Sentenza n. 138 del 2009

SENTENZA N. 138

ANNO 2009

 

Commento alla decisione di

Daniele Chinni

Processo costituzionale e illegittimità consequenziale

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Francesco               AMIRANTE            Presidente

- Ugo                        DE SIERVO              Giudice

- Paolo                      MADDALENA              "

- Alfio                       FINOCCHIARO            "

- Alfonso                   QUARANTA                 "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                       MAZZELLA                  "

- Gaetano                  SILVESTRI                   "

- Sabino                    CASSESE                     "

- Maria Rita               SAULLE                       "

- Giuseppe                 TESAURO                    "

- Paolo Maria             NAPOLITANO             "

- Giuseppe                 FRIGO                         "

- Alessandro              CRISCUOLO                "

- Paolo                      GROSSI                       "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, lettera b), e 2, 4, comma 1, 5 e 7, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 febbraio 2008, n. 2 (Esercizio di pratiche ed attività bionaturali ed esercizio delle attività dei centri benessere), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17 aprile 2008,  depositato in cancelleria il 28 aprile 2008 ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2008.

Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;

udito nell’udienza pubblica del 31 marzo 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso del 12 aprile 2008, notificato alla Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, in data 17 aprile 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, a seguito di conforme deliberazione governativa del 1° aprile 2008, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, lettera b), e 2, 4, comma 1, 5 e 7, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 febbraio 2008, n. 2 (Esercizio di pratiche ed attività bionaturali ed esercizio delle attività dei centri benessere), deducendone il contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, nonché, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), di tutti i restanti articoli della stessa legge, in quanto ai precedenti funzionalmente ed inscindibilmente collegati.

1.1. – Nell’atto introduttivo del giudizio, dopo aver brevemente illustrato il contenuto dei 14 articoli che compongono la legge regionale censurata, il ricorrente, riferito che sia il Ministero della giustizia, sia quello della università e della ricerca sia, infine, quello della salute hanno evidenziato gravi profili di incostituzionalità delle disposizioni in questione, rileva che la legge della Regione Emilia-Romagna n. 2 del 2008 sarebbe incostituzionale in quanto, «eccedendo […] dai limiti della competenza legislativa concorrente attribuita alla Regione dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di professioni», contiene disposizioni che, nel loro impianto complessivo, valgono ad individuare nuove figure professionali.

Ad avviso del ricorrente, in particolare, detta valenza si desume: a) dall’art. 2, comma 1, lettera b), e dall’art. 7, comma 4, i quali descrivono i compiti assegnati all’operatore di pratiche bionaturali onde promuovere e mantenere il benessere della persona, nonché dall’art. 2, comma 2, il quale definisce le finalità dell’azione di tale operatore; b) dall’art. 4 che attribuisce al neoistituito Comitato per l’esercizio di pratiche ed attività bionaturali competenze in tema di definizione degli ambiti di attività correlati alle prime nonché delle «modalità di esercizio del relativo percorso formativo», anche ai fini della creazione dell’«elenco regionale delle pratiche ed attività bionaturali» e di determinazione dei «criteri di riconoscimento degli operatori che già svolgono l’attività» da epoca anteriore alla entrata in vigore della legge; c) dall’art. 5, il quale prevede l’istituzione di un elenco regionale delle pratiche bionaturali, ove possono iscriversi, verificato il possesso dei requisiti attestanti una determinata qualificazione professionale, i predetti operatori.    

Si tratta di disposizioni, prosegue il ricorso, che, sulla scorta della giurisprudenza della Corte costituzionale, violano il principio fondamentale secondo il quale l’individuazione delle figure professionali, dei relativi profili, degli ordinamenti didattici e dei titoli abilitanti, nonché l’istituzione di nuovi albi, ordini e registri sono attività riservate allo Stato.

Né varrebbe osservare – sempre secondo la Presidenza del Consiglio – che la legge censurata affermi che le discipline bionaturali esulano dalle «attività di cura e riabilitazione della salute fisica e psichica […] erogate dal servizio sanitario regionale» e che l’operatore in tali discipline non agisca «con finalità sanitarie, di cura e riabilitazione da patologie». Il legislatore regionale, infatti, utilizza espressioni dal valore semantico così indeterminato che vi è il rischio di far ricadere nell’ambito delle suddette discipline attività curative che, prive di evidenza scientifica e di riscontro tratto dall’esperienza, non forniscono idonee garanzie sulla loro efficacia e sulla loro innocuità: si tratterebbe di norme in bianco, inammissibili in una materia delicata quale quella della salute, nella quale il principio di prevenzione non può essere ignorato.

