Sentenza n. 49 del 2006

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SENTENZA N. 49

ANNO 2006

 

 

Commenti alla decisione di

 

I. Gabriella Rosa, Guida alla lettura della sentenza n. 49/06 in tema di 'condono edilizio straordinario (per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it )

 

II. B. Molinaro, Nuovo condono edilizio e leggi regionali. Il caso "Campania”: no della Consulta alla legge fuori tempo massimo  (per gentile concessione della Rivista telematica Lexitalia.it)

III. Daria de Pretis , Condono edilizio e Regioni: la Corte mantiene le sue promesse  (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                           Presidente

- Giovanni Maria          FLICK                        Giudice     

- Francesco                 AMIRANTE                      "

- Ugo                          DE SIERVO                      "

- Romano                    VACCARELLA                 "

- Paolo                        MADDALENA                  "

- Alfio                          FINOCCHIARO               "

- Alfonso                     QUARANTA                     "

- Franco                      GALLO                             "

- Luigi                          MAZZELLA                      "

- Gaetano                    SILVESTRI                       "

- Sabino                      CASSESE                          "

- Maria Rita                 SAULLE                            "

- Giuseppe                   TESAURO                         "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 26, comma 4; 29, comma 2 (e ivi richiamato art. 8, comma 3); 32; 33, commi 1, 2, 3 (eccettuata lettera d) e 4; 34, commi 1 e 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326); dell’articolo 2, commi 1, 2, 5, lettera c), e 6, della legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria); dell’articolo 3, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi); degli articoli 1, comma 1, limitatamente alle parole «salvo quanto disposto dalla presente legge»; 2, commi 1 e 2; 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi); dell’articolo 3, commi 1, lettere a) e c), e 3, della legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio); degli articoli 19; 20, comma 1, lettere a) e c); 21, comma 1, lettere c), d), e) ed h), e 27, comma 4, della legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilità, sanzioni e sanatoria in materia edilizia); e degli articoli 1; 3 (eccettuate le lettere b) e d) del comma 2); 4; 6, commi 1, 2 e 5; 8, della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione e successive modifiche ed integrazioni), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri, notificati il 20, il 27, il 29 dicembre 2004, il 7 e il 13 gennaio 2005 e depositati in cancelleria il 23, il 30 dicembre 2004 e il 7, l’11 e il 19 gennaio 2005 ed iscritti ai nn. 114 e 115 del registro ricorsi 2004 e ai nn. 2, 3, 7, 8 e 9 del registro ricorsi 2005.

            Visti gli atti di costituzione delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Lombardia, Veneto, Umbria e Campania;

            udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

            uditi gli avvocati Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri, Giandomenico Falcon e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Stefano Grassi per la Regione Marche, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia, Bruno Barel per la Regione Veneto, Giovanni Tarantini per la Regione Umbria e Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso n. 114 del 2004, notificato il 20 dicembre 2004 e depositato il 23 dicembre 2004, il Presidente del Consiglio di ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato alcune disposizioni della legge regionale dell’Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), e segnatamente l’art. 26, comma 4, l’art. 29, comma 2 (e, per quanto ivi richiamato, l’art. 8, comma 3), l’art. 32, l’art. 33, commi da 1 a 4 (eccettuata, nel comma 3, la lettera d), l’art. 34, commi 1 e 2 (con esclusione delle lettere b, c ed e del comma 2).

Con ricorso n. 115 del 2004, notificato il 27 dicembre 2004 e depositato il 30 dicembre 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 2, commi 1, 2, 5 (limitatamente alla lettera c) e 6, della legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria).

Con ricorso n. 2 del 2005, notificato il 29 dicembre 2004 e depositato il 7 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 3 (eccettuato il comma 4) della legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi).

Con ricorso n. 3 del 2005, notificato il 29 dicembre 2004 e depositato il 7 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 1 (limitatamente alle parole «salvo quanto disposto dalla presente legge»), l’art. 2, commi 1 e 2, e l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi).

Con ricorso n. 7 del 2005, notificato il 7 gennaio 2005 e depositato in data 11 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art 3, commi 1, lettera a) e c), e 3, della legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio).

Con ricorso n. 8 del 2005, notificato il 7 gennaio 2005 e depositato in data 11 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilità, sanzioni e sanatoria in materia edilizia), limitatamente all’art. 20, comma 1, lettere a) e c); all’art. 21, comma 1, lettere c), d) e) ed h); agli artt. 19 e 27, comma 4 (tali ultime due disposizioni sono impugnate in virtù della loro asserita «connessione” con le altre).

Con ricorso n. 9 del 2005, notificato il 13 gennaio 2005 e depositato il 19 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, l’art. 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), l’art. 4, l’art. 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e l’art. 8 della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione e successive modifiche ed integrazioni).

Le disposizioni impugnate, nella prospettazione del ricorrente, incorrerebbero nella violazione degli artt. 3 (sotto diversificati profili), 42, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e), l), s), 117, terzo comma, 119 della Costituzione, nonché del principio di autonomia degli enti locali.

Inoltre, per ciò che riguarda tutte le disposizioni impugnate della legge n. 10 del 2004 della Regione Campania, il ricorrente rileva che questa legge sarebbe stata emanata il 18 novembre 2004, e dunque quando era oramai scaduto il termine del 12 novembre 2004 stabilito dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191. Pertanto si dovrebbe verificare la legittimità costituzionale di tutte le disposizioni impugnate alla luce dell’art. 117, terzo comma, Cost. e del principio di «leale collaborazione».

2. – In particolare, in relazione alla legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 26, comma 4, il quale dispone che «le opere edilizie autorizzate e realizzate in data antecedente all’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilità dei suoli), che presentino difformità eseguite nel corso dell’attuazione del titolo edilizio originario, si ritengono sanate, fermo restando il rispetto dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza», poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., dal momento che introdurrebbe – peraltro in contrasto con la tendenza alla riduzione dell’ambito applicativo della sanatoria propria di altre norme della stessa legge regionale – «una sanatoria straordinaria gratuita ed ope legis non sorretta da alcun principio fondamentale determinato dallo Stato, e contrastante con le esigenze della finanza pubblica»; inoltre la medesima norma violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una discriminazione tra i proprietari basata sulla diversa collocazione temporale degli illeciti, consentendo la sanatoria ex lege solo per quelli più risalenti nel tempo;

b) e c) dell’art. 29, comma 2, il quale stabilisce che «qualora in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione del professionista abilitato» contenga dichiarazioni non veritiere, rilevanti ai fini del conseguimento del titolo, «trova applicazione quanto disposto dall’articolo 8, comma 3», nonché dell’art. 8, comma 3, per quanto richiamato dall’art. 29, secondo il quale «nel caso in cui il titolo abilitativo contenga dichiarazioni non veritiere del progettista necessarie ai fini del conseguimento del titolo stesso, l’Amministrazione comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria nonché al competente Ordine professionale, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari», in quanto entrambe le summenzionate disposizioni violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla materia dell’«ordinamento civile e penale», nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbero con la competenza statale concorrente in materia di «professioni»;

d) dell’art. 32, il quale disciplina in linea generale gli interventi non ammessi a sanatoria, aggiungendo a quelli ritenuti tali dalla normativa statale di principio, anche gli interventi e le opere «per la cui realizzazione siano stati utilizzati contributi pubblici erogati successivamente al 1995 a qualunque titolo dallo Stato, dalla Regione e dagli enti locali», nonché gli interventi realizzati su unità abitative già oggetto di titolo in sanatoria, ai sensi dei capi IV e V della legge n. 47 del 1985 o dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994, «per la regolarizzazione amministrativa di interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione nonché interventi di ampliamento o soprelevazione che abbiano comportato nuove unità immobiliari». Tale disposizione violerebbe gli artt. 3, primo comma, 42, 117 e 119 Cost., in quanto la previsione di ulteriori (rispetto a quelle previste dalla legislazione statale) condizioni ostative all’ammissibilità della sanatoria contrasterebbe con la normativa statale di principio, con il principio di uguaglianza e con la disciplina costituzionale della proprietà privata, determinando una irragionevole discriminazione «tra proprietari di edifici ed anche tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi»;

e) dell’art. 33, comma 1, il quale dispone che «in tutto il territorio della Regione non è ammesso il rilascio dei titoli in sanatoria per la costruzione di nuovi manufatti edilizi fuori terra o interrati realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003». Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, escludendo dalla assoggettabilità al condono edilizio i nuovi manufatti, contrasterebbe con la norma statale di principio di cui all’art. 32, comma 25, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo la quale non può essere esclusa – ma, eventualmente, soltanto delimitata – la sanabilità delle nuove costruzioni residenziali di modeste dimensioni realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici. Contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla competenza esclusiva dello Stato – «dei rapporti con l’Unione europea», della «moneta» e «del sistema tributario e contabile dello Stato», nonché con l’art. 117, terzo comma, con l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento della finanza pubblica, con l’art. 81 Cost. in quanto inciderebbe negativamente sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio», determinando una «indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; con l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza; con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe nella Regione, per effetto dell’applicazione della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario;

f) dell’art. 33, commi 2 e 3, nella parte in cui riduce in modo sostanziale l’ammissibilità della sanatoria per gli ampliamenti e le sopraelevazioni, discostandosi dai limiti previsti dall’art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003. Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, riducendo irrazionalmente e irragionevolmente l’ambito degli interventi ammessi al condono edilizio, contrasterebbe con l’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), l’art. 117, terzo comma, nonché l’art. 119 Cost., in quanto ridurrebbe il gettito finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in tal modo incidendo su materie di competenza statale esclusiva («rapporti dello Stato con l’Unione europea», «moneta») e concorrente («coordinamento della finanza pubblica»); l’art. 81 Cost. in quanto avrebbe effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio», determinando una «indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in relazione alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe, per effetto dell’applicazione della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario; l’art. 3 Cost. nella parte in cui introduce, per gli edifici bifamiliari (art. 32, comma 3, lettera b), un limite (100 metri cubi) irragionevolmente più severo rispetto a quello (cento metri quadrati) «che segna il confine tra la nozione di variazione essenziale e quella di parziale difformità (per l’Emilia-Romagna, art. 23 della legge reg. 25 novembre 2002, n. 31)»;

g) dell’art. 33, comma 3 (ad eccezione della lettera d), concernente gli ampliamenti e le sopraelevazioni di manufatti esistenti, e dell’art. 34, comma 2, concernente gli interventi di ristrutturazione edilizia, nella parte in cui ammettono (soltanto) la sanatoria straordinaria di interventi edilizi «che siano conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003», poiché violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di principio relativa alla individuazione degli interventi ammissibili a sanatoria, non essendo chiara la portata del requisito della conformità alla legislazione urbanistica e potendo esso determinare una ridottissima possibilità di applicazione del condono, anche in relazione ad abusi minori;

h) dell’art. 33, comma 4, il quale stabilisce che «qualora gli ampliamenti di cui al comma 3, lettera a), punto 1), riguardino edifici con originaria funzione diversa da quella abitativa, tali immobili sono obbligati a mantenere una destinazione d’uso non abitativa nei venti anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge», nella parte in cui vincola per venti anni la destinazione d’uso degli immobili condonati, poiché violerebbe gli artt. 3, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119, 81 Cost., «l’autonomia degli enti locali in relazione all’esercizio della potestà urbanistica», l’art. 42 Cost. e la disciplina costituzionale della proprietà privata;

i) e l) dell’art. 34, comma 1, il quale esclude dalla sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia «realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003, fatto salvo quanto disposto dal comma 2», senza «distinguere tra ristrutturazioni per le quali è necessario permesso di costruire e ristrutturazioni a volumetria e superficie utile lorda invariate» (che non comportano, di regola, alterazioni del carico urbanistico, e dunque non implicano oneri per la riqualificazione urbana a carico delle comunità locali), nonché dell’art. 34, comma 2, il quale ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione purché ricorrano le condizioni elencate e siano conformi alla legislazione urbanistica, ed in particolare, la lettera a), la quale ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia che «non comportino aumento delle unità immobiliari, fatte salve quelle ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari», poiché violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di principio che non prevede tali limitazioni.

3. – Con riguardo alla legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 2, comma 1, nella parte in cui ammette alla sanatoria edilizia soltanto «le opere e gli interventi (…) realizzati con variazioni essenziali dal titolo abilitativo o comunque in difformità rispetto ad esso», escludendo dall’ambito di applicazione del condono gli immobili realizzati in assenza di permesso di costruire, ed inoltre, nella parte in cui subordina la sanabilità al «rispetto dei limiti indicati dal comma 2». Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, nel circoscrivere i limiti di volumetria e nell’escludere del tutto tipologie di abusi dall’ambito degli interventi ammessi alla sanatoria, contrasterebbe con il principio fondamentale posto dalle norme statali concernenti il condono edilizio che consente alle Regioni soltanto la possibilità di «specificare i limiti (quantitativi e non) della sanabilità», nonché di «limare entro margini di ragionevole tollerabilità (…) le volumetrie massime previste dal legislatore statale»; l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea», della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello Stato»; l’art. 117, terzo comma, e l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe il gettito derivante dal condono edilizio sul quale più leggi del Parlamento farebbero affidamento, ledendo «le potestà statali di governo della finanza pubblica», e potendo «essere considerato indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art. 3 Cost. ed il principio di eguaglianza; l’art. 117, comma 2, lettera l), Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale in esso prevista nelle materie dell’ordinamento civile e penale, in ragione della «asistematicità» delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata;

b) dell’art. 2, comma 2, che individua gli interventi non suscettibili di sanatoria, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto si discosterebbe «eccessivamente» e «irrazionalmente», dai «limiti quantitativi» alla sanabilità di ampliamenti e ristrutturazioni, previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003; violerebbe, altresì, l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea», della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello Stato»; l’art. 117, terzo comma, e l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe il gettito derivante dal condono edilizio sul quale più leggi del Parlamento farebbero affidamento, ledendo «le potestà statali di governo della finanza pubblica», e potendo «essere considerato indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art. 3 Cost. ed il principio di eguaglianza; l’art. 117, comma 2, lettera l), Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale in esso prevista nelle materie dell’ordinamento civile e penale, in ragione della «asistematicità» delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata;

c) dell’art. 2, comma 5, lettera c), il quale esclude del tutto dalla sanatoria «le opere e gli interventi in contrasto con le destinazioni d’uso ammesse, nella zona interessata, dagli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’entrata in vigore» della medesima legge, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost, introducendo «un limite non sorretto da (un) principio determinato dal legislatore statale», nonché in quanto consentirebbe, «nella concreta applicazione» della normativa, «discrezionalità non compatibili con la ‘meccanica’ di un condono edilizio»;

d) dell’art. 2, comma 6, ai sensi del quale, «qualora i vincoli di cui al comma 4 e al comma 5, lettera a), siano istituiti dopo l’entrata in vigore della presente legge, si applica quanto previsto dall’articolo 32 della l. n. 47/1985. Si applica ugualmente l’articolo 32 della l. n. 47/1985 per la sanatoria delle opere di cui al comma 5, lettera a), conformi agli strumenti urbanistici», laddove sembra attribuire ai vincoli istituiti dopo l’entrata in vigore della legge de qua «la forza di impedire la sanatoria straordinaria», poiché violerebbe gli artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.; l’art. 3 Cost., in quanto il principio di eguaglianza sarebbe «irrazionalmente leso dalla facoltà (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo discrezionale l’affidamento del cittadino che autodenuncia l’abuso edilizio»; l’art. 97 Cost. ed i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.

4. – In relazione alla legge regionale della Regione Marche n. 23 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 3, commi 1 e 3, nella parte in cui introduce limiti quantitativi all’ambito degli interventi ammessi alla sanatoria straordinaria, riducendo le volumetrie massime assentibili ed escludendo quasi del tutto la sanatoria per le nuove costruzioni residenziali, in tal modo ponendosi in contrasto con i principi stabiliti dalla legislazione statale, poiché violerebbe gli artt. 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per le medesime ragioni invocate nei ricorsi n. 114 e n. 115 del 2004), nonché l’art. 3 Cost. in quanto alterna in modo «poco razionale» «misure di volumetria a misure di superficie», senza specificare se si tratta di superficie utile lorda o netta, ed in quanto sopprime «la essenziale distinzione tra nuove costruzioni e ampliamenti» ed inoltre per aver «fatto ricorso soltanto a limiti massimi espressi in cifre assolute»;

b) dell’art. 3, nella parte in cui – per effetto della soppressione del limite del 30 per cento della volumetria e del limite di 3.000 metri cubi previsti dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nonché a causa della mancata differenziazione delle nuove costruzioni non residenziali – estende l’ambito della sanabilità, in quanto violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia dello «ordinamento civile e penale».

