ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 1 (recte: unico), della legge della Regione Marche 27 maggio 2008, n. 11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4 e il 6 agosto 2008, depositato in cancelleria il 12 agosto 2008 ed iscritto al n. 44 del registro ricorsi 2008.
Visto l'atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 4 agosto 2008 e depositato il successivo 12 agosto (reg. ric. n. 44 del 2008) il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche 27 maggio 2008, n. 11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi”), in riferimento agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione, nonché alla violazione di “norme statali di principio”.
La legge impugnata si compone di una sola disposizione, recante “interpretazione autentica” dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi), con cui le Marche hanno esercitato la propria potestà legislativa in relazione alla disciplina del c.d. condono edilizio previsto dall'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e a seguito della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte.
In particolare, l'art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 23 del 2004 vieta di sanare opere abusive rientranti nelle tipologie indicate dall'Allegato I al decreto-legge n. 269 del 2003 quando esse siano in contrasto con i vincoli comportanti inedificabilità di cui all'art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e di cui all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, imposti prima della realizzazione delle opere.
La disposizione impugnata stabilisce che tale ultima previsione normativa deve essere interpretata nel senso che i vincoli di cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985 ed all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 impediscono la sanatoria delle opere abusive solo qualora comportino inedificabilità assoluta e siano imposti prima delle esecuzione delle opere.
2. – Con la prima censura il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera l), della Costituzione, poiché la disposizione impugnata, pur formalmente indirizzata ad interpretare una norma regionale, in realtà pretenderebbe di imporre un'interpretazione della normativa statale di cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985 e di cui all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003. Invece, il potere di interpretare autenticamente una disposizione normativa spetterebbe al solo “soggetto cui risale la disposizione interpretata”.
La Regione, esorbitando dalle proprie competenze, avrebbe così anche violato “il limite territoriale”, consentendo che la medesima norma statale possa diversamente venire interpretata da Regione a Regione.
Con la seconda censura il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e delle norme statali di principio concernenti la materia, poiché la disposizione impugnata avrebbe leso la esclusiva competenza statale in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali e avrebbe ecceduto i limiti della competenza regionale.
L'Avvocatura premette che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, non compete alle Regioni la rimozione dei limiti di ampiezza del condono edilizio individuati dal legislatore statale, anche con riguardo alla tipologia di opere abusive non suscettibili di sanatoria: la disposizione impugnata avrebbe, invece, l'effetto di “rendere inapplicabili, nel territorio della Regione” l'insieme dei divieti di sanatoria previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, con riguardo “ai vincoli di inedificabilità diversi da quelli assoluti”, compromettendo il livello di tutela delle aree vincolate approntato dal legislatore nazionale; sarebbe pertanto “evidente, oltre la violazione di norme statali di principio, l'invasione della sfera di potestà legislativa esclusiva statale”.
Né sarebbe richiamabile, in senso contrario, quanto deciso da questa Corte con la sentenza n. 49 del 2006, relativa all'art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi), posto che tale ultima disposizione non è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, secondo l'Avvocatura, in quanto, diversamente dalla legge della Regione Marche oggetto di ricorso, si sarebbe limitata a ribadire il divieto di sanatoria per i casi di inedificabilità assoluta, senza escludere le ulteriori ipotesi previste dalla legislazione statale.
3. – Si è costituita in giudizio la Regione Marche, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
La Regione osserva, quanto alla censura relativa all'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera l), della Costituzione, che la disposizione impugnata, espressiva della competenza regionale in materia di governo del territorio, recherebbe l'interpretazione autentica non già della normativa statale, ma di quella regionale concernente i limiti della sanatoria, affinché la legislazione regionale “non possa essere interpretata in maniera difforme dalle stesse norme statali nella opzione ermeneutica ivi espressamente prevista”.
In altri termini, la norma censurata non avrebbe l'effetto di vanificare i limiti alla sanatoria imposti dalla normativa statale, ma si limiterebbe a precisare, in pieno accordo con la legislazione nazionale, che “non si può prescindere dai vincoli imposti dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985 che esclude dalla sanatoria le opere abusive in contrasto con i vincoli che comportino inedificabilità assoluta”, escludendo invece il carattere impediente dei vincoli che non comportino tale inedificabilità.
Ciò, peraltro, non equivarrebbe ad ammettere la condonabilità dell'opera in ogni altro caso, poiché l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 23 del 2004 esclude comunque la sanatoria, quando essa non abbia conseguito il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo nei casi e nei limiti di cui all'art. 32 della legge n. 47 del 1985, oppure quando non sia stata accordata la disponibilità di concessione onerosa dell'area di proprietà dello Stato o degli enti pubblici territoriali.