La circostanza, poi, che l’art. 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali), preveda la competenza regionale nella individuazione e formazione dei profili di operatore di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie non avrebbe rilievo, posto che – come già riscontrato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 300 del 2007 – il raggio di intervento degli operatori delle discipline bionaturali non sarebbe limitato alle attività di esclusivo carattere ausiliario e servente proprie degli operatori di interesse sanitario, potendo invece svolgere, direttamente e con una certa autonomia, pratiche curative relative alla tutela della salute.

1.2. – Tenuto conto che le altre disposizioni della legge impugnata sono in rapporto di inscindibile connessione con quelle direttamente censurate, il ricorrente chiede, infine, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale sia estesa all’intera legge.

2. – Con atto dell’8 maggio 2008 si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato, riservando ad altro, successivo, scritto di chiarirne le ragioni.     

2.1. – In prossimità della data fissata per l’udienza, la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria illustrativa nella quale sono specificate le sue difese.

La Regione, dopo aver esaminato la giurisprudenza costituzionale che si è venuta sviluppando nella materia, osserva che, di fatto, nell’ambito della più generale libertà di iniziativa economica e di prestazione di servizi, sancita, a livello statale, dall’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 30 del 2006, nella Regione si verifica lo svolgimento di «molteplici attività bionaturali».

Tali attività, non rientranti fra quelle per le quali è previsto un “ordine professionale” e che non coincidono con le medicine non convenzionali, esulando in tal modo dalla materia tutela della salute, appartengono, quale ambito materiale, alla competenza residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione.

È nell’esercizio di tale generale competenza e di quella in tema di formazione professionale e di tutela dei consumatori che la Regione ha adottato la legge impugnata, tramite la quale non è stata creata una professione, ma sono state definite delle norme di tutela degli utenti, ferma restando sia la possibilità per chiunque di svolgere le attività in questione sia di operare nell’ambito della relativa formazione. Di ciò è prova la circostanza che la legge non solo non fissa i requisiti per il legittimo svolgimento della attività, ma neppure stabilisce sanzioni.

La resistente prosegue osservando che la giurisprudenza costituzionale restrittiva in materia di professioni (originariamente concernente esclusivamente quelle a carattere sanitario ed estesa poi anche ad altro genere di professioni) in base alla quale la semplice istituzione, da parte delle Regioni, di un “registro professionale” – anche là dove la iscrizione in esso non sia condizione per l’esercizio della attività – sia ex se individuatrice della professione e comporti perciò la violazione dei limiti della competenza legislativa regionale, non trovi fondamento in alcun principio statale. Infatti, il d.lgs. n. 30 del 2006 e l’art. 2229 cod. civ. riserverebbero allo Stato l’individuazione dei requisiti e dei titoli per l’esercizio della professione solo in quanto essi siano necessari per detto esercizio; ove tale vincolo non ricorra, essendo le attività in questione di fatto liberamente svolte, non sarebbe precluso al legislatore regionale individuare queste ultime, evidenziando, al fine di tutelarne gli utenti, chi, fra quanti le praticano, abbia conseguito una specifica formazione.

Significativo sarebbe, al riguardo, il fatto che il ricorrente non abbia indicato alcuna specifica norma statale che sarebbe violata da quelle regionali.

2.2. – La difesa regionale conclude osservando che, quale che sia l’esito del ricorso relativo alle disposizioni riguardanti le attività bionaturali, esso non dovrebbe pregiudicare le altre norme, contenute nella legge regionale n. 2 del 2008, aventi ad oggetto i centri benessere.

Si tratta infatti di disposizioni indipendenti dalle precedenti e non ad esse inscindibilmente connesse, come dimostrato dal fatto che l’art. 7, comma 1, della legge impugnata prevede che nei centri benessere non si svolgano attività bionaturali.

La impugnazione, pertanto, della legge n. 2 del 2008, nella parte in cui coinvolge la disciplina dei centri benessere, sarebbe inammissibile per genericità e «difetto di censure».     

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, lettera b), e 2, 4, comma 1, 5 e 7, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 febbraio 2008, n. 2 (Esercizio di pratiche ed attività bionaturali ed esercizio delle attività dei centri benessere), chiedendo, altresì, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), che la dichiarazione di illegittimità sia estesa a tutte le restanti disposizioni di detta legge regionale, in quanto funzionalmente ed inscindibilmente collegate alle norme impugnate.