5. – Con riguardo alla legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a), b), c) e d) dell’art. 2, comma 1, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria le «nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge»; della medesima disposizione, nella parte in cui appare escludere anche le opere realizzate in totale difformità dal titolo o con variazioni essenziali; ancora dell’art. 2, comma 1, nella parte in cui riduce – in relazione agli ampliamenti – i limiti massimi di volumetria aggiuntiva ammessi a sanatoria straordinaria, consentendoli solo ove contenuti entro il «20 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, di 500 metri cubi»; dell’art. 2, comma 2, il quale, nello stabilire che «non sono suscettibili di sanatoria i mutamenti di destinazione d’uso, qualora superiori a 500 metri cubi per singola unità immobiliare e non conformi alle previsioni urbanistiche comunali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge», pone due differenti limiti, ulteriori a quelli stabiliti dalla normativa statale, alla sanabilità dei mutamenti di destinazione d’uso, «senza distinguere tra mutamenti implicanti opere ed altri mutamenti e tra mutamenti incidenti sui carichi urbanistici ed altri mutamenti».

Le indicate disposizioni, secondo il ricorrente, violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost. per le medesime ragioni invocate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004;

e) dell’art. 3, comma 1, ove «considerato esaustivo ed a se stante» rispetto alla legislazione statale, e dunque, «interpretabile a contrario» nel senso di consentire un ampliamento dell’ambito della sanatoria, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto sarebbe contrastante «con il principio posto dall’art. 32, comma 27, lettera d)», del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto invaderebbe l’ambito della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale».

6. – In relazione alla legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 3, comma 1, lettera a), il quale ammette a sanatoria «le tipologie di opere di cui all’allegato 1 della legge sul condono» a condizione che «gli ampliamenti di costruzioni a destinazione industriale, artigianale e agricolo-produttiva non superino il 20 per cento della superficie coperta fino ad un massimo di 450 metri quadrati di superficie lorda di pavimento», poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost, in quanto, individuando i limiti quantitativi degli abusi sanabili con riferimento alla superficie e non al volume, renderebbe possibile il superamento del limite di 750 metri cubi fissato dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, in contrasto con i principi fondamentali della materia «governo del territorio» individuati dalla sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 nella disciplina statale posta dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed in particolare con il limite massimo delle volumetrie sanabili ivi indicato; nonché l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, estendendo l’ambito della sanabilità, determinerebbe una palese invasione della competenza statale in materia di «ordinamento civile e penale»;

b) dell’art. 3, comma 1, lettera c), il quale, nella parte in cui dispone che «le tipologie di opere di cui all’allegato 1 della legge sul condono sono suscettibili di sanatoria edilizia a condizione che (…) c) le nuove costruzioni siano pertinenze di fabbricati residenziali prive di funzionalità autonoma, fino ad un massimo di 300 metri cubi», esclude dal condono edilizio le «nuove costruzioni residenziali» diverse da quelle pertinenziali e aventi volumetria non superiore a 300 metri cubi, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbe con «un principio determinato dal legislatore statale» nonché con la «configurabilità» – che sarebbe stata ammessa anche dalla Corte costituzionale – «di una sanatoria straordinaria di illeciti urbanistici»; violerebbe, inoltre, l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe sulla competenza esclusiva statale in materia di «rapporti con l’Unione europea», «moneta», «ordinamento civile e penale»; l’art. 81 Cost., per contrasto con il principio di copertura finanziaria; l’art. 3, Cost. e il principio di eguaglianza ivi sancito; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto invaderebbe l’ambito della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale»;

c) dell’art. 3, comma 3, il quale dispone che «ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 32, commi 26 e 27, della legge sul condono, nelle aree assoggettate ai vincoli di cui all’articolo 32» della legge n. 47 del 1985 e successive modificazioni, «sono suscettibili di sanatoria edilizia, a condizione che l’intervento non sia precluso dalla disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i seguenti interventi, ancorché eseguiti in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento dell’immobile; b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume». Tale disposizione, nella misura in cui farebbe riferimento ad interventi non incidenti sulla volumetria, ma solo sulla «superficie utile», escludendo dalla sanatoria «ogni altro intervento abusivo», violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004), nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. sia in quanto sarebbe riservata al legislatore statale «la tutela dei valori (ad esempio ambientali) presidiati» dai vincoli di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985, sia in quanto possa in concreto consentire la sanatoria che sarebbe invece esclusa in via assoluta dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985.

7. – In relazione alla legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 20, comma 1, lettera a), il quale, nel disciplinare la sanabilità degli ampliamenti di fabbricati esistenti introducendo limiti quantitativamente diversi rispetto a quelli previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, discrimina tra unità immobiliari destinate ad attività produttive ed altre unità immobiliari e determina tali limiti in «metri quadri di superficie utile coperta», anziché in termini di volume, così violando gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004);

b) dell’art. 20, comma 1, lettera c), il quale ammette la sanatoria delle «opere riconducibili alle seguenti tipologie di illecito edilizio indicate con i numeri 3, 4, 5 e 6 dell’Allegato 1» al decreto-legge n. 269 del 2003, anche con eventuale modifica delle destinazioni d’uso le quali «siano esse realizzate in conformità o in difformità dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data del 2 ottobre 2003», poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, ove la data del 2 ottobre 2003 fosse riferita alla realizzazione delle opere, contrasterebbe «con il fondamentale principio posto dall’art. 32, comma 25, del citato decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, il quale fa riferimento alle opere realizzate entro il 31 marzo 2003»; l’art. 117, secondo comma, lettera l), in quanto invade la competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e penale;

c) dell’art. 21, comma 1, lettera c), nella parte in cui esclude la sanabilità di opere abusive che comportino «utilizzo di aree in zona agricola per usi del suolo diversi da quello agricolo», potendo determinare la preclusione della sanatoria nelle zone agricole, oltretutto in contraddizione con il precedente art. 20, comma 1, lettera a), numero 3, ove viene espressamente menzionata la «zona E», poiché violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., in quanto determinerebbe una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi condonabili;

d) dell’art. 21, comma 1, lettera d), il quale, escludendo dal condono edilizio straordinario i «nuovi edifici, salvo quanto previsto dall’art. 20, comma 1, lettera b, della medesima legge regionale, ridurrebbe l’ambito delle fattispecie passibili di sanatoria, in contrasto con i principi fondamentali posti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, ai sensi del quale sarebbero ammesse a sanatoria anche le «nuove costruzioni residenziali», violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni svolte nei ricorsi n. 114 e n. 115 del 2004);

e) dell’art. 21, comma 1, lettera e), nella parte in cui esclude la sanabilità dell’ampliamento di edifici la cui «intera» costruzione abbia già beneficiato di «precedenti condoni edilizi», poiché violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una disuguaglianza non sorretta da un principio della legislazione statale; gli artt. 3 e 42 Cost., in quanto gli attuali proprietari degli edifici in questione potrebbero essere soggetti diversi dagli autori dei precedenti abusi e dai proprietari degli immobili all’epoca in cui essi sono stati realizzati; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto tale discriminazione sarebbe invasiva della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale»;

f) dell’art. 21, comma 1, lettera h), il quale – nell’escludere dalla sanatoria gli interventi «di ampliamento nelle zone omogenee A di cui al D.M. n. 1444/1968» ad eccezione «di quelli di cui all’articolo 20, comma 2» – equipara «i centri storici ai ‘siti archeologici’ e tutti i relativi edifici a quelli sottoposti a vincolo extraurbanistico», così determinando una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi per i quali è ammesso il condono edilizio; tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004);

g) dell’art. 19, il quale al comma 1 afferma che «i limiti, le condizioni e le modalità per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (…) sono disciplinate dal presente titolo», mentre al successivo comma 2 afferma che «per quanto non disposto dal presente titolo si applicano» le normative statali del 1985 e del 1994, nonché i termini temporali, le modalità e le procedure previste dalle norme statali del 2003, «in connessione con le doglianze in precedenza formulate»; tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., in quanto conterrebbe disposizioni poco chiare ed inoltre, in quanto la mancata menzione delle «successive modifiche ed integrazioni» della disciplina statale del 1985 e del 1994 potrebbe «ingenerare incertezze e controversie»;

h) dell’art. 27, comma 4, il quale dispone che «l’ampliamento di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 20, per gli edifici costituiti da più unità immobiliari dello stesso avente titolo, o da unità immobiliari pertinenziali insistenti all’interno del lotto o dell’area, sempre dello stesso avente titolo, è ammesso per una sola volta ed è riferito alla sommatoria delle superfici di tutte le unità immobiliari interessate, salvo che ogni unità immobiliare si configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi», laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di più proprietari di unità immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico proprietario di più unità immobiliari autonome, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost.

8. – Con riguardo alla legge della Regione Campania n. 10 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) degli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), 4, 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8, in quanto emanati quando era oramai decorso il termine di quattro mesi (scaduto il 12 novembre 2004) stabilito dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191, per l’emanazione della legge di cui al comma 26 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, così violando l’art. 117, terzo comma, Cost. e il principio di «leale collaborazione», in quanto, decorso il termine suddetto, la potestà normativa regionale avrebbe potuto essere esercitata soltanto recependo la normativa statale già divenuta applicabile, «senza possibilità di contraddirla»;

b), c), d), e) dell’art. 1, comma 1, il quale dispone che «la presente legge disciplina la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito in legge dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, articolo 1 e successive modificazioni e integrazioni», laddove sia suscettibile di essere interpretato nel senso di escludere «dal tessuto normativo complessivo» le disposizioni statali in esso citate; dell’art. 3, comma 1, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria tutte le «opere abusive che hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni difformi dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse», in contrasto con l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed inoltre nella parte in cui, irrazionalmente darebbe rilevanza a norme e strumenti urbanistici non più vigenti al momento dell’entrata in vigore della legge regionale; dell’art. 4, comma 1, lettera a), il quale, disponendo che sono sanabili le opere abusive rientranti tra le tipologie di cui all’allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se le stesse «hanno comportato un ampliamento del manufatto inferiore al quindici per cento della volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi complessivamente i 250 metri cubi», pone per gli ampliamenti due limiti più severi rispetto a quelli previsti dalla norma statale ed inoltre tra loro cumulativi in tal modo restringendo l’ambito della sanatoria; dell’art. 4, comma 1, lettera b), il quale stabilisce che sono sanabili le opere abusive che «hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse e aventi una volumetria inferiore a 250 metri cubi per singola richiesta di titolo edilizio in sanatoria, sempre che la nuova costruzione non superi complessivamente i 600 metri cubi».

Tutte le summenzionate disposizioni violerebbero, secondo il ricorrente, l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, introducendo limiti quantitativi alla sanabilità delle opere abusive «irrazionalmente ed eccessivamente inferiori a quelli determinati dall’art. 32, comma 25», della normativa statale, contrasterebbero con i principi fondamentali da essa posti; l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 117, secondo comma, Cost., in quanto inciderebbero sulla competenza esclusiva statale in materia di «rapporti con l’Unione europea», «moneta», «ordinamento civile e penale»; l’art. 81 Cost., per contrasto con il principio di copertura finanziaria; l’art. 3, Cost. e il principio di eguaglianza ivi sancito;

f) dell’art. 3, comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma 1, lettera c), nella parte in cui restringono l’ambito degli interventi sanabili negando rilevanza al parere favorevole delle autorità preposte alla tutela del vincolo senza distinguere se tale vincolo sia anteriore all’abuso ovvero successivo, poiché violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni di cui al punto precedente), nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.;

g) dell’art. 3, comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma 1, lettera c), nella parte in cui estendono l’ambito degli interventi sanabili in ragione del riferimento alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle opere abusive, norme e strumenti che potrebbero risultare meno severi di quelli vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, poiché violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. contrastando con i principi fondamentali posti dalla normativa statale; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invadono la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale»;

h) dell’art. 3, comma 2, lettera c), il quale, disponendo che non possono essere sanate le opere «realizzate su aree facenti parte o di pertinenza del demanio pubblico», e non distinguendo tra demanio statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe l’ambito delle ipotesi di esclusione dalla sanabilità già prevista dall’art. 32, comma 14, decreto-legge n. 269 del 2003, poiché violerebbe gli artt. 42 e 117, secondo comma, lettera g), Cost., in relazione al demanio statale, per il quale la sanabilità delle opere è subordinata al previo esplicito consenso dello Stato proprietario; l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbe con un principio determinato dalla normativa statale (art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003 e art. 32, comma 6, della legge n. 47 del 1985); l’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione ai beni del demanio provinciale e comunale, in quanto la disposizione regionale non sarebbe sorretta da alcun principio determinato dalla normativa statale;

i) dell’art. 4, comma 1, lettera d), il quale ammette alla sanatoria gli interventi che «hanno comportato un ampliamento del manufatto, già oggetto di condono ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V, o ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, inferiore al cinque per cento della volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi complessivamente i cento metri cubi», poiché violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle svolte nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004), nonché l’art. 42 Cost. e la garanzia costituzionale della proprietà.

9. – Nel giudizio instaurato con ricorso n. 114 del 2004, la Regione Emilia-Romagna, con atto depositato il 12 gennaio 2005, si è costituita in giudizio, chiedendo che le questioni proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o infondate, e riservando ulteriori deduzioni ad una successiva memoria.

10. – Nella memoria depositata in data 30 novembre 2005, la Regione Emilia-Romagna osserva innanzitutto che l’art. 33, comma 1, avrebbe riguardo «ad uno solo dei sette tipi di intervento che compongono il genus ‘interventi di nuova costruzione’» di cui al punto g) dell’Allegato alla legge regionale n. 31 del 2002, e all’interno di quel tipo, si riferirebbe «solo ai nuovi manufatti, e non agli ampliamenti». Inoltre, l’esclusione del condono per le costruzioni edificate ex novo in modo totalmente abusivo rientrerebbe nel potere regionale di modulare la dimensione del condono all’interno dei principi fondamentali, come espressamente riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 196 del 2004 e nella sentenza n. 71 del 2005. Relativamente alle censure svolte nei confronti dell’art. 33, commi 2 e 3, la Regione premette che tale disposizione ammette il rilascio del titolo in sanatoria – seppur solo in determinati casi – per gli ampliamenti e le sopraelevazioni di manufatti esistenti conformi alla legislazione urbanistica ma contrastanti con gli strumenti urbanistici vigenti il 31 marzo 2003.

Per quanto riguarda i limiti quantitativi al condono, rileva la difesa regionale che non esisterebbe alcun nesso tra l’istituto della variazione essenziale (neppure considerato dal decreto-legge n. 269 del 2003) e quello del condono: il primo rileverebbe ai fini del tipo di sanzione, il secondo avrebbe come risultato la regolarizzazione dell’opera.

Per quanto riguarda l’art. 34, commi 1 e 2, il quale non ammette la sanatoria per gli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o le prescrizioni degli strumenti vigenti al 31 marzo 2003, la Regione sostiene che il condono sarebbe escluso solo per le ristrutturazioni contrarie alla legislazione urbanistica, mentre le altre ristrutturazioni sarebbero condonabili anche se contrarie agli strumenti urbanistici, purché ricorrano le condizioni indicate.

Le censure concernenti la violazione delle potestà statali in materia di rapporti con l’Unione europea «e relativi stringenti ‘vincoli’», di moneta e di sistema tributario e contabile dello Stato, oltre che inammissibili per genericità, essendo prive di argomentazione, sarebbero altresì «stravaganti» ed infondate. Dietro l’impropria invocazione di tali parametri normativi, vi sarebbe il rifiuto di prendere atto che la titolarità del diritto di stabilire con legge le dimensioni del condono edilizio – come chiarito dalla Corte – non spetta in via esclusiva allo Stato, ma è condivisa tra lo Stato e le Regioni.

Inammissibile per genericità sarebbe anche la censura sollevata in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Essa sarebbe altresì infondata dal momento che l’art. 26, comma 2, della legge impugnata precisa che i limiti posti non incidono sull’estinzione del reato, che consegue al pagamento dell’oblazione.

Priva di fondamento sarebbe inoltre la asserita lesione del principio di uguaglianza in quanto le pronunce ‘asistematiche’ di cui si duole l’Avvocatura, sarebbero frutto dell’esistenza della competenza legislativa regionale in materia di governo del territorio.

Per quanto attiene all’art. 32 legge regionale, la Regione rileva che solo se l’unità abitativa è stata oggetto in passato di un rilevante abuso (condonato) essa non è ammessa alla nuova sanatoria.