Risolutiva sarebbe, in tal senso, la sentenza n. 49 del 2006 di questa Corte, che avrebbe escluso l'illegittimità costituzionale di disposizione analoga a quella oggi impugnata, ovvero dell'art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004: a seguito di tale sentenza, anche la giurisprudenza amministrativa, a parere della difesa regionale, avrebbe circoscritto il divieto di sanatoria in area vincolata alla sola ricorrenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, purché anteriore alla realizzazione dell'opera.
Venendo poi alla censura relativa all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, la Regione Marche contesta che la disciplina del condono edilizio abbia attinenza con la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente: in ogni caso, la disposizione censurata “non ha come presupposto (tanto meno come risultato) il fine di ampliare la portata della sanabilità degli abusi edilizi nelle aree sottoposte a vincolo, ma non fa altro che attenersi” a quanto già disposto dalla normativa statale in materia: tale previsione sarebbe poi corrispondente a quanto stabilito da altre normative regionali.
4. – In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Marche ha depositato memoria, chiedendo che il ricorso sia dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato.
La Regione prende atto che con la sentenza n. 54 del 2009 e con l'ordinanza n. 150 del 2009 questa Corte avrebbe riconosciuto che la normativa regionale non ha il “potere di vanificare” i vincoli presidiati dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, quand'anche non comportanti inedificabilità assoluta.
Ciò, a parere della difesa regionale, non può peraltro comportare l'illegittimità costituzionale della norma impugnata con riferimento ai vincoli tutelati dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985, poiché essi non sarebbero oggetto di ricorso. Se, invece, si ritenesse che la censura investe anche tale parte della disposizione impugnata, essa sarebbe in ogni caso del tutto carente di motivazione e dovrebbe ritenersi pertanto inammissibile.
La Regione aggiunge che la norma impugnata deve comunque ritenersi, quanto ai vincoli di cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985, del tutto conforme alla disciplina statale, giacché essi, in forza di quest'ultima, già rileverebbero solo se implicanti inedificabilità assoluta.
Venendo alle censure svolte dal ricorrente con riguardo ai vincoli di cui all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, la Regione eccepisce anzitutto l'inammissibilità della doglianza basata sull'art. 117, primo e secondo comma, lettera l), della Costituzione, per una duplice ragione. Anzitutto, tali parametri non sarebbero indicati nella relazione del Ministro per i rapporti con le Regioni, cui rinvia la delibera governativa che ha autorizzato la proposizione del ricorso. In secondo luogo, il ricorso avrebbe omesso ogni motivazione in ordine alle ragioni per cui l'art. 117, primo comma, Cost. debba ritenersi violato e avrebbe altresì omesso di indicare quale titolo di competenza statale, tra quelli individuati dall'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. sia posto a fondamento della censura e per quali motivi.
Parimenti inammissibile dovrebbe ritenersi la censura basata sulla violazione di “norme statali di principio”, giacché il ricorrente non provvede a precisare a quale materia di propria competenza tali norme dovrebbero venire ascritte.
Infine, quanto alla censura fondata sull'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, la Regione Marche ritiene, sulla base sia della relazione ministeriale sopra richiamata, sia del ricorso, che essa debba ritenersi circoscritta alla competenza esclusiva statale in materia di “beni culturali e paesaggistici”, questi ultimi da individuarsi sulla base dell'art. 134 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), con esclusione della più ampia competenza in materia di tutela dell'ambiente. Ne conseguirebbe che un'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata potrebbe riguardare i soli vincoli concernenti i beni paesistici, con esclusione, invece, dei vincoli relativi agli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, nonché ai parchi e alle aree protette.
Né sarebbe consentita una dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale con riguardo a questi ultimi, poiché “una volta che la norma legislativa impugnata sia stata dichiarata incostituzionale per violazione di un determinato parametro (…) non è in alcun modo possibile l'applicazione della illegittimità consequenziale a norme che si pongono in contrasto con parametri diversi”.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche 27 maggio 2008, n. 11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi”), in riferimento agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione, nonché alla violazione di “norme statali di principio”.
La legge impugnata si compone di una sola disposizione, recante “interpretazione autentica” dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23, con la quale la Regione ha esercitato la propria potestà legislativa in relazione alla disciplina del c.d. condono edilizio previsto dall'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, ed a seguito della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte.
La disposizione impugnata stabilisce che l'art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 23 del 2004 deve essere interpretato nel senso che i vincoli di cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985 ed all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 impediscono la sanatoria delle opere abusive solo qualora comportino inedificabilità assoluta e siano imposti prima delle esecuzione delle opere.