Ad avviso del ricorrente, in particolare, la legge censurata sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto eccederebbe i limiti della competenza regionale nella materia, di competenza concorrente, delle professioni, violando i principi fondamentali previsti dalla normativa statale.

2. – Prima di esaminare il merito della presente questione di legittimità costituzionale, la Corte ritiene opportuno precisare che la impugnata legge regionale n. 2 del 2008 consta di 14 articoli, i primi cinque dei quali sono riuniti sotto il Titolo I, rubricato «Pratiche ed attività bionaturali», mentre i restanti nove sono a loro volta riuniti sotto il Titolo II, rubricato «Centri benessere».

3. – La questione è fondata, con riferimento alle disposizioni contenute nel Titolo I ed a quelle del Titolo II specificamente impugnate o la cui illegittimità deriva dalla presente decisione.

3.1. – Riguardo alle disposizioni contenute nel Titolo I, questa Corte ricorda, infatti, che più volte, scrutinando disposizioni legislative regionali aventi ad oggetto la regolamentazione di attività di tipo professionale ha affermato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale» (sentenza n. 153 del 2006, nonché, ex plurimis, sentenze n. 57 del 2007 e n. 424 del 2006). Da ciò deriva che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali (sentenze n. 179 del 2008 e n. 300 del 2007).

A tale considerazione di carattere generale la Corte ha aggiunto, quale indice sintomatico della istituzione di una nuova professione, quello costituito dalla previsione di appositi elenchi, disciplinati dalla Regione, connessi allo svolgimento della attività che la legge regolamentava. Si è, infatti, chiarito che «l’istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per la iscrizione in esso hanno, già di per sé, una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale» (sentenze n. 93 del 2008, n. 300 e n. 57 del 2007 e n. 355 del 2005).

3.2. – Applicando tali principi al caso in esame, si rileva come la legge censurata sia caratterizzata dalla individuazione – da essa, dapprima, presupposta, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 2, e, quindi, specificata, secondo quanto previsto dall’art. 3 – ai fini dell’accesso allo svolgimento delle pratiche bionaturali, di un percorso di formazione professionale, la cui concreta definizione, ai sensi del successivo art. 4, commi 4 e 5, dovrà avvenire tramite deliberazione della Giunta regionale, assunta su proposta del Comitato regionale per l’esercizio di pratiche ed attività bionaturali, istituito ai sensi del comma 1 del citato art. 4 della medesima legge regionale n. 2 del 2008. Tale deliberazione deve anche tener conto dei diversi ambiti ai quali sono correlate le singole pratiche, al fine di valorizzarne le specificità in sede di formazione dei rispettivi operatori.

Il successivo art. 5 prevede, a sua volta, l’istituzione dell’elenco regionale delle pratiche bionaturali, suddiviso in due sezioni. Nella sezione a) sono iscritte le scuole di formazione professionale e nella sezione b) sono iscritti, suddivisi nelle sottosezioni relative ad ogni specializzazione, gli operatori delle suddette pratiche. A regime, questi ultimi per ottenere tale iscrizione debbono essere in possesso – secondo quanto testualmente prevede il comma 3 dell’art. 5 – «dell’attestato di qualifica rilasciato dalle scuole di cui al comma 2», cioè da quelle inserite nella ricordata sezione a) dell’elenco regionale in questione.

Va, infine, considerato, in ciò smentendo un’affermazione difensiva della Regione, che lo svolgimento delle attività in questione da parte di soggetti non dotati dei titoli professionali previsti dalla legge censurata non è privo di effetti. Infatti non solo il successivo art. 9, nel disciplinare i requisiti per l’apertura e la gestione dei «Centri benessere», prevede che l’esercizio delle attività ivi prestate, fra le quali sono quelle relative a «tecniche e pratiche bionaturali» (art. 9, comma 1, lettera b), è riservato a chi sia in possesso dei titoli professionali e di studio previsti, fra l’altro, «dalla presente legge», ma l’art. 12, al comma 1, lettera b), provvede persino a punire con sanzioni amministrative pecuniarie la condotta di chi, gestendo un centro benessere, consenta che uno o più dei trattamenti presso di esso erogati siano eseguiti da persone prive «dei requisiti professionali richiesti». 