Inoltre, l’esclusione degli interventi abusivi per la cui realizzazione sono stati utilizzati contributi pubblici si giustificherebbe per la riprovevolezza della condotta ed avrebbe finalità sia afflittiva verso il trasgressore, sia preventiva.

L’obbligo, posto dall’art. 33, comma 4, di non modificare per 20 anni la destinazione d’uso non abitativa per gli ampliamenti abusivi che beneficino della sanatoria, mirerebbe a non incentivare ampliamenti abusivi di edifici non residenziali. In tale prospettiva la limitazione del diritto di proprietà si giustificherebbe alla luce dell’art. 42, secondo comma, Cost.

Per quanto concerne l’art. 26, comma 4, che prevede la sanatoria delle opere edilizie autorizzate e realizzate anteriormente alla legge n. 10 del 1977, che presentino difformità esecutive, osserva la Regione che la disposizione avrebbe ad oggetto una sola tipologia di abusi, e cioè le difformità esecutive lievi e risalenti nel tempo e si giustificherebbe per l’esigenza di assicurare la certezza del diritto e la facilità degli scambi privati. Essa inoltre, opererebbe non solo ai fini del condono straordinario, ma anche «a regime».

Inammissibile sarebbe infine la censura proposta avverso l’art. 29, comma 2, e l’art. 8, comma 3, per carenza di specificazione nella delibera del Consiglio dei ministri. Tale censura sarebbe comunque infondata, in quanto basata su una erronea lettura della norma la quale non riguarda le asseverazioni del professionista in quanto la norma impone semplicemente oneri di comunicazione alle competenti autorità, delle risultanza istruttorie da cui risulta che le asseverazioni non corrispondono al vero.

11. – Anche l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria nella quale, oltre a ribadire le censure già proposte nel ricorso n. 114 del 2004, si sofferma sulle previsioni in tema di sanabilità di ampliamenti e sopraelevazioni, contenute nell’art. 33, commi 2 e 3, della legge regionale emiliana. Tale disposizione, ammettendo il condono solo per le opere che pur essendo difformi dalla legislazione urbanistica, siano conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, contrasterebbe con il «principio-cardine di una normativa del condono edilizio» che, per definizione opererebbe in deroga agli strumenti urbanistici. In ordine al diverso trattamento riservato agli edifici residenziali (art. 33, comma 3, lettera b) rispetto a quelli non residenziali (art. 33, comma 3, lettera a), esso non troverebbe riscontro nella normativa statale, ed inoltre, nella parte in cui limita l’aumento di cubatura sanabile, contrasterebbe con il principio enunciato dall’art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003. Tale principio sarebbe violato anche dalla totale esclusione della sanabilità di ampliamenti e sopraelevazioni realizzati in edifici residenziali diversi da quelli unifamiliari e bifamiliari.

12. – Nel giudizio introdotto con il ricorso n. 115 del 2004, la Regione Toscana si è costituita in giudizio, con atto depositato il 14 gennaio 2005, chiedendo che le questioni proposte con il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o infondate, e riservando ulteriori deduzioni ad una successiva memoria.

13. – Nella memoria depositata successivamente, la difesa regionale afferma, innanzitutto, che le disposizioni impugnate rispetterebbero i limiti fissati dalla giurisprudenza costituzionale sul condono edilizio, tenendo conto «della specificità della situazione sia normativa che territoriale della Toscana». In coerenza con la legislazione regionale in materia di attività edilizie, l’art. 2 della legge impugnata esclude dal condono le edificazioni totalmente nuove e senza titolo, nonché le ristrutturazioni urbanistiche anch’esse senza titolo. Invece, per tutte le restanti opere sarebbe ammessa la sanatoria straordinaria sia se realizzate in mancanza del titolo sia se in difformità dal medesimo.

Infondate sarebbero le censure con cui lo Stato lamenta la violazione della competenza statale in materia di rapporti con l’Unione europea, moneta e di coordinamento della finanza pubblica. In particolare, ove si trascurasse, come fa l’Avvocatura dello Stato, il contenuto specifico della normativa, si consentirebbe sempre al legislatore statale di interferire in ambiti di competenza regionale in nome del «coordinamento della finanza pubblica», perché la disciplina di tutte le materie ha risvolti in termini finanziari.

Inammissibile sarebbe poi la censura formulata in relazione all’art. 3 Cost., in quanto generica. Essa sarebbe comunque infondata, perché la possibilità per i legislatori regionali di disciplinare la sanatoria straordinaria sarebbe stata riconosciuta come legittima dalla Corte.

Ugualmente generica, e comunque infondata, sarebbe la censurata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. La legge regionale infatti, non inciderebbe sulla sfera penale del condono, ma si limiterebbe a regolarne gli effetti amministrativi e le relative sanzioni amministrative.

Per quanto concerne i limiti posti dall’art. 2, comma 5, lettera c), alla sanabilità dei mutamenti di destinazione d’uso, afferma la Regione che l’impugnazione del Governo sarebbe inammissibile perché si risolverebbe in un sindacato di merito. Essa sarebbe comunque infondata, dal momento che il cambio di destinazione d’uso avrebbe rilevanti conseguenze dal punto di vista urbanistico.

Infondata, sarebbe infine la censura mossa avverso l’art. 2, comma 6: subordinandosi, infatti, la sanatoria delle opere, nel caso in cui i vincoli siano stati apposti dopo l’entrata in vigore della legge, alla valutazione dell’autorità preposta al vincolo, si opererebbe una «scelta ragionevole ed equilibrata nel rapporto tra le istanze e le aspettative del privato che ha commesso l’abuso, con quelle di salvaguardare un’area che necessita di una particolare tutela».

14. – Anche l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria nella quale ribadisce e specifica le censure mosse avverso l’art. 2 della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004. Tale disposizione, infatti, impedirebbe la sanatoria straordinaria delle nuove costruzioni residenziali, in contrasto con il principio determinato dal legislatore statale.

Anche la disciplina degli ampliamenti sarebbe irragionevolmente riduttiva di quella statale a danno delle costruzioni residenziali, mentre accettabili sarebbero i limiti previsti dall’art. 2, comma 2, lettera c), per le costruzioni destinate ad uso non abitativo.

Secondo la difesa statale, tali previsioni sarebbero incostituzionali, dal momento che il legislatore regionale non potrebbe negare «in misura prevalente (rispetto al ‘quantum’ di volumetria ammesso a sanatoria dalla legge statale) la sanabilità degli abusi edilizi», in quanto, diversamente, si vanificherebbe la cogenza dei principi determinati dal Parlamento, degradandoli a «velleitarie esortazioni ottative».

15. – Nel giudizio introdotto con ricorso n. 2 del 2005, con atto depositato il 27 gennaio 2005, si è costituita in giudizio la Regione Marche, concludendo nel senso della inammissibilità, e comunque dell’infondatezza, del ricorso.

In particolare, la pretesa incostituzionalità dell’art. 3 della legge regionale, per violazione degli artt. 117 e 119 Cost, sarebbe priva di fondamento, in quanto la Corte costituzionale, con la sent. n. 196 del 2004, avrebbe riconosciuto alle Regioni un «ruolo indefettibile» nell’attuazione del condono edilizio straordinario.

Inoltre, le dichiarazioni di incostituzionalità da parte della medesima sentenza dei commi 25 e 26 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nella parte in cui non prevedono che la legge regionale possa disporre in materia di una larga discrezionalità in questi ambiti equivarrebbe a legittimare le leggi regionali a subordinare le tipologie di abuso ritenute condonabili ad ulteriori limiti. Quindi, le Regioni sarebbero state «legittimate ad ampliare l’elenco delle opere non condonabili, stabilendo criteri e limiti, incidendo anche sulla stessa possibilità di conseguire il condono per determinate categorie di opere o per determinate zone».

In relazione alla «abolizione asseritamene operata dall’art. 3 del limite del 30% della volumetria», la difesa della Regione afferma che la norma sarebbe pienamente legittima poiché «il limite del 30% (costituirebbe) parametro alternativo a quello dell’ampliamento superiore a 750 metri cubi per l’ammissibilità alla sanatoria secondo espressa previsione del comma 25 dell’art. 32» della legislazione statale.

Quanto alla affermata lesione, da parte della legge impugnata, delle competenze statali in materia di rapporti con l’Unione europea, di «moneta», e di coordinamento della finanza pubblica, la Regione osserva che tali competenze non potrebbero «in ogni caso ledere quelle costituzionalmente garantite determinandone una invasione».

Sarebbe inoltre priva di fondamento la necessità – affermata dall’Avvocatura dello Stato – di preservare «l’affidamento sul gettito del condono edilizio per la copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche» laddove comporti un’indebita invasione della competenza regionale costituzionalmente garantita tramite «l’imposizione di dettagliati strumenti concreti». A sostegno di tale affermazione viene anche ricordata la sentenza n. 390 del 2004 di questa Corte.

La asserita violazione del principio di eguaglianza, nonché dell’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost., inoltre, sarebbe insussistente in quanto – come proverebbe anche la stessa sentenza n. 196 del 2004 nella parte in cui evidenzia il differente «trattamento costituzionale» degli aspetti penalistici e di quelli amministrativistici del condono – la competenza dello Stato in materia penale non potrebbe essere «lesiva delle competenze costituzionali costituzionalmente garantite», dal momento che essa, come affermato anche dalla sentenza n. 185 del 2004, sarebbe una competenza «strumentale, potenzialmente incidente nei più diversi ambiti materiali». Analoghe considerazioni varrebbero anche per la materia «ordinamento civile».

16. – L’Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 30 novembre 2005, una memoria nella quale precisa che deve ritenersi escluso dalla materia del contendere l’art. 3, comma 3, della legge della Regione Marche, potendo la Regione ridurre la volumetria massima sanabile rispetto a quella prevista dal legislatore statale, ed escludere la condonabilità «in qualche zona omogenea».

Peraltro residuerebbero le censure svolte in relazione ai commi 1 e 2 dell’art. 3: l’Avvocatura in particolare, sostiene che il legislatore marchigiano avrebbe eluso «in modo ‘poco visibile’ e però efficace» i principi fondamentali posti dallo Stato in materia di condono edilizio, ponendo un limite volumetrico alla sanabilità talmente basso da escludere, di fatto, quasi del tutto la sanabilità delle nuove costruzioni residenziali. La circostanza che questa Corte abbia riconosciuto alle Regioni la possibilità di prevedere limiti volumetrici inferiori a quelli stabiliti dal legislatore statale, ad avviso dell’Avvocatura, non sarebbe risolutiva, dal momento che, in ogni caso, non si potrebbero operare riduzioni tali da vanificare i principi determinati dal legislatore statale.

Nella memoria si ribadisce, inoltre, che la soppressione del limite del 30% della volumetria originaria, nonché la mancata previsione di un limite d’insieme complessivo, determinerebbe un illegittimo ampliamento della sanatoria.

17. – Anche la Regione Marche, in data 30 novembre 2005, ha depositato una memoria nella quale ribadisce innanzitutto che questa Corte, nelle sentenze n. 196 del 2004 e n. 71 del 2005, se ha riconosciuto come spettante allo Stato la determinazione della portata massima del condono edilizio, ha ritenuto sussistente il potere delle Regioni di modularne l’ampiezza entro i limiti massimi fissati dalla legge nazionale. In quest’ambito, la Regione avrebbe esercitato l’attività di controllo del territorio, in coerenza anche con la propria precedente normativa in materia.

Per quanto concerne le singole censure, la difesa regionale osserva come la previsione nell’art. 3 della legge impugnata di limiti volumetrici espressi in cifre assolute, anziché in misura percentuale, sarebbe coerente con l’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, il quale prevede, per gli ampliamenti il limite del 30% della volumetria originaria come alternativo a quello di 750 mc.

In ordine alla censura formulata sul preteso contrasto dell’art. 3 con l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., per invasione dei compiti attribuiti alla competenza esclusiva statale in materia di rapporti con l’Unione europea e di «moneta», la difesa regionale rileva come ciò che sarebbe da considerare riservato alla competenza esclusiva dello Stato dovrebbe attenere ad una politica economica che abbia valenza sul piano nazionale per la sua rilevanza macroeconomica.

Infondata sarebbe altresì la asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, e dell’art. 119 Cost. per invasione dei compiti attribuiti alla competenza statale di coordinamento della finanza pubblica, dal momento che tali competenze non potrebbero in ogni caso ledere quelle costituzionalmente garantite alle Regioni determinandone un’indebita invasione. La Corte avrebbe più volte affermato che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio «ma solo, con ‘disciplina di principio’, ‘per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari’».

In ordine al preteso contrasto dell’art. 3 della legge regionale con il principio di eguaglianza di cui allart. 3 Cost. e con la competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la Regione aggiunge che nella sentenza n. 196 del 2004 «la linea di riparto scelta dalla Corte, in tema di condono edilizio, passi per la distinzione tra sanatoria penale (di esclusiva competenza statale) e sanatoria amministrativa (di competenza, potrebbe dirsi, quasi completamente regionale)».

Per quanto attiene infine alla pretesa violazione della competenza statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», questa Corte, già nella sentenza n. 282 del 2002, avrebbe chiarito che (nell’ipotesi specifica in materia di responsabilità civile in materia sanitaria), «si deve escludere che ogni disciplina, la quale tenda a regolare e vincolare l’opera dei sanitari, e in quanto tale sia suscettibile di produrre conseguenze in sede di accertamento delle loro responsabilità, rientri per ciò stesso nell’area dell’ordinamento civile, riservata al legislatore statale».

18. – Nel giudizio introdotto con ricorso n. 3 del 2005, con atto depositato in data 28 gennaio 2005 si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, richiedendo che le questioni proposte dal ricorso statale siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

Quanto alla asserita inammissibilità delle censure statali, la Regione Lombardia osserva che essa dipenderebbe, in primo luogo, dalla circostanza secondo la quale esse prendono le mosse dall’«erroneo presupposto che l’unica fonte di disciplina della materia sia costituita dalla legge regionale, e non piuttosto – come ha sottolineato la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 196 – dal combinato disposto della legislazione statale e di quelle regionali». In secondo luogo, la inammissibilità delle censure mosse dalla difesa erariale dipenderebbe dalla loro «indeterminatezza, oscurità e genericità», che determinerebbero difficoltà nella loro interpretazione.

Quanto agli aspetti di merito, la difesa regionale osserva anzitutto come non sia svolta alcuna censura nei riguardi dell’art. 1, comma 1, della legge regionale; trattasi comunque di disposizione semplicemente finalizzata a chiarire il carattere meramente derogatorio della disciplina regionale rispetto a quella statale, la quale, dunque, si applicherebbe a tutti gli aspetti non regolati dalla legge regionale.

Quanto alle censure relative alla diminuzione dei limiti volumetrici massimi alla sanabilità delle opere ed alla esclusione della possibilità di sanatoria per le nuove costruzione, la Regione evidenzia come la sentenza n. 196 del 2004, sia nelle motivazioni che nel dispositivo, abbia «espressamente riconosciuto in tale ambito la facoltà per la Regione di ridurre gli indici volumetrici condonabili in virtù della legge statale». Inoltre, la Regione nota come la stessa avvocatura riconosca il potere della Regione di specificare i limiti, anche quantitativi, della sanabilità, seppur solo nell’ambito della «ragionevole tollerabilità»: in tali limiti la resistente ritiene che la legge regionale si sia comunque mantenuta.

Quanto al divieto di sanatoria delle opere relative a nuove costruzioni, la difesa della resistente nota come la legge impugnata – lungi dal comportare «un diniego totale» di sanatoria degli illeciti urbanistici come sostiene l’Avvocatura dello Stato – non porrebbe alcun divieto assoluto di sanatoria, ma avrebbe semplicemente escluso la possibilità di condonare abusi edilizi caratterizzati da un particolare rilievo sul piano urbanistico. Ciò, peraltro, in attuazione di quanto esplicitamente affermato dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 196 del 2004.

Più in particolare, la Regione evidenzia come la norma impugnata si sia limitata a non consentire le «opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici». Viceversa, sarebbero suscettibili di sanatoria «tutte le altre fattispecie di abuso non previste dalla legge regionale e contemplate dalla legge statale».

Anche le censure mosse nei confronti dell’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 31 del 2004 sarebbero infondate, poiché tale disposizione si limita a «consentire la sanabilità di quei mutamenti considerati inammissibili ai sensi della vigente legge regionale n. 1 del 2001», mentre, per tutti gli altri abusi relativi ai mutamenti di destinazione d’uso «continuerà a trovare applicazione la disciplina statale».

