle aree sottoposte a vincolo» sarebbe rappresentato non già dalla norma impugnata, ma dall’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, che, secondo quanto avrebbe affermato questa Corte con la sentenza n. 49 del 2006, attribuirebbe carattere ostativo rispetto alla sanatoria ai soli vincoli di inedificabilità assoluta, consentendo al contrario in ogni altro caso (e quindi non solo per gli interventi edilizi minori) il condono sulle aree soggette a vincolo di altra natura, purché l’opera sia conforme allo strumento urbanistico;
che, sulla base di tali premesse, il rimettente ritiene che la disposizione censurata sia irragionevole, posto che essa determinerebbe, secondo l’interpretazione offertane dal diritto vivente, gli effetti “incongrui” appena segnalati;
che, inoltre, tale «interpretazione restrittiva in malam partem» della norma impugnata, riducendo l’area della sanatoria, diminuirebbe il gettito finanziario conseguente al condono, ledendo così gli artt. 81 e 119 Cost., nonché l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e) e terzo comma, Cost., in relazione alla competenza statale in materia di “rapporti dello Stato con l’Unione europea”, “moneta” e “coordinamento della finanza pubblica”;
che sarebbero lesi, altresì, gli artt. 3, 42 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. (“ordinamento civile e penale”), «dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico» riceverebbe «un diverso trattamento giudiziario a seconda della natura vincolata o meno dell’area oggetto dell’intervento», generando “radicali incertezze in ordine agli effetti dell’oblazione corrisposta per la sanatoria”;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che, a parere dell’Avvocatura, il carattere eccezionale del condono edilizio esclude che possa ritenersi irragionevole una norma «che tende a graduare la sanabilità degli interventi edilizi, consentendola solo per quelli minori e vietandola per quelli più gravi», a maggior ragione se si considera che gli interventi di restauro e risanamento conservativo appaiono “meno lesivi del territorio e del paesaggio”.
Considerato che il Giudice dell’esecuzione penale del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione agli artt. 3, 24, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e), ed l) e terzo comma, e 119 della Costituzione, nella parte in cui prevede, «secondo il diritto vivente», che nelle aree sottoposte a vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), è possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi “di minore rilevanza”;
che nei giudizi di esecuzione a quibus si chiede la revoca, o comunque la sospensione, dell’ordine di demolizione di opere che insistono su area vincolata, ma non rientrano in tali ultime tipologie minori;
che il rimettente ritiene di dubbia legittimità costituzionale il divieto di sanatoria che ne deriva, a propria volta preclusivo rispetto all’accoglimento della domanda di revoca o di sospensione dell’ordine di demolizione;
che, a parere del giudice a quo, tale divieto contrasta con gli artt. 3 e 24 Cost. e costituisce un effetto dell’interpretazione che il diritto vivente ha dato della disposizione impugnata, la quale avrebbe invece potuto essere interpretata diversamente;
che il diritto vivente si sarebbe formato, secondo il rimettente, a seguito della sentenza 12 gennaio 2007, n. 6431, della Corte di cassazione, sezione III penale, il cui impianto motivazionale viene assoggettato a critica da parte dell’ordinanza di rimessione;
che, così operando, il Tribunale non articola autonome doglianze di illegittimità costituzionale basate sugli indicati parametri, ma si limita a censurare i passaggi logici seguiti dalla Corte di cassazione, spendendo argomenti ermeneutici che dovrebbero convincere della bontà di un’interpretazione differente della disposizione normativa;
che può restare in disparte sia il rilievo per cui l’interpretazione tracciata dalla Corte di cassazione, nelle molteplici sentenze in materia (e non nella sola sentenza considerata), appare del tutto conforme alla lettera della disposizione impugnata, sia l’erronea ricostruzione, da parte del rimettente, della giurisprudenza di questa Corte quanto alla natura dei vincoli preclusivi della sanatoria, atteso che la sentenza n. 54 del 2009 ha chiarito come tali vincoli non debbano necessariamente comportare l’inedificabilità assoluta;
che, infatti, è preliminare osservare che la questione «configura un improprio tentativo di ottenere da questa Corte l’avallo della (diversa) interpretazione» della norma suggerita dal rimettente, “così” rendendo chiaro un uso distorto dell’incidente di costituzionalità” (ordinanza n. 161 del 2007);
che la questione è, per tale motivo, manifestamente inammissibile (ex plurimis, ordinanza n. 161 del 2007; ordinanza n. 114 del 2006);
che il medesimo vizio di inammissibilità caratterizza le ulteriori censure svolte dal rimettente con riguardo agli artt. 81 e 117, secondo comma, lettere a) ed e) (“rapporti con l’Unione europea”; “moneta”) e terzo comma (“coordinamento della finanza pubblica”), Cost., motivate sulla base del rilievo per cui l’interpretazione “restrittiva” della disposizione censurata, accolta dalla Corte di cassazione, avrebbe diminuito il gettito finanziario che il legislatore statale si sarebbe atteso dal nuovo condono edilizio;
che, infatti, tali doglianze assumono a presupposto la pretesa erroneità del processo interpretativo seguito dalla Corte di cassazione, in tal modo sottoponendo quest’ultimo, e non già la disposizione impugnata, a censure fondate sui medesimi argomenti ermeneutici, privi di consistenza costituzionale, sopra indicati;
che parimenti inammissibile, per le medesime ragioni, è la censura relativa agli artt. 3, 42 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, con la quale si contesta all’interpretazione accolta dalla Corte di cassazione di generare “incertezze” sui limiti di applicabilità del condono edilizio, definiti, a parere del rimettente, nell’esercizio della competenza statale in materia di ordinamento civile e penale, e comunque di comportare una «illogica restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio», attribuendo alle opere abusive «un diverso trattamento giudiziario a seconda della natura vincolata o meno dell’area oggetto dell’intervento»;
che, infatti, è ancora una volta palese il tentativo di mascherare sotto le vesti dell’incidente di legittimità costituzionale una questione meramente interpretativa.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l) e terzo comma, e 119 della Costituzione, dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2009.