3.3. – È, pertanto, indubbio che, per effetto delle ricordate previsioni legislative, la censurata parte della legge regionale n. 2 del 2008 della Regione Emilia-Romagna abbia quella funzione individuatrice della nuova professione che, invece, è inibita alla potestà legislativa regionale, travalicandone i limiti.

3.4. – Né ha un qualche rilievo indagare sul fatto che le attività riconducibili alle pratiche bionaturali esulino o meno dal settore della «tutela della salute», così come affermato dalla difesa della Regione resistente.

Questa Corte ha, infatti, già avuto occasione di chiarire che, «quale che sia il settore in cui una determinata professione si esplichi, la determinazione dei principi fondamentali della relativa disciplina spetti sempre allo Stato, nell’esercizio della propria competenza concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.» (sentenza n. 222 del 2008).

4. – Deve, pertanto, essere dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, lettera b), e 2, 4, comma 1, 5 e 7, comma 4, della legge regionale n. 2 del 2008 della Regione Emilia-Romagna.

4.1. – Questa pronunzia va estesa, in via conseguenziale, sia a tutte le restanti disposizioni legislative contenute nel Titolo I della predetta legge, stante l’inscindibile legame funzionale sussistente fra le disposizioni direttamente impugnate e le altre ora indicate, sia, per lo stesso motivo, all’art. 6, limitatamente alla lettera c) del comma 2, all’art. 7, limitatamente alla lettera b) del comma 1, e all’art. 9, limitatamente alle parole «e dalla presente legge» con le quali si chiude il comma 1.

5. – Il ricorso è, invece, inammissibile per ciò che riguarda la restante parte del Titolo II.

5.1. – Il ricorrente, nella parte conclusiva del suo atto, afferma che, poiché «le restanti disposizioni della legge regionale in esame si pongono in inscindibile connessione con quelle specificamente censurate, tale che senza queste ultime, le medesime restano prive di autonoma portata normativa, si ritiene che l’illegittimità costituzionale debba estendersi, di conseguenza, all’intero testo della legge regionale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87/1953».

 Al riguardo, è necessario sottolineare che il richiamato art. 27 della legge n. 87 del 1953, nel prevedere che la Corte «dichiara, altresì, quali sono le altre disposizioni legislative la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata» non viene a sottrarre il ricorrente, o il rimettente – laddove il presunto oggetto dell’illegittimità conseguenziale non fuoriesca, rispettivamente, dal perimetro della normativa impugnabile, o di cui deve fare applicazione – dall’onere di fornire un’adeguata motivazione in ordine a ciascuna delle disposizioni legislative che venga a censurare. Si tratta, cioè, di una attribuzione che viene prevista per evitare che una pronuncia di questa Corte possa determinare palesi incongruenze, facendo permanere nell’ordinamento disposizioni legislative strettamente conseguenziali rispetto a quelle dichiarate illegittime, ma che non può essere invocata dal ricorrente, o dal rimettente, per esonerarlo dal motivare – eventualmente anche richiamando in modo sintetico quanto già affermato con riguardo ad altre disposizioni o riferendo a più norme la medesima argomentazione – le ragioni che lo inducono a sospettare dell’esistenza dell’illegittimità costituzionale.

Nella specie ciò non è avvenuto e, in ogni caso, la restante parte del Titolo II dell’impugnata legge regionale contiene una disciplina diversa, non incisa dalle censure formulate dal ricorrente. Tali disposizioni, infatti, a differenza di quanto potrebbe suggerire l’unità topografica, regolamentano il distinto argomento dei «Centri benessere»: pertanto sono caratterizzate da una autonomia oggettiva rispetto alle altre disposizioni di cui al Titolo I.            

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, lettera b), e 2, 4, comma 1, 5 e 7, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 febbraio 2008, n. 2 (Esercizio di pratiche ed attività bionaturali ed esercizio delle attività dei centri benessere), nonché, in via conseguenziale, di tutte le restanti disposizioni legislative contenute nel Titolo I della predetta legge, dell’art. 6, limitatamente alla lettera c) del comma 2, dell’art. 7, limitatamente alla lettera b) del comma 1, e dell’art. 9, limitatamente alle parole «e dalla presente legge» con le quali si chiude il comma 1, della medesima legge;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale di tutte le altre disposizioni legislative contenute nel Titolo II della medesima legge della Regione Emilia-Romagna n. 2 del 2008.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2009.