Da ultimo, la Regione Lombardia espone alcune considerazioni difensive in relazione alla pretesa incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, della legge regionale impugnata, asserendo che con questa disposizione il legislatore lombardo ha inteso semplicemente «ribadire e consacrare, anche in un testo legislativo regionale, quanto già previsto dalla legislazione statale».

19. – L’Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 14 novembre 2005, una memoria nella quale circoscrive e specifica l’ambito delle censure formulate nel ricorso introduttivo n. 3 del 2005.

Innanzitutto, precisa che non è stato impugnato l’art. 2, comma 1, primo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, nella parte in cui disciplina gli ampliamenti.

Per quanto concerne la censura avente ad oggetto la medesima norma, ma nella parte in cui in modo non specifica se fossero esclusi dalla sanatoria solo gli interventi realizzati in assenza del titolo abilitativo, ovvero anche quelli realizzati in totale difformità da esso o con variazioni essenziali, afferma il ricorrente che non vi sarebbe più controversia. La Regione, infatti, nel proprio atto di costituzione avrebbe specificato la portata della disposizione, precisando che tali opere (realizzate in difformità o con variazioni essenziali) sarebbero sanabili. Tuttavia, prosegue l’Avvocatura, «non risulta che il chiarimento sia stato portato (…) a conoscenza dei comuni e – tempestivamente – della generalità dei cittadini e che ad esso le amministrazioni si attengano».

La Regione avrebbe circoscritto la portata anche dell’art. 2, comma 2, riferendola ai soli mutamenti di destinazione d’uso qualificati inammissibili dalla propria legge regionale n. 1 del 2001. Questa interpretazione riduttiva «elimina, nel concreto una parte cospicua della materia controversa, lasciando di essa solo la parte residua». Anche tale interpretazione, tuttavia non sarebbe stata divulgata.

Analogamente, alla luce dell’interpretazione fornitane dalla Regione, verrebbe meno anche la censura relativa all’art. 3, comma 1, nella parte in cui avrebbe ampliato l’ambito degli interventi condonabili.

Pertanto, ritiene l’Avvocatura che la controversia «parrebbe ridimensionata, sul piano pratico, per quanto concerne l’art. 2, comma 2, e l’art. 3, comma 1».

Conseguentemente, il nucleo delle censure sarebbe circoscritto all’art. 2, comma 1, nella parte in cui esclude la sanabilità delle nuove costruzioni residenziali. A tale riguardo, il ricorrente ribadisce le censure già svolte nell’atto introduttivo, precisando che la sentenza n. 196 del 2004 e il punto 2) del dispositivo, invocato dalla Regione a giustificazione della legittimità della disposizione, avrebbe ampliato le possibilità di intervento dei legislatori regionali nell’ambito della competenza legislativa concorrente, ma non li avrebbe liberati dal dovere di conformarsi ai principi determinati dal Parlamento nazionale. Pertanto al legislatore regionale sarebbe consentito apportare solo articolazioni e specificazioni della disciplina statale.

20. – Nella ulteriore memoria depositata il 30 novembre 2005, la Regione Lombardia prende atto che, a seguito delle considerazioni svolte dall’Avvocatura dello Stato, gli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1, della legge impugnata non sarebbero più oggetto del giudizio.

Anche in relazione all’art. 2, comma 2, vi sarebbe un difetto di interesse al ricorso, in quanto l’Avvocatura avrebbe ritenuto la controversia ‘ridimensionata’ a seguito dei chiarimenti forniti dalla difesa regionale, ma, ciononostante, avrebbe insistito per l’annullamento della norma, affermando di non essere autorizzata ad abbandonare il ricorso. Tale interesse non potrebbe essere ravvisato nella asserita mancata divulgazione dell’interpretazione della legge regionale, dal momento che la Regione avrebbe reso ai Comuni lombardi numerosi pareri in merito e, comunque, la non corretta interpretazione della legge regionale da parte delle amministrazioni comunali non potrebbe costituire oggetto del sindacato di legittimità costituzionale.

Con riguardo alla impugnazione dell’art. 2, comma 1, la Regione Lombardia osserva che l’Avvocatura nella memoria in cui aveva riconosciuto che effettivamente la legge lombarda non prevedeva un divieto assoluto di sanatoria, ha riproposto le censure ai commi 1 e 2 dell’art. 2, e per di più ha affermato che qualsiasi eccezione al principio della sanabilità degli abusi sulle nuove costruzioni sarebbe da considerare illegittima in quanto lesiva del principio fondamentale della sanabilità degli illeciti realizzati sulle nuove costruzioni. In tal modo la difesa statale avrebbe ampliato e mutato il thema decidendum, con conseguente inammissibilità della nuova censura.

Nel merito, tali censure sarebbero infondate dal momento che l’art. 2, comma 1, avrebbe escluso la sanatoria solo per gli abusi edilizi particolarmente rilevanti sul piano urbanistico e ciò avrebbe fatto nell’ambito dei poteri regionali, così come riconosciuti da questa Corte nelle sentenze n. 196 del 2004 e nn. 70 e 71 del 2005.

Infondate sarebbero le censure di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere a), e), l), dell’art. 119 Cost., nonché dell’art. 3 Cost., dal momento che questa Corte avrebbe ricondotto alla competenza concorrente i1 potere delle Regioni di specificare, articolare e persino derogare alla disciplina statale.

Con riguardo alle censure mosse avverso l’art. 2, comma 2, la Regione rileva come la difesa dello Stato, dopo aver preso atto dell’interpretazione sistematica della norma svolta nella memoria di costituzione, ha affermato che essa avrebbe eliminato una parte cospicua della controversia, pur lasciandone una parte residua, senza tuttavia chiarire quale essa fosse. Tale censura sarebbe dunque inammissibile per carenza di interesse e per mancata identificazione della disposizione violata, nonché per genericità ed imprecisione della censura.

21. – Nel giudizio introdotto con ricorso n. 7 del 2005, con atto depositato il 26 gennaio 2005, la Regione Veneto si è costituita in giudizio, chiedendo che le questioni proposte con il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o infondate, e riservando ad una successiva memoria.

22. – Nella memoria depositata in data 30 novembre 2005, la Regione Veneto sostiene, innanzitutto, che il ricorso dello Stato sarebbe fondato su una lettura parziale e fuorviante della sentenza n. 196 del 2004; significativa sarebbe anche la sentenza n. 71 del 2005, nella quale questa Corte avrebbe espressamente riconosciuto alle Regioni il potere di determinare, entro i limiti fissati dalla legge statale, tipologie ed entità degli abusi assentibili.

Per quanto attiene alla censura mossa avverso l’art. 3, comma 1, lettera c), della legge impugnata, il quale pone, per la sanabilità delle nuove costruzioni, il duplice limite che esse siano pertinenziali a fabbricati residenziali e che abbiano una volumetria massima di 300 metri cubi, la difesa regionale osserva come tale disposizione avrebbe rispettato la condizione generale posta dal legislatore nazionale, pur introducendo condizioni più restrittive, sulla base della particolare «esperienza urbanistico-edilizia veneta». Con la disposizione impugnata, pertanto, il legislatore veneto avrebbe rispettato i limiti posti dalla normativa statale facendo un uso del potere ad esso spettante ben più limitato rispetto a quanto consentito.

Anche le censure mosse avverso l’art. 3, comma 3, sarebbero infondate. Innanzitutto, la norma si riferirebbe alle aree assoggettate ai vincoli di cui all’art. 32, della legge n. 47 del 1985, ossia ai vincoli non preclusivi in via assoluta dell’edificabilità e pertanto non sarebbe neppure ipotizzabile la lamentata violazione dell’art. 33 della stessa legge riguardante le aree soggette ai vincoli di inedificabilità.

D’altra parte, la ammissione di alcuni mutamenti di destinazione d’uso e delle «opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume» escluderebbe dalla sanatoria qualsiasi altro intervento abusivo.

A tale riguardo, si osserva come la Regione non avrebbe inteso discostarsi dalla disciplina statale di cui all’art. 32 della 1egge n. 47 del 1985 ed all’art. 32, comma 27, del decreto-legge n. 269 del 2003. Anzi, a fronte dell’incertezza interpretativa in ordine alla portata delle disposizioni citate, il legislatore veneto si sarebbe limitato a chiarire che la normativa statale, «anche se intesa nel senso più restrittivo, non preclude la sanatoria amministrativa di abusi che abbiano natura insignificante rispetto al vincolo paesaggistico o ambientale». Sarebbe pertanto ammessa la sanatoria dei mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento dell’immobile; sarebbe inoltre ammessa la sanatoria delle opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume. La norma riguarderebbe, pertanto, ipotesi già desumibili in via interpretativa, in quanto prive di impatto esterno, per le quali sarebbe irrilevante la circostanza che l’area sia o meno soggetta a vincolo paesaggistico o ambientale.

La difesa regionale eccepisce, poi, l’inammissibilità e l’improcedibilità della censura, dal momento che la disposizione impugnata sarebbe stata modificata dall’art. 19 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8.

La Regione contesta, da ultimo, le censure mosse all’art. 3, comma 1, lettera a), concernente gli ampliamenti di costruzioni a destinazione industriale, artigianale, agricolo-produttiva, ed impugnato dallo Stato perché consentirebbe il superamento del limite massimo fissato dal legislatore statale. In realtà, osserva la difesa regionale, con tale disposizione si sarebbe voluto limitare l’ammissibilità del condono, allo stesso tempo prendendo atto che il criterio urbanistico di riferimento utilizzato dal legislatore statale non corrisponde a quello utilizzato dalla legislazione urbanistica veneta per disciplinare gli edifici a destinazione produttiva. Conseguentemente, la Regione avrebbe «convertito» il parametro dei metri cubi in quello dei metri quadrati; avrebbe altresì ridotto i limiti massimi di ammissibilità della sanatoria rispetto al «tetto» statale, limitando l’ampliamento sanabile al 20% della superficie coperta originaria e la superficie massima dell’ampliamento sanabile a 450 mq; avrebbe inoltre reso, da alternative, cumulative le due condizioni sopra indicate. La doverosità del rispetto di ambedue i limiti non consentirebbe mai il superamento del «tetto» statale, in quanto il 20% della superficie coperta esistente sarebbe logicamente inferiore al 30% del volume esistente ed inoltre, in quanto il limite dei 450 mq di superficie coperta massima dell’ampliamento, operando «congiuntamente col limite del 20% della superficie coperta», rileverebbe «solo se ed in quanto comprima ulteriormente l’ampliamento sanabile, escludendo anche ampliamenti di per sé rispettosi della soglia del 20% della superficie coperta esistente se comunque troppo ampi».

23. – L’Avvocatura dello Stato, in data 22 novembre 2005, ha depositato una memoria nella quale ribadisce le censure svolte nel ricorso avverso la legge regionale del Veneto n. 21 del 2004.

24. – Nel giudizio introdotto con ricorso n. 8 del 2005, con atto depositato il 4 febbraio 2005, si è costituita in giudizio la Regione Umbria, concludendo nel senso della inammissibilità, e comunque della infondatezza, delle censure proposte dal ricorso statale.

La resistente, in via preliminare, afferma che per la sentenza n. 196 del 2004 i contenuti di principio da ritenersi sottratti al legislatore regionale sono, oltre ai profili penalistici, solo la «previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili». Per le restanti parti, le Regioni potrebbero quindi introdurre discipline differenti.

In riferimento alle censure mosse nei confronti dell’art. 21, comma 1, lettera d), la difesa regionale osserva che la sentenza n. 196 del 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al successivo comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli ivi indicati. Da ciò discenderebbe che il solo principio fondamentale desumibile dalla disposizione in questione è rappresentato dalla indicazione del limite massimo di 750 metri cubi per ogni titolo abilitativo in sanatoria. Peraltro, la Regione osserva che la disposizione impugnata non escluderebbe il condono per gli ampliamenti delle nuove costruzioni residenziali, ma lo circoscriverebbe soltanto.

In relazione alle censure proposte nei confronti dell’art. 20, comma 1, invece, la resistente osserva che la espressione dei limiti in metri cubi, anziché in metri quadri, non può essere considerata un principio fondamentale della materia, stante la agevole convertibilità dei metri quadri in metri cubi, in base alla considerazione dell’altezza media degli edifici del tipo di volta in volta in questione, o la maggiore altezza in concreto risultante. Il legislatore regionale avrebbe altresì contemplato l’eventualità che l’immobile sia particolarmente alto – in quanto, ad esempio, adibito a scopi industriali – precisando all’art. 20, comma 3, che le «opere di cui al comma 1, lettere a) e b), e al comma 2 non possono comunque comportare il superamento dei limiti volumetrici massimi stabiliti all’articolo 32, comma 25 del D.L. n. 269/2003». Per l’ipotesi in cui l’abuso determini solo un aumento del volume, ma non anche della superficie (ad es. una sopraelevazione o uno scantinato), l’art. 27, comma 2, prevede il ricorso ad una formula matematica per determinare la superficie corrispondente e determinare quindi la compatibilità dell’intervento con i limiti prescritti nell’art. 20, comma 1, lettera a).

Quanto poi alla differenziazione che la legge regionale opera tra unità immobiliari destinate ad abitazioni e quelle destinate ad attività produttive e servizi, essa sarebbe pienamente giustificata e comunque sarebbe il frutto di una scelta di politica edilizio-urbanistica che competerebbe alla Regione.

Le questioni di costituzionalità proposte dal ricorso statale inerenti la presunta violazione della competenza statale in materia di rapporti con l’UE, moneta e sistema tributario e contabile dello Stato, secondo la resistente, andrebbero ritenute inammissibili per evidente genericità. Ancora, nessuna motivazione sorreggerebbe la presunta violazione della competenza statale in materia di sistema tributario e contabile dello Stato.

Nel merito, tali censure sarebbero infondate, poiché basate sull’erroneo presupposto secondo il quale la potestà normativa regionale incontrerebbe «un limite nel rispetto dell’ampiezza del gettito finanziario stabilito unilateralmente dal Governo in tema di condono ed altrettanto unilateralmente destinato a coprire altre spese statali» e comunque contrastate da quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 196 del 2004.

Quanto alle censure relative all’art. 21, comma 1, lettera c), la Regione afferma come esse siano frutto di una erronea lettura della disposizione, che invece si riferisce «esclusivamente all’utilizzo dell’area agricola per usi diversi da quello agricolo».

I rilievi concernenti la lettera e), invece, sarebbero infondati, in quanto la distinzione della posizione dei fabbricati interamente condonati in precedenza non sarebbe affatto irragionevole.

La censura concernente l’art. 21, lettera h), sarebbe inammissibile, a causa della sua genericità; comunque, nel merito, si osserva come la «grandissima valenza storica, artistica e culturale» dei centri delle città umbre rende non irragionevole la loro assimilazione ai siti archeologici e all’edificato civile di particolare rilievo architettonico e paesistico.

Pretestuosi sarebbero, invece, i rilievi mossi nei confronti dell’art. 19, dal momento che le disposizioni statali espressamente richiamate solo dal comma 2, sarebbero riferite anche al comma 1 dello stesso art. 19.

Del pari destituite di fondamento sarebbero le censure concernenti l’art. 27, comma 4, che distingue l’ipotesi in cui le più unità immobiliari appartenenti allo stesso proprietario si configurino come un’unica unità abitativa o produttiva, ovvero come distinte ed autonome tra loro, ammettendo che solo nel secondo caso il condono possa riguardare ciascuna unità abitativa.

25. – L’Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 15 novembre 2005, una memoria nella quale, prendendo atto delle difese svolte dalla Regione Umbria, circoscrive l’ambito delle censure, individuando i «punti non, o non più controversi anche per segnalare l’utilità – ai fini di certezza giuridica – di esplicite specifiche puntualizzazioni in proposito nella motivazione della emananda sentenza».

Innanzitutto il ricorrente afferma che è «superata» la censura relativa all’art. 20, comma 1, lettera c), dal momento che la Regione ne ha fornito un’interpretazione conforme alla normativa statale.

Anche la questione concernente l’art. 27, comma 4, «può essere superata esplicitandosi che» tale norma non deroga ai limiti posti dall’art. 20, comma 3, della stessa legge regionale, e cioè ai limiti volumetrici massimi stabiliti all’articolo 32, comma 25 del decreto-legge n. 269 del 2003.

Non più controverso sarebbe anche l’art. 19 del quale la Regione avrebbe fornito un interpretazione conforme alla normativa statale, nonché l’art. 21, comma 1, lettera c), il quale non escluderebbe la sanabilità delle costruzioni realizzate in zona agricola.