2. – Con una prima censura, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera l), Cost., poiché la disposizione censurata pretenderebbe di interpretare autenticamente la normativa statale recata dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985 e dall'art. 32, comma 27, lettera d) della legge n. 326 del 2003 (recte: dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003).
La Regione Marche ha eccepito l'inammissibilità di tale doglianza, anzitutto perché il ricorso non specificherebbe minimamente sotto quale profilo verrebbero lesi i parametri costituzionali sopra enunciati, ed inoltre perché la relazione ministeriale allegata alla delibera con cui il Consiglio dei ministri ha autorizzato la proposizione del ricorso menziona il solo art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
2.1. – Entrambe le eccezioni di inammissibilità non sono fondate.
Quanto alla mancata corrispondenza tra i parametri costituzionali selezionati dalla relazione ministeriale e quelli posti dall'Avvocatura generale dello Stato a fondamento del ricorso, va premesso che proprio siffatta relazione denuncia l'illegittimo carattere interpretativo che caratterizzerebbe la disposizione regionale impugnata, allorché afferma che “l'interpretazione di disposizioni statali può essere disposta solo ad opera di leggi statali”.
Se pertanto non vi sono dubbi sulla chiarezza di tale rilievo di costituzionalità e sulla sua motivazione essenziale, va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte riconosciuto all'Avvocatura generale dello Stato una larga autonomia tecnica nella più puntuale indicazione dei parametri del giudizio, dal momento “che la delibera governativa di impugnazione della legge e l'allegata relazione ministeriale a cui si faccia rinvio devono contenere l'indicazione delle disposizioni impugnate e la ragione dell'impugnazione medesima, seppur anche solo in termini generali”, mentre eventualmente spetta all'Avvocatura generale dello Stato la più puntuale indicazione dei parametri del giudizio, giacché la discrezionalità della difesa tecnica ben può integrare una solo parziale individuazione dei motivi di censura (sentenze n. 365 e n. 98 del 2007,
e n. 533 del 2002).
La univocità della censura è tale da poter escludere la sussistenza dell'ulteriore profilo di inammissibilità denunciato dalla Regione, con riguardo alla motivazione, che si assume mancare, in ordine alla pertinenza dei parametri invocati. Infatti, una volta acclarato che il ricorso ha ben individuato il nucleo essenziale della censura, su cui si può esercitare il diritto di difesa della parte resistente, l'eventuale inconferenza dei parametri costituzionali ritualmente indicati, rispetto al contenuto sostanziale della doglianza, costituisce non già motivo di inammissibilità, ma piuttosto di infondatezza.
2.2. – Nel merito, la questione non è fondata.
In primo luogo, la censura si basa sull'erroneo presupposto per il quale oggetto dell'interpretazione autentica del legislatore regionale sarebbero norme statali, quando invece la disposizione censurata espressamente incide su una precedente norma regionale, che pur rinvia a disposizioni di leggi statali. È evidente, perciò, che non queste ultime, ma la prima sia stata interpretata autenticamente dalla disposizione impugnata.
Altro è chiedersi, invece, se per tale via la Regione abbia ecceduto i limiti della propria competenza legislativa: infatti, come precisato da questa Corte con la sentenza n. 232 del 2006, la potestà di interpretazione autentica spetta a chi sia titolare della funzione legislativa nella materia cui la norma è riconducibile, sicché la via per negare la competenza regionale di natura interpretativa dovrebbe consistere nell'individuare siffatta materia e nel contestare che la disciplina legislativa di essa spetti alla Regione.
Sotto questo profilo, palesemente inconferente è dunque il richiamo che il ricorrente opera agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettera l), Cost.
3. – Con una seconda censura, la parte ricorrente lamenta che la disposizione impugnata, nell'attribuire rilievo impediente della sanatoria ai soli vincoli previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 che comportino inedificabilità assoluta, si sarebbe posta in contrasto con le “norme statali di principio” che disciplinano la materia e con la competenza esclusiva attribuita allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Va premesso che, come correttamente posto in rilievo dalla difesa regionale, tale doglianza, diversamente dalla prima, si intende circoscritta alla sola previsione normativa, recata dalla disposizione impugnata, concernente i vincoli di cui all'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, posto che nessun argomento viene impiegato in ricorso per contestare, sotto tale profilo, la legittimità costituzionale della previsione concernente invece la natura dei vincoli previsti dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985.