Conseguentemente, il nucleo delle censure sarebbe circoscritto all’art. 21, comma 1, lettera d), nella parte in cui esclude la sanabilità delle nuove costruzioni residenziali. A tale riguardo, il ricorrente afferma che la sentenza n. 196 del 2004 non avrebbe liberato i legislatori regionali dal dovere di conformarsi ai principi determinati dal Parlamento. Pertanto al legislatore regionale sarebbe consentito apportare solo articolazioni e specificazioni della disciplina statale.

L’Avvocatura ribadisce altresì le censure fondate sugli artt. 81, 117, terzo comma, e 119 Cost., dal momento che i legislatori regionali non potrebbero sottrarre risorse finanziarie essenziali al bilancio dello Stato e turbare il difficile equilibrio della finanza pubblica statale, dal momento che le esigenze di politica economico-finanziaria nazionale «necessariamente pervadono tutte le materie» rientranti nella competenza concorrente.

Il ricorrente ribadisce infine le censure relative all’art. 20, comma 1, lettera a), e all’art. 21, lettera e) della legge regionale, mentre «reputa preferibile non insistere nella domanda di parziale demolizione» dell’art. 21, lettera h), tenuto conto della scarsa rilevanza pratica della questione.

26. – La Regione Umbria, nella memoria depositata il 29 novembre 2005, ribadisce che le censure svolte dallo Stato avverso la legge impugnata non terrebbero conto della sentenza n. 196 del 2004, la quale avrebbe individuato, sia pure a titolo esemplificativo, i principi fondamentali contenuti nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003. Non costituirebbe invece principio fondamentale la indicazione delle quantità sanabili in metri cubi, come invece asserito dall’Avvocatura dello Stato. D’altra parte, la disciplina regionale si limiterebbe a circoscrivere la sanatoria alle opere realizzate in assenza o difformità dal titolo abilitativo, purché conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti al 2 ottobre 2003.

Per quanto attiene alla lamentata lesione dell’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., la difesa regionale rileva che tali censure sarebbero immotivate. Qualora esse dovessero essere lette come sostegno alla asserita violazione della materia del coordinamento della finanza pubblica, sarebbero infondate. La imposizione di un vincolo, «per di più di entrata», alla autonomia di bilancio non sarebbe, infatti, principio generale di coordinamento della finanza pubblica.

L’esclusione dalla sanatoria degli immobili che abbiano beneficiato di precedenti condoni edilizi (art. 21, comma 1, lettera e) rientrerebbe nella potestà riconosciuta al legislatore regionale di introdurre esclusioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla disciplina statale, e giustificata dalla tutela di finalità generali, come il contrasto della recidiva e dell’abitualità nella commissione degli abusi.

La limitazione alla condonabilità degli abusi realizzati nei centri storici, censurata dallo Stato, si giustificherebbe se inquadrata nella valenza storica e artistica dei centri urbani della Regione Umbria.

La resistente precisa, altresì, come le limitazioni alla sanatoria poste dai legislatori regionali inciderebbero, a differenza di quanto mostra di ritenere l’Avvocatura dello Stato, solo sul rilascio del titolo abilitativo in sanatoria e non sulla estinzione del reato, di modo che, quand’anche l’abuso non fosse sanabile sotto il profilo amministrativo in base ad una previsione regionale restrittiva, il suo autore potrebbe comunque beneficiare dell’effetto estintivo del reato.

La difesa regionale precisa, infine, come l’art. 27, comma 4, si riferisca chiaramente alle ipotesi di più unità immobiliari dello stesso proprietario comprese in un unico edificio e non autonome.

27. – Nel giudizio introdotto con ricorso n. 9 del 2005, con atto depositato il 4 febbraio 2005, la Regione Campania si è costituita in giudizio, contestando l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso statale.

La difesa regionale innanzitutto afferma che il termine di quattro mesi non decorrerebbe dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168 del 2004, bensì dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, e cioè dal 1° agosto 2004, che ha apportato emendamenti sul punto specifico.

La difesa regionale eccepisce comunque l’inammissibilità delle censure prospettate con riguardo al mancato rispetto del termine, in quanto sollevate in modo dubitativo.

Nel merito contesta che tale termine sia e possa essere qualificato come perentorio. In ogni caso, esso sarebbe del tutto sganciato dall’impianto concettuale utilizzato dalla Corte nella sentenza n. 196 del 2004, la quale, nel disporre che la legge statale dovesse fissare un congruo termine per l’emanazione delle leggi regionali, collegava tale previsione al principio di leale cooperazione.

La Regione eccepisce come ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso, l’impugnativa di alcune soltanto delle norme contenute nella legge regionale, in tal modo operando una non consentita frammentazione di un unitario intervento regionale. Quanto poi alle censure relative alle singole disposizioni, la Regione ne eccepisce innanzitutto l’inammissibilità, per carenza dell’argomentazione nonché per genericità dei parametri evocati.

Nel merito tali censure sarebbero infondate in quanto la Regione avrebbe esercitato l’autonomia di scelta risconosciutale dalla Corte in ordine alla delimitazione della possibilità, delle condizioni e delle modalità della sanatoria straordinaria.

Anche la previsione della esclusione dalla sanabilità delle opere ricadenti sul demanio pubblico rientrerebbe tra le scelte che la Corte ha attribuito alla Regione, laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge statale che non ha previsto l’applicabilità della disciplina regionale anche al demanio statale.

In via subordinata, la difesa regionale chiede che ove la Corte ritenga che il termine per l’emanazione della legge regionale decorresse dal 12 luglio 2004, sollevi avanti a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, «nella parte in cui limita a soli quattro mesi il termine per l’esercizio della potestà legislativa regionale», trattandosi di termine incongruo rispetto alla pluralità di contenuti e alla complessità delle scelte che il legislatore regionale doveva operare, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione.

28. – La Regione Campania ha depositato una memoria difensiva in data 8 ottobre 2005, nella quale insiste perché la Corte costituzionale dichiari inammissibile, e comunque infondato, il ricorso statale.

In particolare, la resistente contesta la configurazione del termine posto all’esercizio della potestà legislativa regionale come perentorio. Si tratterebbe, invece, di un termine posto a presidiare la «effettiva reciproca collaborazione fra i livelli di governo, al fine di consentire la operatività della scelta del condono».

Peraltro, la Regione ribadisce la incongruità del termine in concreto stabilito dalla legge statale, e dunque la sua illegittimità costituzionale.

Le doglianze espresse nel ricorso statale circa il merito delle scelte operate con la legge regionale, inoltre, sarebbero infondate, in quanto «sul piano urbanistico-amministrativo» la Corte costituzionale avrebbe già «definitivamente riconosciuto alle Regioni una ampia discrezionalità».

29. – L’Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 5 novembre, una memoria nella quale, anzitutto, contesta che l’impugnazione di alcune soltanto delle norme contenute nella legge regionale campana determini l’inammissibilità del ricorso.

Ribadisce inoltre l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate «per inottemperanza, in quanto tardivamente prodotte, alle indicazioni date» dalla Corte nella sentenza n. 196 del 2004 e per conseguente inosservanza del principio di leale collaborazione e violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Tale censura, ove ritenuta fondata, sarebbe assorbente rispetto alle doglianze specifiche prospettate nel ricorso «in via logicamente subordinata».

L’Avvocatura infine contesta il carattere generico delle difese svolte dalla Regione.

In tutti i ricorsi sopra menzionati il Presidente del Consiglio dei ministri precisa inoltre che la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate non produrrebbe alcuna lacuna, posto che da essa deriverebbe «il riespandersi della normativa statale».

30. – Nel corso dell’udienza pubblica il rappresentante dell’Avvocatura generale dello Stato ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale di tutte le norme impugnate, non essendo stato autorizzato a rinunziare ad alcuna di esse.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato numerose disposizioni di sette leggi regionali: gli artt. 26, comma 4; 29 comma 2 (e, per quanto ivi richiamato, l’art. 8, comma 3); 32; 33, commi da 1 a 4 (eccettuata, nel comma 3, la lettera d); 34, commi 1 e 2 (con esclusione delle lettere b, c, d ed e del comma 2), della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326); l’art. 2, commi 1, 2, 5 (limitatamente alla lettera c), e 6, della legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria); l’art. 3 (eccettuato il comma 4) della legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi); gli artt. 1, comma 1 (limitatamente alle parole «salvo quanto disposto dalla presente legge»); 2, commi 1 e 2; 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi); gli artt. 3, commi 1 (eccettuata la lettera b) e 3, della legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio); gli artt. 19; 20, comma 1, lettere a) e c); 21, comma 1, lettere c), d), e) ed h); 27, comma 4 (tali ultime due disposizioni sono impugnate in virtù della loro asserita «connessione» con le altre), della legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilità, sanzioni e sanatoria in materia edilizia); gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2); 4; 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione e successive modifiche ed integrazioni).

I parametri costituzionali che, sotto differenziati profili, si assumono violati sono gli artt. 3; 42; 81; 97; 117, secondo comma, lettere a), e), l), s); 117, terzo comma; 119 Cost., nonché i principi di autonomia degli enti locali e di leale collaborazione fra Stato e Regioni.

2. – Considerata la sostanziale identità della materia, nonché l’analogia di gran parte delle questioni prospettate, i giudizi possono essere riuniti per essere affrontati congiuntamente e decisi con unica sentenza.

3. – Le molteplici questioni di costituzionalità sollevate nei ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri possono essere sintetizzate nei termini seguenti.

I) L’art. 26, comma 4, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale dispone che «le opere edilizie autorizzate e realizzate in data antecedente all’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilità dei suoli), che presentino difformità eseguite nel corso dell’attuazione del titolo edilizio originario, si ritengono sanate, fermo restando il rispetto dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., dal momento che introdurrebbe – peraltro in contrasto con la tendenza alla riduzione dell’ambito applicativo della sanatoria propria di altre norme della stessa legge regionale – «una sanatoria straordinaria gratuita ed ope legis non sorretta da alcun principio fondamentale determinato dallo Stato, e contrastante con le esigenze della finanza pubblica»; inoltre, la medesima norma violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una discriminazione tra i proprietari basata sulla diversa collocazione temporale degli illeciti, consentendo la sanatoria ex lege solo per quelli più risalenti nel tempo.

II e III) L’art. 29, comma 2, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale stabilisce che «qualora in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione del professionista abilitato” contenga dichiarazioni non veritiere, rilevanti ai fini del conseguimento del titolo, «trova applicazione quanto disposto dall’articolo 8, comma 3», nonché l’art. 8, comma 3, della medesima legge, per quanto richiamato dall’art. 29, secondo il quale «nel caso in cui il titolo abilitativo contenga dichiarazioni non veritiere del progettista necessarie ai fini del conseguimento del titolo stesso, l’Amministrazione comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria nonché al competente Ordine professionale, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari», violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla materia dell’«ordinamento civile e penale», nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbe con la competenza statale concorrente in materia di «professioni»;

IV) L’art. 32, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, che disciplina in linea generale gli interventi non ammessi a sanatoria, aggiungendo a quelli ritenuti tali dalla normativa statale di principio anche gli interventi e le opere «per la cui realizzazione siano stati utilizzati contributi pubblici erogati successivamente al 1995 a qualunque titolo dallo Stato, dalla Regione e dagli enti locali», nonché gli interventi realizzati su «unità abitative già oggetto di titolo in sanatoria, ai sensi dei capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), o dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), per la regolarizzazione amministrativa di interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione nonché interventi di ampliamento o soprelevazione che abbiano comportato nuove unità immobiliari», violerebbe gli artt. 3, primo comma, 42, 117 e 119 Cost., in quanto la previsione di ulteriori (rispetto a quelle previste dalla legislazione statale) condizioni ostative all’ammissibilità della sanatoria contrasterebbe con la normativa statale di principio, con il principio di uguaglianza e la disciplina costituzionale della proprietà privata, determinando una irragionevole discriminazione «tra proprietari di edifici ed anche tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi».

V) L’art. 33, comma 1, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale dispone che «in tutto il territorio della Regione non è ammesso il rilascio dei titoli in sanatoria per la costruzione di nuovi manufatti edilizi fuori terra o interrati realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, escludendo dalla assoggettabilità al condono edilizio i nuovi manufatti, contrasterebbe con la norma statale di principio di cui all’art. 32, comma 25, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo la quale non può essere esclusa – ma, eventualmente, soltanto delimitata – la sanabilità delle nuove costruzioni residenziali di modeste dimensioni realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici; contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea», della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello Stato», nonché con l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento della finanza pubblica; con l’art. 81 Cost., in quanto inciderebbe negativamente sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio», determinando una «indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; violerebbe altresì l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza; violerebbe, infine, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe nella Regione, per effetto dell’applicazione della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario;

VI) L’art. 33, commi 2 e 3, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, nella parte in cui limita in modo sostanziale l’ammissibilità della sanatoria per gli ampliamenti e le sopraelevazioni, discostandosi dai limiti previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché ridurrebbe irrazionalmente e irragionevolmente l’ambito degli interventi ammessi al condono edilizio dalla normativa statale; l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), l’art. 117, terzo comma, nonché l’art. 119 Cost., in quanto ridurrebbe il gettito finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in tal modo incidendo su materie di competenza statale esclusiva («rapporti dello Stato con l’Unione europea», «moneta») e concorrente («coordinamento della finanza pubblica»); l’art. 81 Cost., in quanto avrebbe effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio», determinando una «indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe, per effetto dell’applicazione della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario; l’art. 3 Cost., nella parte in cui introduce, per gli edifici bifamiliari (art. 32, comma 3, lettera b), un limite (100 metri cubi) irragionevolmente più severo rispetto a quello (cento metri quadrati) «che segna il confine tra la nozione di variazione essenziale e quella di parziale difformità (per l’Emilia-Romagna, art. 23 della legge reg. 25 novembre 2002, n. 31)».

VII) L’art. 33, comma 3 (ad eccezione della lettera d), della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, concernente gli ampliamenti e sopraelevazioni di manufatti esistenti, e l’art. 34, comma 2, concernente gli interventi di ristrutturazione edilizia, nella parte in cui ammettono la sanatoria straordinaria (soltanto) di interventi edilizi «che siano conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003», violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di principio relativa alla individuazione degli interventi ammissibili a sanatoria, non essendo chiara la portata del requisito della conformità alla legislazione urbanistica e potendo esso determinare una ridottissima possibilità di applicazione del condono, anche in relazione ad abusi minori.

VIII) L’art. 33, comma 4, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale stabilisce che «qualora gli ampliamenti di cui al comma 3, lettera a), punto 1), riguardino edifici con originaria funzione diversa da quella abitativa, tali immobili sono obbligati a mantenere una destinazione d’uso non abitativa nei venti anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge», nella parte in cui vincola per venti anni la destinazione d’uso degli immobili condonati, violerebbe gli artt. 3, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119, 81 Cost., «l’autonomia degli enti locali» in relazione all’esercizio della potestà urbanistica, nonché l’art. 42 Cost. e la garanzia costituzionale della proprietà.

IX e X) L’art. 34, comma 1, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale esclude dalla sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia «realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003, fatto salvo quanto disposto dal comma 2», senza «distinguere tra ristrutturazioni per le quali è necessario permesso di costruire e ristrutturazioni a volumetria e superficie utile lorda invariate» (che non comportano, di regola, alterazioni del carico urbanistico, e dunque non implicano oneri per la riqualificazione urbana a carico delle comunità locali), nonché l’art. 34, comma 2, lettere a) e d) della medesima legge, il quale ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione purché ricorrano le condizioni elencate e siano conformi alla legislazione urbanistica, ed in particolare la lettera a), la quale ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia che «non comportino aumento delle unità immobiliari, fatte salve quelle ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari», violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di principio che non prevede tali limitazioni.

XI) L’art. 2, comma 1, della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, nella parte in cui ammette alla sanatoria edilizia soltanto «le opere e gli interventi (…) realizzati con variazioni essenziali dal titolo abilitativo o, comunque, in difformità rispetto ad esso» (lettera a), escludendo dall’ambito di applicazione del condono gli immobili realizzati in assenza di permesso di costruire, ed inoltre, nella parte in cui subordina la sanabilità al «rispetto dei limiti indicati dal comma 2», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, nel circoscrivere i limiti di volumetria e nell’escludere del tutto tipologie di abusi dall’ambito degli interventi ammessi alla sanatoria, contrasterebbe con il principio fondamentale posto dalle norme statali concernenti il condono edilizio che consente alle Regioni soltanto la possibilità di «specificare i limiti (quantitativi e non) della sanabilità», nonché di «‘limare’ entro margini di ragionevole tollerabilità (…) le volumetrie massime previste dal legislatore statale»; l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea», della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello Stato»; l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe il gettito derivante dal condono edilizio sul quale più leggi del Parlamento farebbero affidamento, ledendo «le potestà statali di governo della finanza pubblica», e potendo «essere considerato indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art. 3 Cost. ed il principio di eguaglianza; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale in esso prevista nelle materie dell’ordinamento civile e penale, in ragione della «asistematicità» delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata.

XII) L’art. 2, comma 2, della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, che individua gli interventi non suscettibili di sanatoria, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto si discosterebbe «eccessivamente» e «irrazionalmente», dai «limiti quantitativi» alla sanabilità di ampliamenti e ristrutturazioni, previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003; violerebbe, altresì, gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle indicate per le questioni sub VI e XI).

XIII) L’art. 2, comma 5, lettera c), della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, il quale esclude del tutto dalla sanatoria «le opere e gli interventi in contrasto con le destinazioni d’uso ammesse, nella zona interessata, dagli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’entrata in vigore» della medesima legge, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost, perché introdurrebbe «un limite non sorretto da (un) principio determinato dal legislatore statale», nonché in quanto consentirebbe, «nella concreta applicazione» della normativa, «discrezionalità non compatibili con la ‘meccanica’ di un condono edilizio».

XIV) L’art. 2, comma 6, della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, ai sensi del quale, «qualora i vincoli di cui al comma 4 e al comma 5, lettera a), siano istituiti dopo l’entrata in vigore della presente legge, si applica quanto previsto dall’articolo 32 della l. n. 47/1985. Si applica ugualmente l’articolo 32 della l. n. 47/1985 per la sanatoria delle opere di cui al comma 5, lettera a), conformi agli strumenti urbanistici», laddove sembra attribuire ai vincoli istituiti dopo l’entrata in vigore della legge de qua «la forza di impedire la sanatoria straordinaria», violerebbe gli artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.; l’art. 3 Cost., in quanto il principio di eguaglianza sarebbe «irrazionalmente leso dalla facoltà (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo discrezionale l’affidamento del cittadino che autodenuncia l’abuso edilizio»; l’art. 97 Cost. ed i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.

XV) L’art. 3, commi 1 e 3, della legge regionale della Regione Marche n. 23 del 2004, nella parte in cui introduce limiti quantitativi all’ambito degli interventi ammessi alla sanatoria straordinaria, riducendo le volumetrie massime assentibili ed escludendo quasi del tutto la sanatoria per le nuove costruzioni residenziali, in tal modo ponendosi in contrasto con i principi stabiliti dalla legislazione statale, violerebbe gli artt. 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate per le questioni sub VI e XI), nonché l’art. 3 Cost., in quanto alterna in modo «poco razionale» «misure di volumetria a misure di superficie», senza specificare se si tratta di superficie utile lorda o netta, ed in quanto sopprime «la essenziale distinzione tra nuove costruzioni e ampliamenti» ed inoltre in quanto fa «ricorso soltanto a limiti massimi espressi in cifre assolute».

XVI) L’art. 3 della legge regionale della Regione Marche n. 23 del 2004, nella parte in cui – per effetto della soppressione del limite del 30 per cento della volumetria e del limite di 3.000 metri cubi previsti dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nonché a causa della mancata differenziazione delle nuove costruzioni non residenziali – estende l’ambito della sanabilità, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché, più specificamente, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia dello «ordinamento civile e penale».

XVII, XVIII, XIX, XX) L’art. 2, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria le «nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge»; nonché nella parte in cui appare escludere anche le opere realizzate in totale difformità dal titolo o con variazioni essenziali; ed infine, nella parte in cui riduce – in relazione agli ampliamenti – i limiti massimi di volumetria aggiuntiva ammessi a sanatoria straordinaria, consentendoli solo ove contenuti entro il «20 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, di 500 metri cubi»; l’art. 2, comma 2, della medesima legge, il quale, nello stabilire che «non sono suscettibili di sanatoria i mutamenti di destinazione d’uso, qualora superiori a 500 metri cubi per singola unità immobiliare e non conformi alle previsioni urbanistiche comunali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge», pone due differenti limiti, ulteriori a quelli stabiliti dalla normativa statale, alla sanabilità dei mutamenti di destinazione d’uso, «senza distinguere tra mutamenti implicanti opere ed altri mutamenti e tra mutamenti incidenti sui carichi urbanistici ed altri mutamenti», violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle indicate per le questioni sub VI e XI).

XXI) L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, ove «considerato esaustivo ed a se stante» rispetto alla legislazione statale, e dunque, «interpretabile a contrario» nel senso di consentire un ampliamento dell’ambito della sanatoria, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto sarebbe contrastante «con il principio posto dall’art. 32, comma 27, lettera d)», del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269; violerebbe altresì l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe l’ambito della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale».

XXII) L’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, il quale ammette a sanatoria «le tipologie di opera di cui all’Allegato 1 della legge sul condono» a condizione che «gli ampliamenti di costruzioni a destinazione industriale, artigianale e agricolo-produttiva non superino il 20 per cento della superficie coperta fino ad un massimo di 450 metri quadrati di superficie lorda di pavimento», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost, in quanto, individuando i limiti quantitativi degli abusi sanabili con riferimento alla superficie e non al volume, renderebbe possibile il superamento del limite di 750 metri cubi fissato dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, in contrasto con i principi fondamentali della materia «governo del territorio» individuati dalla sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 nella disciplina statale posta dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed in particolare con il limite massimo delle volumetrie sanabili ivi indicato, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, estendendo l’ambito della sanabilità, determinerebbe una palese invasione della competenza statale in materia di «ordinamento civile e penale».

XXIII) L’art. 3, comma 1, lettera c), della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, il quale, nella parte in cui dispone che «le tipologie di opera di cui all’allegato 1 della legge sul condono» sono suscettibili di sanatoria edilizia a condizione che «le nuove costruzioni siano pertinenze di fabbricati residenziali prive di funzionalità autonoma, fino ad un massimo di 300 metri cubi», esclude dal condono edilizio le «nuove costruzioni residenziali» diverse da quelle pertinenziali e aventi volumetria non superiore a 300 metri cubi, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbe con «un principio determinato dal legislatore statale», nonché con la «configurabilità» – che sarebbe stata ammessa anche da questa Corte – «di una sanatoria straordinaria di illeciti urbanistici»; l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), Cost., in quanto inciderebbe sulla competenza esclusiva statale in materia di «rapporti con l’Unione europea», «moneta», «ordinamento civile e penale»; l’art. 81 Cost., per contrasto con il principio di copertura finanziaria, l’art. 3, Cost. e il principio di eguaglianza ivi sancito.

XXIV) L’art. 3, comma 3, della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004 – il quale dispone che «ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 32, commi 26 e 27, della legge sul condono, nelle aree assoggettate ai vincoli di cui all’articolo 32» della legge n. 47 del 1985 e successive modificazioni, «sono suscettibili di sanatoria edilizia, a condizione che l’intervento non sia precluso dalla disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i seguenti interventi, ancorché eseguiti in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento dell’immobile; b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume», nella misura in cui farebbe riferimento ad interventi non incidenti sulla volumetria, ma solo sulla «superficie utile», escludendo dalla sanatoria «ogni altro intervento abusivo», violerebbe gli artt. 117, secondo e terzo comma, 81, 119 e 3 Cost. (per le medesime ragioni svolte sub VI e XI), nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sia in quanto sarebbe riservata al legislatore statale «la tutela dei valori (ad esempio ambientali) presidiati» dai vincoli di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985, sia in quanto possa in concreto consentire la sanatoria che sarebbe invece esclusa in via assoluta dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985.

XXV) L’art. 20, comma 1, lettera a), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale nel disciplinare la sanabilità degli ampliamenti di fabbricati esistenti, introduce limiti quantitativamente diversi rispetto a quelli previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, discrimina tra unità immobiliari destinate ad attività produttive o a servizi e altre unità immobiliari, determina tali limiti in «metri quadri di superficie utile coperta», anziché in termini di volume, in violazione degli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI, XI).

XXVI) L’art. 20, comma 1, lettera c), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale ammette la sanatoria delle «opere riconducibili alle seguenti tipologie di illecito edilizio indicate con i numeri 3, 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al decreto-legge medesimo, anche con eventuale modifica delle destinazioni d’uso» le quali «siano esse realizzate in conformità o in difformità dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data del 2 ottobre 2003», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, ove la data del 2 ottobre 2003 fosse riferita alla realizzazione delle opere, contrasterebbe «con il fondamentale principio posto dall’art. 32, comma 25, del citato decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269», il quale fa riferimento alle opere realizzate entro il 31 marzo 2003; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e penale».

XXVII) L’art. 21, comma 1, lettera c), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, nella parte in cui esclude la sanabilità di opere abusive che comportino «utilizzo di aree in zona agricola per usi del suolo diversi da quello agricolo», potendo determinare la preclusione della sanatoria nelle zone agricole, oltretutto in contraddizione con il precedente art. 20, comma 1, lettera a), numero 3, ove viene espressamente menzionata la «zona E», determinerebbe una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi condonabili, così violando gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).

XXVIII) L’art. 21, comma 1, lettera d), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale, escludendo dal condono edilizio straordinario i «nuovi edifici, salvo quanto previsto dall’art. 20, comma 1, lettera b)», della medesima legge regionale, ridurrebbe l’ambito delle fattispecie passibili di sanatoria, in contrasto con i principi fondamentali posti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, ai sensi del quale sarebbero ammesse a sanatoria anche le «nuove costruzioni residenziali», in violazione degli gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).

XXIX) L’ art. 21, comma 1, lettera e), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, nella parte in cui esclude la sanabilità dell’ampliamento di edifici la cui «intera» costruzione abbia già beneficiato di «precedenti condoni edilizi», violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una disuguaglianza non sorretta da un principio della legislazione statale; gli artt. 3 e 42 Cost., in quanto discriminerebbe gli attuali proprietari degli edifici in questione che potrebbero essere soggetti diversi dagli autori dei precedenti abusi e dai proprietari degli immobili all’epoca in cui essi sono stati realizzati; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la discriminazione tra proprietà edilizie e relativi proprietari sarebbe invasiva della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale».

XXX) L’art. 21, comma 1, lettera h), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale – nell’escludere dalla sanatoria gli interventi «di ampliamento nelle zone omogenee A di cui al D.M. n. 1444/1968, nonché nei centri storici», ad eccezione «di quelli di cui all’articolo 20, comma 2» – equipara «i centri storici ai ‘siti archeologici’ e tutti i relativi edifici a quelli sottoposti a vincolo extraurbanistico», determinando una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi per i quali è ammesso il condono edilizio, violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).

XXXI) L’art. 19 della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale al comma 1 afferma che «i limiti, le condizioni e le modalità per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (…) sono disciplinate dal presente titolo», mentre al successivo comma 2 afferma che «per quanto non disposto dal presente titolo si applicano» le normative statali del 1985 e del 1994, nonché i termini temporali, le modalità e le procedure previste dalle norme statali del 2003, «in connessione con le doglianze in precedenza formulate», violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., in quanto conterrebbe disposizioni poco chiare ed inoltre, in quanto la mancata menzione delle «successive modifiche ed integrazioni» della disciplina statale del 1985 e del 1994 potrebbe «ingenerare incertezze e controversie».

XXXII) L’art. 27, comma 4, della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale dispone che «l’ampliamento di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 20, per gli edifici costituiti da più unità immobiliari dello stesso avente titolo, o da unità immobiliari pertinenziali insistenti all’interno del lotto o dell’area, sempre dello stesso avente titolo, è ammesso per una sola volta ed è riferito alla sommatoria delle superfici di tutte le unità immobiliari interessate, salvo che ogni unità immobiliare si configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi», laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di più proprietari di unità immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico proprietario di più unità immobiliari autonome, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost.

XXXIII) Gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), 4, 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, in quanto emanati quando era oramai decorso il termine di quattro mesi (scaduto il 12 novembre 2004) stabilito dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191, per l’emanazione della legge di cui al comma 26 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. e il principio di ‘leale collaborazione’, in quanto, decorso il termine suddetto, la potestà normativa regionale avrebbe potuto essere esercitata soltanto recependo la normativa statale già divenuta applicabile, «senza possibilità di contraddirla».

XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII) L’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, il quale dispone che «la presente legge disciplina la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito in legge dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, articolo 1 e successive modificazioni e integrazioni», laddove sia suscettibile di essere interpretato nel senso di escludere «dal tessuto normativo complessivo» le disposizioni statali in esso citate; l’art. 3, comma 1, della medesima legge, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria tutte le «opere abusive che hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni difformi dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse», in contrasto con l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed inoltre nella parte in cui, irrazionalmente darebbe rilevanza a norme e strumenti urbanistici non più in vigore al momento dell’entrata in vigore della legge regionale; l’art. 4, comma 1, lettera a), della medesima legge, il quale, disponendo che sono sanabili le opere abusive rientranti tra le tipologie di cui all’allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se le stesse «hanno comportato un ampliamento del manufatto inferiore al quindici per cento della volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi complessivamente i 250 metri cubi», pone per gli ampliamenti due limiti più severi rispetto a quelli previsti dalla norma statale ed inoltre tra loro cumulativi, in tal modo restringendo l’ambito della sanatoria; l’art. 4, comma 1, lettera b), della medesima legge, che disponendo che sono sanabili le opere abusive che «hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse e aventi una volumetria inferiore a 250 metri cubi per singola richiesta di titolo edilizio in sanatoria, sempre che la nuova costruzione non superi complessivamente i 600 metri cubi», violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., (per ragioni identiche rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).

XXXVIII) L’art. 3, comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma 1, lettera c), della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, nella parte in cui restringono l’ambito degli interventi sanabili negando rilevanza al parere favorevole delle autorità preposte alla tutela del vincolo, senza distinguere se tale vincolo sia anteriore all’abuso ovvero successivo, violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni di cui alle questioni sub VI e XI), nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

XXXIX) L’art. 3, comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma 1, lettera c), della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, nella parte in cui estendono l’ambito degli interventi sanabili in ragione del riferimento alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle opere abusive, norme e strumenti che potrebbero risultare meno severi di quelli vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. ponendosi in contrasto con i principi fondamentali posti dalla normativa statale, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbero la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale».

XL) L’art. 3, comma 2, lettera c), della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, nella parte in cui, disponendo che non possono essere sanate le opere «realizzate su aree facenti parte o di pertinenza del demanio pubblico», e non distinguendo tra demanio statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe l’ambito delle ipotesi di esclusione dalla sanabilità già prevista dall’art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe gli artt. 42 e 117, secondo comma, lettera g), Cost., in relazione al demanio statale, per il quale la sanabilità delle opere è subordinata al previo esplicito consenso dello Stato proprietario; l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbe con un principio determinato dalla normativa statale (art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003 e art. 32, comma 6, della legge n. 47 del 1985); l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai beni del demanio provinciale e comunale, in quanto la disposizione regionale non sarebbe sorretta da alcun principio determinato dalla normativa statale.

XLI) L’art. 4, comma 1, lettera d), della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, il quale ammette alla sanatoria gli interventi che «hanno comportato un ampliamento del manufatto, già oggetto di condono ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V, o ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, inferiore al cinque per cento della volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi complessivamente i cento metri cubi», violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni di cui alle questioni questioni sub VI e XI), nonché l’art. 42 Cost. e la garanzia costituzionale della proprietà.

4. – Le censure prospettate dall’Avvocatura dello Stato sono nella loro grande maggioranza riconducibili a pochi macrogruppi omogenei.

Questi macrogruppi possono essere così individuati.

1) Questioni in cui si contesta la riduzione dell’ambito della sanatoria straordinaria mediante l’esclusione dal condono sul versante amministrativo di talune tipologie di abusi edilizi: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub V, VI, IX, XI (in parte), XVII, XVIII, XXIII, XXIV (in parte), XXVIII, XXX, XXXV;

2) questioni in cui si contesta la riduzione dell’ambito della sanatoria straordinaria mediante la riduzione dei limiti quantitativi delle volumetrie condonabili: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub XI (in parte), XII, XV, XIX, XXV, XXXVI, XXXVII, XLI;

3) questioni in cui si contesta la riduzione dell’ambito della sanatoria straordinaria mediante l’introduzione, ai fini della condonabilità di taluni interventi, di ulteriori condizioni rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub IV, VII, VIII, X, XIII, XIV, XX, XXVII, XXIX, XXXII, XXXVIII, XL;

4) questioni in cui si contesta l’ampliamento degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub I, XVI, XXI, XXII, XXIV (in parte), XXXIX;

5) questioni in cui si contesta il mancato rispetto del termine previsto per l’emanazione della legge regionale di cui all’art. 32, comma 26, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, da parte dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191 del 2004: questioni sub XXXIII.