Ciò detto, secondo la Regione Marche occorrerebbe delimitare ulteriormente la censura ai soli vincoli, tra quelli indicati dal precitato art. 32, comma 27, lettera d), relativi ai “beni culturali e paesaggistici”, posto che su di essi soltanto si incentrerebbe il ricorso.
In senso contrario si può agevolmente osservare che, nel contesto logico del ricorso e della stessa delibera ministeriale, l'indicazione della competenza in tema di beni “paesaggistici” (espressione che, non a caso, non appartiene alla lettera dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.) abbia il più generale significato di richiamare la competenza statale in materia di tutela dell'ambiente, come è confermato dal titolo del paragrafo 2 del ricorso, ove si fa espresso riferimento alla tutela ambientale.
Il motivo della distinzione operata dalla Regione è perciò insussistente, con l'effetto che la legittimità costituzionale della disposizione impugnata va apprezzata con riguardo all'intero contenuto precettivo della normativa statale cui essa indirettamente rinvia.
Il parametro con il quale misurare tale legittimità è costituito, anzitutto, dall'art. 117, terzo comma, Cost. in punto di “governo del territorio”, invocato dal ricorrente per mezzo del richiamo alle “norme statali di principio” che disciplinano la materia del condono edilizio.
In senso contrario, la difesa regionale eccepisce la inammissibilità della censura poiché nella relazione ministeriale allegata alla delibera del Consiglio dei ministri che ha autorizzato la proposizione del ricorso e nel ricorso stesso dell'Avvocatura generale sarebbe assente “qualsiasi indicazione circa il titolo di competenza legislativa statale che dovrebbe consentire a tali norme di principio di imporsi come limite al legislatore regionale”.
Peraltro, fermo quanto precisato in precedenza in ordine all'autonomia tecnica dell'Avvocatura nel selezionare i motivi di ricorso, non sussiste dubbio che le norme statali di principio asseritamente derogate siano quelle deducibili dalla normativa del c.d. condono edilizio approvato con il decreto-legge n. 269 del 2003, e dalla normativa di cui al decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), adottato a seguito della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte: ma se non è dubitabile – come riconosce la stessa difesa regionale – che la fondamentale materia nella quale opera il suddetto condono sia il “governo del territorio”, appare evidente che a questa sono da riferire le “norme statali di principio” che si asseriscono violate dal rinnovato esercizio del potere legislativo regionale.
L'eccezione di inammissibilità va pertanto respinta.
4. – La norma oggetto di ricorso, tramite una asserita “interpretazione autentica” dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 23 del 2004, stabilisce che i vincoli previsti dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 hanno effetto impediente, solo se “comportino inedificabilità assoluta”; l'ulteriore riferimento alla necessità che essi siano imposti prima dell'esecuzione delle opere è conforme a quanto affermato dallo stesso art. 32, comma 27, lettera d): in tal modo il legislatore regionale intende rendere condonabili gli interventi in area vincolata ai sensi della citata norma statale quando il vincolo abbia carattere meramente relativo.
Questa Corte ha già riconosciuto che “solo alla legge statale compete l'individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario” (sentenza n. 70 del 2005; sentenza n. 196 del 2004), sicché la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la competenza concorrente della Regione in tema di governo del territorio.
Nello specifico, disposizioni regionali analoghe a quella oggetto del presente giudizio sono già state reputate costituzionalmente illegittime (sentenza n. 54 del 2009), ovvero si sono sottratte alla declaratoria di illegittimità costituzionale solo in quanto ritenute in via interpretativa compatibili con i vincoli di inedificabilità relativa salvaguardati dall'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003 (sentenza n. 49 del 2006).
Infatti, è pacifico che la normativa statale più volte richiamata imponga l'osservanza di vincoli di carattere relativo, cui il legislatore regionale non può apportare alcuna deroga (ordinanza n. 150 del 2009): al contrario, la disposizione censurata ha l'effetto inequivocabile di vanificare siffatti limiti ed incorre per tale ragione nel denunciato vizio di legittimità costituzionale.
Va pertanto dichiarata la illegittimità costituzionale, per violazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio, di cui al terzo comma dell'art. 117 della Costituzione, dell'articolo 1 (recte: unico) della legge regionale delle Marche n. 11 del 2008, limitatamente alle parole “ed all'articolo 32, comma 27, lettera d), della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici)”.
5. – Resta assorbita la censura prospettata in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 (recte: unico) della legge della Regione Marche 27 maggio 2008, n. 11 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23 “Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi”), limitatamente alle parole “ed all'articolo 32, comma 27, lettera d), della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici)”;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1 (recte: unico) della legge della Regione Marche 27 maggio 2008, n. 11, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe, in riferimento agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettera l), della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2009.