Estranee a queste categorie, in quanto sostanzialmente eterogenee, risultano le sole questioni sub II, III, XXVI, XXXI, XXXIV.

5. – In via preliminare, deve essere dichiarata la inammissibilità di alcune delle questioni sollevate dalla Avvocatura dello Stato relativamente a disposizioni legislative che non risultano individuate nelle corrispondenti delibere del Governo e nei relativi allegati. Come, infatti, questa Corte ha più volte affermato, la delibera del Consiglio dei Ministri o la relazione ministeriale a cui questa rinvii devono necessariamente indicare le specifiche disposizioni che si ritiene di impugnare (si vedano, ex plurimis, le sentenze n. 300 del 2005; n. 43 e n. 134 del 2004, n. 315 del 2003, n. 533 del 2002).

La deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004 contiene una generica determinazione di impugnare la legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21, e la allegata relazione del Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art. 3, comma 1, lettera a), né dell’art. 3, comma 3. Sono pertanto inammissibili le questioni sub XXII e XXIV.

Analogamente, la deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004 contiene una generica determinazione di impugnare la legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21, e la allegata relazione del Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art. 19 e dell’art. 27, comma 4. L’Avvocatura, nel ricorso, motiva laconicamente l’impugnazione di tali disposizioni sostenendo che esisterebbe una «connessione con le doglianze fin qui formulate»; in realtà, si tratta semplicemente di un’affermazione del tutto generica, tale da non giustificare la censura di norme non specificamente individuate nella deliberazione dell’organo politico. Pertanto, anche le questioni sub XXXI e XXXII sono inammissibili.

Infine, la deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004 contiene una generica determinazione di impugnare la legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10, e la allegata relazione del Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art. 1, comma 1. Pertanto è inammissibile la questione sub XXXIV.

5.1. – Deve essere dichiarata, altresì, inammissibile l’impugnazione dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2005, che il ricorrente effettua limitatamente alle parole «salvo quanto disposto dalla presente legge».

L’Avvocatura si limita infatti ad indicare, nell’epigrafe del ricorso, tale disposizione tra quelle oggetto di impugnazione, omettendo però di svolgere alcuna argomentazione al riguardo. La censura manca pertanto dei requisiti minimi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, gli atti introduttivi del giudizio in via principale devono presentare (sentenze n. 423 e n. 286 del 2004).

6. – Tutte le disposizioni regionali impugnate hanno ad oggetto la disciplina del condono edilizio straordinario del 2003, e sono state emanate ai sensi dell’art. 32, commi 26 e 33, del decreto-legge n. 269 del 2003, così come modificato dalla legge di conversione n. 326 del 2003, come risultante a seguito della pronuncia di parziale illegittimità costituzionale operata con la sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte; sentenza cui ha dato esplicitamente esecuzione l’art. 5 del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191 del 2004.

Dal momento che larga parte delle questioni di costituzionalità sollevate dal ricorrente e delle argomentazioni svolte dalle difese regionali si fondano su differenziate, se non contrapposte, interpretazioni della giurisprudenza di questa Corte su questa legislazione relativa al recente condono edilizio straordinario, appare necessario richiamarne alcuni fondamentali contenuti.

Nella citata sentenza n. 196 del 2004, questa Corte ha affermato esplicitamente che nella disciplina del condono edilizio di tipo straordinario convergono la competenza legislativa esclusiva dello Stato per quanto riguarda la esenzione dalla sanzionabilità penale (con la correlativa disciplina strumentale della piena collaborazione dei Comuni con gli organi giurisdizionali quindi chiamati ad applicare la legge sul condono) e la competenza legislativa di tipo concorrente delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di «governo del territorio», nonché di «valorizzazione dei beni culturali ed ambientali», oltre a varie altre competenze innominate riconducibili al quarto comma dell’art. 117 Cost. (ad esempio, commercio, turismo, insediamenti produttivi). Al tempo stesso, non si può sottovalutare la tradizionale titolarità da parte dei Comuni dei fondamentali poteri di gestione dell’assetto urbanistico ed edilizio del territorio, ivi compreso l’ordinario e limitato potere di sanatoria edilizia, poteri che certamente potrebbero risultare anche radicalmente vulnerati dall’imposizione di uniformi condoni straordinari, che non tengano in adeguata considerazione le diverse legislazioni urbanistiche regionali e le stesse condizioni urbanistiche ed edilizie dei diversi territori. Da ciò la conclusione «che, in riferimento alla disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, ivi compresa – come già affermato in precedenza – la collaborazione al procedimento delle amministrazioni comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili). Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo precedente – di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo» (paragrafo 20 del Considerato in diritto).

D’altra parte, nella medesima sentenza sono state superate le censure fondate sull’asserita irrimediabile violazione dei primari valori della tutela dei beni ambientali e paesaggistici di cui all’art. 9 Cost., solo con la affermazione che «la tutela di un fondamentale valore costituzionale sarà tanto più effettiva quanto più risulti garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi ed amministrativi siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco. E il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo –all’interno delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema di condono contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio, che sono – per loro natura – i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi». Né si dimentichi che, sempre nella sentenza n. 196 del 2004, questa Corte ha potuto dichiarare infondate le censure relative all’adozione di un nuovo condono straordinario in relazione alla presunta violazione del principio di ragionevolezza (a causa della asserita mancanza di circostanze eccezionali che potessero giustificare la ulteriore reiterazione di un provvedimento certamente lesivo della certezza del diritto) solo dando al comma 2 dell’art. 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003 il significato di individuare la giustificazione del condono da esso previsto «nelle contingenze particolari della recente entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (…), nonché dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle Regioni e negli enti locali la politica di gestione del territorio».

Su questa base, le numerose dichiarazioni di parziale illegittimità dell’art. 32 erano esplicitamente finalizzate ad eliminare le limitazioni che «escludono il legislatore regionale da ambiti materiali che invece ad esso spettano», pur nel pieno rispetto delle esclusive responsabilità della legge statale sul versante delle sanzioni penali. In particolare, per ciò che concerne l’ampiezza della discrezionalità riconosciuta al legislatore regionale in materia di condono sul versante della disciplina amministrativa, nella sentenza n. 196 questa Corte ha «dichiarato costituzionalmente illegittimo anzitutto il comma 26 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003». Analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale ha pronunziato in relazione al «comma 25 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione».

Del tutto uniformemente, seppur in termini sintetici, la successiva sentenza n. 71 del 2005 ha affermato «che, a seguito della citata sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili» (analogamente si vedano le sentenze nn. 70 e 304 del 2005).

Al tempo stesso, la sentenza n. 70 del 2005 ha chiaramente ribadito che ciò che esula dalla potestà delle Regioni è il «potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale».

Su un diverso piano, la sentenza n. 196 del 2004, in considerazione della evidente interdipendenza fra la legislazione esclusiva statale sul condono edilizio per quanto riguarda le conseguenze penali e quella regionale sul condono edilizio per ciò che riguarda il versante amministrativo (sia nell’interesse delle diverse istituzioni pubbliche, che dei vari possibili interessati), ha affermato che «l’adozione della legislazione da parte delle Regioni appare non solo opportuna, ma doverosa e da esercitare entro il termine determinato dal legislatore nazionale; nell’ipotesi limite che una Regione o Provincia autonoma non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine massimo prescritto, a prescindere dalla considerazione se ciò costituisca, nel caso concreto, un’ipotesi di grave violazione della leale cooperazione che deve caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potrà che trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003».

7. – Così richiamati i confini tra competenza legislativa statale e competenza legislativa regionale già individuati nella giurisprudenza di questa Corte, si possono esaminare nel merito le censure prospettate nei ricorsi.

Logicamente preliminari sono le questioni sub XXXIII, aventi ad oggetto l’art. 1, l’art. 3, eccettuate le lettere b e d del comma 2, l’art. 4, l’art. 6, commi 1, 2 e 5, e l’art. 8 della legge della Regione Campania n. 10 del 2004. Tali disposizioni sono impugnate in quanto sarebbero state adottate oltre il termine di quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168 del 2004, così come convertito nella legge n. 191 del 2004, secondo quanto prescritto dall’art. 5, comma 1, del suddetto decreto.

Le questioni, pur relative solo ad alcune disposizioni della legge regionale n. 10 del 2004, sono senz’altro ammissibili, malgrado l’eccezione prospettata dalla difesa regionale secondo la quale, lamentandosi la sussistenza di un vizio formale, le censure avrebbero dovuto semmai riguardare l’intera legge; al contrario, va osservato che il limite temporale all’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni in questa particolare materia concerne esclusivamente le disposizioni che, specificando l’ambito degli interventi condonabili sul versante amministrativo, si discostano dalle previsioni dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come modificato dalla legge di conversione n. 326 del 2003, e come risultante a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale ad opera della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte. Non incontra, invece, limiti temporali del genere il potere legislativo regionale che si svolga in conformità dell’art. 32 o nell’ambito di una qualsiasi ordinaria materia legislativa di competenza della Regione.

Nel merito le questioni sono fondate.

La prescrizione del termine di quattro mesi da parte dell’art. 5, comma 1, del decreto legge n. 168 del 2004 dà attuazione a quanto espressamente statuito al punto 7 del dispositivo della sentenza n. 196 del 2004, il quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 32, decreto-legge n. 269 del 2003 «nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi dalla legge statale». Peraltro, nella motivazione di tale pronuncia, questa Corte ha configurato tale termine come perentorio, tanto da prevedere addirittura che, ove le Regioni non esercitino il proprio potere entro il termine prescritto «non potrà che trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come convertito in legge».

Privo di pregio è il tentativo della difesa regionale di sostenere che il termine di quattro mesi decorrerebbe non già dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 168, bensì dalla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 191, sulla base dell’argomentazione che appunto la legge di conversione ha integrato il testo del comma 1 dell’art. 5, aggiungendo ad esso il secondo periodo: a prescindere dal fatto che quest’ultimo periodo non fa che parafrasare il contenuto della sentenza n. 196 del 2004 (prima citato) a proposito della applicabilità della normativa statale in caso di mancato esercizio nel termine del potere legislativo regionale, il riferimento al termine di quattro mesi è contenuto nel primo periodo del comma 1 dell’art. 5 e individua in modo espresso, come dies a quo, la «data di entrata in vigore del presente decreto».

Quanto alla richiesta, formulata in via subordinata dalla difesa regionale, che questa Corte sollevi avanti a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 168 del 2004, «nella parte in cui limita a soli quattro mesi il termine per l’esercizio della potestà legislativa regionale», trattandosi di termine incongruo rispetto alla pluralità di contenuti e alla complessità delle scelte che il legislatore regionale doveva operare, sembra sufficiente, ai fini della dichiarazione di manifesta infondatezza di questa richiesta, rilevare che numerose Regioni hanno adottato questa legislazione entro il termine prescritto, senza che emergessero problemi particolari.

Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, dell’art. 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), dell’art. 4, dell’art. 6, commi 1, 2 e 5, e dell’art. 8, della legge della Regione Campania n. 10 del 2004. Restano conseguentemente assorbite le ulteriori questioni concernenti le disposizioni della legge della Regione Campania individuate sub XXXV, XXXVI, XXXVII, XXXVIII, XXXIX, XL e XLI.

8. – Possono essere trattate unitariamente le numerose questioni – di cui ai macrogruppi nn. 1, 2, 3 elencati al precedente par. 4 – in cui si contesta la riduzione, da parte delle disposizioni legislative impugnate, dell’ambito della sanatoria straordinaria sia mediante l’esclusione dal condono sul versante amministrativo di talune tipologie di abusi edilizi, sia mediante la riduzione dei limiti quantitativi delle volumetrie condonabili, sia infine mediante l’introduzione, ai fini della sanabilità di taluni interventi, di ulteriori condizioni rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003.

Queste censure sono basate, in sostanza, sulla asserita violazione delle medesime norme costituzionali, spesso considerate nelle loro reciproche relazioni o anche nel loro complesso, ed in particolare:

a) dell’art. 117 Cost, secondo comma, lettera a) (per ciò che riguarda i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario), lettera e) (per ciò che riguarda l’esclusiva competenza legislativa statale in tema di «moneta» e di «sistema tributario e contabile dello Stato»), lettera s) (in relazione alla competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente»); dell’art. 81 Cost.; dell’art. 119 Cost. (per ciò che riguarda l’autonomia finanziaria statale sul lato delle entrate); dell’art. 117, terzo comma (per ciò che riguarda la competenza legislativa statale in tema di determinazione dei principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica»);

b) dell’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, e dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (per ciò che riguarda l’esclusiva competenza legislativa statale in tema di «ordinamento civile e penale»);

c) dell’art. 117, terzo comma, Cost., per ciò che riguarda la competenza statale in tema di determinazione dei principi fondamentali nello specifico settore della disciplina del condono edilizio straordinario di cui all’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003;

d) di alcune disposizioni costituzionali che comunque costituiscono limite anche all’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni: art. 3 Cost. (sotto vari profili), art. 42 Cost., art. 97 Cost., principio di autonomia degli enti locali.

8.1. – Rispetto ai parametri costituzionali di cui al punto a) che si asseriscono violati, alcune Regioni resistenti hanno eccepito la inammissibilità di queste censure, data la loro sommaria e generica prospettazione; peraltro, malgrado la indubbia sommarietà delle motivazioni svolte nei ricorsi (tanto più discutibile, dal momento che si tratta in sostanza di riproposizione di argomentazioni già avanzate nella vicenda processuale conclusasi con la sentenza n. 196 del 2004), esse, nel loro complesso, esprimono comunque la tesi, più volta ribadita nelle memorie dell’Avvocatura, che una legislazione regionale che disciplini i profili amministrativi del condono edilizio non potrebbe comunque produrre indirettamente una riduzione significativa delle entrate erariali ed un conseguente squilibrio della complessiva finanza pubblica, la cui disciplina sarebbe di esclusiva competenza statale, ponendo quindi anche a rischio il rispetto, da parte delle istituzioni nazionali, dei vincoli europei sulla spesa pubblica.

Le censure non sono fondate.

A prescindere dalla irrilevanza, nel caso di specie, delle competenze statali esclusive in tema di «moneta» e di «sistema tributario e contabile dello Stato», e dalla improprietà del richiamo ai poteri statali in tema di principi sul «coordinamento della finanza pubblica», le censure in esame prescindono da una adeguata ricostruzione sistematica del Titolo V della seconda parte della Costituzione ed in particolare dal livello di tutela costituzionale dell’autonomia legislativa regionale che ivi è previsto. I limiti a tale autonomia non possono che essere espressi, e ciò tanto più ove ci si riferisca ad effetti indiretti derivanti dall’uso che una Regione faccia della propria discrezionalità legislativa (magari, come nel caso di specie, addirittura con la finalità di contenere un’eccezionale forma di compressione della discrezionalità propria e degli enti locali nel settore del governo del territorio). In altri termini, è del tutto evidente che, allorché il legislatore regionale eserciti le proprie competenze legislative costituzionalmente riconosciute, non possa attribuirsi rilievo, ai fini dell’eventuale illegittimità costituzionale di tale intervento, agli effetti che solo in via indiretta ed accidentale dovessero derivare al gettito di entrate di spettanza dello Stato.

8.2. – Del pari infondate sono le censure secondo le quali sarebbe grave «la lesione del principio di eguaglianza (…) delle persone rispetto alla legge e della competenza esclusiva ex art. 117 comma secondo, lettera l), Cost.», poiché i giudici comuni, dinanzi alla «eccessiva restrizione» da parte del legislatore regionale dell’ambito della legislazione statale in tema di condono edilizio sarebbero obbligati «a rendere, a carico dei proprietari ed autori di illeciti (e di eventuali di controinteressati e parti offese), pronunce quanto meno asistematiche». Questa Corte, con la sentenza n. 196 del 2004, ha considerato compatibile con la Costituzione la legge statale sul condono straordinario esclusivamente per quanto riguarda i profili penalistici, mentre per i profili relativi alla disciplina del condono straordinario sul piano amministrativo ha affermato che essi operano nell’ambito della materia del governo del territorio e cioè di una materia che per le Regioni ad autonomia ordinaria è di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.; ma ciò evidentemente significa che la legislazione delle singole Regioni può disporre diversamente da quanto previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, quale convertito dalla legge n. 326 del 2003, e che quindi – da questo punto di vista – è del tutto probabile e non certo incoerente rispetto al disegno costituzionale che siano adottate legislazioni diversificate da Regione a Regione (come, d’altra parte, avviene normalmente negli ambiti affidati al potere legislativo regionale), con tutto ciò che ne consegue per gli interessati e per le pronunce giurisdizionali che facciano applicazione di tale disciplina.

8.3. – Quanto al terzo gruppo di norme costituzionali che sarebbero violate dalle disposizioni regionali censurate, l’Avvocatura generale dello Stato afferma più volte che, proprio considerando che la sentenza 196 del 2004 individua il titolo di competenza legislativa delle Regioni in materia di condono straordinario sul versante amministrativo nella materia «governo del territorio» contemplata nel terzo comma dell’art. 117 Cost., le Regioni dovrebbero rispettare i principi fondamentali determinati dal legislatore statale, principi che sarebbero deducibili dai contenuti dello stesso art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, quale convertito dalla legge n. 326 del 2003; su questa linea, in particolare, l’Avvocatura afferma che «la sanabilità delle nuove costruzioni residenziali di relativamente modeste dimensioni realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici (…) è principio cui ogni Regione deve attenersi»; sostiene inoltre che i limiti ulteriori rispetto a quelli del legislatore statale non possono essere previsti perché non sorretti da un «principio determinato dal legislatore statale». Secondo lo Stato ricorrente, la Regione potrebbe «specificare i limiti (quantitativi e non) della sanabilità, e perfino "limare” entro margini di ragionevole tollerabilità (come qualche altra Regione ha fatto) le volumetrie massime previste del legislatore statale»; non potrebbe, invece, «negare in toto o in misura prevalente (rispetto al quantum di volumetria ammesso dalla legge statale) la sanabilità delle nuove costruzioni o degli ampliamenti».

Anche volendosi prescindere dalla stessa possibilità di configurare come principi fondamentali disposizioni estremamente puntuali e dettagliate, che permetterebbero solo «specificazioni» e «limature» «entro margini di ragionevole tollerabilità», il punto centrale della sentenza n. 196 del 2004 sta nel riconoscimento al legislatore regionale di un ampio potere discrezionale nella possibilità di definire i confini entro cui modulare gli effetti sul piano amministrativo del condono edilizio straordinario. Ciò in ragione delle primarie responsabilità legislative ed amministrative spettanti sulla base delle norme costituzionali alle Regioni e agli enti locali in relazione al governo del territorio, sia pure nel rispetto del regime penale del condono riservato al legislatore statale, e nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legge dello Stato (tra i quali la sentenza n. 196 del 2004 ha individuato «la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili»).

Ma soprattutto occorre considerare che la pronuncia da ultimo citata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 32 proprio nella parte in cui non prevedeva «che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli ivi indicati»; ha inoltre dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 26 dell’art. 32, nella parte in cui non prevedeva «che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1».

Pertanto, sulla base delle addizioni operate dalla sentenza n. 196 del 2004 al citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, integralmente recepite dal legislatore nazionale con la conversione in legge dell’art. 5 del decreto-legge n. 168 del 2004 ad opera della legge n. 191 del 2004 (articolo intitolato: «Esecuzione di sentenza della Corte costituzionale in materia di definizione di illeciti edilizi»), deve riconoscersi che non esistono nella legislazione statale vigente principi fondamentali quali quelli prospettati nei ricorsi.

8.4. – Questo riconoscimento di un significativo potere legislativo delle Regioni in tema di possibilità, di ampiezza e di limiti del condono edilizio straordinario sul versante amministrativo rende infondate anche le questioni di costituzionalità sollevate in riferimento ai parametri costituzionali di cui al precedente gruppo d).

In particolare, risultano infondate le censure, sollevate in relazione agli artt. 3 e 42 Cost., a proposito dell’art. 32 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub IV). Non costituisce, infatti, irragionevole scelta legislativa la subordinazione da parte della Regione della condonabilità delle opere abusive alla ulteriore condizione che le medesime non siano state realizzate con contributi pubblici erogati successivamente all’ultimo condono, ovvero che non abbiano già beneficiato di precedenti condoni, volendosi evidentemente in tal modo penalizzare la reiterazione di comportamenti illeciti, nonché l’utilizzo di denaro pubblico per la realizzazione di opere abusive. Analogamente, per l’art. 21, comma 1, lettera e), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004 (questioni sub XXIX), non risulta irragionevole che la Regione subordini la condonabilità delle opere alla ulteriore condizione che le stesse non abbiano già beneficiato di precedenti condoni.

Lo stesso è da dirsi per l’art. 33, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub VIII), che impone che edifici con destinazione d’uso non abitativa possano essere condonati solo se mantengono per venti anni questo tipo di destinazione; in questa ipotesi le censure dell’Avvocatura dello Stato muovono dalla presunta lesione, oltre che dell’art. 42 Cost., anche del principio di autonomia degli enti locali; in realtà, si tratta di una disposizione che non vieta l’esercizio da parte degli enti locali del potere di ridefinire le destinazioni d’uso, ma incide soltanto sulla possibilità che coloro che abbiano beneficiato del condono in relazione ad immobili destinati ad usi non abitativi possano successivamente mutarne la destinazione d’uso, aggirando la relativa disciplina.

L’art. 2, comma 6, della legge della Regione Toscana è a sua volta censurato (questioni sub XIV) anche perché contrasterebbe «con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) irrazionalmente leso dalla facoltà (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo discrezionale l’affidamento del cittadino che autodenuncia l’abuso edilizio, e con le regole costituzionali della imparzialità e del buon andamento (art. 97, primo comma, Cost.)». Va osservato, al contrario, che la norma regionale disciplina semplicemente la sanatoria delle opere realizzate su aree sulle quali siano stati apposti, dopo l’entrata in vigore della legge regionale, i vincoli di inedificabilità assoluta di cui all’art. 33, della legge n. 47 del 1985 ovvero i vincoli idrogeologici, ambientali e paesistici, relativi a parchi e aree protette di cui all’art. 32 della medesima legge, subordinandola al parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo, in tal modo dando rilevanza anche ai vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell’intervento abusivo secondo l’oramai consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa.

8.5. – La constatata insussistenza della lesione dei parametri costituzionali indicati comporta l’infondatezza delle numerose censure che si basavano su di esse; vanno pertanto respinte le questioni sub IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV, XVII, XVIII, XIX, XX, XXIII, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX.

9. – Con le residue censure individuate nel macrogruppo 4 di cui al precedente par. 4, l’Avvocatura contesta sostanzialmente l’effetto di ampliamento degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa che verrebbe a determinarsi sulla base di alcune disposizioni delle leggi regionali impugnate.

Come si è già ribadito al par. 6, la giurisprudenza di questa Corte sul condono edilizio straordinario del 2003 è costante nell’affermare che spetta al legislatore statale determinare non solo tutto ciò che attiene alla dimensione penalistica del condono, ma anche la potestà di individuare, in sede di definizione dei principi fondamentali nell’ambito della materia legislativa «governo del territorio», la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili.

L’art. 26, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub I) individua un’ipotesi di condono avente ad oggetto opere edilizie autorizzate e realizzate anteriormente alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli) che presentino difformità esecutive. Tale disposizione ha contenuto più ampio rispetto alla normativa statale, prevedendo anche che in quest’ambito la sanatoria intervenga ope legis, dunque a prescindere dalla specifica richiesta e dalla concessione del titolo abilitativo in sanatoria. La difesa regionale giustifica la disposizione, sostenendo che essa avrebbe ad oggetto solo difformità esecutive lievi e risalenti nel tempo e mirerebbe ad assicurare la certezza del diritto e la facilità degli scambi privati.

La questione prospettata dal ricorrente in relazione alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. è fondata.

Nell’ambito della speciale normazione relativa al condono edilizio straordinario questa Corte – come si è detto più sopra – ha precisato che le Regioni non possono rimuovere i limiti massimi fissati dal legislatore statale, e che, tra i principi fondamentali cui esse devono attenersi, vi è quello proprio a fini di certezza delle situazioni giuridiche, della previsione del titolo abilitativo in sanatoria al termine dello speciale procedimento disciplinato dalla normativa statale.

Poiché, dunque, l’art. 26, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 si risolve nella estensione della sanatoria straordinaria ad ipotesi ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, deve esserne dichiarata la illegittimità costituzionale.

L’art. 3 della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, secondo lo Stato ricorrente, determinando i limiti per il conseguimento del condono amministrativo con disposizioni che in genere riducono le volumetrie massime, non ripete però tutti i limiti massimi determinati dal comma 25 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (30% della volumetria originaria della costruzione ampliata, 3.000 metri cubi complessivi per le nuove costruzioni residenziali) e, quindi, per questa parte estenderebbe l’area delle opere abusive ammesse alla sanatoria amministrativa (questioni sub XVI).

La questione prospettata dal ricorrente in relazione alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. è fondata.

La difesa della Regione, anzitutto, sostiene che questi limiti potrebbero ritenersi implicitamente richiamati, dal momento che l’art. 1 della legge regionale in questione parla di legge che attua i «principi di cui all’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269». Tale argomento risulta privo di pregio, dal momento che la specificità della disciplina dettata dall’art. 3 della legge regionale, a fronte del generico richiamo all’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 contenuto nell’art. 1 della stessa legge, osta ad una interpretazione adeguatrice del genere.

La difesa regionale sostiene, altresì, che «l’abolizione asseritamene operata dall’art. 3 del limite del 30% della volumetria sarebbe in ogni caso pienamente legittima», poiché «il limite del 30% (costituirebbe) parametro alternativo a quello dell’ampliamento superiore a 750 metri cubi per l’ammissibilità alla sanatoria secondo espressa previsione del comma 25 dell’art. 32».

In realtà, con riguardo all’ampliamento degli immobili non residenziali, l’art. 3 della legge regionale n. 23 del 2004 determina il limite in relazione (non già al volume, ma) al diverso criterio della superficie realizzabile. Pertanto, non ponendo alcun limite volumetrico, né richiamando le limitazioni del 30% e dei 750 metri cubi previsti – sia pure in via alternativa – dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, la disposizione impugnata rende possibile, per gli immobili non residenziali, la realizzazione di ampliamenti superiori a quelli massimi previsti dalla normativa statale.

Con riguardo alla realizzazione di nuove costruzioni residenziali, l’art. 3 della legge regionale n. 23 del 2004, pur individuando limiti più rigorosi in relazione alla singola unità immobiliare ammessa a sanatoria (la quale non può essere superiore a 200 metri cubi, comprese le pertinenze), non pone alcuna limitazione alla volumetria complessiva della nuova costruzione. In tal modo, la disposizione censurata rende possibile che la nuova costruzione residenziale superi il limite complessivo di 3.000 metri cubi stabilito dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003 per tale tipologia di interventi.

Pertanto deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, nella parte in cui non prevede, quali ulteriori condizioni per la conseguibilità della sanatoria, che le opere abusive non residenziali non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria, e che le nuove costruzioni residenziali non superino complessivamente i 3.000 metri cubi.

9.1. – L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 3 del 2005 è stato impugnato poiché la norma potrebbe essere interpretata nel senso di escludere la sanabilità delle opere realizzate in aree vincolate solo se si tratti di vincolo di inedificabilità, e non anche se si tratti di vincolo diverso. Ciò sarebbe in contrasto con l’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 260 del 2003, il quale non consente la sanatoria delle opere realizzate su aree comunque vincolate, e pertanto violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché la competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale» (questioni sub XXI).

La difesa della Regione Lombardia ha peraltro obiettato che il legislatore regionale ha invece semplicemente voluto «ribadire e consacrare, anche in un testo legislativo regionale, quanto già previsto dalla legislazione statale, all’art. 32, comma 27, lettera d)». L’Avvocatura dello Stato, in una successiva memoria, ha ritenuto tale interpretazione della norma «coerente con la normativa statale».

Le questioni non sono fondate, dal momento che l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 3 del 2005 si limita, effettivamente, a recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal decreto-legge n. 269 del 2003.

10. – Fra le censure estranee ai cinque macrogruppi di cui al par. 4, residuano le sole questioni sub II, III e XXVI.

Le questioni sub II e III riguardano la legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 che all’art. 29, comma 2, prevede che ove «in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione del professionista abilitato (…) contenga dichiarazioni non veritiere, rilevanti ai fini del conseguimento del titolo», si applica il terzo comma dell’art. 8 della stessa legge, il quale dispone che «l’Amministrazione comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria nonché al competente Ordine professionale, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari».

A questo proposito, l’Avvocatura dello Stato asserisce che tali disposizioni prevedono «sanzioni disciplinari ed eventualmente penali a carico del professionista», così ledendo la competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e penale» e della competenza concorrente in materia di «professioni».

Le questioni non sono fondate.

Le due norme, infatti, si limitano a prevedere un generico obbligo dell’amministrazione pubblica di comunicazione della notizia di dichiarazioni non veritiere all’autorità giudiziaria e all’ordine professionale, evidentemente perché questi verifichino, rispettivamente, la eventuale sussistenza di reati o di illeciti disciplinari, senza peraltro incidere in alcun modo sulla disciplina penale, ovvero sulla disciplina delle professioni. D’altra parte, previsione del tutto analoga è contenuta nell’art. 29, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il quale prevede che, qualora la relazione del professionista di accompagnamento della denunzia di inizio attività contenga dichiarazioni non veritiere, «l’amministrazione ne dà notizia al competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari».

Il gruppo di questioni sub XXVI ha ad oggetto l’art. 20, comma 1, lettera c), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004; dal momento che in una disposizione che individua le opere condonabili è contenuto un riferimento alla data del 2 ottobre 2003, l’Avvocatura generale, pur riconoscendo che non vi sarebbero problemi se la data fosse riferita agli strumenti urbanistici, nel dubbio che invece possa essere riferita alla data di ultimazione delle opere condonabili, fissata al 31 marzo 2003 dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, l’ha impugnata «per grave contrasto con il fondamentale principio posto dall’art. 32, comma 25, del citato decreto-legge», nonché per violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale». La difesa regionale sostiene che la data del 2 ottobre si riferisce esclusivamente «agli strumenti urbanistici, visto che la previsione di tale termine temporale è collocata immediatamente dopo il richiamo di detti strumenti». Il ricorrente, in una successiva memoria, ha ritenuto «superata» la questione di legittimità costituzionale, pur non formalizzando la rinuncia alla questione stessa.

Le questioni non sono fondate.

Dal tenore letterale della disposizione impugnata emerge chiaramente che la data del 2 ottobre 2003 in essa contenuta è riferita alla vigenza delle norme urbanistiche e degli strumenti urbanistici rispetto ai quali devono essere valutati gli interventi, e non già all’epoca di realizzazione degli stessi. Quest’ultima è, infatti, fissata dallo stesso art. 20, comma 1, primo periodo, al 31 marzo 2003, in conformità con quanto disposto dall’art. 32, del decreto-legge n. 269 del 2003.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, dell’art. 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), dell’art. 4, dell’art. 6, commi 1, 2 e 5, e dell’art. 8, della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione e successive modifiche ed integrazioni);

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326);

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi), nella parte in cui non prevede, quali ulteriori condizioni per la conseguibilità della sanatoria, che le opere abusive non residenziali non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria, e che le nuove costruzioni residenziali non superino complessivamente i 3.000 metri cubi;

dichiara inammissibile l’impugnazione proposta, con il ricorso n. 3 del 2005, avverso l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi);

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale proposte, con il ricorso n. 7 del 2005, avverso l’art. 3 comma 1, lettera a) e comma 3, della legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio);

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale proposte, con il ricorso n. 8 del 2005, avverso l’art. 19 e l’art. 27, comma 4, della legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilità, sanzioni e sanatoria in materia edilizia);

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta, con il ricorso n. 9 del 2005, avverso l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania n. 10 del 2004,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, dell’art. 29, comma 2, dell’art. 32, dell’art. 33, commi 1, 2, 3 e 4, dell’art. 34, commi 1 e 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., nonché del «principio di autonomia degli enti locali», con il ricorso n. 114 del 2004;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, e dell’art. 2, commi 2, 5, lettera c), e 6, della legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria), sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 115 del 2004;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 3, della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 2 del 2005;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, e dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi), sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 3 del 2005;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera c), della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 7 del 2005;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettere a) e c), , nonché dell’art. 21, comma 1, lettere c), d), e), h), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 8 del 2005.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2006.